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Full text of "Della medicina di Aulo Cornelio Celso libri otto"

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ENCICLOPEDIA 


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in  2012  with  funding  from 

Open  Knowledge  Commons  and  Harvard  Medicai  School 


http://www.archive.org/details/dellamedicinadiaOOcels 


ENCICLOPEDIA 


DELLE 


SCIENZE   MEDICHE 

DI 

AL1BERT,    BARBIEB,    BAYLE,    BAUDELOQUE,    BOUSQUET,    BRACHET,   BRICHETEAU,    CAPURON, 
CAYENTOU,     CAYOL,     CLARION,     CLOQUET,     COTTEBEAU,      DOUBLÉ,    FUSTER,    GERDY, 
GIBERT,    GUERARD,    LAEHNEC,   LENORMAND,    LISFRANC,    MALLE,    MARTINET,    FARENT- 
DUCHATELET,    PELLETAN,    RECAMIER,  SERRES,   AUGUSTO  THILLAYE,    YELPEAU,   Y1REY 

DI   M.  G.  LEVI 


SETTIMA     DIVISIONE 

COLLEZIONE  DEGLI  AUTORI  CLASSICI 

CELSO 


VENEZIA 

CO'  TIPI   DELL' ED.   GIUSEPPE  ÀNTONELLI 

PREGIATO    DELLA    MEDAGLIA    1)'  ORO 

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DELLA  MEDICINA 


DI 


AULO   CORNELIO   CELSO 

LIBRI    OTTO 

DI  G.  A.  DEL    CHIAPPA 

PROFESSORE  DI  MEDICINA    PRATICA 
E  MEMBRO  DELLA  FACOLTÀ'  MEDICA  JSELl'  J.   R.  OHIV.  DI  PAVIA 


VENEZIA 

DALLA    TIP.    DI    GIUSEPPE    4NTONELLI 

PHBUIATO    CON    MIìDAGLlA    D1  ORO 

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PREFAZIONE 

DEL    VOLGARIZZATORE 


L'  .  .' . 

opera  rli  Aulo  Cornelio  Celso  intorno  alla  medicina,  la  sola  delle  molliplici 

dettate  sopra  svariati  argomenti  da  questo  antico  sapiente  che  sia  giunta  insino  a 
noi,  non  ha  bisogno  di  commendazioni  e  di  elogi.  Dappoiché  essa  apparve  nel  mondo 
riscosse  gli  applausi  non  che  i  voti  dei  letterati  e  dei  medici.  La  maravigliosa 
castità  dello  stile,  la  inimitabile  purgatezza  della  lingua,   e  le  sane,  isquisite  e  pere- 
grine cognizioni  su  tutte  quante  le  parti  della  salutifera  arte  onde  va  piena,  la  ren- 
derono, siccome  la  renderanno  in  ogni   tempo,   un  libro  classico  dei  più  estimali. 
L1  Italia,  che  vanta  volgarizzamenti  famosi  dei  più  nominati  scrittori  del  Lazio,  non 
aveva  una  traduzione  di  sì  esimio  scrittore,  se  si  toglie  quella  oggimai  rarissima 
deir  abate  Chiari  da  Pisa.   E  questa  sua  traduzione  fu  pubblicata   qui  in  due  vo- 
lumi  nel  1747,  presso    Domenico    Occhi.  Ma  questo    Chiari  non  era  dell"*  arte  \  e 
quantunque  fossene  mezzanamente  inslruito,  siccome  appare,  tuttavolta  non  se  gli 
appartiene  quella  intera  fede  che  naturalmente  accordare  si  deve  a  coloro  i  quali  stu- 
diano e  professano  per  instituto  di  vita  la  scienza  medica   stessa.  Il  volgarizzamento 
suo  non  è  manchevole  di  fedeltà  -,  ma  se  altri  vi  ricerca  V  eleganza,  il  nitore,  la  ve- 
nustà celsiana,  rimane  a  gran  pezza  ingannato.  Comunque  però  sia  la  cosa,  il  suo 
libro-  è  oggimai  esausto  intanto  che  a  gran  ventura  appena  potrebbesi  rinvenire  in 
commercio.  Oltre  di  che  egli  ebbe  elaborata  la  sua  fatica  sull1  esemplare  dato   dal- 
1  Almelovenio  ;  e  tutti  sanno  che  il  testo  celsiano  ha  sofferto  da  quel  tempo  in  poi, 
cioè  da  un  secolo  e  più  a  questa  parte,  notevolissimi  cangiamenti  per  le  dotte  e  com- 
mcndevoli  fatiche    del  Krause,  del  Yalaslio,   del  Volpi,   del  Morgagni  e  principal- 
mente del  Targa.  Abbiamo  imperlatilo  Còstimato  pregia  dell1  opera  quello   di  tiare 


B 

all'  Italia  di  questo  sublime  scrittore  del  secol  d'oro  una  novella  versione  diligente 
e  pura  e  limata  quanto  per  noi  è  stato  possibile,  ed  oltracciò  in  nitida  ed  elegante 
edizione.  In  Francia  i  signori  Ratier  e  Fouquier,  chiarissimi  medici  parigini,  ne 
hanno  data  novellamente  una  uscita  alla  luce  co"1  celebri  tipi  del  Didot  in  Parigi 
nel  1824.  E  questa  è  purgata  e  leggiadra;  ma  alla  maniera  della  loro  lingua  e  del 
nazionale  costume  è  una  traslazione  assai  libera  e  larga.  Si  conviene  però  dire  che 
in  cotal  guisa  hanno  questi  dotti  interpreti  spessamente  comentato  il  testo,  che  in 
alcuni  luoghi  è  oscuro  sì  che  involge  in  alquanta  dubbiezza  ed  oscurità  chi  legge. 
Ma  la  Francia  aveaue  già  altro  volgarizzamento  del  valente  dottor  Enrico  Ninnili 
medico  del  conte  di  Clermont  principe  del  sangue,  e  pubblicalo  da  lui  nelP  an- 
no 1753.  E  questo  incolpabile,  anzi  laudevole  pel  lato  delf  esattezza,  facea  desi- 
derare pur  esso  V  aurea  purità  ed  il  natio  candore  del  latino  maestro.  Noi  abbiamo 
tenuta  una  diversa  via.  Abbiamo  amato  meglio  di  stare  fedelmente  attaccati  alla 
frase  dell'autore  ogni  qual  volta  che  essa  si  offria  piana  ed  agevole  ;  e  piegandoci 
alla  natura  della  nostra  lingua,  ci  siamo  studiati  di  seguire  più  davvicino  che  ne  è 
stato  permesso,  il  periodare  celsiano.  Siamo  nulladimeno  in  questa  sentenza  di  non 
aver  lasciato  oscuro  verun  passo,  per  oscuro  ch'esso  sia  neir  originale,  ed  abbiamo 
studiosamente  ischiariti  e,  per  così  dire,  compiuti  alcuni  tratti  che  vi  si  trovano  mal 
compiuti  e  dubbi. 

Questo  lavoro  avvegnaché  piccola  cosa  ella  sia,  è  costato  alla  mia  poca  suih- 
cienza  gravissima  e  lunga  fatica.  Imperocché  posso  far  certo  chichessia  che  intor- 
no ad  esso  ho  sudato  più  e  più  anni.  Mi  posi  mano  nel  1807,  e  l'ebbi  fornito 
nel  1  8  1  9,  dandovi  opera  in  que'  piccoli  avanzi  di  tempo  che  mi  concedeva  T  eser- 
cizio dell'  arte  ed  alcun'  altra  occupazione.  Se  esso  poi  non  è  riuscito  di  quella 
squisitezza  e  sì  terso  e  polito  come  cotanto  autor  richiedea,  e  come  io  a  lutto  poter 
ini  studiava,  non  si  tu  già  per  difetto  di  diligenza,  che  forse   soverchia  ve  ne   ado- 

bi  rara,  ma  il  d1  ingegno  e  di  gusto.  Il  perchè  potrassi  a  me  ottimamente  applicare 

il  limoso  dello  oraziano  in  vittimi  dlicU  CldJM*  fugC^  si  card  arte.  Qualunque 
1-..,  sia  questa  mia  Litica,  l'accolga  il  pubblico  con  lieta  fronte,  ponendo  melile 
allo  inlendimenlo  mio,  «he  quello  si  fa  di  accendere  negli  animi  della  gioventù 
tCraU  ali1  aite  medica  V amore  e  Io  studio  degli  antichi  modelle  e  massima- 
mente drir  immollai  Cornelio  Celio. 


A.  CORN.   CELS1 


DELLA  MEDICINA 


DE  MEDICINA 


P  R  £  F  A  T  I  O 


DI  AULO  CORiN.  CELSO 


PREFAZIONE. 


u. 


t  alimenta  sanis  corporibus  agrieul- 
tura,  sic  sanitatem  aegris  medicina  promiltit. 
Haec  nusquarn  qaidem  non  est  :  siqnidem 
etiam  imperitissimae  gentes  herbas  aliaquc 
prompta  in  auxilium  vulnerum  morborumque 
noverunt.  Verumtamen  apnd  Graecos  aliquan- 
to  magis,  quam  in  ceteris  nationibus,  exculla 
est  :  ac  ne  apud  hos  quidem  a  prima  origi- 
ne, sed  paucis  ante  nos  seculis  ;  ulpole  cum 
vetustissimus  auctor  JEsculapius  celebre  tur. 
Qui,  quoniam  adhuc  rudem  et  vulgarem  liane 
scien  tiara  paulo  sub  fili  us  exeoluit,  in  deorum 
numerum  receptus  est.  llujus  deinde  duo  filii, 
Podalirius  et  Machaon,  bello  Trojano  ducem 
Agamemnonem  secuti,  non  mediocrem  opera 
commilitonibus  suis  allulerunl.  Quos  tamen 
Homerus  non  in  pestilentia,  neque  in  variis 
generibus  morborum  aliquid  attulisse  auxilii, 
sed  vulneribus  tanlummodo  t'erro  et  medica- 
mculis  mederi  solilos  esse  proposuit.  Ex  quo 
apparcl,  has  parles  medicinae  solas  ab  bis  esse 
lenlatas,  easque  esse  veluslissimas.  Eodemqoe 
auclorc  disci  potcsl,  morbos  luin  ad  iras  deo- 
ìiuii  immorlalium  relalos  esse,  et  ab  iisdem 
opcrn  potei  lolitam.  Verique  simile  est,  inter 
nulla  auxilia  adversae.  valctudinis,  plerumque 
laiiM  i)  eam  bonam  contigisse  ob  boaos  mores, 
quo,  aeque  desidia,  neque  luxuria  vitiarant. 
Siquidem  haec  'Ina  corpora,  priui  in  Giaccia, 
deinde  apud  nos  afìlixerunl.  Ideoque  /nulli 
plex  isia  medicina,  neque  olim,  neque  apud 
aliai  gentes  necessaria,  vix  aliquos  ex  nobis 
ad  lenectutis  principia  perducit.  Ergo  etiam 


Oiccome  ai  sani  corpi  somministra  gli 
alimenti  V  agricoltura,  così  agi1  infermi  sanità 
la  medicina.  Essa  è  in  ogni  luogo.  Anche  le 
genti  idiotissime  conoscono  semplici,  ed  altre 
cose  efficaci  ed  ovvie  a  cura  delle  ferite  e  delle 
infermila.  Più  che  altri  però  la  coltivarono  i 
Greci,  né  essi  pure  nel  principio  loro,  ma  po- 
chi secoli  innanzi  a  noi,  dappoiché  é  celebralo 
Esculapio  pel  più  vetusto  autore.  Ed  egli  per 
avere  tanto  o  quanto  più  sottilmente  coltivala 
quest1  arte,  insino  allora  volgarissima  e  rozza, 
riguardato  fu  qual  nume.  Due  figliuoli  suoi, 
Podalirio  e  Macaone,  clic  seguirono  il  duce  A- 
gamennone  alla  guerra  di  Troja,  prestarono 
segnalati  servigi  ai  loro  commilitoni  :  per  al- 
tro ne  rapporta  Omero  che  non  si  travaglik- 
rono  essi  nella  pestilenza,  o  in  altre  infermità, 
ma  ehe  trattarono  soltanto  le  ferite  col  iérro  e 
coi  medicamenti  ;  dal  che  si  argomenta  aver 
loro  usala  questa  sola  parte  di  medicina,  e 
questa  essere  la  più  antica.  Apprendiamo  inol- 
tre dallo  stesso  autore  come  a  quei  tempi  .si 
eoslumasse  riferire  le  infermità  allo  sdegno 
degli  Dei  immortali,  e  da  essi  implorarsi  l'op- 
portuno ajulo  ;  ma  e1  par  verisimile  che  la  sa- 
nità, a  malgrado  i  tenui  soccorsi  conila  le  ma- 
la! tic,  si  eonservasse  per  usalo  buona  in  virtù 
de'  buoni  Costumi  non  per  anehe  guasti  dal- 
l'intemperanza  e  dall'ozio.  Questi  due  vizi 
prima  in  Grecia,  poscia  fra  noi,  tirarono  ad- 
dosso ai  nostri  corpi  una  turba  di  mali;  ond'è 

che  questa  complicata  medicina  non  neeeisa- 

ria  un  tempo,    siccome  non   lo  è  presso  altre 


j  O  PREFAZIONE 

post  eos,  de  quibus  reluli,  nulli  clari  viri  me-  genti,  pochi  tra  noi  ne  lascia  attingere  la  so- 
dicinam  exercueruntj  donec  majore  studio  glia  della  vecchiezza.  Ninno  pertanto  di  nome 
litlcrarum  disciplina  agitari  coepit,  quae  ut  chiaro  appresso  i  nominati,  si  consacrò  ali1  e- 
ajaimo  praecipue  omnium  necessaria,  sic  cor-  sercizio  della  medicina,  persino  a  che  non  si 
pori  inimica  est.  Primoque  medendi  scientia,  rivolse  l'animo  con  più  fervido  amore  alle  let- 
Bapientiae  pars  habebatur,  ut  et  morborum  tenne  speculazioni,  le  quali  quanto  sono  gio- 
curatio,  et  rerum  natante  contemplatio  sub  vevoli  e  care  air  animo  d'ognuno,  altrettanto 
iisdem  auctoribus  nacta  sit  :  scilicet  iis  hanc  al  corpo  mimiche  ed  infeste.  Sulle  prime  ai  ri- 
maxime  requirentibus,  qui  corporum  suorum  sguardava  la  medicina  siccome  un  ramo  della 
robora  quieta cogitatone,  nocturnaque  vigilia  sapienza,  così  che  la  cura  delle  infermità  e  la 
minuerant  [deoque  multos  ei  sapieutiae  prò-  contemplazione  della  natura  riconobbero  ime- 
fessoribus  perilos  ejus  fuifse  accepimus  j  eia-  desimi  autori;  massimamente  che  di  quella  ne 
rissimo*  vero  ex  Iis  Pythagoram,  el  Empedo-  abbisognavano  coloro  i  quali  aveano  con  Pia- 
eleni,  el  Democritum.  Hujus  autem,  ut  qui-  tensò studiare,  e  col  vegliar  continuo  infralito 
dam  Bredideruntfdiscipulus  Hippocratés  Cous,  il  naturai  vigore  del  loro  corpo.  11  perchè  molti 
primus  quidem  ex  omnibus  memoria  dignis,  tra  i  sapienti,  siccome  bassi  dalle  memorie  aii- 
ub  studio  sapienliae  disciplinam  haUC  separa-  tiche,  furono  versali  in  medicina,  fra  i  quali  ri- 
vit  virel  arte  et  focundia  injùgnis.  Post  quem  portarono  le  prime  lodi  Pitagora,  Empedocle  e 
Diocles  Carystius,  dein*^  Praxagoraset  Chry-  Democrito.  Ippoerate  di  Coo,  discepolo  diqne- 
aippus,  inni  Herppnilus et  Erasistratns  sic ar-  st' ultimo  siccome  credesi  per  alcuni,  inerite- 
lem  |;,mi  gnsrcuerunt,  ut  etiam  in  diversas  vole  sopra  ogh* altro  di  ricordanza,  sommo 
curandi  via* procesterint.  Usdemque tempori-  artista  e  sommo  scrittore,  partì  la  medicina 
bas in  tre*  partes  medicina  diducta  esti  ut  dallo  sin. Ilo  della  sapienza.  Appresso  Dioele 
una  esset,  quae  vieta;  altera,  quae  medica-  Caristio,  poi  Prassagora  e  Crisippo,  indi  Ero- 
mentis;  terlia,  quae  ni. uni  mc.lt  i  «tur.  l'ri-  filo  ed  Krasistrato  tennero  nella  pratica  diver- 
iii.iin  «T<a/T>fT/x>iV,  lecundam  $awax.iuTtxvv,  se  guise  di  medicaio.  Attorno  a1  medesimi  lem-- 
li  i  ii. un  %fit(kttvf^#ajry  Graeci  nominarunt  Ejos  pi  divisa  fu  la  medicina  in  tre  parti;  Pana  che 
rateai  quae  vieta  morbos  curet,  longe  claris-  sana  le  malattie  eoi  vitto,  V  altra  coi  medica- 
timi aoctores  etiam  altioi  quaedam  agitare  co-  menti,  colla  mimo  la  terza.  Chiamano  i  Greci 
,,  ,tj.  i,  rum  quoque  naturae  libi  oogi  itionem  dietetica  la  prima,  farmaceutica  la  seconda, 
^  inda  ii  uni.  tamquam  une  ea,  trunca  <  t  orbi-  chirurgica  la  terza,  Più  rinomati  degli  altri  i 
li,  medi*  in  »  esset  Poti  quos  Serapion,  primui  professori  della  dietetica  estimarono,  stretti  a 
ommiiiii.  mhilli.MM  srationa  lem  disciplinam  per-  pia  altamente  discorrere  certe  cose,  a  sène- 

tinere  ad  m  iirinaoL  profi in  ara  tantum  cetsaria  anche  la  contemplazione  della  Datura 

«i  experùnentii  eam  posuit.  Quem  spollouius,  delle  cose,  sembrando  loro  senza  di  essa  manca 

et  Gian  ias,  et  aliqoaato  post  Heraclides  ta-  ed  oscura  la  medicina.  Dietro  a  loro  Serapione 

rentinus,  <i  ..di  quoque  non  mediocres  viri  Innanzi  ogni  altro  apertamente  dichiarò  nulla 

secati,  ex  ip  i  profi    ione  se  i/tmtsfnutff  ap-  aver  che  (are  questa  speculativa  disciplina  eolr 

peueveruot.  Sic  ut  iluai  parta  ea  quoque,  l'arte  del  medicare,  e  la  ripose  tutta  nella  pra- 

quae   vieta  carat,   medicina  divisa   <  it,  aliis  tica  è  nella  osservasi ».  à^ollouio  e  Glaucia, 

rationalem  srtem,  aliis  uram  tantum  cibi  via-  e  poco  dopo  il  tarantino  Eraclide,  <<l  altri  qua- 

dkantibos:  nullo  raro  qutdquam  post  eoa,  lineati  maestri  .ili  tennero  dietro  facendosi, 
qui    apra  comprehensi                 itante,  dì  i  loro  stessi  principi,  denominare  empi 

f|U"<l  J-ii-     \  .  i.  | .1 1 .  i . - .  medendi  riei.  Cosi  pure  in  due  parti  divisa  fu  la  diete- 

rattonem  <  a   magna   parte  mutavit.   Ex  eujui  tica licina,  i  itenendola  altri  come  arte  ipe- 

..,,  Qoper   ipse  quoque  eulativa,  altri,  all'  opposto,  .come  tutta  pratica 

ouaedamifl   enectale  deflexlt.Etperbo  qui-  <•  iperimentale  ;  oè  alcuno  si  ritrovò,  dopo  j 


PREFAZIONE  II 

dem  maxime  viros  salutaris  isla  nobis  profes-  menzionati,   che   vi  facesse   alcuno   notevole 

sio  increvit.  cangiamento,   persino  a  che  Asclepiade  non 

rinnovò  in  gran  parte  il  modo  del  medicare. 
Temisone  istesso,  non  ha  molto,  uno  dei  suoi 
seguaci,  alcuna  modificazione  pure  v'intro- 
dusse negli  ultimi  suoi  anni.  Ecco  per  quali 
distinti  uomini  principalmente  crebbe  e  fiorì 
questa  all'  uraan  genere  salutifera  professione. 
Quoniam  autem  ex  tribus  medicinae  par-  Ma  come  la  più  ardua,  cosi  la  più  illustre 
tibns,  ut  difficillima,  sic  etiam  clarissima  est  fra  le  tre  parti  della  medicina  quella  essendo 
ea,  quae  morbis  medetur,  ante  omnia  de  hac  che  cura  le  malattie,  devesi  di  essa  parlare  in- 
dicendum  est.  Et  quia  prima  in  eo  dissensio  nanzi  alle  altre.  E  poiché  la  massima  discre- 
est,  quod  alii  sibi  experimentorum  tantum-  panza  sta  nel  sostenere  ch'altri  fanno  necessa- 
modo  notitiam  necessariam  esse  contendunt  ;  ria  solo  1'  esperienza,  laddove  per  altri  si  esti- 
alii,  nisi  corporum  rerumque  ratione  cora-  ma  non  essere  sufficiente  la  pratica  senza  la 
perta,  non  satis  potentem  usum  esse  propo-  cognizione  dei*corpi  e  delle  cose,  parmi  do- 
nunt:  indicandum  est,  quae  maxime  ex  u tra-  versi  indicare  i  capi  principali  intorno  a  che 
que  parte  dicantur,  quo  facilius  nostra  quo-  si  quistiona  da  ambe  le  parti,  onde  vi  si  possa 
que  opinio  interponi  possit.  Igitur  ii,  qui  ra-  più  di  leggieri  interporre  anche  la  nostra  opi- 
tionalem  medicinam  profitentur,  haec  neces-  nione.  Quelli  pertanto  che  professano  la  medi- 
saria  esse  proponunt  :  abditarum  et  morbos  cina  speculativa,  giudicano  necessarie  le  se- 
continentium  causarum  notitiam,  deinde  evi-  guenti  cose:  la  cognizione  delle  cagioni  occul- 
dentium,  post  haec  etiam  naturalium  actio-  te  e  di  quelle  che  costituiscono  le  malattie; 
nura,  novissime  partium  interiorum.  Àbditas  poscia  la  notizia  delle  manifeste  ;  quindi  delle 
causas  vocant,  in  quibus  requiritur,  ex  qui-  funzioni  naturali  ;  ultimamente  delle  parti  in- 
fetta principiis  nostra  corpora  sint,  quid  secun-  terne.  Per  cagioni  occulte  intendono  quelle  in 
dam,  quid  adversam  valetudinem  faciat.  Ne-  che  si  ricerca  di  quai  principi  constino  i  nostri 
que  enim  credunt,  posse  eum  scire,  quomodo  corpi  ;  onde  derivi  la  sanila,  onde  la  malattia, 
morbos  curare  conveniat,  qui,  unde  hi  sint,  Perocché  non  si  possono  persuadere  che  chi 
ignoret.  Neque  esse  dubium,  quin  alia  cura-  ignora  le  cagioni  loro,  sappia  adattarvi  una 
tione  opus  sit,  si  ex  quatuor  principiis  vel  su-  conveniente  medicatura.  Ed  è  più  che  certo 
perans  aliquod  vel  deficiens  adversam  va-  che  se  per  V  eccesso,  o  difetto  di  alcuno  dei 
letudinem  creat  ;  ut  quidam  ex  sapientiae  quattro  principi  si  venga  ad  ingenerare  la  mal- 
professoribus  dixerunt  :  alia,  si  in  humidis  sania,  siccome  immaginarono  alcuni  sapienti, 
omne  vitium  est;  ut  Herophilo  visum  est:  sarà  d' uopo  di  una  speciale  cura  ;  di  un' altra 
alia  ,  si  in  spiritu  ;  ut  Hippocrali  :  alia  ,  si  se  ne  furono  cagione  gli  umori  secondo  Erofi- 
sanguis  in  eas  venas,  quae  spiritui  accom-  lo  ;  di  un1  altra  se  il  vapore  secondo  Ippocra- 
modatae  sunt,  transfunditur,  et  infiamma-  te;  di  un' altra  se  il  sangue  trasfondendosi  in 
tioncrn,  qaaxn  Graeci  (pXzyuovm  nòminant,  quelle  vene  che  destinate  sono  allo  spirilo,  ec- 
excitat,  eaque  tnflammatio  lalem  motum  ef-  cila  queirinfiammazionc,  della  dai  GvvciJIem- 
ficil,  ([iialis  in  febre  est;  ut  llerasistrato  pia-  mone,  donde  poi  nasce  la  febbre  ;  e  questa  è 
euii  :  alia,  si  manantia  corpuscula,  per  invisi-  dottrina  di  Erasistrato  ;  d'altra,  secondo  quel- 
bilia  foramina  substinendo,  iter  claudunt  ;  ut  Ukdi  Asclepiade,  se  i  discorrenti  corpicciuoli 
a\sclepiades  contendit.  Eum  vero  recto  cura-  soffermandosi  fra  gl'invisibili  meati,  la  via  ne 
Iuiuiii,  quem  prima  origo  caussaenon  fefelle-  oppilano.  Curerà  a  dovere,  dicono  essi,  chi  a- 
rit.  Neque  vero  infìtianlUr,  experimenta  quo-  *rà  attinta  la  primiera  cagione.  Né  eseludono 
que  esse  necessaria,   sed  ne  ad  haec  quidem  gli  esperimenti,  anzi  gli  ritengono  per  neces- 


,2  »  ASF  AZIO  N  1 

aditalo  fieri  potaiase,  nisìab  ftliqùa  ratione,  sari,  ma  sostengono  non  potersi  usare,  ne  re- 
contendunt.   Nani   enim   quilibet   antiquiores  golarc  dal  medico  senza  qualche  raziocinio. 
Tiro*  aeirris  inculcasse  ;  sed  cogitasse,  quid  Imperocché  i  vecchi  medici  non  ordinarono 
tossirne  convenire!  ;  et  id  usa  explorasse,  quo  già  ai  loro  infermi  qualsisia  cosa  alla  ventura, 
ante  conjectura  aliqua  duxisset.  Neque  inter-  ma  meditarono  quello  che  più  gli  convenisse, 
esse,  an  mine   jam  pleraque  esplorata   sint,  e  misero  a  prova  ciò  che  aveano  in  prima  de- 
si a  Consilio    tamen   eoeperunt.    Et   id   qui-  dotto  con  alcuna  probabilità  di  discorso.  E 
dem  in  mullis  ila  se  habere.  Sacpe  vero  ctiani  non  rileva  che  i  rimedj  sieno  ora  in  gran  par- 
nova   incidere   genera   morborum,  in  quibus  te  sperimentali,  se  però  presero  la  prima  mos- 
aihil  adhoc  asoi  òstenderk  ;  ut  ideo  neoessa-  sa  dal  ragionamento.  E  questo  è  ciò  che  in- 
riùm  à\  animadrertere,  nude  ea  coeperint  ;  tcrviene  nei  più  dei  corpi.  Sogliono  anche  oc- 
sin-j  quo  mino  mortsdium  reperire  possi!,  cor  correre  nuove  genie  di  mali,   nei  quali  nulla 
hoc,  quam  illu,  polius  utatur.  Et  ob  haec  qui-  per  anco  ne  abbia  insegnalo  la  pratica  ;  e  per 
dem  in  obscuro  positaa  eaosas  persequuntur.  questo  necessario  sia  considerare  la  loro  pro- 
Ex  ideate*  w  ro  eoa  appellant,  io  quibus  quae~  venienza,  senza  di  che  dìodo  al  mondo  po- 
llini, initium   morbi   ralor   attulerit,   an   fri-  trebbe  ritrovare  il  perchè  si  faccia  uso  di  que- 
gus  ;  lumes,  an  salielas,  et  quac  similia  sunt.  sto  anzi  che  di  quel  rimedio.  E  per  questi  mo- 
Occursurum  enim  \  ilio  dieunt  eum,   qui  ori-  tivi  si  ricercano  le  cagioni  nascoste.  Chiamano 
ginem  non  ignoraril.  Naturales  vero  corporis  poi  evidenti  quelle  nelle  quali  indagasi  se  la 
acliones  appellant,  per  quas  spiritum  iraliimus  malattia  nacque  per  caldo,  o  per  freddo  ;  per 
et  emittimoi  ;  cibom  potionemqoe  et  assumi-  fame  o  per  sazietà  ed  altre  cose  di  questa  t'aita. 
mot  Ct  concoquinius  :   itemque,  per  quas  ea-  Imperocché  andrà  facilmente  incontro  al  malt 
dem  haec  ia  omnea  membrorom  partea  dige-  colui,  dicono  essi,  che  ne  abbia  attinta  Torigi- 
runlur.    1  uni    requirunt  etiam,   (piare  venne  ne.  Chiamano  poi  naturali   azioni  quelle  per 
noftrae  modo  anbmittant  se,  modo  attollaot;  cui  a1 inapira  ed  espira  Paria;  si  prende  e  si 

(ju.ic  Lilio  somni.  qnae  ratio  tigiliae  sii  :    line  digerisce  cibo  e  bevanda,  e  quella  altresì  onde 

quorum  notitia,  ncmiiicm    pulanl    \el    occhi-  le  medesime  cose  si  assimilano  in  tutte. le  parli 

rere,  rei  mederi  morbis,  inter  haec  nascenti-  del  corpo.  Ricercano  ancora  perchè  le  nostre 

boa,  posse.  £s  quibosqui  maxime  pertinere  eneorasi    abbassino,  ora  a?  innalzino  ;  quale 

.1   rem  coneoetìo  videtar,  buie  potissimom  sia  laragiooe  del  sonno,  qoale  della  reglia, 

nisiiiiini  ;  ri  .In..'  alii  Itasistrnto,  ieri  ribum  senza  la  cui  scienza  aaaeriscono  non  potersi  da 

in  \,  altre  i  osti  aduni  :  alti,  Plutonico  Praxa-  ninno  né  ovviare  alle   malattie  perturbanti 

disciputo,  putrescere ;  alti  oredont  Hip-  queate  ranstont,  o  curarle.  Fra  le  quali  aero- 

■  i.  per  i  dorem  cibot  coneoqni:  acce-  orandogli  la  digestione  la  più  importante,  di 

duntque  Asclepiadea  semun,   qui  omnia  i^ia  qneata  ranno  gran  contai  ed  altri  dietro  ad  E- 

ranaetsup                    proponuut:nihilenim  raaiatrato  opinano  triturarsi  il  cibo  nelventri- 

.  intani  mairi  i  ini.  si.  ni  asMini-  culo;  alili  dietro  a  l'iislouico    scolare  di   l'ras- 

pta  est,  in  corpus  orane  diduci  hi  haec  qui-  aagora,  putrefarvisi  ;  altri  ad  Ippocrate  acoo- 

•  I.  ni  inter  eoa  parum  Constant  :  iUud  vero  con-     standosi   a iettano  ehe  il  cilx>  si  concuoce 

renit,  alium  dandum  cibum   laborantibus,  si  pei  lo  calore,  ai  quali  ai  aggiungono  i  seguaci 

hoc  ;  altum,  si  tllud  verum  est   Ni i   Ieri-  di  Aaclepiade  che  rigettano  tatto  queste  aicco- 

tnr  iui.us,  «-lini  quaereodom  eaae,  qui  (acillime  me  opinioni   \.wm-  ed  insulse,  asserendo  nulla 

Ieri  poasit]    i  putrì  cit,  eum,  in  quo  boi    <\      cuocerai,  ma  si  spartirsi  la  materia  cosi 

pediussimom  «si;   m   «  ■  i. >i   «. quii,  eum,  cruda  come  presa  in  per  tutto  il  corpo    Ma 

•  i   i  maxime  calorem  movet:    ii  oihilei  hia    i Intorno  a  queste  «ose  si  accordano  fra 

[uaerertdnm,  li  mini  concoquitur,  ea  ro-  loro j  io  questo  -oli. mio  convengono,  altro e- 

.  1 1.  quas  molimi  manent,  qualia  as-  timento  doversi  dare  agl'informi,  se  e  vero 


snrapta  sunt.  Eademque  ratione,  cum  spiritus 
giavis  est,  cum  somnus  aut  vigilia  urget , 
cum  mederi  posse  arbitrantur,  qui  prius  illa 
ipsa,  qualiter  eveniant ,  perceperit.  Praeter 
haec,  cum  in  interioribus  partibus  et  do- 
lores  et  morborum  varia  genera  nascuntur, 
nemiuem  putant  bis  adhibere  posse  remedia, 
qui  ipsas  ignoret.  Necessarium  ergo  esse  inci- 
dere corpora  mortuorum,  eorumque  viscera 
alque  intestina  scrutari  ;  ìongeque  optime  fe- 
cisse  Heropbilum  et  Erasistratum,  qui  nocen- 
tes  homines,  a  regibus  ex  carcere  acceptos, 
vivos  inciderint  considerarintque,  etiamnum 
spiritu  remanente,  ea  quae  naturae  ante  clau- 
sisset,  eorumque  positum,  colorem,  figurarci, 
magnitudinem,  ordinem,  duritiem,  mollitiem, 
laevorem,  contactum  ;  processus  deinde  et  sin- 
gulorum  recessus,  et  sive  quis  inseritur  alteri, 
sive  quid  partem  alterius  in  se  recipit.  Neque 
enim,  cum  dolor  intus  incidit,  scire,  quid  do- 
leat,  euro,  qui  qua  parte  quodque  viscus  in- 
teslinumve  sit,  non  cognoverit  :  neque  curari 
id,  quod  aegrum  est,  posse  ab  eo,  qui,  quid 
sit,  ignoret.  Et  cum  per  vulnus  alicujus  visce- 
ra  patefacta  sunt,  eum,  qui  sanae  cujusque 
colorem  partis  ignoret,  nescire  quid  integrum, 
quid  corruptum  ;  ila  ne  succurrere  quidem 
posse  corruptis.  Aptiusque  extrinsecus  impo- 
ni remedia,  compertis  inleriorum  et  sedibus  et 
figuris,  cognitaque  eorura  magnitudine  :  si- 
milesque  omnia,  quae  posila  sunt,  raliones  ha- 
bere.  Neque  esse  crudele,  sicut  plerique  pro- 
ponunt,  hominum  nocentium,  et  borum  quo- 
que paucorum  suppliciis  remedia  populis  in- 
nocentibus  saeculorum  omnium  quaeri. 


I  -nidi   ii,  qui  se   ìfjnrtipixout  al)  expc 


riiviEio  1 1.  1 3 

questo,  altro  se  è  vero  quello.  Perocché  se  en- 
tro si  tritura,  d'uopo  è  rinvenirlo,  tale  che 
facilmente  si  trituri  ;  se  imputridisce,  tale  che 
ciò  faccia  il  più  presto  ;  se  lo  concuoce  il  calo- 
re, tale  che  desti  calore  ;  ma  ove  niuna  dige- 
stione abbia  luogo,  a  niuna  di  queste  cose  si 
deve  por  mente,  ed  usare  di  quegli  alimenti  che 
si  conservano  in  gran  parte  tali  quali  si  prese- 
ro. Per  la  medesima  ragione  quando  è  affan- 
noso il  respiro,  o  che  il  sonno  o  la  veglia  op- 
primono, opinano  potere  curare  tai  mali  co- 
lui solamente  che  abbia  penetrato  di  qual  mo- 
do queste  funzioni  si  compiano.  Oltredichè 
insorgendo  nelle  parti  interiori  e  doglie  ed  al- 
tre maniere  di  mali,  nessuno  potrà  (  così  la 
pensano  )  adoprarvi  i  convenienti  rimedi,  se 
non  le  conosce.  11  perchè,  secondo  loro,  neces- 
saria è  la  sezione  dei  cadaveri  ond'  iscrutarne 
le  viscere  e  le  interiora  ;  e  grandissima  lode 
essersi  acquistata  Erofìlo  ed  Erasistrato,  ai 
quali  sendo  stati  dai  re  consegnati  dalle  car- 
ceri uomini  malvagi,  gli  dissecarono  vivi,  e 
contemplarono  entro  di  essi  ancora  palpitanti 
quegli  organi  cui  natura  celava  innanzi;  la 
posizione  loro,  il  colore,  la  forma,  la  grandez- 
za, la  disposizione,  la  durezza,  la  mollezza,  la 
levigatezza,  il  contatto  ;  di  poi  il  procedere  ed 
il  rientrare  di  ciascuno  ;  e  quale  s'inserisca  in 
un  altro  ;  ovvero  quale  in  sé  riceve  porzione 
d'un  altro.  Non  può  sapersi  insorgendo  entro 
noi  un  dolore  in  quale  parte  abbia  sede,  se 
non  si  sa  a  quale  regione  del  corpo  apparten- 
ga quel  viscere,  o  quell'interiore;  né  curare 
il  membro  infermo  si  potrà  da  chi  ignora  co- 
sa esso  sia.  E  quando  per  ferita  sono  allo  sco- 
perto i  visceri  a  qualcuno,  non  si  può  sapere 
cosa  è  intatto  o  corrotto,  e  così  non  potersi 
prestare  sussidio  a  ciò  che  è  corrotto.  E  più 
convenevolmente,  saputasi  la  sede  e  figura 
delle  interiori  parti  e  loro  grandezza,  si  ap- 
plicheranno all'esterno  i  rimedi:  e  ragioni 
consimili  ritrovarsi  per  tutte  le  cose  dette.  Né 
essere  crudele  siccome  i  più  gridano,  co'  sup- 
plizi di  uomini  rei,  e  di  questi  anche  pochi, 
andare  cercando  rimedi  agl'innumerevoli  buo- 
ni di  tulli  i  secoli. 

Coloro,  all'  opposto,  che  dalla  esperienza 


1  \  PREl-AZION'F. 

rènda  nominant,  evidente»  quideni  causa»,  si  nomano  empirici,  come  riconoscono  par 
ut  necessarias,  amplecluntur  ;  obscnrarum  ve-  necessarie  le  cagioni  manifeste,  cosi  dichiara- 
re causarum  et  naturalium  actionura  quac-  no  A  lutl°  superflua  h  indagine  delle  oscure 
stionem  ideo  supervacuam  esse  contendimi,  c  dcllc  "Plurali  funzioni,  per  essere  la  natura 
quoniam  non  comprehensibilis natura  sii.  Non  incomprensibile.  E  che  cosi  sia  risulla  dalla 
posse  vero  comprehendi,  patere  ex  corum,  discordia  di  chi  va  disputando  di  queste  biso- 
gni de  bis  disputarono  discordia  ;  cum  deista  £nc^  mentre  di  ciò  non  si  va  d'accordo  né  tra 
re,  u-que  inter  sapientiae  professore»,  neque  i  medioi  ne  ha  »  sapienti.  Ora  perchè  vorrà 
intcr  ipsos  medico»  conveniat.  Cur  enim  pò-  allri  P^stere  Fede  più  presto  ad  Ippocrate  che 
tini  aliquis  Hippocrati  credat,  quam  Herophi-  ad  Profilo  ?  e  perdio  a  questi  anzi  che  ad  A- 
!..  ?  cur  hnic  potius,  quam  Asclepiadi  t  Si  ra-  sclepiade?  Se  si  vogliono  considerare  le  ragie- 
tionis  sequi  velit,  omnium  posse  videri  non  UÌ->  e' pajono  tulle  probabili;  se  le  cure  da 
improbabile*;  si  curationes,  ab  omnibus  bis  tulli  risanati  si  sono  infermi.  Perciò  né  a  ra- 
eegros  perductos  esse  ad  sanitatem  :  ita  ncque  gionamenti  si  deve  prestare  fede,nè  ali'autorir 
disputarono  ncque  auctoritati  cujusquam  fi-  la  di  chicchessia.  Ollredichè  se  il  sottile  ragio- 
dem  derogali  oportuisse.  Etiam  sapientiae  sin-  nare  facesse  i  medici,  grandissimi  medici  sa- 
diosos  maximos  medicos  esse,  si  raliocinatio  rebbono  gli  studiosi  della  sapienza;  ma  a  que- 
ho  tacerei  :  mine  illis  v.rba  superesse,  deesse  sii  mentre  sovrabbondano  le  parole,  manca 
medeadi  scientiam.  Difterie  quoque  prò  nato-  r  »***  del  medicare.  Differire  poi  la  medicina 
ralocorum,  genera  medicinae  ;  et  alind  opus  anche  secondo  i  luoghi:  altra  richiedersi  a 
esse  Romae,  alind  in  £gipto,  aliud  in  Gal-  Roma,  altra  in  Egitto,  altra  nelle  Gallie.  Che 
li...  Quod  si  morboseaecaussae  faccrcnt,  quac  se  quelle  cagioni  che  sono  ovunque  le  slesse 
ubique  eaedem  essent,  remedia  quoque  nbique  generassero  le  malattie,  si  vorrebbero  in  ogni 
eadem  esse  debuisse.  Saepe  etiam  caussas  ap-  luogo  anche  i  medesimi  rimedi.  Spesse  volte 
I  .  ntputa  lippitudinis,  vumeris;  neque  ancora  riconoscersi  la  cagione  come  di  un  mal 
ex  bis  patere  medicinam.  Quod  li  scientiam  d'occhi,  d'una   ferita,  e  tuttavia  da  questa 

hanc sub jicii it  evideni  caussa,  multo  mi-  non  farai  chiara  la  medicina.  Ora  M  la  palese 

nus  eam   posse  labjcere,  quae  in  dubio  est  cagione  non  soccorre  a  quest' arte,  tanto  rac- 

Com  igitnr  Illa   incerta,   incomprehensibilis  no  il  potrà  fare  quella  che  si  giace  nel  dubbio, 

sii.  i  certii  potiui  el  exploratii  petendum  esse  Essendo  impertanto  questa  incerta  ed  incotti- 

praesidium,  id  est,  iis,  quae  experientia  in  ipsi»  prensibile,  ragione  vuole  che  si  cerchi  il  rime* 

curationibus  docuerit ;  licul    in ceteris omni-  dio  piuttosto  da  cose  «erte  e  iperimentate, 

boi  artibus.  Nano  ne  agricolam  quidera  ani  vale  a  dire  da  ciò  che  V  esperienza  e  la  prati- 

gnbernatorem  dispulatione,  sed'usu  fieri,  àc  (;|  c'insegnò  siccome  in  tutte  le  altre  arti. 

mbil  iatai  cogiUtionei  ad  medicinam  perline-  L'agricoltore  ed  il  nocchiero  non  si  formano 

t  quoque  diaci,  quod  qui  diversa  de  hii  coi  ragionamenti,  ma  sì  colla   pratica.  E  che 

.,:,!.    ad    «Min. In,,     l.m.ni    sanilalrm     ho-  queste  sperul../i..iii    limi  abbiali-,  nulla  che  ffc- 

mines  perduxerint.  Id  enim  fa  isse,  quia  non  re  coli' arte  medica,  li  deduce  anche  dal  vede- 

abob is  causi»,  neque  i  naturalibus actio-  re  ugualmente  risanali  gli  infermi  da  quegl  i- 

nibus,  quae  apud  eoi  divenne  erant,  led  ab  itesit  che  diversamente  opinavano.  11  che  con- 

expecimenus,  proni  cuiquen  ponderante  me-  seguirono  col  ri  ^-"<-  le  cure  loro  non  già  <la 

drudi  vii.  trexcrioL  Ne  inter  initis  quidam  cs  ioni  lite  o  dalle  naturali  funzioni, 

aibui  de  li"  I  un  «  ise  medici-  intorno  ■  i  be  nutrivano  idee  fra  loro  contra- 

l  ib  esperimenti*.    Egrorum  enim  rie  |  masìdalla  esperienza   secondo  che  ivea 

ie  medicis  eranl  alioi  propler  avidità-  loro  mostrato.  Né  la  medicina  fu  ne  eomin- 

tem   primii  diebus    protinui   cibum   issum  ciamenti  sn..i  dedotta  da  cosina tte  quistioni, 

pici  ii  i  pimi  .  ibstinuiue  ;  le  ma  dalla  pratica.  Impe bè  alcuni  infermi 


PREFAZIONE 


i5 


valumque  magis  eorum  morborum  esse,  qui 
abstinuerant.  Itemque  alios  in  ipsa  febre  ali- 
quid  edisse,  alios  paulo  ante  eam,  alios  post 
remissionem  ejus  :  optime  deinde  iis  cessisse, 
qui  post  finem  febris  id  fecerant.  Eademque 
ratione  alios  inter  principia  protinus  usus  es- 
se cibo  pleniore,  alios  exiguo  ;  gravioresque 
eos  factos,  qui  se  implerant.  Haec  similiaque 
eum  quotidie  inciderent,  diligentes  bomines 
notasse,  quae  plerumque  melius  responde- 
rent  :  deinde  aegrotantibus  ea  praecipere  coe- 
pisse.  Sic  medicinam  ortam,  subinde  aliorum 
salale,  aliorum  iuleritu,  perniciosa  discer- 
neutem  a  salutaribus.  Repertis  deinde  jam  re- 
mediis,  homines  de  rationibus  eorum  disserere 
coepisse  :  nec  post  rationem,  medicinam  esse 
inventam  ;  sed  post  inventam  medicinam,  ra- 
tionem esse  quaesitam.  Requirere  etiam,  ratio 
idem  doceat  quod  experientia,  an  aliud  :  si 
idem,  supervacua  esse  ;  si  aliud,  etiam  contra- 
riali!. Primo  lamen  remedia  exploranda  sum- 
ma  cura  fuisse,  mine  vero  jam  explorala  esse) 
neque  aut  nova  genera  morborum  reperiri, 
aut  novam  desiderari  medicinam.  Quod  si  jam 
incida t  mali  genus  aliquod  ignotum,  non  ideo 
lamen  fore  medico  de  rebus  cogilandum  ob- 
scuris  :  sed  eum  protinus  visurum,  cui  mor- 
bo  id  proximum  sit  ;  tentaturumque  remedia 
similia  illis,  quae  vicino  malo  saepe  succurre- 
rint,  et  per  ejus  similitudinem  opem  repertu- 
rum.  Neque  enim  se  dicere,  Consilio  medicum 
non  egere,  et  irrationale  animai  liane  artem 
posse  praestare  ;  sed  has  latentium  rerum 
conjecluras  ad  rem  non  pertinere  ;  quia  non 
inlersit,  quid  morbum  faciat,  sed  qui  tollat  ; 
neque  ad  rem  pertineat,  quomodo,  sed  quid 
optime  digeratur  :  sive  hac  de  causa  concoclio 
iiiciflal,  sive  de  illa,  et  sive  concoclio  sii  illa, 
sive  tantum  digestio.  Neque  quaerendum  esse 
quomodo  spirernus,  sed  quid  gravem  tardum- 
que  spiritimi  expediat:  neque  quid  venasmo- 
veat,  sed  (juid  quaeque  motua  genera  signili- 
cent.  Ifaee  autem  cognosci  experimentis.  Et 
in  omnibus ejusmodi  cogitationibus  in  utram- 
que  partem  disseri  posse  :  itaque  ìngenium  et 
fecundiam  vincere;  morboa  autem  non  elo- 
qucntLa,scd  remedii.s  curari.  Quae  si  quis  e  bu- 


che si  ritrovarono  senza  medici,  presero  subi- 
tamente ai  primi  dì  alimento  ;  altri  per  la  ri- 
pugnanza se  ne  astennero;  e  si  vide  più  solle- 
vato il  male  di  coloro  che  aveano  fatto  asti- 
nenza. Ugualmente  altri  mangiarono  nel  cor- 
so della  febbre,  altri  poco  appresso,  altri  do- 
po la  remissione  di  essa,  ed  essersi  ritrovati  ot- 
timamente quelli  che  il  fecero  cessala  la  feb- 
bre. Per  la  stessa  ragione  altri  al  principio 
mangiarono  assai,  altri  poco,  e  vieppiù  si  ag- 
gravarono quelli  che  si  erano  riempiuti.  Que- 
ste e  simiglianti  cose  tutto  dì  occorrendo,  uo- 
mini pieni  di  diligenza  tennero  conto  di  ciò 
che  per  usato  meglio  corrispondeva,  indi  si 
fecero  a  prescriverlo  agi'  infermi  loro.  Così  la 
medicina  che  distingue  le  cose  perniciose  dal- 
le salubri ,  si  nacque  mano  a  mano  colla 
guarigione  degli  uni,  e  colla  morie  degli  altri» 
Rinvenuti  che  furono  i  rimedi,  si  principiò  a 
ragionare  del  modo  del  loro  agire;  che  la  me- 
dicina non  fu  ritrovala  dopo  le  teoriche,  ma 
ritrovata  quella,  si  andò  dietro  a  queste.  Si 
conviene  oltrecciò  investigare  se  la  teorica 
quello  ne  insegni,  che  l'esperienza,  o  se  altro; 
se  lo  stesso,  sarebbe  superflua  ;  se  altro  anche 
contraria.  Al  primo  però  dovettero  i  rimedi 
essere  messi  al  cimento  con  estrema  cautela, 
ma  oggimai  sono  provati  ;  né  s1  incontrano 
nuove  infermità,  né  si  desiderano  nuovi  rime- 
di. Che  se  mai  avvenga  alcuno  insino  a  qui 
sconosciuto  malore,  non  si  dovrà  per  certo 
speculare  dal  medico  intorno  a  cose  recondi- 
te, ma  vedere  tosto  a  qual  altra  infermila  si 
approssimi,  e  ricorrere  a  quegl'  islessi  rimedi 
che  con  vantaggio  si  adoprano  nella  vicina 
malattia  ;  così  dalla  sua  somiglianza  si  ritrae 
l1  opportuno  sussidio.  Essi  non  dicono  non  a- 
vere  il  medico  d1  uopo  di  prudenza  e  di  sen- 
no, e  che  un  animale  irragionevole  possa  mi- 
nistrare quest'  arte  ;  ma  queste  fantastiche 
dottrine  di  cose  occulte  non  risguardano  l'og- 
getto dell'arte,  perocché  nulla  monta  ciò  che 
cccila  la  malattia,  ma  ciò  che  la  cessa  ;  né  im- 
porta al  proposito  nostro  «li  qual  modo  si  di- 
gerisca, ma  (nial  cibo  meglio  si  digerisce;  o  se 
la  concozione  si  faccia  per  questo  o  (pici  mez- 
zo ;  ovvero  se  sia  questa  veramente  una  con- 


iCì  PREFAZIONE 

guis  usu  discreta  bene  norit,  hunc  aliquanto 
majorem  mediconi  futurum,  quain  si  sine  usu 
linguam  suam  exeoluerit.  Atque  ea  quidem, 
de  quibus  est  dictura,  supervacua  esse  tantum- 
modo  ;  id  vero,  quod  restat,  eliatn  crudele  : 
rivorum  honiinum  alvum  atque  praecordia 
•  incidi,  et  salutis  humanae  praesidem  artera, 
non  solum  peslem  alieni,  sedhancetiara  atro- 
eissimam  inferre  ;  cum  praesertirn  ex  iis,  quae 
tanta  violenlia  quaerantur,  alia  non  possint 
oranino  cognosci,  alia  possint  etiam  sine  sce- 
1, re.  Nam  colorem,  laevorem,  molliliem,  du- 
ritiem,  similiaque  omnia,  non  esse  talia,  inci- 
so corpore,  qualia  integro  faerint  :  qua  cum, 
corporibus  inviolati*,  haec  tamen  metu,  do- 
lore, inedia,  eruditale,  lassitudine,  mille  aliis 
niediocribus  affeclibus  saepe  mutentur  ;  inul- 
to magia  verisimile  est,  interiora  "quibus  ma- 
jor mollilies,  lux  ipsa  nova  gravis  sit,  sub  gra- 
vissimis  vulneribus,  et  ipsa  trucidatione  inu- 
t.ui.  Ncque  quidqumm  esse  stultius,  quam  qua- 
le quidque  vivo  homiue  est,  tale  eiistimarc 
esse  morienle.  immo  jam  mortilo.  Nam  ule- 
run)  quidem,  qui  minai  ad  rem  pertincat,  spa- 
rante homiue  pome  didnci:  simiilatquc  vera 
serrani  ad  praecordia  accessit,  el  discissum 
transTertom  teptum  sii,  quod  membrana  qua* 
dam  superiores  partes  ab  infcrioribus  didu- 
rii  (Jiàpta-yua  Gr.in  i  rocant)  hominem  pro- 
lànas anima m  emittore:  ita  mortili  demnm 
praecordia  et  vi^ :m  omne  in  contpeetnm  la- 
trorin  uiiis  medici  darì  neoeaaeetl  tale,  quale 
mortai  sii,  non  quale  >  i  \  i  fruì  ;  itaque  conse- 

qui  medi,  ina  ut   hominem  crudeliler  jugulel  ; 

DonataeSat,  qoalii  vivi  riaoera  babeamus.  Si 
1 1 1 11  •  I  tamen  sii,  quod  adnnc  ipirante  hominc 
eonapectni  subjiciatur,  id  saepecatumofièrre 
enrantibua.  Interdum  eoim  gladialorem  in  ale- 
ni, rei  militi  in  in  .i<  le,  rei  \  iatoi  «  ■  .i  lati  o- 
nibui  e»  eptttm  ic  «  nmei  ai  i,  ni  ejua  interior 
■liqna  pari  apei  iatur,  el  in  -ili"  alii  :  ita  a  dem, 
positura,  ordinerà,  figuram,  limitiaque  alia 
prodentem  medi*  um.  non  caedem, 
aitatemi  moli(  otem  ;  idque  per  miaei  i  • 
<  ordiam  dia  ere,  qnod  alii  dira  «  rodi  libile  t  o- 
gnoverint.  Oh  haec,  ne  mortoorura  quidem 
lacci  itiom  ni  neeei  u  ian  esac  :  nane,  etti  non 


cozione.  o  semplicemente  una  digestione.  N« 
si  vuol  investigare  di  quale  maniera  noi  respi- 
riamo ;  ma  come  si  può  riparare  ad  un  respi- 
ro affannoso  e  difficile  ;  né  come  si  muovano 
le  arterie,  ma  cosa  ne  indichi  il  vario  loro  mo- 
vimento. E  queste  cose  chi  altri  le  mostra  se 
non  l1  esperienza  ?  Ma  in  tutte  queste  specula- 
zioni v1  è  a  dire  per  ogni  verso  ;  per  la  qua! 
cosa  addiviene  che  V  acume  dell1  ingegno  e  la 
forza  del  dire  prevalgano.  Le  infermità  però 
si  curano  coi  rimedi,  non  già  coli1  eloquenza. 
Ed  altri  che  conoscesse  per  pratica  questi  ri- 
medi perfettamente,  ancorché  mal  dotto  nel 
dire,  sarebbe  sicuramente  migliore  medico  di 
colui  ebe  senza  pratica  andasse  ornato  di 
grande  eloquenza.  Le  cose  onde  sin  qui  si  è 
parlato  non  sono  che  superflue,  ma  ciò  che 
ne  viene,  è  per  sopraggiunta  crudele  :  sparare 
i  vhi  uomini  squarciando  loro  e  petto  e  ven- 
tre, e  Parte  della  sanitade  altrui  riguardalri- 
ce  convertirla  in  micidiale  nimica  non  solo, 
ma  in  tiranna  berissima,  tanto  più  che  di 
quelle  cose  che  con  tanta  efferatezza  si  cerca- 
no, altre  non  si  possono  in  nessun  modo  co- 
noscere, ed  altre  si  possono  anche  senza  atroci- 
tà. Poiché  il  colore,  la  lassezza,  la  mollizie,  la 
durezza,  e  altre  somiglianti  cose  non  sono, 
sparato  il  corpo,  quali  si  furono  nello  intatto; 
perocché  se  pure  inviolati  i  corpi,  si  alterano 
per  lo  spavento,  dolore,  inedia,  indigestione, 
spossatezza  e  nulle  altri  tenui  affetti,  troppo 
più  rerisimile  c^li  é  che  le  viscere  dotate  di 
maggiore  delicatezza,  e  .i  cui  la  stessa  luce  è 

nuo\.i,  si  mutino  SOttO  le  telile  gra\issime.  e 
lo  stesso    ti  ucid.iMienlo.  \è  COM    più  stolta  Sa- 

riari  del  credere  che  i. ili  siano  le  parti  orga- 
niche Del  moribondo,  anzi  nel  ^i.i  estinto, 
quali  sono  nel  rivo.  Il  refltre  che  ••  meno  ra- 
hii.iliilc.  sì  può  eziandio,  vivente  la  persona, 
aprire;  ma  tosto  che  il  ferro  tocca  i  precordi, 

e  elle    taglia    quel    d  I  |SC]  umeii  I  o   e  die  .i    gUUM   di 

sipario  divide  le  parti  superiori  dalle  inferiori 
(  chiamato  dai  Greci  afra/ramata  )  I  uomo  su- 
bitamente spirai  di  tal  gotta  avviene  di  ne- 

i.       ili   .  In     si   olii. imi    .i-li    ocelli    del    micidi.ilr. 

medico  i  precordi  elevieeere  nello  stato  in 
coi  sono  nel  morto,  non  quali  furono  nel  rivtfc 


PREFAZIONE 


crudeli*,  tamen  foeda  sit  ;  cum  aliter  pleraquc 
in  mortuis  se  habeant  :  quantum  vero  in  vi- 
vis  cognosci  potest,  ipsa  curatio  ostendat. 


Cum  haec  per  multa  volumina,  perque 
magnae  conlenlionis  disputationes  a  medicis 
saepe  traclala  sint  atque  traclentur  ;  subji- 
ciendum  est,  quae  proxima  vero  videri  pos- 
sint.  Ea  neque  addicta  altcrutri  opinioni  sunt, 
ncque  ah  utraque  nimium  abhorrenlia;  media 
quodammodo  inter  diversas  sententias  :  quod 
in  plurimis  conlentionibus  deprehendere  licet, 
sine  ambilione  verum  scrutanlibus,  ut  in  hac 
ipsa  re.  Naro  quae  demuro  caussae,  vel  secun- 
dam  valetudinem  praestent,  vel  morbos  exci- 
tent;  quomodo  spirilus,  aut  cibus,  vel  traha- 
tur,  vel  digeralur,  ne  sapieniiae  quidem  pro- 
fessores  scienlia  coinprehendunl,  sed  conje- 
etura  persequuntur.  Cujus  autem  rei  non  est 
certa  nolilia,  ejus  opinio  certuni  reperire  re- 
medium  non  potest.  Verumque  est,  ad  ipsam 
curandi  rationem  niliil  plus  conferre,  quam 
experientiam.  Quamquam  igitur  multa  sint, 
ad  ipsas  arles  proprie  non  perlincntia,  lameu 
cas  adjuvant,  excilando  artificis  ingenium  ; 
ilaque  ista  quoque  nalurae  rerum  contempla- 
tio.quamvis  non  faciat  medicum,  aptiorem 
tamen  medicinae  reddit.  Verique  simile  est, 
et  Hippocrntem,  el  Erasislratum,  el  quicumi 
que  alii,  non  conienti  u  Ines  el  ulcera  agitare, 
Celso, 


Ottiene  pertanto  di  uccidere  trucemente  un 
uomo,  non  di  sapere  di  qual  modo  da  noi  vivi 
si  abbiano  le  interiora.  Se  pure  v'  ha  alcuna 
parte  che  si  possa  osservare  ancora  spirante 
1'  uomo,  T  accidente  lo  olire  non  di  rado  ai 
medicanti.  Imperocché  talvolta  un  gladiatore 
nell'arena,  un  soldato  in  battaglia,  od  un  vian- 
dante assalilo  dai  ladri,  rimane  sì  fattamente 
ferito  che  alcuna  interior  parte  gli  limane  al- 
lo scoperto,  ed  in  altro  allra.  Così  il  prudente 
medico  che  si  travaglia  per  la  salute,  non  per 
l'eccidio  altrui,  riconoscerà  la  sede,  la  posizio- 
ne, l'ordine,  la  figura  ed  altrettali  cose  ;  impa- 
rando per  via  d'atti  pietosi  ciò  che  altri  avi  a 
torse  appreso  mercè  d' un' orrida  immanità. 
Per  queste  ragioni  non  riconoscono  necessario 
neppure  lo  sparare  cadaveri,  il  che  ancorché 
non  crudele,  è  tuttavia  laida  cosa,  essendo  al- 
trimenti nei  morti  il  più  delle  loro  parti  ;  e 
quanto  si  può  conoscere  nei  vivi,  la  pratica 
islessa  il  fa  vedere. 

Ora  di  queste  controversie  andandone 
attorno  pieni  i  volumi,  ed  essendo  state  spesso 
agitate  e  agitandosi  tuttavia  con  grande  calo- 
re dai  medici,  imporla  al  proposito  nostro  il 
dichiarare  quali  cose  paiono  più  vicine  al  ve- 
ro. Non  v'ha  dubbio  essere  quelle  che  non  so- 
no ligie  ne  all'una  né  all'altra  dottrina,  né 
che  troppo  si  discostano  dall'  una  e  dall'altra, 
ma  che  si  stanno  quasi  in  mezzo  alle  contrarie 
sentenze,  mezzo  che  in  molte  liti  lice  tenersi 
da  quelli  i  quali  a  mente  libera  vanno  licer 
cando  il  vero,  siccome  in  questa  quislione. 
Conciossiachè  quali  siano  infine  le  cagioni  on- 
de si  mantiene  la  sanità,  e  si  generano  le  ma- 
lattie; come  si  faccia  il  respiro  e  la  digestione, 
non  si  comprende  positivamente  neppure  d:< 
quei  che  professano  sapienza,  ma  le  vanno  es- 
si con  jet  turando.  E  di  che  non  si  ha  cognizio- 
ne certa,  non  si  può  dalla  supposizione  di  quel- 
lo dedurne  un  sicuro  rimedio.  Vere  però  m  < 
che  la  pratica  più  d'ogni  altra  cosa  conferisce 
alla  cura  delle;  malattie,  ancorché  dunque 
molle  cose  non  appartengano  propriamente 
alle  stesse;  arti,  le  soccorrono  tuttavìa  risve- 
gliando l'ingegno  dell'artista.  11  perchè  an- 
che lajconteriiplazione  della  natura,  quantun- 

3 


,  3  P  E  E  f  A  7.  I  0  N  1. 

rerum  quoque  naturam  ex  alitila  parte  scrii-  que  non  costituisca  il  medico,  il  renile  non 
tuta  -u..t.  non  ideo  qoidem  medicos  fuisse,  però  più  atto  alla  medicina  :  ed  è  similissimo 
verum  ideo  quoque  majores  medicos  extitis-  al  vero  che  Ippocrate,  Erasiatrato  e  qualsivo- 
se.  Kalioue  vero  opus  est  ipsi  medicinae,  etsì  glia  altro,  infastiditi  di  versare  ognora  fra  pia- 
nini inler  obseuras  caussas,  ncque  inler  natu-  glie  e  l'ebbri,  si  sono  in  qualche  parte  ancora 
rales  actiones,  tamen  saepe.  Est  enim  haec  ars  consacrati  allo  studio  della  natura,  e  così  non 
conjecturalis,  ncque  respondet  ei  plerumquc  solo  furono  medici,  ma  perciò  stesso  ancora 
non  solum  conjectura,  sed  etiam  expcricntia.  medici  eccellentissimi.  Ma  la  medicina  ricerca 
Et  intridimi  non  febris.non  cibus,  non  somnus  il  ragionamento,  sebbene  non  sopra  le  oscure 
snbsequetur,  sicul  assuevit.  Rarius,  sed  ali-  cagioni,  o  le  naturali  azioni,  ma  in  molli  e 
qii. nido  morbus  quoque  ipse  novus  est  :  quem  molli  incontri.  Mentrechè  è  dessa  arte  conjet- 
non  incidere,  manifeste  falsimi  est  ;  cimi  aeta-  turale,  a  cui  non  corrisponde  sovente  neppur 
te  nostra  quaedam  ex  naturalibus  partibus  L'esperienza,  non  che  la  congettura.  Talvolta 
carne  prolapsa  et  arente,  intra  paucas  horas  non  viene  la  febbre,  non  il  sonno,  non  V  ap- 
expiraverit  ;  sic  ut  nobilissimi  medici  ncque  pelilo  siccome  portava  l'uso.  E  alcuna  Tolta, 
eenus  mali,  ncque  remedium  invenerint.  Quos  comechè  raramente,  la  malattia  istessa  è  nuo- 
eo  niliil  tentasse  judico.quia  nerao  in  splendida  va  ;  e  falso  è  al  tutto  che  ciò  non  intervenga  ; 
persona  periclitarì  conjectura  sua  voluerit;  ne  essendo  ai  nostri  tempi  spirala  una  donna  m- 
.,(  cidisse,  nisi  servasset.  videretur  :  veri  tamen  fra  poche  ore,  alla  quale  uscita  delle  parli  na- 
simfle  est,  potoiate  aliquid  cogitine,  detraete  turali  carne  arida  tanto  che  rinomatissimi  me- 
lali vi  recundia,  et  fortasse  responsurum  fuisse  dici  non  potettero  scoprire  nò  il  male  né  il  ri- 
i«|.  quod  aliquis  t'^set  expertut.  Ad  quod  medi-  medio,  lo  però  estimo  che  non  abbiano  tentar 
cinae  genus,  ncque semper  similitudo  aliquid  lo  nulla  per  non  avere  niuno  voluto  mettere 
conferì  ;  el  si  quando  conferì,  tamen  id  ìpsum  ;t  cimento  la  propria  fama  in  persona  di  allo 
rationale  est,intermulta  similia  genera  etmor-  affare,  ond' e'  non  paresse  sé  averla  uccisa 
Immuni,  ti  reme. li- .rum.  ©  gitare,  quo  polissi-  qualora  non  l'avesse  salva;  ma  verisimile  è 
munì  raedicamentum  sit utendum. Cam  igitur  che  si  sarebbe  potuto  ( cacciato  via  simile  ri- 
talis  res  incidit,  medicus  aliquid  oportel  in-  spetto)  ideare  alcuna  medicatura,  e  forse  a- 
rCniat,quod  non  ubique  fortasse,  ted  saepiui  vrebbe  corrisposto  ciò  che  qualcuno  afesse 
tamen  edam  respondeat  Petet  autem  novnm  messo  alla  prova.  Alla  quale  medica  dottrina 
quoque  consttium,  non  ab  rebus  latentibui  neppure  sempre  vi  eonferieoe  le  somiglianza, 

,  imn  dubiae  el  incertae  soni),  sed  ..1.  us,  <•  posto  che  \i  conferisca,  quel  pensare  istcsso 
,,,,.„.  esplorar]  possunt,  id  est,  evidentibus  a  quale  rimedio  debbasi  principalmente  rioor- 
cautsis,  Interesl  enim.  fatigatio  morbum,  an  pere  in  meno  e  tanti  rassomiglienti  mali  e  ri- 
riti^  .,,,  frigna,  an  i  ilor,  an  rigili  -■  an  hmes  medi,  è  esso  medesimo  uni;,  faccenda  di  resio» 

■    ,,,  dbl  finique  abundantia,  an  ime..:-  cinio.Ogiri  quel  voli.,  adunque  accada  ....  ce* 

perantia  libidinia.  Keque  ignorare  lune-  opor-  so  tak  si  conviene  die  il  medie  ritrovi  alcun 

,((.  quae  ri!  aegri  natura:  hnmidnm  magia,     rimedio,  che  ac sempre,  le  più  nate  pero 

ralidi   nervi,   an  ri  corrisponda.  Riceverà  poi  [a  novella  indica- 

1:ifÌ!lni<  hi  .,„„.   ,  k.  ,   ,   v,  i,i.  .do.   ,n  ...-  sione  curative  non  da  cose  Utenti,  lequalidi 

,,,,,.  com*   '.   rehemens  esse  soleat,  loreimturedoi>bteiMioeiiicerte,madaquet 

Rnlevis;bi  bngai  quod  iavitae  re      le  che  si  p no  indagare,  intendo  dalle  cee> 

.„,„.  an  quietum;  cura  ic evidenti.  Imperò  molto  rileva  il  sapereao 

I,IX1I.   m   cura   frugalitate.  El   lo-  .......  si-  la  malattia  la  genero  la  fatica,  o  la  sete,  il  fred- 

mUibuequi                  indi  d  >va  i  ilio  duoen  do  o  il  i  dorè,  la  \>  glia,  la  Dune  o  I  ecceeaodel 

I   Q risnehaecquidc pvaeteriri  mangiare  e  del  bere,  o  la  sfrenata   tenere    Si 

■  .,„  ,„  nullam  i  ontrov<  i  lem  re*  ipiani  deve  sapere  inoltre  !..  eomnkirione  del  malato) 


v  n  e  r  \ 

Nam  et  Erasislratus  non  ex  bis  fieri  raorbos 
dixit  ;  quoniam  et  alii,  et  iidem  alia  post  ista 
non  febricitarent  :  et  quidam  medici  seculi 
nostri,  sub  auctore,  ut  ipsi  videri  volimi,  The- 
misone,  eontendunt,  nullius  causae  notitiam 
quidquam  ad  curationes  pertinere,  satisque 
esse,  quaedam  communia  morborum  intueri. 
Siquidem  horum  tria  genera  esse,  unum  ad- 
striclum,  allerumfluens,  lerlium  mixtum.  Nam 
modo  parum  excernere  aegros,  modo  nimium  ; 
modo  alia  parte  parum,  alia  nimium.  Haec  au- 
tem  genera  morborum,  modo  acuta  esse,  mo- 
do longa  ;  et  modo  increscere,  modo  con- 
sistere, modo  minui.  Cognito  igitur  eo,  quod 
ex  bis  est,  si  corpus  adstrictum  est,  digeren- 
dum  esse  ;  si  profluvio  laboral,  continendum  ; 
si  mixtum  vitium  habet,  occurrendum  subin- 
de vehementiori  malo.  Et  ali  ter  aculis  morbis 
medendum,  aliter  vetustis  ;  aliter  increscenti- 
bus,  ali  ter  subsislentibus,  aliter  jam  ad  sani- 
tà tem  inclinatis.  Horum  observationem  medi- 
cinam  esse  :  quam  ita  finiunt,  ut  quasi  viam 
quamdam,  quam  ijlÌQoSov  Graeci  nominant, 
eorumque,  quae  in  morbis  communia  sunt, 
con  tempia  tricem  esse  contendant.  Ac  neque 
ralionalibus  se,  neque  experimenta  tantum 
speclantibus  adnumerari  volunt:  cum  ab  illis 
eo  nomine  dissentianl,  quod  in  conjeclura  re- 
rum latenjium  noluntesse  medicinam:  ab  his 
eo,  quod  parum  arlis  esse  in  observatione  ex- 
perimcnlorum  credunt.  Quod  ad  Erasistratum 
perline!,  primum  ipsu  evidentia  ejus  opinioni 
repugnat;  quia  raro,  nisi  post  horum  aliquid, 
morbus  venit.  Deinde  non  sequilur,  ut,  quod 
alium  non  afficit,  aut  eumdem  alias,  id  ne  al- 
teri quidem,  aut  eidem  tempore  alio  noceat. 
Possunt  enim  quaedam  subesse  corpori,  vel 
ex  infirmi  tate  ejus,  vel  ex  aliquo  affectu,  quae 
vel  in  alio  non  sunt,  vel  in  hoc  alius  non  fue- 
runt,  .eaque  per  se  non  tanta,  ut  concilent 
mori. uni,  lamcn  obnoxium  magis  aliis  injuriis 
corpus  efficiant.  Quod  si  contemplationem  re- 
rum oaturae,  quam  temere  medici  sibi  vindi- 
cauL,  satis  comprehendisset,  etiam  illud  scis- 
let,  mini  omniuo  ob  unam  caussam  fieri,  sci  i<! 
prò  <  ;ni^s;t  apprehendi,  quod  contulisse  pluri- 
mum  yidelur.  Potesl   autem  id,  duna  solum 


Z  I  O  N  E  I  q 

se  il  suo  corpo  è  più  secco  che  umido  ;  se  tor- 
te o  debole;  se  spesse  volte  ammalalo  ;  e  se  le 
sue  malattie  sogliono  essere  miti  o  gravi,  bre- 
vi o  lunghe;  quale  vita  abbia  menata  laborio- 
sa o  quieta,  lauta  o  frugale  ;  da  queste  ed  altre 
somiglianti  cose  bisogna  spesse  fiate  cavare  u- 
n a  nuova  indicazione  curativa.  Ma  né  pur  que- 
ste si  vogliono  risguardare  come  tali  da  non 
dare  luogo  a  nessuna  dubbiezza.  Perchè  an- 
che Erasistrato  opinò  non  ingenerarsi  la  in- 
fermità daniuna  di  queste  cose,  mentre  gli  al- 
tri e  i  medesimi  non  andrebbero  dopo  questo 
incontro  alla  malatlia.  E  certi  medici  del  tem- 
po nostro  dietro  a  Temisone,  siccom^essi  fanno 
credere,  sostengono  che  la  cognizione  della 
cagione  non  rileva  punto  alla  medicina,  e  che 
basta  mirare  nella  malattia  a  certi  accidenti 
comuni.  E  questi  gli  riducono  a  tre,  allo  stret- 
to, al  lasso,  al  misto.  Perocché  i  maiali  ora  po- 
co, ora  troppo  secernono  ;  ora  poco  da  una 
parte,  ora  troppo  dall1  altra.  Queste  malattie 
poi  quando  sono  corte,  quando  lunghe;  quan- 
do crescono,  quando  decrescono,  quando  fanno 
sosta.  Conosciuto  adunque  a  quale  di  queste 
classi  appartenga,  se  il  corpo  è  stretto,  si  con- 
vien  rilasciarlo  ;  se  rilasciato,  astringerlo  ;  se 
patisce  entrambi  i  vizi,  provvedere  di  mano  in 
mano  al  male  più  gagliardo.  Di  un  modo  si 
curano  i  mali  acuti,  d'un  altro  i  lunghi;  d'un 
altro  i  crescenti;  d1  un  altro  gli  stazionari; 
d'un  altro  infine  i  già  declinanti.  La  conside- 
razione di  queste  cose  costituisce  la  loro  me- 
dicina, la  quale  viene  definita  certa  quale  re- 
gola, detta  grecamente  metodo,  cui  vogliono 
osservatrice  di  quelle  cose  che  sono  comuni 
nelle  malattie.  Essi  rifiutano  e  d1  essere  anno- 
verati tra  i  razionali,  e  tra  gli  empirici  ;  da 
quelli  discordano,  perciocché  non  vogliono 
che  la  medicina  consista  nella  speculazione  di 
oggetti  reconditi  ;  da  questi  perché  ritengono 
esservi  poca  arte  nella  osservazione  pratica. 
L'opinione  poi  d1  Erasistrato  é  troppo  aper- 
tamente erronea,  perocché  raramente  insor- 
gono, se  non  appresso  qualcuna  di  queste  co- 
se, le  malattie.  Non  ne  seguila  quindi  che  ciò 
che  non  opera  sopra  Aduno,  o  sopra  il  mede- 
simo individuo  allra  volta,  non  nuoca   ad  un 


rnt r a  |  i  o  n  e 

,  i.  non  movere,  quod  junctum  slìis  maxime  altro,  od  allo  stesso  in  altro  tempo.  Può  avere 
movet.  Accedi!  <u\  haec  quod  ih-  ipse  quidem  un  corpo  sofferto  certi  cangiamenti  o  per  de- 
Erasistratus,  qui  transfusos  in  arlerias  sangui-  bolezza,  o  per  alcuna  indisposizione  che  un 
ne  febrem  fieri  ilici t,  idqne  trimis  lepido  cor-  altro,  o  queir istesso  in  altro  tempo  non  ebbe, 
pure  incidere,  reperii,  eur  ex  duobus  aeque  né  questi  sì  forti  da  eccitare  una  malattia,  suf- 
repletis,  alter  in  morbum inciderei,  alter  omni  fidenti  però  a  rendere  la  persona  più  atta  a 
periculo  vacarci;  qnod  quotidie  tieii  appa-  risentire  l1  azione  delle  cose  nocive.  Che  se  e- 
rel.Lx  quo  disci  polesl,  ut  vera  sii  illa  trans-  gli  fosse  stalo  bastantemente  versato  nella 
fusio,  tamen  illam  non  per  se  cmn  plenum  scienza  della  natura,  la  cui  contemplazione  a 
corpus  ol  fieri,  sed  coni  borimi  àfiquid  acces-  sé  appropriano  giustamente  i  medici,  non  a- 
jfcrit,  v rebbe  ignorato  nulla  farsi  per  una  sola  cagio- 

ne, ma  prendersi  per  cagione  ciò  che  v'ebbe 
precipua  parte.  Ed  avviene  che  una  cosa  sola 
non  muova,  ma  sì  muovi  allorché  si  congiu- 
gne ad  altre.  Oltre  alle  quali  cose  lo  slesso  E- 
rasistrato  che  sostenne  provocarsi  la  febbre 
per  la  trasfusione  del  sangue  nelle  arterie,  il 
che,  secondo  lui,  interviene,  allorché  trovasi  il 
còrpo  soverchiamente  ripieno,  non  seppe  Spie- 
gare come  di  due  corpi  egualmente  ripieni, 
Fano  infermi,  l' altro  vada  scevro  da  ogni  pe- 
ricolo ;  la  qua!  cosa  si  osserva  giornalmente 
accadere.  Dal  che  s'impara,  posto  che  vera  sia 
quella  trasfusione,  non  succedere  questa  di 
per  sé,  quando  il  corpo  sia  pieno,  ma  quando 
vi  cospira  qualcuna  delle  altre  cagioni. 

1  In  ■mivinis  vero  acniuli.    si   perpetua,  I  seguaci  poi  di  Temisone,  se  stanno  saldi 

promittunt,  habent,  magisétiara,  qnam  ne' prrncipj  che  professano,  sono  ancora  più 

ulli,  rationales  sunt.  Ncque  stoini,  >i   quia  non  razionali  degli  altri.  Se  mai  qualcuuo  non  ab- 

omnii  tenet,  quae  ralionalis  aiins proba L,  prò-  braccia  tutte  queste  massime  che  siegue  altro 

tinus  alio  novo  nomine  artis  indiget  ;  limo-  medico   razionale,   non   pei  questo  si  dovrà 

■  I  ».  qu  "I  pi  innini  esi.  non  memoi  iae  ioli,  led  contrassegnarlo  tosto  con  un  nuovo  vocabolo 

«  ili- mi  quoque  àusistiL  Sin,  qnod   vera  prò-  d* arte;  quando  (cosa  principalissima),  e1  non 

i.\i\  ull.i   perpetua  praeoepU   medici-  si  affidi  alla  sola  memoria,  ma  ;il  raziocinio 

nalii  ii  i  i  r.  i[.ii.  idem  sunt,  qnod  ii.  quoi  ex-  ancora.  Che  se  poi  (  cosa  che  più  s* appressa  al 

|.<  rimenta  sola  roatiaenl  :  eo  magia,  «pioni. un  V(Tn  )  |a  medicina  non  ammette  assolutamen- 

il  aliquem  morbus,  an  fu  !<  rit,  qui-  te  principj  stabili  e  generali,  essi  sono  pari  a 

musvidet:  quid  autem  quelli  coi  la  sola  iperienza 'scorge,  tanto  più 

compri  i  uni  corpus  resolva  i,  quid  solutum  te-  che  qualsivoglia,  ancorché  al  lutto  imperito, 

ratione  tracium  est,  ràtionalis  esl  può  rio icere  se  il  male  è  di  costrizione)  o 

i  ul  <  i.   <|<n   te  ra  lionate  in   negat,  di  rilascia  lezza.  Se  poi  ciò  che  capace  è  di  ri- 
tmai exp  rii  ilta,  empiricus.  lasciare  un  corpo  indurito,  o  di  ristrìgnerlo  se 
■  l 'imi  m   i    i                      .  .11  h  ni.  m- -  rilasciato,' è  ricavato  dalla  teorica,  razionale  è 
iliciua  intra  usum                                 i  quid  il  medico:  te  dall'  esperienza,  empirico;  sic 

m  come  di  necessità  i  iconosccre  devesi  chi  niega 

:   i    bussi    circumspiciunt ,  hi  d'essere  razionale.  Di  lai  modo  il  conoscimen 
'  ..l'in,  i ,  illims  '  :  non  phi      ni  ira  \  pel  metodico  <  osa  tutta 


PREFAZIONE 


Nani  et  ii,  qui  pecoribus  ac  jumentis  meden- 
tur,  cum  propria  cujasque  ex  mulis  animali- 
bus  nosse  non  possint,  communibus  tantum- 
modo  insistunt  :  el  exterae  genles,  cum  subti- 
em  medicinae  rationem  non  noverili t,  com- 
munia tantum  videnl  :  et  qui  ampia  valetudi- 
naria nutriunt,  quia  singulis  suraraa  cura  con- 
sulere  non  sustinent,  ad  communia  ista  con- 
fugiunt.  Neque,  hercules,  istud  antiqui  medi- 
dici  nescierunt,  sed  his  contenti  non  fuerunt. 
Ergo  autem  vetustissimus  auctor  Hippocrales 
dixit,  mederi  oportere,  et  communia,  et  pro- 
pria intuentem.  Ac  ne  isti  quidem  ipsi  intra 
suam  professionem  consistere  ullo  modo  pos- 
sunt  :  siquidem  et  compressorum  et  fluentium 
morborum  genera  diversa  sunt;  faciliusque 
id  in  iis,  quae  fluunt,  inspici  potest.  Aliud  est 
enim  sanguinem ,  aliud  bilem  ,  aliud  cibum 
vomere  ;  aliud  dejectionibus,  aliud  tormini- 
bus,  laborare  ;  aliud  sudore  digeri,  aliud  tabe 
consumi.  Atque  in  partes  quoque  liumor  e- 
rumpit ,  ut  oculos ,  auresque  ;  quo  pericu- 
lo  nullum  humanum  membrum  vacat.  Nihil 
autem  horum  sic  ut  aliud  cura  tur.  Ita  proti- 
nus  in  his  a  communi  fluenlis  morbi  con- 
templatione  ad  propriam  medicina  descendit. 
Atque  in  hac  quoque  rursus  alia  proprie latis 
nolitia  saepe  necessaria  est  ;  quia  non  eadem 
omnibus,  etiam  in  similibus  casibus,  opilulan- 
tur.  Siquidem  cerlae  quaedam  res  sunt,  quae 
in  pluribus  ventrem  aut  adstringunt,  aut  re- 
solvunt  :  inveniuntur  tamen,  in  quibus  aliler 
atque  in  ceteris,  idem  eveniat.  In  his  ergo 
communium  inspectio  contraria  est,  proprio- 
rum  tantum  salutari*.  Et  caussae  quoque  aesti- 
matio  saepe  morbum  solvit.  Ergo  etiam  inge- 
niosissimus  seculi  nostri  medicus,  quem  nu- 
per  vidimus,  Cassius,  febricitanti  cuidam,  et 
magna  siti  affecto,  cum  post  ebrietà tem  eum 
premi  coepisse  cognosset,  aquam  frigidam  in- 
gessi*. Qua  illa  epola,  cum  vini  vini  nascen- 
do fregisset,  protinus  febrem  somno  et  sudo- 
re discussit.  Quodauxilium  medicus  opportu- 
ne providit,  non  ex  eo,  quod  aut  adsli  iclum 
corpus  erat,  aut  fluebal  ;  sed  ex  caussa,  quae 
ante  praecesseral.  Eslque  eliani  proprium  ;ili- 
qni.l  d  loci  el  tempori!,  i.siis  quoque  aucto- 


speculativa,  il  medicare  poi  tutta  pratica  e 
sperimentale.  Né  cosa  niuna  aggiugnesi  per 
lui  alle  massime  degli  empirici,  ma  ne  viene 
tolta  :  perocché  questi  a  molte  cose  vanno  ri- 
guardando, i  metodici  solo  le  più  facili,  e  non 
più  oltre  delle  volgari.  Coloro  pure  che  cura- 
no gli  armenti  e  le  bestie,  non  potendo  da  mu- 
ti animali  conoscere  le  proprie  di  ciascuno,  si 
limitano  a  considerare  le  comuni;  e  le  stranie 
genti  non  possedendo  una  raffinata  dottrina, 
soltanto  scorgono  le  comuni  :  e  quei  che  han- 
no un  gran  numero  di  malati,  poiché  non  gli 
è  conceduto  di  vegliare  a  ciascun  infermo  con 
quella  esattezza  estrema  che  si  richiede,  rifug- 
gono a  queste  generalità.  Né  questo  precetto 
ignorarono  glj  antichi  medici,  ma  a  queste  co- 
se non  ristrinsero  le  vedute  loro.  Quindi  an- 
che F  antichissimo  Ippocrate  insegnò  doversi 
da  chi  medica  valutare  e  le  cose  comuni  e  le 
proprie  ancora.  Ma  né  i  metodici  pure  posso- 
no star  saldi  ognora  nei  loro  principi,  mentre 
diverse  sono  le  malattie  di  costrizione  e  di  ri- 
lasciamento ;  e  più  facilmente  si  può  ricono- 
scerne il  carattere  in  quelle  di  quest1  ultima 
qualità.  Perocché  altra  cosa  è  vomitare  san- 
gue, altra  bile,  altra  cibo  ;  altra  é  patire  flusso 
di  ventre,  altra  dolori  ;  altro  stemprarsi  in  su- 
dore ;  altro  consumarsi  in  tabe.  Oltre  di  che 
anche  gli  umori  fanno  impeto  in  alcuna  parte, 
come  negli  occhi  o  negli  orecchi,  dal  che  non 
ne  va  immune  nessun  membro  del  corpo. 
Ninna  di  queste  affezioni  si  cura,  come  si  cu- 
rerebbe un"1  altra,  dal  che  ne  seguita  che  la 
medicina  in  queste  malattie,  lasciata  la  comu- 
ne contemplazione  di  un  male  di  rilascialez/a, 
trapassa  ad  una  propria.  Ma  in  questa  un'al- 
tra cognizione  propria  è  sovente  necessaria, 
ed  é  che  non  a  tutti  eziandio  in  simili  casi  gio- 
vano le  medesime  cose  ;  v1  ha,  per  allo  d'esem- 
pio, certe  sostanze,  le  quali  nelle  più  persone  o 
costipano,  o  sciolgono  il  ventre  :  si  ritrovanti 
ciò  nonostante  individui  nei  quali  questo  al- 
trimenti avviene  di  quel  che  avvenga  in  altri. 
In  queste  adunque  la  considerazione  delle  co- 
muni é  contrari;!,  utile  soltanto  V  ispezione 
delle  proprie.  E  talvolta  la  giusta  valutazione 
della  causa  sciolse  la  malattia.  Così  Cassio,  me- 


r  n  F.  F  A  Z  I  0  N  E 


ribos  :  qui  cum  disputant,  quemadmodum 
sauia  hominibus  agcudum  sit,  praecipiunt  ut 
gravibns  aut  locis  aut  temporibus  magia  vite- 
tur  frigna,  aestus,  satietas,  labor,  libido  ;  ma- 
giaque  ut  conquieseat  iisdem  locis  aut  tempo- 
ribus, si  quis  gravitatelo  corporis  sentit  ;  ac 
neque  vomilu  stomacbum,  neque  purgatone 
al v UDO  sollicitct.  Quae  vera  quidem  sunt,  a 
communibus  tamen  ad  quaedam  propria  de- 
scendnnL  Nìsi  persuadere  nobis  volunt,  sanis 
quidem  considerandum  esse,  quod  coelum, 
(juo.l  tempus  anni  vii  :  aegrisyero  non  esse: 
qnibua  tanto  magia  omnia  obserTatio  necessa- 
i  i.i  est,  qauanto  magia  obnoxia  ofienaia  infirmi - 
t.i>  est  Quia  etiam  morborum  id  iisdem  homi- 
nibus aliae  atqne  aliae  proprietatea  sunt;  et 
qui  aecundia  aliquando  frustra  curatua  est, 
contrarila  saepe  restituitili-.  Plurimaque  in 
dando  cibo  discrimina  reperiuntur  :  e\  quibus 
con  leni  us  uno  ero.  Nani  fa  meni  facilius  ado- 
losccns,  quam  puer  ;  facilius  in  denso  coelo, 
«inani  io  tenni  ;  facilius  lucine,  quam  aeatate  ; 
facilina  nno  cibo,  qnam  prandio  quoque  as- 
auetua;  facilina  inexerci tatua,  quam  exercita- 
tua  homo  mstinet  Saepe  autem  in  co  magia 
necessaria  cibi  featinatio  est,  qui  minus  ine- 
diara  tolerat  (  M>  quae  conjicio,  eum,  qui  pro- 
pria non  novit,  communia  tantum  intueri  de- 
bere  :  •  - 1 1 1 1 1  •  { i ■  •  -.  qui  noaae  propria  poteat,  illa 
quidem  non  oportere  negligere,  sed  liis  quo- 
que Lnaittere.  [deocjue,  cnm  per  acientia  sit, 
Qtiliorem  tamen  medicum  eaae  amicum,  quam 
extranenm.  Igitur,  ni  ad  propotitnm  menm 
i,  rationalem  quidem  puto  medicina  m 
:.  bei  e  :  inatrui  rero  al>  <  \  identibna  caus- 

iia  ;  obtcnria  omnibna,  non  .1  cogitali ì  ar- 

hih  1  .  ed  ib  ipsa  arte  rejectia,  Incida  «•  au- 
t,  mi  \ ÌTornm  corpoi  a.  et  crudele,  el  inpen a- 
<  unni  est  :  mortuorum  .  diacentibna  neceaaa- 
1  nini.  Vini  positura  el  01  dinera  nosse  debenl  : 
qoac  cadaveri  un  lius.  qnam  vivusel  rulnera- 
1 1 1  ^  homo,  1  epi  acsentant  Sed  el  1  etera,  quae 

modo  in  \  ivi  1    ("issimi,    in    i|^is    cu- 

rationibti  -  1  nlneratorum   paulo   tarditi  I 

aliquanto   mitius    nana  ipae    monslrabit.   Ile> 

pi opo  ili  .  pi  inmiii  <lii  .un.  qui  ma  Imodnra 
sanos    ng<  1  •    .  ,n\.  ni  ti  :   tura   nd  «  a  trnnsiho, 


dico  valentissimo  dei  nostri  dì,  da  noi  non  ha 
gran  tempo  veduto,  fece  avvallare  di  molta 
acqua  fredda  ad  un  febbricitante  assetato  ; 
dappoiché  conobbe  essergli  sopraggiunte  il 
male  in  seguito  alla  ubbriaehezza.  E  bevuta 
che  la  ebbe  col  diluire  che  fece  il  vino,  la  feb- 
bre si  dileguò  con  sonno  e  con  sudore.  Que- 
sto soccorso  non  lo  argomentò  opportuno 
dalla  costrizione,  o  dal  rilasciamento  del  corpo, 
ana  dalla  cagione  che  ne  era  preceduta.  V1  ha 
in  questi  autori  pure  alcuna  considerazione 
propria  pel  tempo  e  pel  luogo,  mentre  trat- 
tando del  modo  onde  si  vogliono  governare  i 
sani,  prescrivono  doversi  evitare  ne1  luoghi  e 
tempi  malsani  il  freddo,  il  caldo,  la  sazietà,  la 
fatica  e  la  libidine  ;  e  che  in  que1  tempi  e  luo- 
ghi, più  tempo  riposi  chi  risente  alcuna  indi- 
sposizione di  corpo,  e  si  astenga  dal  vomito  e 
dalla  purga.  Questi'  ammonizioni  sono  in  vero 
giustissime  :  dalle  comuni  però  scendono  alla 
considerazione  di  alcune  proprie,  se  puri;  non 
vogliono  darsi  ad  intendere  doversi  dai  sani 
por  mente  al  cielo  ed  alla  stagione,  e  non  dagli 
infermi,  ai  quali  tanto  più  necessaria  è  una  di- 
ligente osservanza,  quanto  più  lo  slato  morbi- 
no© espone  '  uomo  a  risentir  ogni  ofiè&B.  Sen- 
za che  varj  e  disparati  sono  i  caratteri  delle 
malattie;  e  alcuno  che  fu  curato  infruttuosa- 
mente co1  più  convenienti  rimedi,  spessamente 
risana  cogli  oppoaiti.  Molte  differenze  pure 
B'incontrano  nel  ministrare  gli  alimenti;  tra  le 
quali  mi  contenterò  di  una  sola.  Più  «li  leggie- 
ri aoatiene  la  lame  un  giovane  che  un  fanciul- 
lo, più  ni  aria  mossa  che  in  sodile,  più  di  ver- 
no che  di  siale,  pio  chi  «•  uaato  ad  un  pasto  che 
chi  a  due.  più  la  peraona  inesercitata  «  l>«  la  e- 
Bercitela.  Quindi  più  sollecita  ai  conviene  l'arar 
ministratione  del  mangiare  a  chi  men  lolle** 
l'inedia.  Per  le  quali  cose  io  penso  che  chi  non 
conobbe  le  propi  ie,  doi  rà  considerare  almeno 
I,.  ,,,  n, uni.  e  i  hi  potè  conoscere  le  proprie  non 
dovrà  tra»  tirar  quelle,  ma  L'occhio  recare  an- 
,  he  a  queste.  E  per<  io  1  parità  di  sapere,  mi- 
gliore i  deve  i  itenere  il  medico  amico  che  l  e- 
ilraneo.  adunque  per  ritornare  al  nostro  pro- 
posito, giudico  che  la  medicina  debba  eaaere 
bba  prender  lume  dalle  ca- 


P  R  E  F  AZ  I  O  N  E  23 

quae  ad  morbos  curationesque  eorum  perline-     gioni  evidenti;  tutte  rigettate  le  oscure  non 

dalla  mente  dell'artista,  ma  dall'arte.  Super- 
flua poi  e  crudele  cosa  incidere  i  corpi  dei  vi- 
vi ;  dei  morti  necessario  agi1  imparanti.  Deb- 
bano essi  conoscere  la  posizione  e  l'ordine 
delle  parti  ;  cose  che  meglio  ci  si  rappresenta- 
no dai  cadaveri  che  non  dall'  uomo  vivo  e  fe- 
rito. Le  altre  poi  che  pur  nei  vivi  si  possono 
conoscere,  le  mostrerà  la  pratica  nella  cura 
istessa  dei  feriti,  un  poco  più  tardi  invero,  ma 
in  modo  alquanto  più  umano.  Premesse  que- 
ste nozioni  dirò  primamente  come  si  devo- 
no regolare  i  sani,  di  poi  passerò  a  quelle  co- 
se che  risguardano  le  infermità  e  loro  cura. 


«$*©»©«©#■ 


'LIBEIl    PR1MUS 


—  *&$<C**#|.— 


CAI». 


—  Quemadmodum  sanos  agere 
conveniat. 


Gap. 


—  Metodo  di  vita  de» li  uomini 
robusti. 


Sanus  homo,  qui  et  bene  valet,  et  suae 
spontis  est,  nullis  obligare  se  legibus  debet  ; 
■e  neque  iatralipta  egere.  liunc  oporiet  va- 
riuni  habere  vilac  genus  ;  modo  ruri  esse,  mo- 
do in  urbe,  saepiusque  in  agro  ;  navigare,  ve- 
li, ni.  quiescere  interdum,  sed  frequentala  se 
exercere  :  siquidem  ignavia  corpus  hebetat, 
labor  firmai  ;  illa  maturam  seneetutem,  lue 
longam  adolesoenliam  reddit  Prodesl  etiam 
interdum  balneo,  interdnm  aquia  frigidi*  mi; 
modo  un lii.  modo  id  ipsnm  negligere;  nul- 
lum  cibi  genus  fugere,  quo  populus  ulalur; 
interdnm  in  convictu  esse,  interdum  ab  eo  se 
1  tir.  there  ;  modo  plus  justo,  modo  non  am- 
plini assumere  ;  bis  die  potius  qnam  semel  ci- 
l)Uin  capere,  et  semper  (piani  plurimuni,  duiu- 
mo io  lume  concoquat.  Sed  ut  hujus  generis 
exercitaiiones  cibique  necessari]  sunl  ;  sic  a- 
tldei'ni  snpervacui.  Nam  et  intermissns  pro- 
pter  csTÌlea  aliquas  necessitates  ordo  exercita- 
lionii  corpus  amigit;  et  ea  corpora,  quae  mo- 
ri eorum  repleta,  sun!  celerrimc  el  senescunt, 
et  aegrotant. 

De   Concubiti*. 

Concubilui  v.ro  ne. pie  nimia  coneupi- 
icendna,  ncque  nimk  pertimescendus  csi  :  r.i- 
rus,  corpus  <  \<  ii. it  ;  frequent,  solvit.  làmi  ,m- 
iciii  frequens  non  numero  sii,  sed  natura,  ra- 
lione  aetatii  el  oorporis,  nàn  licei,  eum  non 
inutìlem  esse,  quem  corporis  neque  langnor 
neque  dolor  sequitur.  Idem  interòiu  pejoi  i  si. 
lutioi  noi  in  :  il.*  i. uni  ii.  ii  ncque  illum  cibus, 
neque  hunc  curo  vigilia  laboi  statini  sequitur. 
Il.i.  i  in  rnis  servanosi  suul  ;  cavendumquei  ne 
ni    eeunda  valetudine  adversa<  praesidia  con- 

QtUI 


L1  uomo  sano  e  libero  di  se,  non  si  deve 
assoggettare  a  regola  veruna,  né  servirsi  del 
medico,  né  dell1  alipta  (i).  Convien  che  tenga 
questo  varialo  tenor  di  vita  :  essere  ora  in 
villa,  ora  in  città,  ma  più  spesso  alla  campa- 
gna :  navigare,  cacciare,  stare  alcuna  volta  in 
riposo,  ma  più  spesso  esercitarsi,  perocché  l'i- 
nerzia rilascia  il  corpo,  la  fatica  il  rinforza  : 
quella  accelera  la  vecchiaja,  questa  prolunga 
la  giovanezza.  Giova  pigliare  ora  bagni  caldi, 
ora  freddi  :  ora  ugnersi,  ora  no  :  non  essere 
alieno  da  qualsivoglia  cibo  di  comune  uso  tra 
il  popolo  :  (piando  sedersi  ai  banchetti,  quan- 
do ischivarli  ;  quando  cibarsi  più,  quando  non 
più  del  convenevole  ;  mangiare  due  volte  al  dì 
piuttosto  che  una,  e  sempre  in  copia,  purché 
si  digerisca.  Questa  maniera  di  esercilainento 
e  <il»o  quanto  è  giovevole,  altrettanto  perico- 
losa e  quella  degli  atleti.  Perocché  rotto  pel- 
le bisogne  civili  L'ordine  degli  esercizii,  il  cor- 
po in  patisce,  e  quelli  che  alfuso  loro  sono  nu- 
tricati e  presto  invecchiano,  e  di  leggieri  in- 
fermano. 

Commercio  con  donne. 

Il  concubilo  poi  non  devesì  ne  sover- 
chio cercare,  ne  soverchio  temere  :  rado  inci- 
ta il  corpo,  frequente  il  rilascia.  Ha  la  fre- 
quenza non  dovendosi  misurarcela]  numero, 

ma    si    d.dla    n. ilui. i    e    ragione    dell'età    e    del 

corpo,   si  può   arguire  non  essere  dannoso 

quello   che    non  e  seguito    ne  da  dolore   né  da 

spossatezza.  Parimenti  più  cattivo  e  di  di,  mi- 
gliore di  notte  :  Salvo  per  alleo  se  dopo  quello 
si  prenda  alcun  ristoro,  e  dopo  questo  si  semi- 
si  i.i  veglia  <  l.i  fatica.  Queste  cose  voglionsi 
..  i  \  ire  d.n  sani,  e  guardarsi  dall'  osare  in  sa- 
nità i  presidi  riserbati  conila  le  malattie. 


I  m  sub   le  malattia   i  on  fri 


-ioni,    un/i"ii 


,1  .Il 


Itili    COS4    <   •!«  i  ih 


DDLLA    MEDICINA 

gap.  ii.  —  Quae  imbeciìlis  servando,  sint.  Cap.  il. 


25 


Precauzioni  che  usar  devono 
le  persone  dilicate. 


At  imbeciìlis  (quo  in  numero  magna  pars 
urbanorum,  omnesque  pene  cupidi  litlerarum 
sunl)  observatio  major  necessaria  est  :  ut  quod 
vel  corporis,  vel  loci,  vel  studii  ratio  detraili!., 
cura  restituat.  Ex  bis  igitur,  qui  bene  con- 
coxit,  mane  tnto  surget  ;  qui  parum,  quicsce- 
re  debet,  et,  si  mane  surgendi  necessilas  fue- 
ril,  redormire  :  qui  non  concoxit,  ex  loto  con- 
quiescere,  ac  neque  labori  se,  neque  exereita- 
tioni,  neque  nego  ti  is  credere.  Qui  erudirai  sine 
praecordiorum  dolore  ructat,  is  ex  intervallo 
aquam  l'rigidam  bibere,  et  se  iiihilominus  con- 
tinere.  Habitare  vero  editicio  lucido,  perfla- 
tum  aestivum,  bibernum  soìem  babenle  ;  ca- 
vere  meridianum  solem,  matulinimi  et  vesper- 
tinum  iVigns  ;  itemque  auras  fluminum  atque 
slagnorum  :  minimeque,  nubilo  coelo,  soli  a- 
perienti  se  committere,  ne  modo  frigus,  modo 
calor  moveat:  quae  res  maxime  gravedines  de- 
stillationesque  concitai.  Magis  vero  gravibus 
locis  ista  serranda  sunt,  in  quibus etiara  pesti- 
lentiam  faci  un  t.  Scire  aule  ni  licct  integrimi 
corpus  esse,  cum  quo  lidie  mane  urina  alba, 
dein  rida  est  :  illud  concoquere,  boc  concoxis- 
se  significai.  Ubi  experrectus  est  aliquis,  pau- 
lum  intermillere  :  deinde,  nisi  biems  est,  fo- 
dere os  multa  aqua  frigida  debet.  Longis  die- 
bus  meridiari  potius  ante  cibimi  ;  sin  minus, 
posi  eum  :  per  hiemem  potissimum  totis  no- 
clibus  conquiescere.  Sin  lucnbrandum  est,  non 
post  cibum  id  facere,  sed  post  concoctionem. 
Quelli  interdiu  vel  domestica,  vel  civilia  offi- 
cia  lenuerunt,  buie  lempus  alicpiod  servan- 
dum  curalioni  corporis  sui  est.  Prima  aulem 
ejus  cura  li  o  esercita  tio  est,  quae  semper  ante- 
cedere cibum  debel  :  in  co  qui  minus  labora- 
vit  et  bene  concoxit,  amplior  ;  in  eo,  qui  la  Li— 
gatus  est,  et  minus  concoxit,  remissior.  Com- 
mode vero  exercent,  clara  lectio,  arma,  pila, 
cursus,  ambula tio  :  atcpie  haec  non  ulique 
jilaua ,  commodior  est;  si  quidem  melius 
ascensus  quoque  et  descensus,  cum  quadam 
varie  tate  corpus  moveat,  nisi  tamen  id  per- 
quam  imbecillirai  est.  Melior  autezn  est  sub 
divo,  qu;iin  in  porticu  ;  melior,  si  capul  pati- 
tur,  in  sole,  quam  in  umbra  :  melior  in  um- 
bra, quam  parietes  aut  viridia  efficiunt.  quam 
quae  tecto  subest,  melior  ree  la,  (pumi  fiexuo- 
•a.  Exercitalionis  autem  plerumque  finis  esse 
debet  sudor.  ani  certe  Lassitudo  quae  citta 
fatigationera  sii  :  ìdque  ìpsum,  modo  minus, 
modo  magis  faciendum  est.  Ae  ne  bis  quidem, 
athletarum  exemplo,  vel  certa  esse  lex,  vel  im- 
modicus  labor  debet'.  Exercitalionem  recte 
sequitur.  modo  unctio,  vel  in  sole,  vel  ad 
i'_MK  in  ;  modo  balneum,  sed  conclavi  quam 
maxime  el  alto  el  lucido  ci  spalioso.  l'.\  bis 
neutrum  semper  litri  oporlel  ;  sed  ae 
Celso. 


Ma  ai  deboli  (  i  quali  sogliono  essere  per 
lo  più  gli  abitatori  della  città  e  gli  amatori 
delle  lettere  )  si  richiede  attenzione  maggiore, 
affinchè  ridoni  loro  la  cura  ciò  che  gli  tolse  la 
circostanza  del  corpo,  del  luogo  e  dello  stu- 
dio. Adunque  quando  alcuno  di  questi  digerì 
bene,  a  suo  prò  si  leverà  di  buon  mattino  : 
chi  digerì  poco,  deve  riposare,  e  se  fu  astretto 
a  levarsi  per  tempo,  tornare  a  dormire  :  chi 
non  digerì,  riposare  interamente,  né  darsi  al 
lavoro,  agli  esercizi,  agli  affari.  Chi  ha  rutti 
per  crudezza  senza  dolor  dei  precordi,  bere  a 
riprese  acqua  fresca,  e  starsene  tuttavia  in  ri- 
poso. Alloggiare  poi  in  casa  chiara,  ventilala 
di  state,  soleggiala  di  verno  ;  schifare  il  sole 
del  meriggio,  il  fresco  della  mattina  e  della  se- 
ra ;  e  del  pari  le  arie  dei  fiumi  e  degli  slagni  : 
ed  a  cielo  nuvoloso  non  esporsi  alle  spere  del 
sole,  onde  non  si  desti  ora  caldo,  ora  freddo, 
cosa  che  più  d' ogn'  altra  eccita  raffreddori  e 
flussioni.  Queste  regole  si  devono  maggiormen- 
te osservare  nei  luoghi  insalubri,  nei  quali  in- 
sorge anche  la  peste.  Bisogna  poi  sapere  che 
si  è  sani,  allorché  V  orina  ogni  dì  al  mattino  è 
bianca,  poi  rossastra  :  la  prima  indica  farsi,  la 
seconda  essersi  fatta  la  digestione.  Quando  al- 
tri è  svegliato,  soprastia  alquanto  :  poscia  se 
non  è  di  verno  deve  sciacquarsi  la  bocca  con 
molla  acqua  fresca.  Ai  lunghi  dì  fare  la  meri- 
diana piuttosto  prima  di  mangiare,  se  no,  do- 
po ;  durante  il  verno  più  che  in  altra  stagione 
riposare  le  notti  intere.  E  se  mai  si  deve  appli- 
care, non  farlo  dopo  il  mangiare,  ma  fatta  la 
digestione.  Chi  fra  il  dì  è  occupalo  in  civili  e 
domestiche  faccende,  dovrà  riservare  alcuno 
spazio  di  tempo  alla  cura  del  suo  corpo.  E 
questa  sta  principalmente  nell'esercizio  che 
vuoisi  fare  innanzi  pranzo  :  più  forte  da  chi 
men  lavorò  e  ben  digerì,  e  più  rimesso  da  chi 
è  stanco,  e  mal  digerì.  Utili  esereizii  sono  il 
declamare,  l'armeggiare,  il  giuocare  alla  pal- 
la, la  corsa,  il  passeggio  :  e  questo  è  bene  che 
non  sia  piano,  perocché  nell'  ascendere  e  di- 
scendere si  agita  piacevolmente  il  corpo,  ove 
però  non  sia  di  troppo  debole.  Meglio  poi  a 
ciclo  aperto  che  sotto -por  tico  :  meglio  se  il  ca- 
po il  comporta,  al  sole  che  all'  ombra  ;  meglio 
all'ombra  di  un  muro  o  di  piante  che  a  quel* 

10  di  un  tetto  ;  meglio  rei  lo  clic  non  tortuoso. 

11  sudore,  od  almeno  eerta  lassezza  che  non 
giunga  allo  Spossamento,  deve  essere  il  termine 
dell'  esercizio:  e  si  vuol  anche  in  questo  varia- 
re facendone  ora  più,  ora  meno.  Ma  nò  pur  di 
queste  cose  sull'esempio  degli  atleti  ce  ne  fa- 
lcino una  legge  fissa,  od  una  fatica  in  sopporta 
bile.  All'esercizio  si  fa  utilmente  succedere  o- 
ra  l'unzione  al  sole,  od  al  fuoco  :  ora  il  bagno, 
ma    in    iin.i  stanza  ben   alla,    chiara    ed   ampia 


CELSO 


jtius  allerutriim  prò  corporis  natura.  Post 
naec  paulum  conquiescere  opus  est.  Ubi  ad 
cibum  ventus  est,  numquam  atilis  est  nimia 
satielas  ;  saepe  inutiiis  minia  abstiuentia  :  si 
<jiia  intemperaatia  subest,  lutior  in  potione, 
*mi. un  in  esca.  < -il »us  a  salsamentis,  oleribus, 
similibusque  rebas  melius  incipit  :  timi  caro 
assuineuda  est,  quaeassaoptima,  aul  elixaest. 
Coadita  omnia  duabus  de  causis  inutilia  sunt; 
quooiam  el  plus  propter  dulcediuem  assumi- 
lur.  el  quod  modo  par  est,  (amen  aegrius  con- 
cr.  Secunda  mensa  bono  stomacbo  ni- 
bil  nocet,  m  i  1 1 1 1  >t«  ilio  coacessiU  Si  quis  ita- 
que  hoc  parimi  valet,  palinulas,  pomaque,  et 
similia  melius  primo  cibo  assumit.  l'osi  mul- 
tas  potiones,  quae  aliquantum  sitim  excesse- 
runt.  ti  il  1 1 1  edendum  est:  posi  satielatem,  m- 
ndum.  i  bi  ex  pietas  esl  aliquis,  (acilius 
;nii.  si  quidqoid  assumpsit,  potione  a- 
frigìdae  includit,  tum  paulisper  invi- 
gilai, deiade  bene  dormii.  Si  quis  iaterdia  se 
implevit,  posi  cibum  oeqae  (rigori,  ncque  ae- 
stui, neque  labori  se  debet  committere  :  ne- 
qneenim  tam  beile  baec  inani  corpore,  quara 
repleto  nocent.  Si  quibus  de  causis  In  ima  ine- 
dia est,  labor  oinnis  vitandus  esl. 


Non  v'è  bisogne  di  far  sempre  queste  due  co- 
se, ma  spesso  alternare  siccome  più  richiede 
r  indole  del  corpo.  Dopo  queste  si  vuole  star 

un  poco  in  riposo.  E  venendo  al  mangiare, 
utile  non  è  mai  una  ripienezza  soverchia  : 
dannosa  spesso  un1  eccessiva  astinenza  :  e  se 
mai  s'incorre  nella  intemperanza,  questa  men 

pericolosa  è  nel  bere  che  nel  mangiare.  Si  loda 
cominciare  il  pasto  dai  salumi,  erbaggi  e  simili 
cose:  si  passa  alla  carne  che  è  buona  si  alles- 
sata che  arrostita.  Le  vivande  condite  sono 
pericolose  per  «ine  ragioni;  e  perché  essendo 
appetitose  se  ne  mangia  di  più,  e  quando  pu- 
re se  ne  mangi  misuratamente,  si  smaltiscono 
male.  11  pospasto  non  offende  uno  stomaco 
t'oiic,  ma  in  un  debile  s'inacidisce.  Se  vi  sarà 
imperiamo  chi  lo  abbia  debole,  meglio  farà 
prendere  a  principio  dattili,  trulla  e  simiglian- 
ti  cose.  Dopo  aver  bevuto  piò  che  non  richie- 
derà la  sete,  non  si  deve  mangiare;  e  dopo  una 
salollan/.a,  slare  senza  far  nulla,  k  quando  si  è 

soddisfalli  del  cibo,  si  digerisce  questo  facil- 
mente soprabbevendovi  acqua  fresca,  poi  mi 
pocolino  vegliando,  ultimamente  dormendo  a 
grand1  agio.  Chi  fra  il  giorno  mangiò  molto, 
non  deve  dopo  esporsi,  uè  a  freddo,  né  a  caldo, 
ne  a  fatiche:  queste  cose  non  sì  facilmente 
nuoeono  al  corpo  voto  come  al  pieno.  Se  si 
debba  per  qualsivoglia  cagione  digiunare  con- 

vien  ristaisi  da  Ogni  fatica. 


c\iv    in.  —   Observationes  qnnednm,  prout     C.w\  in. — dicane  precauzioni   relative  a 
rei  novae  incidunt,  et  corporum  genera,         nuovi  uccidenti,    a/le  differenze  dì  te/n- 
gt  sexus%  ci  aetaitSf  et  tempora  anni  sunt.        peramento  sesso,  età,  e   stagioni  del- 
l' anno. 


Atqu  u  1'  ice  quidem  paene  perpetua  sint. 
Quasdam  autem  observauones  desideranl  et 
Dovae  m   genera,  el  sexus,  el 

el  tempoi  un  neque  ex  salu- 

mi,   ncque   ei    0  ra  v  i  in  salu- 

brem  trausitus  salii  tntus  est.   i.\   salubri  in 
I  i .   i.i  bieme.  ex  gì  ai i   in  «mn.  qui 
■  '■   1 1  ansire  melius  est. 
■ . me  nimi a  sali,  ii 

■  ti  idonea  <■  I  :  peri- 

i  >.  in.  I.  el  qui  bis  die  cibum 
i  onsuetudinera  . 
mit.  i  lubitum  <>- 

olio  siil.iiiis  labor.  sine 

lira  qnis  inni. in-  aliquid 

1  hnném 

la  boi  em    I  l  pucr  vel  -«••!«•  \ . 

su  itinet.    A  tque    ideo 

quoque  nini  ilii  non  esl  :   quia 

potei!  ii    quando 

'  os  aliquis  laboi  a  \  il.  BUI    y\   limilo 
pili      qi:  un       i]    I  ue>  il.     buie 

jejunu  lum    i 

»  - 1 1 .  *  ri  a     OS  .ohm  uni  ol.     \ .  I    ...  i  il  i  *   t  '  i  -  .  •   il      filli 

••■     u  b  itm    fai 


Tutti  questi  sono  precetti  «piasi  generali. 
Ala  celie  nuove  incidenze  ed  il  temperamento 
delle  persone,  il  sesso.  Tela  e  la  stagione  ri- 
cercano alcune  particolari  osservanze.  None 

a  fidarsi    passare  da  InOgO  salubre  al   malsano, 

ne  da  malsano  al  salubre.  Meglio  è  trasferirsi 

dal  salubre  alf  insalubre  al  principio  di  pri- 
mavera ;  e  dal  malsano  a  quello  che  è  sano  al- 
1*  entrare  della  state.  .Né  dopo  lungo  digiuno 

buona    è   una    simulala    pienezza,    ne    un    gran 

ian  dopo  eccessiva  lame,    arrischia  an- 
che «Ili  eonira  I'  uso  temperatameli  le  mangia 

una  0  due  volte  il  di.    Ne  meli  si  può  altri  im- 
punemente pittare  d'un  tratto  ali1  inerzia  do- 
ra faticare;  né  da  grand1  inerzia  ad  una 
vita   laboriosissima.     Volendo   adunque   alni 
cambiari)  tenore  di  vita,  \i    i  dovrà  assuefare 
.  poco.  I  n  fanciullo,  od  wìì  \ ecchio  so- 
piti     i    e\  ..Imeni.-    la     I  ili.  :i    di    uno    che 
il  .il   \i   lia   a    siiel  ilio.    |.  per  questo  non  è   Vali 
i  la   \  ila  li  Oppo  o/in sa.   pei  ■>(,  he     i  può, 

qu  indi  i  itretti  alla  fatica.  Tut- 

•   qualcuno  non  abituato,  la  i  oi  ò  o  più 

elle   non    suoli-  anche  P  assuefallo.    ion\Ìen  clie 

u  ma ,  principalmente  s<  ha  bocci 


Della  medicina 


«Inni  tantummodo  jejunio  est,  scd  eliam  in 
posterum  diera  pcrmanendum  ;  nisi  cito  id 
quies  sustulit.  Quod  si  factum  est,  surgere 
oportet,  et  lente  paululum  ambulare.  Àt  si 
somni  necessilas  non  fuit,  quia  modice  magis 
aliquis  la  boravi  t,  tamen  ingredi  aliquid  eo- 
dem  modo  debet.  Communia  deinde  omnibus 
sunt  post  fatigalionem.  cibum  sumpturis,  ubi 
paulum  ambulavcrunt,  si  balneum  non  est, 
calido  loco,  vel  in  sole,  vel  ad  igneni  ungi,  at- 
que  sudare  ;  si  est,  ante  omnia  in  Tepidario 
sedere;  deinde,  ubi  paulum  conquieverunt , 
latrare  et  descendere  in  solium  ;  tum  multo 
eleo  ungi,  leniterque  perfricari  ;  ilerum  in 
solium  descendere  :  post  haec,  os  aqua  calida 
fovere,  deinde  frigida.  Balneum  his  fcrvens 
idoneum  non  est.  Ergo  si  n  imi  uni  alieni  fa- 
llirà to  paene  febris  est,  buie  abunde  est,  lo- 
co tepido  dimittere  se  inguibus  tenus  in  a- 
cpiam  calida  m,  cui  paulum  olei  si t  adjectum  ; 
deinde  totani  quidem  corpus,  maxime  tamen 
eas  parles,  quae  in  aqua  fuerunt,  leni  ter  per- 
f  ricare  ex  oleo,  cui  vinum  et  paulum  contriti 
salis  sit  adjectum.  Post  haec,  omnibus  faliga- 
tis  aptum  est,  cibimi  sumere,  eoque  hunùdo 
uti  ;  aqua,  vel  certe  diluta  potione  esse  con- 
tentos  ;  maximeque  ea,  quae  moveat  urinam. 
Illud  quoque  nosse  oportet,  quod  ex  labore 
sodanti  frigida  potio  perniciosissima  est;  atque 
eliam,  cura  sudor  se  remisit,  itinere  fatigatis 
imi I ili s.  A  balneo  quoque  venientibus  Asele- 
piades  "inulilem  eam  judicavit  :  quod  in  iis 
vcrum  est,  quibus  alvus  facile,  nec  tato,  re- 
solvitur,  quique  facile  inhorrescunt  :  perpe- 
tuimi in  omnibus  non  est,  cura  potius  natu- 
rale sii,  potione  aestaantem  stomachimi  refri- 
gerar!. Quod  ita  praecipio,  ut  tamen  fa  tea  r, 
ne  ex  hae  quidem  causa  sudali  adhuc  frigi- 
dono  hibendum  esse.  Solet  ctiam  prodesse, 
posi  varium  cibum,  frequentesque  dilutas  po- 
tiones,  vornilus,  et  postero  die  longa  quies, 
deinde  modica  exercilatio.  Si  assidua  fatigatio 
urgel,  invicem  modo  aqua,  modo  vinum  bi- 
bendum  esl ,  raroque  balneo  utendura.  Le- 
\. il  pie  lassitudincm  eliam  laboris  mutatio  : 
eumque.  quem  novura  genus  (ejusdera)  labo- 
ris pressiti  id.  quod  in  consuetudine  est  refi- 
ll. Fatigato  quotidianum  cubile  tutissimum 
est  Lassai  eniiii  quod  contra  consuetudine!» 
se u  molle,  seu  durum  esl. 


Proprie  quaedara  ad  euro  pertinent,  qui 
ambulando  fatigatur.  Hunc  reficil  in  ipso  quo- 
que itinere  frequens  frictio  ;  posi  iter,  pi  unum 
•edile,  deinde  uiiclio:  tum  calida  aqua  in  bal- 
neo magis  superiore!  pai  ics,  quam  inferiore», 


amara,  o  gli  occhi  offuscati,  od  il  ventre  scon- 
volto, fa  questo  caso  non  solo  deve  dormire  a 
digiuno,  ma  rimanervi  anche  il  susseguente 
dì,  tranne  che  il  riposo  non  abbia  dileguato 
ogn1  incomodo.  Il  che  fatto  convien  levarsi,  e 
lento  lento  passeggiare  un  poco.  Se  poi  non 
v1  è  bisogno  di  dormire  per  essersi  affaticato 
moderatamente  farà  tuttavia  alcuna  di  queste 
cose,  siccome  è  detto.   Comuni  regole  poi  per 
quelli  che  devono   mangiare  dopo   la    fatica, 
passeggialo  che  abbiano  un  poco,  uguersi  e 
sudare,   se  pronto  non  è  il  bagno,  in  luogo 
caldo,  o  al  sole,  o  al  fuoco  :  e  se  è,  sedere  im- 
prima nel  tepidario,  dipoi  riposatosi  un  poco 
entrare,  e  calarsi  nel  piano  del  bagno:  unger- 
si poscia  con  molt1  olio  e  soavemente  strofinar- 
si :  scendere  finalmente  nel  bagno;  dopo  le 
quali  cose  sciacquarsi  la  bocca  con  acqua  cal- 
da, poi  con  fredda.  Il  bagno  troppo  caldo  non 
è  buono  per  questi.  Se  qualcuno  adunque  per 
eccesso  di  fatica,  si  trova  aver  quasi  la  febbre, 
basterà  che  egli  ad  ambiente  tepido  s'immer- 
ga fino  agi1  inguini  in  acqua  calda,  a  cui   sia 
stato  unito  alquanto  olio;  dipoi  tutto  il  corpo, 
sovrattutto   quelle  parli  almeno  che  stettero 
nell'acqua,  si  devono  stropicciare  con  olio  mi- 
sto a  vino,  e  un  pò1  di  sale  pesto.  Olire  questo 
chi  è  stanco  perla  fatica  deve  mangiare  cose 
umettanti,  e  bere  acqua,  od  almeno  una  be- 
vanda diluta,  e  tale  soprattutto  che  provochi 
le  orine.  Bisogna  sapere  ancora  come  a  chi  è 
sudante  per  la  fatica,  perniciosissimo  sia  il  be- 
re freddo,  né  buono  pure,  a  coloro  che  sono 
spossati  dal  viaggio,  ancorché  il  sudore  siasi 
attutato.  Asclepiade  lo  giudicò  anche  pregiu- 
dicievole  a  quelli  che  escono  del  bagno  :  il  elu- 
si verifica   in  coloro,  ai  quali  si  scioglie  facil- 
mente il  ventre,  e  ciò  non  senza  pericolo;  e  in 
quei  che  soffrono    leggiermente  il  ribrezzo  : 
ma  non  è  in  tutti  costante,  essendo  anzi  natu- 
rai cosa  rinfrescare  con  bevanda  uno  stornato 
riscaldato.  Il  che  per  altro  io  avvertiva  senza 
discostarmi  dalla  massima  che  non  si  debba 
bevere  freddo  da  chi  è  in  sudore.  Suole  giova- 
re anche  il  vomilo  dopo  un  variato   pranzo  e 
dopo  molto  vino  adacquato  ;  e  il  susseguente 
dì  lungo  riposo,  appresso  di  che  un  moderato 
esercizio.  Se  ne  stringe  un  continuo  lavoro  si 
vuol  bere  alternativamente  accpia  e  vino,  e  far 
di  rado  il  bagno.  Il  eambiar  lavoro  allevia  pur 
la  stanchezza  :  e  chi  infastidilo  è  da  uno  nuo- 
vo,  ritrova   conforto  in  quello  al  (piale  è  usa- 
to. A  chi  è  stanco   giocondissimo  è  il  giorna- 
liero lelto  :  malagiato  al  contrario  un  letto  in- 
solito perchè  quello  che  è  fuori   d1  usanza,  ne 
reca  noja,  sia  esso  molle  0  duro. 

Alcuni  particolari  precetti  v'ha  per  chi  si 
slanca  camminando.  Le  fregagioni  frequenti  il 
ristorano  in  viaggio  :  dopo  di  esso  pinna  sieda, 

poi  si  unga  ;  quindi  fomenti  nel  bagno  cali!» 
le  parli  inferiori  più  che  le  superiori  :  chi  si  è 


foveat.  Si  quis  vero  exuslus  in  sole  est,  huiciii 
balneum  prolinus  eundum,  pcrfundendumque 
oleo  corpus  et  caput;  deinde  m  solium  bene  ca- 
Lklura  descendendum  est  :  tara  multa  aqua  per 
caput  ìnfundenda,  prius  ealida,  deinde  frìgida. 
Ai  ci.  (|iii  perrrixit,  opus  est  in  balneo  pri- 
iiitim  involuto  sedere,  donec  insudet  ;  tana 
ungi  ;  deinde  lavari  :  cibum  modicum,  potio- 
nes  meracas  assumere.  Is  vero,  qui  navigavi!, 
et  nausea  pressus  est,  si  multam  bilem  evo- 
rauit,  vel  abstiaere  cibo  dcbet,  vel  paulum  ali- 
(juid  assumere:  si  pitaitam  acid. un  efifudit, 
atique  sumere  cibum,  sedassueto  leviorem  : 
vomita  nausea  fuit,  vcl  abslinere.  vel 
post  cibum  vomere.  Qui  vero  loto  die,  vel  in 
vehiculo,  vel  in  spectaculis  sedit,  buie  nihil 
Iiim;  sed  lente  arabulandum  esl,  lenta 
quoque  in  balneo  moia,  dein  «orna  exigua 
prodesse  consueverunt.  Si  quis  in  baine'  ae- 
stuat,  reficil  hunc  ore  excepturo,  et  in  co  re- 
tentura  acetam  :  si  id  non  est,  eodem  modo 
frigida  aqua  assuropta. 

iute  omnia  auleni  norit  qniqnc  nalu- 
r.cii  sui  corporis  :  quoniam  alii  graciles,  alii 
obesi  sunt;  alii  cali. li.  alii  frigidiores;  alii 
hunti Ji.  .ilii  sieri,  alios  adstricta,  alios  resolu- 
la  alvus  exercet  :  raro  quisquam  non  aliquam 
1  coi  poris  imbecillara  babet.  I  enuis 
vero  homo  se  implere  debet,  plenus  exlenua- 

_   rare,  frigidus  cali  E 
madens  ficcare,   siccus  madefacere:  itemque 
.1 1  n  lini  firmare  is.  cui  fusa  ;  solvere  i-,  cui  ad- 
stricta esl  ;  succurrendumque  lemper  parti 
maxime  laboranti  est. 


abbrustolato  al  sole,  deve  tosto  andare  in  ba- 
gno, e  spargere  (Folio  il  capo  e  il  corpo:  di 
poi  scendere  in  ben  caldo  solio  :  in  appresso 
aspergere  il  capo  di  molt' acqua  prima  calda, 
poi  fredda.  Ma  chi  patì  freddo,  convien  che 
prima  ben  coperto,  sieda  nel  bagno  fino  a  che 
sudi  ;  poi  si  unga,  in  seguito  si  lavi  :  mangi 
temperatamente,  e  beva  vino  puro.  Chi  na\  igo, 
ed  è  preso  da  nausea  se  rigettò  molta  bile,  deve 
od  astenersi  dal  cibo,  0  prenderne  poco:  se  ei 
rimise  pituita  acida,  sì  prenda  cibo,  ma  più 
leggiere  del  solito  :  se  ebbe  nausea  senza  vo- 
mito n  astenersi,  0  vomitare  dopo  aver  man- 
giato. Chi  tutta  la  giornata  o  stette  in  calesse, 
od  agli  spettacoli  non  deve  correre,  ma  lenta- 
mente passeggiare  :  gli  potranno  anche  far 
prò  una  hrieve  dimora  in  bagno,  di  poi  una 
cena  tingale.  Chi  si  sente  eccessivamente  scal- 
dato dal  bagno,  troverà  ristoro  nel  porsi  in 
bocca  delibacelo,  e  ritenervelo:  e  in  suo  di- 
tetto può  supplire  allo  stesso  uso  l1  acqua 
fredda. 

Ma  cosa  importantissima  è  che  ciascuno 
conosca  il  suo  temperamento  :  perocché  chi  è 

calilo,    chi  freddo  :   chi  umido,    ehi  secco  :   ehi 

slitico,  chi  sciolto  :  e  ordinariamente  ciascun 

uomo  ha  alcuna  parte  del  suo  corpo  debile.  Il 
colpo  magro  si  COnvien  ingrassarlo,  estenuare. 

il  grasso,  rinfrescare  il  caldo,  riscaldare  il 
freddo,  essi. .are  Tumido,  umettare  il  secco  : 
cosi  pure  stringer  L'alvo,  se  sciolto,  scioglier- 
lo se  stretto,  e  sempre  .nere  sollecitudine  di 
sovvenire  alle  parli  più  affette. 


De  causis  quae  implent  corpus. 

Implel  autem  corpus  modica  exercilatio, 

ilior  quies,  onclio,  ci  si  posi  prandium 

est,  balneum,  contraete  alvus,  modicum  fri- 

•_n>    hienie.    soiiiniis   ci    plenus   ci    non   nimis 

loii- 11  s.  moli,'  cubile, animi  securitas,  assuntola 
bos  et  poliones  maxime  dulcia  ci  pin- 
gitia,  cibus  et  frequentior  et  quanta!  pienis- 
simo! 1  ■  (l'i. 


Ingrassanti. 

Ingrassa  \\n  moderalo  esercizio,  un  pro- 
lungato riposo,  L'unzione,  e  dopo  pranzo  il 
bagno;  il  ventre  contratto,  un  diserei.»  fred- 
do di  verno,  un  dormir  pieno,  ma  non  troppo 

lungo,  un  letto  molle,  la  Liberta  dell1  animo,  il 
mangiare  e  bere  robe  dolci  e  pingui,  e  il  man- 
gi ire  spesso,  e  tanto  .pianto  se  ne  può  smal- 
tire. 


JJc  hit  gitile  citriunint  corpus. 
I.vlrnuat    corpus    aqua    (alida,  si  quis  in 

1  ani  rlescendil.  ma,  i.tque  li  sai  m  t ;  in  jeju- 
no  I  ilni  uni.  inureni  sol  el  omnia  calor,  .ina. 
vigilia,  som  un  s  nim  in  ni  vel  brevii  vellongus; 
■  in.  ieri  1  i  hieme,  dm  un  <  u 
dia  ambili. ilio  ,  omnisque 
\.  lui,,.  ,ii'..  vomitai,  d. ■j.-<  1 

ienx  l  die  ••  uumplae,  el 

10    j.  pino     1.1    1 
Indili.  11.  .iI.Iik  la. 

Cui  nuanlia  posuerim  vo- 

railura  ci  il.  |. .  ti. uiem.  .!.-  bis  q |ue  pi opi  ie 

luat.  l  j«  1  lum  essi  th  /ut  le- 


Diina^rantt. 

Dimagra  il  bagno  d'acqua  calda,  mag- 
giormente se  salala,  il  bagnarsi  a  di  gì  uno  :  il 

e  sole  e   il  caldo    ,V  ..-ni    specie  :    le  •  me 
dell"  ani,....     la     Veglia,     il     dormire    o    troppo 

breve,  0  troppo  lungo:  dormir  di  state  sul 
suolo,  dì  verno  sopra  .Imo  letto  :  il  correre,  il 
I  e  molto,  <  quali  ivoglia  t"i  te  <  eres- 

ilo, il  vomito,  il  h  i  esso,  le  cose  •>.  ide  ed  .msic- 
una  volta  al  di,  ed  il  bei  e  abituai 
incnie  a  digiuno  vino  non  troppo  freddo. 

avendo  io  posi,,  ira  gli  estenuanti  il  ro- 
mita ■  m  dire  alcuna  i 
pai  in  olare.  Mj  è  noto  esteri    ilato  d  romito 


piade  vomitum  in  eo  volaraine,  quoti  de  tuen- 
(l,i  salutate  composuit,  video  :  neque  reprehen- 
do,  si  offensus  eorum  est  consuetudine,  qui 
quotidie  ejiciendo  vorandi  facilita  tem  mo- 
liuntur.  Paulo  etiara  longins  processiti  idem 
purga  tiones  quoque  eodera  volumine  expulit. 
El  sunt  me  perniciosae,  si  nimis  valenlibus 
medicamentis  fìunt.  Sed  hacc  tamen  submo- 
venda  esse  non  est  perpetuum  ;  qui  corporura 
temporuroque  ratio  polest  ea  facere  necessa- 
ria, dum  et  modo,  el  non  nisi  cura  opus  est, 
adhibeantur.  Ergo  ille  quoque  ipse,  si  quid 
jam  eorruptum  esset,  expelli  debere  confes- 
sila est  :  ita  non  ex  toto  res  conderananda  est. 
Sed  esse  ejus  etiam  plures  caussae  possunt  ; 
in  ea  quaedam  paulo  subtilior  observalio 
adhibenda. 


DELLA    MEDICINA  2Q 

rigettato  da  Asclepiade  in  quel  suo  volume 
sulla  conservazione  della  salute,  né  presumo 
riprenderlo,  se  ei  rimase  offeso  dal  costume 
di  quelli  che  col  vomitare  cotidiano  si  procac- 
ciano il  mezzo  di  banchettare.  Ma  troppo  in- 
nanzi recò  la  cosa,  escludendo  anche  le  pur- 
gazioni. Certo  che  e1  sono  perniciose,  se  si 
provocano  con  medicinali  soverchiamente  for- 
ti. Che  si  debbano  però  onninamente  esclude- 
re, non  può  essere  precetto  costante,  perocché 
le  qualità  dei  corpi  e  dei  tempi  le  possono 
rendere  necessarie,  purché  si  usino  a  modera- 
zione, e  nei  casi  in  cui  sono  indicate.  Conven- 
ne pur  egli  stesso  adunque  doversi  espellere  le 
materie  corrotte.  Laonde  non  si  vogliono  con- 
dannare assolutamente  ;  ma  possono  ancora 
essere  richieste  da  più  altre  cagioni,  e  nelP  u- 
so  loro  vuoisi  grandissima  cautela. 


De  vomì  tu. 

Vomilus  ulilior  est  hieme,  quam  aesta- 
te  :  nani  tura  et  pituitae  plus,  et  capitis  gra- 
vitas  major  subest.  Inutilis  est  gracilibus,  et 
imbecillirai  stomachimi  habentibus  ;  utilis  ple- 
nis  et  biliosis  omnibus,  si  vel  nimiuni  se  re- 
plerunt,  vel  parum  concoxerunt.  Nam,  sive 
plus  est,  quam  quod  concoqui  possit,  perieli- 
tari  ne  corrumpatur,  non  oporlet  :  sive  cor- 
ruptum  est,  nihil  commodius  est,  quam  id, 
qua  via  primum  expelli  potest,  ejicere.  Itaque, 
uhi  amari  ructus  cura  dolore  et  gravitate  prae- 
cordiorum  sunt,  ad  hunc  protinus  confugien- 
<lum  est.  Idem  prodest  ei,  cui  pectus  aestua t, 
et  fiequens  saliva,  vel  nausea  est;  aut  sonant 
aures,  aut  madent  oculi,  aut  os  amarura  est  : 
simili terque  ei,  qui  vel  coelum,  vel  locum  rau- 
tat  ;  iisque,  quibus,  si  per  plures  dies  non  vo- 
lli uerunl ,  dolor  praecordia  infestat.  Neque 
ignoro  tnter  haec  praecipi  quietem  :  quae  non 
siiu  per  contingere  polest  agendi  necessitateli! 
habentibus;  nec  in  omnibus  idem  facit.  Ita- 
que istud  luxuriae  caussa  fieri  non  oportere 
confiteor;  interdirai  valetudinis  caussa  recte 
fieri,  experìmentis  credo:  cimi  eo  tamen  ne 
quis  qui  valere  et  senescere  volet,  hoc  quoli- 
dianum  habeat.  Qui  vomere  post  cibimi  vo- 
let,  >i  ex  facili  jaeit,  aquam  tantum  tiepidam 
ante  debet  assumere  ;  si  difficilius,  aquae  ?el 
salis.  vel  raellis  paulum  adjicere.  At  qui  ma- 
il'- vomitami  est,  ante  bibere  mulsum,  vel 
byssopum,  aut  esse  radiculam  debet;  deinde 
aquam  tepidam,  al  supra  scriptum  est,  bibe- 
re. Celerà,  quae  antiqui  medici  praeceperunt, 
stomachum  omnia  ìnfestant.  Post  Vomitum, 
si  stomachus  infirmua  est,  paulum  cibi,  sed 
hujus  idonei,  gustahdum,  el  aquae  frigidae 
cyathi  tres  bibendi  suni  ;  nisi  tamen  vomilus 
fcuces  exasperavit.  Qui  vomuit,  si  mane;  id 
fecit,  ambulare  debet.  turn  ungi,  deinde  coe- 
nare:   si  post   eoenam,  postero  die  la  Vari,  et 


Vomito. 

Il  vomito  fa  meglio  di  verno  che  di  state 
perocché  allora  si  soffre  maggior  gravezza  di 
capo,  e  sovrabbonda  la  pituita.  Dannoso  è  ai 
gracili  e  ai  deboli  di  stomaco  :  proficuo  ai 
grassi  e  biliosi  sia  che  troppo  si  siano  riem- 
piuti, o  abbiano  mal  digerito.  Perchè  o  si  è 
mangiato  più  di  quello  si  possa  smaltire,  non 
conviene  rischiare  che  si  corrompa  :  oppure 
non  avvi  più  comodo  mezzo,  se  già  è  corrotto, 
che  rigettarlo  da  quella  strada  per  la  quale  si 
può  espellere  prima.  Pertanto  quando  si  ab- 
biano rutti  con  dolore  e  gravezza  ai  precordi, 
vuoisi  immantinente  rifuggire  al  vomito.  Gio- 
va pure  a  chi  ha  riscaldato  il  petto,  e  molla 
saliva  o  nausea  :  o  a  chi  ha  tinnito  alle  orec- 
chie, o  la  gr  inflazione  d1  ocelli,  o  bocca  amara  : 
e  similmente  a  chi  mula  cielo  e  luogo  ;  e  a  co- 
loro i  quali  sentono  se  per  più  dì  non  vomi- 
tarono, alcun  dolore  ai  precordi.  E  non  mi  è 
ignolo  venir  prescritto  tra  queste  cose  il  ripo- 
so :  ma  questo  non  sempre  si  può  mettere  in 
pratica  da  chi  è  stretto  a  fare  :  né  adopera  in 
tulli  lo  slesso.  Convengo  impertanto  che  non 
si  debba  vomitare  per  cagione  d1  intemperan- 
za, e  scorto  dall'  esperienza,  avviso,  farsi  tal- 
volta ottimamente  per  motivo  di  salute  ;  con 
questo  però  elie  ehi  brama  star  sano,  e,  invec- 
chiare non  lo  abbia  in  giornaliera  usanza.  Chi 
vuol  rigettare  dopo  aver  mangialo,  prenda,  se 
il  la  agevolmente,  semplice  acqua  calda;  ovve- 
ro salata  o  mellita  se  difficilmente.  Ma  chi 
vuol  recere  al  mattino,  bisogna  che  prima  beva 
mulso,  o  decozione  d1  issopo,  o  mangi  radice  : 
ciò  fallo  avvallare  acqua  lepida,  siccome  è 
dello  disopra.  Tulle  le  altre  cose  prescritte 

dagli  antichi  medici  guastano  lo  stomaco.  Se 
dopo  il  vomito  lo  stomaco  è  languido,  fa  d'uo- 
po gustare  un  poco  d'alimento,  ma  confacen- 
te, e  bere  tre  bicchieri  d'  acqua  fresca  salvo- 
che  il  vomito  non  abbia  inasprite  le  fauci.  So 


ii)  balneo  sodare.  Buie  proximus  cibus  me- 
diocris  utilior  est  ;  isijue  esse  debet  cura  pane 
hesterno,  vino  .insterò  meraco,  et  carne  assa, 
cibisqoe  omnibus  quam  siccissimis.  Qui  vo- 
mere bis  in  mense  vult,  melius  consulet,  si  hi- 
duo  continuarit,  qnam  si  post  quinlumdcci- 
iniini  diera  vomueril  ;  nisi  haee  mora  gravì- 
lalem  necton  faeiet. 


De  dejcctionihus. 

De jectio  antera  medicamento  quoque  pc- 
tenda  est,  obi  center  suppressus  parum  red- 
•  lii.  ex  eoqne  inflationes,  caligines,  capitis  do- 
aliaque  snperìoris  parlis  mala  increscunt. 
Quid  filini  in  ter  haec  adjuvare  possnnl  quies 
el  inedia,  per  quac  Illa  maxime  eveniunl  ? 
Qui  dejiceri  volet,  primnm  cibis  vinisque 
otatnr  iis  qnae  boe  praeslenl  :  dein  si  parum 

illa  protìeient.  aloen    sumat.    Sci    purga tiones 

quoque,  ut  interdum  neoessariae  sunt,  sic, 
obi  frequentes  sunt,  perìculum  aflèrunt  (  as- 
suescit  enim  non  ali  corpus )  ;  cum  omnibus 
morbis  obnoxia  maxime  infirmi tas  sit. 

De  lùs  quae  caìefaciunt^  et  refrigerane 
corpus. 

Calefacil  autem  unclio,  aqua  salsa,  ma- 
gisque  si  «alida  est,  omnia  salsa,  amara,  car- 
nosa, si  posi  (iliimi  est,   balneum.    \iniim    au- 

sterum.  Refrigerai  in  jejuno  el   balneum,  el 

lomnus,  nisi  niinis  (ongUS   est,   et    omnia   aei- 

da  ;  aqua  quam  frigidissima  ;  oleum  si  aqua 

mix.  tur. 


i.   s  o 

chi  vomitò,  il  [ecc.  la  mattina,  deve  passeggia- 
re, poi  ugnerai,  indi  cenare  :  se  dopo  cena,  il 
seguente  dì  lavarsi,  e  sudare  nel  bagno.  A 
questi  è  buono  che  P alimento  che  prende  ap- 
presso sia  in  mezzana  quantità,  e  questo  con- 
sista in  pane  di  un  dì,  vino  puro  austero  e 
carne  arrostita,  e  eibi  tulli  asciuttissimi.  Cbi 
vuol  recere  due  volte  al  mese,  meglio  farà  vo- 
mitando per  due  dì,  anzi  (die  dopo  il  quindi- 
cesimo, tranne  in  questo  mezzo  non  ne  nasca 
oppressione  del  petto. 


/'// 


rgagioni. 


Anche  il  secesso  bisogna  provocarlo  eoi 
medicamenti,  «dioiche  evacuandosi  poco,  ne 
insorgono  flatuosità,  abbagliamenti,  dolori  di 

capo  e  altri  incomodi  alla  regione  superiore. 
("osa  possono  mai  giovare  a  questi  accidenti 
l'astinenza  e  il  riposo  i  (piali  soglionanzi  pro- 
durli? Chi  vuol  andare  di  corpo,  deve  prima 
usare  cibi  e  vini  alti  a  questo  intento,  poi  se 
questi  operano  poco,  ricorra  all'aloe.  Ma  an- 
che le  purghe,  se  come  tal  fiata  si  rendono 
necessarie,  così  se  frequenti  sono  pericolose. 
Si  accostuma  il  corpo  a  non  nutrirsi,  e  la  de- 
bolezza ne  espone  a  tutti  i  mali. 

Riscaldanti  e  refrigeranti. 


Riscalda    l'unzione,    l'acqua    salala  e  più 
se  calda,  tulle  le  robe  salse,  amare,  carnose  :  il 

b. nino  pigliato  dopo  il  cibo  e  il  vino  austero. 
Rinfrescano  il  bagno  a  digiuno  e  il  dormire 
ma  non  troppo  lungamente  :  tulle  le  (ose  aci- 
de, l'acqua  freddissima  mista  air  olio. 


/)>■  hii  OUOé  ìitimidant,  et  sircant. 

Bumidura  autem  corpus  efficil  labor  ma- 
jor, qu  ino  ex  i  onsuetudine,  frequens  balneum, 
cibus  plenior,  multa  polio  :  posi  haec  ambu- 
la tio,  el  vigilia  i  per  se  quoque  ambula  tio  mul- 
ta .1  rehemens,  el  matutinae  exercitationi, 
non  protinui  i  tbus  adiectus:  ea  genera  i 
qnae  reniunl  ex  Uh  is  frigidis  el  pluviis,  el  ir- 
rigui*. Contri  liccal  modica  exerci  la  tio,  fa- 
me*, onctio  sine  aqua,  calor,  solmodicus,  1 1  i- 

•  jiu.  exercitationi  statina  subjectus,  el  is 
«  i    H  ,i  i  j  •  ■  - 1 1  locù   veniens. 


Umettanti  e  disseccatiti . 

I   niella  il  colpo  il  la  l 'naie  meno  dell'usa- 
lo :  lo  s|iesv>  bagnarsi,  il  mangiar  mollo,  e 

molili  bere  :   appresso  queste  cose  il  passeggio 

e  l.i  veglia  :  per  sé  solo  anche  il  mollo  e  fot  te 
camminare  :  e  lo  stare  alcun  tempo  senza  man- 
giare dopo   I    esercìzio  della  mallina  :    ulliina- 

111  ente  quegli  alimenti  che  provengono  «la  luo- 
ghi freddi,  piovosi  ed  acquatici,  all'incontro 
prosciuga  lo  smoderato esen  fzio,  la  fame,  I  "" 
/ione  senza  acqua,  il  caldo.  I  ardente  iole, 
l' acqua  fredda,  >'  mangiare  subito  fatto  eser- 
cizio, e  cose  venute 


d.i    luoghi    e  d.li  e  .hi  mi  li 


lh>.  hit  01104  ah  um  adstringuni  et 
uni, 


Astringenti  e  rilassanti  il  ventre 


\I\uiii  ailatringit labor,  sedile,  creta   li- 
'_'nl  ii  i >.  corpori  illita,  cibus  imminutu  i    <  \  <  - 


i  i  Mi     i    uro  pi ua  ab  eo,  qui 

[uè  adhibita,   nisi 


i     itipa  d  ventre  la  fatica,  lo  stare  seduto, 

la  creta  dei  pignattai   impiastrata  sul   venti  i . 

bis  solei  ;     l.i  diminuzione  d<  I  cibo,  e  questo  pr n  mia 

i  um  cibi     volta  da  «  hi  è  abitualo  a  due  I..  bevan  !  i 


DELLA    MEDICINA 


quis  quantum  assumpturus  est,  cepit;  post  ci- 
bimi quies.  Conlra  solvit  acuta  ambulatio  at- 
ipie esca,  raotus  qui  post  cibimi  est,  subinde' 
poliones  cibo  immixtae.  lllud  quoque  scire 
oportet,  quod  ventrem  vomitus  solutum  com- 
primit,  compressum  solvit  :  itemque  compri- 
xiiit  is  vomitus,  qui  statini  post  cibuui  est  ; 
solvit  is,  qui  tarde  supervenit. 


De  aetatum  varietale. 

Quod  ad  aetates  vero  pertinet,  inediam 
facillime  sustinent  mediae  aetates,  minus  ju- 
aciìcs  ,  minime  pueri  et  senectute  confecti. 
Quo  minus  fert  facile  quisque,  eo  saepius  de- 
bet  cibum  assumere  ;  maximeque  eo  eget,  qui 
inerescit.  Calida  lavaLio  et  pueris  et  senibus 
apta  est.  Vinum  dilutius  pueris,  senibus  me- 
racius,  neutri  aetati,  quae  inflalionis  movent. 
Juventini  minus,  quae  assumant,  et  quomodo 
curentur,  interest.  Quibus  juvenibus  fluxit 
alvus,  plerumque  in  senectute  contrahitur  : 
*] 1 1 ibus  in  adolescenlia  fuil.  adslricla,  saepe  in 
senectute  solvitur.  Melior  est  autem  ut  juvene 
fusior,  in  sene  adstrictior. 


De  varietale  temporum. 

Tempus  quoque  anni  considerare  opor- 
tet. Hieme  plus  esse  convenit  ;  minus,  sed  me- 
racius  bibere  ;  multo  pane  uli,  carne  potius 
clixa,  modice  oleribus  ;  semel  die  cibum  ca- 
pere, Disi  si  nimis  venter  adstrictus  est.  Si 
prandet  aliquis,  utilius  est  exiguum  aliquid, 
el  ipsum  siecum  sine  calne,  sine  potione  su- 
mere. Eo  tempore  anni  calidis  omnibus  po- 
tius utendum  est,  vel  calorem  movenlibus. 
Venus  tum  non  aeque  perniciosa  est.  At  vere 
paulum  cibo  demendum,  adjiciendumque  po- 
tioni,  sed  dilutius  tamen  bibendum  est;  ma- 
gi* carne  utendum  magia  oleribus;  transeun- 
dum  paulatim  ad  assa  ab  elixis.  Venus  eo 
tempore  anni  tutissima  est. 


De  diaeta  ciborum  polionumgue. 

'ite  vero  et  potione  et  cibo  saepius 
corpus  egei  :  ideo  prandere  quoque  comodum 
est  Ko  tempore  aptissima  sunl  et  caio  et 
olus  ;  polio  quam  dilulissima,  ni  et  silini  tol- 
l.il,  nec  corpus  incedani  ;  frigida  lavalio,  caio 
assa,  frigidi  cibi,  vel  qui  refrigerent.  Ut  sae- 
pius autem  cibo  utendum,  sic  exiguo  est. 

Autumnalls  diaeta. 

Per  aatumnum  vero,  propter  coeli  tarie- 
i  iiciii.  perkulum  maximum  est.  ltaque  neque 


3i 

sa  ed  usata  soltanto  fra  il  pasto  ;  il  riposo  dopo 
mangiato.  Scioglie  ali1  incontro,  l1  aumentato 
esercizio  e  il  cibo  ;  il  molo  che  si  fa  appresso 
il  desinare  ;  il  bere  tratto  tratto  mangiando. 
Vuoisi  pur  sapere  che  il  vomito  ristringe  il 
ventre  se  sciolto  ;  lo  scioglie  se  costipalo  : 
ugualmente  lo  ristringe  quel  vomito  che  suc- 
cede immediatamente  al  mangiare;  lo  scioglie 
quello  che  sopravviene  tardo. 

Differenze  d'età. 

Rispetto  all'  età,  quelle  di  mezzo  sosten- 
gono agevolmente  la  fame,  meno  i  giovani, 
niente  i  ragazzi  e  i  vecchi.  Quanto  meno  altri 
facilmente  la  sopporta,  tanto  più  spesso  deve 
cibarsi,  e  principalmente  chi  è  tuttavia  sul 
crescere.  Le  calde  bevande  proprissime  sono 
ai  ragazzi,  e  ai  vecchi.  A  questi  vino  puro,  a 
quegli  annacquato  ;  a  niuni  cose  flatulenti. 
Meno  riguardi  sj  richiedono  ai  giovani  sia  nel 
mangiare,  sia  nelle  altre  cose.  Quelli  che  da 
giovani  ebbero  sciolto  il  ventre,  per  lo  più  lo 
hanno  costipato  da  vecchi  :  e  quelli  che  lo  eb- 
bero costipato  da  giovani,  sogliono  patire 
scioltezza  da  vecchi.  Meglio  è  averlo  sciolto  in 
gioventù,  costipato  in  vecchiezza. 

Varie  stagioni. 

Bisogna  aver  riguardo  anche  alle  stagio- 
ni. Di  verno  si  deve  mangiare  di  più  :  bere  me- 
no ma  puro  :  usar  molto  pane,  carne  piuttosto 
allessa,  moderatamente  erbaggi  :  fare,  se  non  è 
soverchiamente  costipato  il  corpo,  un  solo  pa- 
sto al  dì  ;  chi  pranza,  meglio  è  che  mangi  po- 
co, e  questo  asciutto  senza  carne  e  senza  be- 
vanda. In  questa  stagione  si  deve  prendere  tut- 
to caldo,  od  almeno  cose  che  eccitino  calore. 
La  venere  allora  non  è  tanto  contraria.  Alla 
primavera  si  convien  diminuire  alquanto  il 
mangiare,  aumentare  il  bere,  ma  più  inna- 
cquato :  usare  in  maggior  copia  carne  ed  er- 
baggi :  e  a  poco  a  poco  ritrarsi  dalle  cose  al- 
lessate alle  arrostite.  La  venere  è  a  questo  tem- 
po dell1  anno  scevra  d1  ogni  pericolo. 

Dieta  di  estate. 

])i  siale  si  ha  bisogno  di  più  spesso  man- 
giare, e  bere  :  perciò  utile  è  pranzar  pur  anco. 
Àdattatissimi  a  questa  stagione  sono  gli  erbag- 
gi eia  carne:  la  bevanda  temperatissima,  allin- 
eile tolga  la  sete  senza  incalorire  il  Corpo  :  le 
fredde  lavande,  la  carne  allessa,  i  cibi  freddi  o 
rinfrescativi.  Come  si  deve  mangiare  spesso, 
così  poco. 

Dieta  in  autunno. 

In  autunno  poi  pei  cambiamenti  dell'  aria 
si  corre  grave  pericolo.  Non  si  esca  né  spoglia- 


32  CELSO 

sme  veste,  ncque  sine  calceamentis  prodiri 
oportet,  praecipueque  diebas  frigidioribus, 
neque  sub  divo  aocte  dormire,  aut  certe  bene 
operili.  Cibo  vero  jam  paulo  pleniore  uli  li- 
cei ;  minus  sed  meracius  bibere.  Poma  nocere 
quidam  putant,  quae  Lmmodicae  loto  die  ple- 
rumque  sic  assumuntur,  ne  qaid  ei  densiore 
cibo  remittatur  :  ita  non  baec,  sed  consum- 
matio  omnium  nooet.  Ex  quibus  in  nullo  ta- 
men  mino»,  quam  in  bis  noxae  est.  Sed  bis 
uli  non  saepius,  «inaia  alio  cibo  eonvenit.  C  - 
nique  nliquid  densiori  cibo,  cnm  bie  accedit, 
irium  esl  demi,  Neque  aestate  vero,  nc- 
que autumuo  ulilis  Venus  est  :  tolerabilior 
lumen  per  autumnum  :  estate  in  totani,  si  fie- 
ri potest,  abstinendum  est. 

Cw.  iv.  —  De  his  qui  caput  infirmimi  est. 


Proximnm  est,  ut  de  iisdicam,  qui  par- 
tc-.  aliquas  corporis  imbecillas  babent.  Cui  ca- 
put infirmimi  est,  is,  si  bene  ooncoxerit,  leni- 
i.  i  perf ricare  id  mane  manibus  suis  debet; 
numquam  id,  si  fieri  potest,  veste  velare;  -"1 
cntera  tonderi;  utileque  lunani  vitare,  maxi- 
meque  ante  ipsum  lunae  solisque  concursura  ; 
sed  nusquam  posi  cibum.  Si  cui  capilli  sunt, 
quotidie  pi  etere  i  mnltum  ambulare,  sed,  si  li- 
cet,  neque  sub  tecto,  neque  in  sole  :  utique  au- 
i.  in  vitare  solis  ardorem,  maximeque  post  ci- 
bum '•!  \iiiimi:  potius  ungi,'quam  lavari;  num- 
quam «id  fiammam  ungi,  interdum  ad  pru- 
iiiiin.  Si  in  balneura  venit,  sub  veste primum 
paulum  in  Tepidario  insudare,  ibi  ungi,  tum 
transire  in  calidarium  ;  ubi  sudaril   in  solium 

ii [escendere,   sed   multa  calida  aqua  per 

caput  se  totura  perfundere,  tum  tepida,  dein- 
de frigida  :  diutiusque  ea  caput,  quam  cete- 
ptes  perfundere  :  deinde  id  aliquam- 
diu  perfricare  ;  novissime  detergere  el  ungere» 
Capiti  niliil  aeque  prodest atque aqua  frigida: 
Uaque,  is.  cui  boc  infirmimi  est.  per  aeslatem 
id  ben  di  quotidie  debet  aliquam- 

diu  lubjicere.  Semper  autem,  etiam   si  sine 
!  unctus  «si.  neque  totura  corpus  n  fri- 

sa itinel  .   capul    tamen    aqua    frigida 
perfund  ri     Sed  i  um  cetei as  parles  al tingi 
nubi,   ih  imi  ii  i  e  i,|.   ne  ad  cervices  aqua  de- 
al ;  i  aniqur.  ne  quid  oculis,  aliisvc  par- 
libus  noceat,  defluenlera  subinde  manibus  ad 

e.  Iluic  i licus  cibus  •  arius 

>  oqual .   i>  pi. .  ~i   jejunio 

lai  ditur,  a  etiara   >"<  dio  dit- 

esi ;  si  non  (aedi tur,  temei  potius.  Bibi  re  buie 

|<    vimini  •libitum,  lene,  qiiam  aqiiam  ma- 

pedit;  ni  cura  caput  gravius  < 
ni.  sii    quo  eique  ei    loto  neque 

\  illuni  ntilia  Mini  :  medi- 

ti um  utrumque  <^i  <  um  m\  i<  em  assu- 

■  ,  ..un  min  e,  buie 


ti,  nò  a  pie  mulo,  particolarmente  nelle  gìorna" 
te  fredde  non  dormire  al  sereno,  o  almeno  co- 
prirsi bene.  Bisogna  farsi  a  mangiare  un  poco 
più,  bever  meno,  ma  puro.  Alcuni  dicono  che 
le  trutta  tanno  male,  le  quali  senza  misura  si 
mangiano  a  lutto  pasto,  senza  scemare  punto 
del  sostanzioso  mangiare:  così  non  le  trutta, 
ma  queir  impinzarsi  è  ebe  nuoce.  Anzi  in  nes- 
suna qualità  d"  alimento  v"  ha  minore  perico- 
lo* .Ala  di  queste  non  se  ne  deve  mangiare  più 
Spesso  che  d'altro  cibo.  Finalmente  ove  sì  tac- 
cia giunta  di  queste,  necessario  è  diminuire 
un  poco  del  cibo  più  nutritivo»  I  congressi  ve- 
nerei non  sono  buoni  uè  di  slate  ne  di  autun- 
no :  più  comportabili  però  d'autunno  :  di  sla- 
te, se  si  può,  cornicia  astenersene. 

Cal\  iv.  —  Di  quelli  chr.  hanno  debolezza 
di  testa. 

Ora  dico  di  quelli  che  hanno  debili  alcu- 
ne parti  dei  corpo  loro.  Chi  ba  il  capo  debole, 
se  I"  lieve  al  mattino,  se  perfettamente  digerì, 
delicatamente  stropicciare  colle  proprie  mani; 
non  mai  se  si  può,  ricoprirlo  :  tènderlo  tino  a 
pelle  :  e  sarà  bene  schifare  la  luna,  principal- 
mente prima  della  sua  congiunzione  col  sole  ; 
ma  non  mai  dopo  il  cibo.  Chi  ba  i  capelli,  se 
gli  dee   pettinare  ogni   giorno:   passeggiare 

molto,  ma  se  .si  può  ne  sul  ■  >  tetto,  ne  al  scie:  e\  i- 

tare  assolutamente  L'ardore  del  sole,  e  massi- 
mamente dopo  aver  mangialo  e  bc\  UtO  :  piut- 
tosto ugnersi  che  lavarsi  ;  non  mai  alla  fiam- 
ma, alcuni  volta  alla  brace.  Se  va  al  bagno, 
deve  prima  senza  spogliarsi  sudare  un  poco  nel 
tepidario,  ungervisi,  passare  poi  nel  calidario 

a  Sudarvi,  non  scendere  nel  bagno,  ma  spar- 
gere per  lo  capo  moli"1  acqua  prima  calda  di- 
poi tepida,  ultimamente  fredda  :  docciarne  p<  f 

più   lungo  tempo  il  capo  clic  li'  al  Ire  parli  :  pò  - 

scia  stropicciarlo,  infine  tergerlo  ed  ugnerlo. 
Niuna  cosa  più  giova  al  capo  dell*  acqua  fred- 
da :  perciò  chi  lo  ba  debole,  deve  di  state  sot- 
toporlo per  alcun  tempo  Ogni  dì  ad  un  canale 

d'acqua.  V.  sempre  ancorché  si  sia  uni"  senza 

bagno,    e  nuii    si  senta    di   i  intrescarsi    tutto  il 

corpo,   i\i\t'  puri-  spargere  acqua   fresca  sul 

capo.    Maliuu    volendo    ebe    V  acqua    tocchile 

altre  parli,  bisogna  tuffarvj  il  capo,  onde  non 

v.  enda    pel  culi..  :  e  perche   imn  l.u -eia  male  a     li 

occhi  e  ad  ali  re  parti,  devesi  via  via  culle  mani 
ritrarre  la  discorrente  acqua  al  capo.  Fa  d  uo- 
po che  mangi  poco,  onde  poter  ben  dig<  rire  i 
e  se  pel  digiuno  è. offeso  il  capo,  <\<\t-  cibarsi 
anche  sul  mezzodì  :  se  non  è  offeso,  meglio 
w\ì.i  sola  \ulia.  Più  confacentc  è  eh1  egli  abi- 
tualmente b<\a  vino  leggiere  adacquato  che 
acqua  pina,  acciocch  è  quando  prendaa  doler 

gli   il  Capo,  abbia  u\e   ri. i  I    :   a  hi da 

i  dai  e  ni  ili  ii  '.  né  I  a<  qu  i  senapi  t  -  l1  uno  e 
1'  nitro  è  nn  dicumento  usandone  s  vici  ud  i 


DELLA    MEDICINA  33 

opus  non  est,  utique  post  coenam  ;  post  quam  Lo  scrivere,  leggere,  declamare,  non  fanno  per 
ne  cogitatio  quidem  ci  satis  tuta  est:  maxime  lui,  principalmente  dopo  cena  :  dopo  la  quale 
lamen  vomitus  alienus  est.  né  anche  il  meditare  gli  può  esser  sano,  ma 

più  di  tutto  contrario  è  il  vomitare. 


Cap.  v.  —  De  his  qui  lippìtudine,  granelli- 
ne, destillatione,  tonsillisque  laborant. 

Neque  vero  his  solis,  quos  capitis  imbe- 
cillilas  torquet,  usus  aquae  frigidae  prodest  ; 
sed  iis  etiam,  quos  assiduae  lippitudines,  gra- 
\edines,  deslillationes,  tonsillacque  male  ha- 
bent.  His  autem  non  caput  tantum  quotidie 
perfundendum,  sed  hqs  quoque  multa  frigida 
aqua  fovendum  est  ;  praecipueque  omnibus, 
quibus  hoc  utile  auxilium  est,  eo  ulendum 
est,  ubi  gravius  coelum  austri  reddiderunt. 
Cumque  omnibus  inutilis  sit  post  cibum  aut 
conlentio,  aut  agitatio  animi  ;  lum  iis  prae- 
cipue,  qui  vel  capitis,  vel  arteriae  dolores  ha- 
bere  consuerunt,  vel  quoslibct  alios  oris  af- 
fectus.  Vilari  cliam  gravedines,  destillafiones- 
que  possunt,  si  quam  minime,  qui  his  oppor- 
tuni^ est,  loca  aquasque  mulat  ;  si  caput  in 
sole  protegil,  ne  incenda  tur,  neve  subilum  ex 
repentino  nubilo  frigus  id  moveai  ;  si  post 
eoneoctionem  jejunus  caput  radit  ;  si  post  ci- 
bum neque  legit,  neque  scribit. 

Cap.  vi.  —  Adsolutam  alvum  remedia. 


Quem  vero  frequenter  cita  alvus  exer- 
cet,  buie  opus  est  pila  similibusque  superiores 
partes  exercere  ;  dum  jejunus  est,  ambulare  ; 
vitare  solem,  continua  balnea  ;  ungi  citra  su- 
dorem  ;  non  uti  cibis  variis,  minimeque  ju- 
rulentis,  aut  leguminibus  oleribusve  iis,  quae 
celeriter  descendunt;  omnia  denique  sumere, 
quae  tarde  concoquuntur.  Venatio,  durique 
pisres,  et  ex  domesticis  animalibus  assa  caro 
maxime  j  uva  ut.  Numquam  vinum  salsum  bl- 
bere  expedit,  ne  tenue  quidem,  aut  dulcc, 
led  insterum,  et  plenius,  neque  id  ipsura 
perretus.  Si  mulso  uti  volet,  id  ex  decocto 
incile  faeiendum  est.  Si  frigidae  potiones  ven- 
ti ■<  in  cjus  non  lurbant,  bis  utendum  polissi- 
mum  est.  Si  quid  offensac  in  cocna  scnsil,  vo- 
mere debel  ;  idque  postero  quoque  die  facere  ; 
tertio,  modici  ponderis  panem  ex  vino  esse, 
adjecla  uva  ex  olla,  vel  ex  defililo,  similibus- 
que aliis:  deinde  ad  ronsucludinem  redire. 
Semper  autem  posi  cibum  eonquiescere,  ac 
neque  intendere  animum,  ncque  ambulatone 
guamTÌs  leni  dimoTei ì. 

Cap.  vii.  —  Ilemedia  ad  coli  dolorem. 


Cap.  v.  —  Degli  affetti   da  male  d'  occhi, 
di  gola,   infreddature,  e  flussioni. 

Ma  T  uso  dell1  acqua  fredda  non  giova 
soltanto  a  quei  che  hanno  debolezza  di  capo, 
ma  a  quelli  ancora  che  soffrono  continuamen- 
te mali  d1  occhi,  di  gola,  infreddature  e  flus- 
sioni :  questi  non  solo  debbono  spargere  per 

10  capo  acqua  fredda  ogni  dì,  ma  sciacquar- 
sene anche  la  bocca:  tutti  quelli  a  cui  è  ri- 
chiesta simil  cosa,  ne  devono  particolarmente 
far  uso,   allorché  i  venti  australi   rendettero 

11  aere  pesante,  ma  singolarmente  quelli  che 
vanno  soggetti  al  dolor  di  capo,  di  gola  od  a 
qualunque  altra  malattia  della  bocca.  Si  pos- 
sono schivare  aiiche  i  raffreddori  e  le  flussioni 
cangiandosi  da  ehi  v1  è  soggetto  meno  che  può, 
luoghi  ed  acque  :  riparando  il  capo  dal  sole, 
onde  non  si  riscaldi  ;  o  perchè  un  repentino 
freddo  insorto  per  un  subitano  annuvolamen- 
to non  lo  indisponga  :  radendosi  a  digiuno,  o 
fatta  la  digestione,  il  capo  ;  non  leggendo  né 
scrivendo  appresso  il  cibo. 

Cap.  vi.  —  Rimedi  contro  la  scioltezza 
di  ventre. 

Chi  patisce  flusso  di  corpo,  deve  eserci- 
tare le  parli  superiori  alla  palla  e  ad  altrettali 
esercizi:  passeggiare  a  digiuno:  schifare  il 
troppo  cocente  sole  :  i  continui  bagni  :  uffner- 
si  senza  sudare  :  non  far  uso  di  cibi  variati,  e 
non  mai  dei  succolenti  o  dei  leguminosi,  o  di 
quegli  erbaggi  che  prestissimo  discendono. 
Giovano  i  selvaggiumi,  i  pesci  duri  e  la  carne 
arrostila  degli  animali  domestici.  Non  è  il  caso 
bever  vino  salato,  leggiero  o  dolce  ;  ma  sì  au- 
stero e  grosso,  uè  esso  pure  troppo  reechio. 
Se  vuol  far  uso  del  mulso,  questo  si  deve  fare 
di  mele  cotto.  Se  il  bevere  freddo  non  gli  scon- 
volge il  ventre,  questo  è  sommamente  da  usa- 
re. Se  si  accorge  avergli  fatto  noja  la  cena,  si 
convien  che  vomiti,  e  ripeterlo  ancora  il  gior- 
no dopo  :  al  terzo  prendere  un  poco  di  pane 
inzuppalo  nel  vino,  a  cui  si  unisce  uva  stala 
nell1  olio,  o  nella  sapa  e  simigliatiti  altre  cose  : 
dipoi  ritornare  al  consueto.  Dopo  aver  man- 
gialo riposare  sempre,  e  non  applicar  la  men- 
te, né  muoversi  pure  a  lento  passo. 


Cap.  vii.  —  Rimedi  contro  i  dolori 
[  al  colon. 


Al  si  Iaxius  in t eslinura  dolere  consuevit,  Se  queir  intestino  assai  ampio  che  si  chia- 

quod  calura  n<  minant,  «  « 1 1 . i  ni  nihil  niti  gè-    ma  colon,  va  soggetto  .;t  dolori,  siconvieu  fa- 

Ctho.  5 


pus  inflalionis  sit.  id  agendola  est.  ut  conco- 
qual  aliquis,  ut  lecitone,  aliisque  geaeribtti 
exerceatur,  utatui  balneo  calido,  eiì»is  quoque 
ttionibus  calidii  :  deuique  omui  modo  fri- 


c   L   L   s  o 


et  p 

gus  vitet,  ìlem  dulcìa  omnia,  leguminaque, 
quiquid  inllaic  consuoni. 


re,  non  essendo  questo  se  non  clic  una  flatua- 
aione,  che  la  persona,  affinchè  ben  digerisca, 
si  eserciti  leggendo  Torto,  o  in  altre  maniere  : 
faccia  bagni  calili,  mangi  e  beva  pur  cose  cal- 
de :  schivi  per  ogni  modo  il  freddo  :  e  le  robe 
dolci  e  le  leguminose,  e  tulio  elio  suole  inge- 
nerar flatulenze. 


(       V, 


N1Ui  —  (lune  agenda  tini  stomaclio 
laborantibus. 


Cap.  viii.  —  Cura  per  la  debolezza 
di  stomaco. 


Si  quia  vero  slomacho  laborat ,  logore 
dare  debet;  post  lectionem  ambulare-,  lum 
pila,  vel  armis,  aliove  quo  genere,  quo  supe- 
rior  pars  moveiur,  exerceri  ;  non  aquam,  sed 
vinum  calidum  bibere  jejunus;  cibum  bis  die 
assumere,  sic  tamen,  ut  facile  concoquat,  uti 
vino  tenui  et  austero,  et  posi  cibum  frigidis 
polionibus  potius.  Stomachimi  autem  infir- 
mum  indicant  j)allor,  macies,  praecordiorum 
dolor,  nausea,  el  nolentium  vomita*,  in  jeju- 
no  dolor  capitis.  Qoae  in  quo  non  sunt,  is 
i'u  mi  stomachi  est.  Ncque  credendum  utique 
nostris  est,  (ini.  cimi  in  adversa  valetudine 
finum  aut  frigidam  aquam  concupiverunt , 
deliciarum  patrocinium  in  accusationem  non 
merentis  stomachi  habent  Ai  qui  iarde  con- 
coquunt,  el  quorum  ideo  praecordia  inflan- 
1 1 1 1  quive  propter  ardorem  aliquem  noctu  si- 
tire  consuerunt,  unte  quam  conquiescant, 
duos  tresve  cyathos  per  tenuem  fislulam  bi- 
bant  Prodest  etiam  adveraus  tardam  conco- 
ctionem  clai  deinde  ambulare^  tum 

\r]  ungi  vel  lavari.  assidue  vinum  frigidam 
l.ib.  re  ri  posi  cibum  magnani  potionem,  sed, 
ni  Miju.i  divi,  per  siphonem  :  deinde  omnes 
potiones  aqua  frìgida  includere.  Cui  vero  ci- 
i.  ani.'  rum  bibere  aqnam  egeli- 
d.mi  debet,  el  vomere:  ai  si  cui  ex'hocfire- 
quens  di  jectio  incidit,  quotici  al?ns  ei  consti- 
ii  i  ii.  frigida  pollone potissimum  utatur. 


Chi  soffre  di  stomaco,  deve  leggere  a  vo- 
ce chiara  :  lei  lo  che  abbia  camminare  :  dipoi 
esercitarsi  alla  palla,  alle  armi  «>  in  altro  qual- 
sivoglia modo  che  muova  le  parli  superiori  : 
bere  a  digiuno  non  acqua,  ma  \ino  caldo: 
mangiare  due  volle  al  dì  in  maniera  che  fa- 
cilmente digerisca  :  servirsi  di  vino  picciolo  e 
austero,  e  dopo  mangiato  usare  piuttosto  be- 
vande fredde.  11  pallore,  1'  emacia Lezza,  il  do- 
lor de1  precordi,  la  nausea,  il  vomito  involon- 
tario, il  dolor  di  testa  a  digiuno  indicano  fie- 
volezza di  stomaco.  Chi  non  ha  questi  è  l'orlo 
di  stomaco.  Non  vuoisi  prestar  fede  nessuna 
ai  nostri,  i  quali  avendo  in  malattia  desidera- 
to vino,  otl  acqua  fredda,  cercano  nclP  accusa 
dillo  innocente  stomaco  la  difesa  della  loro 
morbidezza.  Ma  quei  che  tardo  smaltiscono,  e 
a  cui  perciò  si  enfiano  i  precordi,  e  che  per 
alcuna  arsura  usali  sono  patir  scie  ili  notte, 
bevano  prima  di  andar  a  lètto  due  0  Ire  bic- 
chieri per  SOttil  cannello.  Per  la  larda  dige- 
stione giova  pure  il  leggere  a  chiara  voce,  in- 
di passeg  ;iare,  poscia  ungersi,  o  lavarsi:  bere 
ordinariamente  vino  (Vedilo,  e  dopo  mangiato 

lire  una  lunga  bevula,  ma  come  diceva  di  so- 
pra, per  cannello  :  dopo  di  che  chiudere  lutto 

le  bevande  coir  acqua  fredda.  Colui  a  cui  s1  i- 
nagrisce  il  mangiare,  deve  innanzi  quello  in- 
gozzare acqua  lepida,  e  vomitare  ;  e  se  A.\  ciò 

ne  viene  flusso  di  ventre,  tostochè  e1  siasi  sta- 
gnato, usi  sopra  ogn' altra  cosa  il  bever  freddo. 


i\.  —  Quid  obttrvanium  sit  dolore 
limar u in  laborantibus. 


Cap,  i\.  —  Cura  per  il  dolore  di  /icrvi. 


,1.  qnod  i" 
eonsuevit,  buie  quan- 
tum ti  ndum  id  est,  qnod  al- 
le, inni  ■  •■  i.  ■I.ji,  i.  udumque  laboi  i  et  ti  i  u-  •  •  '  '  ! 
',  quo   quid  "ph- 
inimu  i  est  ;  concoclio 
I 

i  id  m  ixime  laedit.   el   quolies 
un  coi  pu  i est,  villosa  |    i  tntil 


io  autem  omnibus  ••  ì  1 1  i  -^  occui  - 

i  ',i    fri        itti      ilor  :  qu  a    «.- 


Chi  soffre  dolore  di  nervi,  iiccom<  suole 
avvenire  nella  podagra  e  nella  chi r agra,  devo 
quinto  piu  pud,  esercitare  la  parte  affetta,  a 
Bbltoporfa  alla  fatica  e  al  freddo,  almeno  quan- 
do non  è  troppo  intenso  il  dolore,    intuire  .il 

lora  meglio  tu  tutto  è  il  riposo,  La  veneree 
sempre  contraria  :  necessaria  siccome  in  tutte. 
le. dire  infermila,  la  digestione.   Perocché  la 

ilione  pia  iT  ogni  .ili'  •  !"  ■  m  cj  ba.  e 
o  i  |ual volta  il  corpo  <■  malafièlto,  la  parte 
oflèsa  ne  i  isente  di  più 

Comi    1 1    (ligi  iliom    li   oppone  a   lutto 

,  !     din     d    In  <l>\''      id    al- 


DELLA     TUEDICINY 


qui  quisque  prò  habitu  corporis  sui  debet. 
Frigus  inimicum  est  seni,  tenui,  vulneri, 
praecordiis,  intestinis,  vesicae,  auribus,  coxis, 
scapulis,  naturalibus,  ossihus,  dentibus,  nervis, 
vulvae,  cerebro  :  idem  summam  cutem  facit 
pallidam,  aridam ,  duram,  nigram  ;  ex  hoc 
horrores  tremoresque  nascuntur.  Àt  prodest 
juvenibus,et.  omnibus  plenis:  erectiorque  mens 
est,  et  melius  concoquitur,  ubi  fri  gas  est,  sed 
cave  tur.  Aqua  vero  frigida  infusa,  praeter- 
quam  capili,  etiam  stomacho  prodest  :  itera 
arliculis  doloribusquc,  qui  sunt  siue  uleeri- 
bus  :  item  rubicundis  nimis  hominibus  si  do- 
line vacant.  Calor  antem  adjuval  omnia,  quae 
frigus  infestat  :  item  lippientes,  si  nec  dolor, 
nec  lacrymae  sunt  ;  nervos  quoque,  qui  con- 
trahuntur  -,  praecipueque  ea  ulcera,  quae  ex 
f rigore  sunt  :  idem  corporis  colorem  bonum 
facit  :  uriuam  movet.  Si  nimius  est  corpus 
effeminai,  nervos  emollit,  stomachum  solvit. 
Minime  vero  aut  frigus  aut  calor  tuta  sunt, 
ubi  subita  insuetis  sunt.  Nara  frigus,  laleris 
dolores,  aliaque  vitia  ;  frigida  aqua,  strumas 
excilat  :  calor  concotionem  prohibet,  somnum 
autert,  sudore  digerii,  obnoxium  morbis  pe- 
stilentibus  corpus  efficit. 


tre  il  calore  ;  le  quali  cose  deve  seguire 
ciascuno  giusta  il  proprio  temperamento.  Il 
freddo  è  nemico  ài  vecchi,  ai  magri,  alle  fe- 
rite, ai  precordi,  alle  intestina,  alla  vescica, 
alle  orecchie,  ai  fianchi,  alle  scapole,  alle  par- 
ti genitali,  alle  ossa,  ai  denti,  ai  nervi,  al- 
l' utero,  al  cervello  :  esso  rende  la  cute  pal- 
lida, arida,  dura,  nera  :  da  ciò  ne  vengono  gli 
orrori  e  i  tremori.  Ma  fa  bene  ai  giovani,  e  ai 
grassi.  Quando  è  freddo,  la  mente  invero  è 
più  alacre,  e  meglio  si  smaltisce  ;  ma  bene  è 
schifarlo.  Giova  anche  l'acqua  fredda  irrora- 
tone oltra  il  capo  anche  lo  stomaco  :  parimen- 
te agli  arti  ed  ai  dolori  senza  esulcerazioni  :  e 
così  ai  troppo  floridi,  se  sono  privi  di  dolore. 
Il  calore  ripara  a  tutti  i  mali  del  freddo:  ugual- 
mente ai  mali  d'  occhi,  scevri  di  dolore  e  di  la- 
grimazione  :  ai  nervi  che  s'  irrigidiscono,  ed  in 
particolar  modo  a  quelle  ulcere  che  sono  naie 
da  freddo  :  fa  oltracciò  buon  colore,  e  provo- 
ca le  orine.  Se  è  troppo,  infiacchisce  il  corpo, 
rilascia  le  for^e,  sfinisce  lo  stomaco.  Ma  nò  il 
freddo,  ne  il  caldo  fanno  bene,  se  improvvisa- 
mente colgono  chi  non  v1  è  assuefatto.  Il  fred- 
do fa  venire  dolori  laterali;  l'acqua  fredda  le 
struìne.  Il  calore  proibisce  la  digestione,  leva 
il  sonno,  scioglie  in  sudore,  rende  il  corpo  più 
esposto  ai  mali  pestilenziali. 


Cap.  x.  —  Observatio  in  pe stilentia. 


Cai>. 


—  Preservati*. 
la  pestilenza. 


t  contro 


Est  etiam  observatio  necessaria,  qua  quis 
in  pestilentia  utatur  adirne  integer,  cum  ta- 
iiicii  securus  esse  non  possi  t.  'funi  igitur  opor- 
lei  peregrinari,  navigare:  ubi  id  non  licei, 
gestari,  ambulare  sub  divo,  ante  aestum,  leni- 
i-i  :  eodemque  modo  ungi:  et,  ut  supra  com- 
prehensum  est,  vitare  fatigationem,  erudita- 
lem  ,  frigus,  calorem;  libidi  nera  :  multoque 
magi*  se  continere,  si  qua  gravitas  in  corpore 
est.  Timi  Deque  mane  surgendum,  ncque  pe- 
dibus  nudis  ambulandura  est,  miniraeque  post 
cibum,  ani  balneum  :  neque  jejuno,  neque 
coenato  vomendum  est:  neque  movenda  al- 
\u>;  atque  etiam,  si  per  se  mola  est,  corapri- 
menda  est:  abstinendum  potius,  si  plenius 
corpus  est.  Itemque  vitandum  balneum,  su- 
dpr,  meridianus  somnus,  utique  si  cibus  quo- 
que antecessil  ;  qui  tamen  semel  die  tum  com- 
modius  assumitur  ;  insuper  etiam  modicus, 
ne  eruditateli]  moveat.  AJternis  diebus  mvi- 
cem,  modo  aqua,  modo  rimira  bibendum  est. 
Quibus  servati»,  et  reliqua  victus  consuetudi- 
ne quam  minimum  miliari  debet.  Cum  vero 
haec  in  omni  pestilentia  facienda  sin i,  lum  in 

ea     maxime,     quam     auslri     r\ril;innl       Alque 

etiara  peregrina  n  ti  bus  eadem  necessaria  sunt, 


V  è  un'  essenziale  cani  eia  da  aversi  per 
chi  si  ritrova  per  anco  in  una  pestilenza,  an- 
coraché non  ne  sia  sicuro.  Allora  imperi  a  n  lo 
fa  d1  uopo  viaggiare,  navigare  :  e  se  questo 
non  si  concede,  farsi  portare,  passeggiare  pia- 
cevolmente a  cielo  aperto  pel  fresco,  ungersi 
bel  bello;  e  come  è  indicato  di  sopra,  schifare 
la  stanchezza,  l1  indigestione,  il  freddo,  il  ca- 
lore, la  venere  :  e  lauto  più  vivere  regolata- 
mente, se  si  sente  alcuna  indisposizione.  Allo- 
ra non  si  deve  sorgere  dal  letto  per  tempo,  né 
andare  a  pie  nudo;  tanto  più  dopo  il  cibo  e  il 
bagno  :  uè  vomitare  a  digiuno,  né  dopo  cena  : 
ne  muovere  il  corpo;  che  anzi  se  fosse  mosso, 
devesi  arrestare  :  piuttosto  se  v'è  ripienezza, 
lare  astinenza  :  e  per  egual  modo  non  bagnar- 
si, non  sudare,  non  dormire  sul  me 
specialmente  se  anche  prima  si  è  preso  all- 
ineino. Questo  però  è  da  pigliarsi  allora  una 
soI;i  volta  al  dì:  ma  in  moderata  quantità, 
ondi;  non  ne  nasca  indigestione.  Bere  ai  dì  al- 
i-i  ni  (>•  ,i  acqua,  ora  \  ino  a  \  icenda.  Pel  resto, 
servale  queste  regola,  si  deve  cambiare,  il  me- 
no possibile  del  consueto  vivere.  E  questo  de- 
vesi mettere  in  pratica  in  qualsivoglia  morbo 
pestifero,  ma  in  quello  massimamente  che  in- 


: - 


CELSO 


obi  gravi  tempore  anni  discesscrunt  ex  suis 
sedibus,  vel  ubi  in  graves  regione*  venerunt. 
Ac  si  oetera  rcs  aliqua  prohibebit.  utique  absti- 
uere  debebil  :  atque  ita  a  vino  ad  aquam, 
ab  liac  ad  Miiuuj,  eo.  qui  saprà  positus  est, 
mudo.  trunsiius  ei  esse. 


citato  fu  da  venti  australi.  Sono  queste  regole 
pur  necessarie  a  chi  viaggia,  allorché  si  dipar- 
tì in  tempi  insalubri  dalle  natie  sedi,  oche  ca- 
pitò in  regioni  malsane.  Clic  se  alcuna  circo- 
stanza vieterà  le  altre  cose,  dovrà  almeno  lare 
astinenza,  e  in  modo  che  egli  possa  gittarsi  a 
sua  posta  dal  vino  all'acqua,  e  da  questa  .1 
quello  per  la  ragione  che  abbiamo  discorsa 
di  sopra. 


*3*E>$«C*w- 


A.  CORN.   CELSI 


DELLA  MEDICINA 


DE  MEDICINA 


DI  AULO  CORN.  CELSO 


P  R  M  F  A  T  I  O, 


PREFAZIONE. 


i 


nstanlis  autem  adversae  valetudinis  Si- 
ena complura  sunt.  In  quibus  explicandis  non 
dubitano  auctoritate  antiquorum  virorum 
uli.  maximeque  Hippocratis;  cum  recentio- 
res  medici,  quamvis  quaedam  in  curationibus 
mutarint,  tamen  baec  illum  optime  presa- 
gisse fateantur.  Sed  antequam  dico,  qnibus 
praecedentibus  morborum  timor  subsit  ;  non 
alien  uni  videtur  exponere,  quae  tempora  an- 
ni, quae  tempestatum  genera,  quae  partes  ae- 
talis,  qualia  corpora  maxime  tuta  vel  pericu- 
lis  opportuna  sint,  quod  genus  adversae  va- 
letudinis  in  quoque  timeri  maxime  possit. 
Non  quod  non  ornili  tempore,  in  orani  tempe- 
statum genere,  ornili s  aetatis,  omnis  habitus 
hornines,  per  omnia  genera  morborum  et  ae- 
Érotentet  moriantur;  sed  quod  frequentius 
tamen  quaedam  eveniant  ;  ideoque  utile  sit 
scire  unumquemque,  quid,  et  quando  maxi- 
me caveat. 


r 


segni  di  una  infermità  ebe  sovrasta,  so- 
no molti.  Nel  dichiarare  i  quali  non  dubiterò 
far  capo  all'  autorità  degli  antichi  rinomati 
scrittori,  e  principalmente  d1  Ippocrate  :  con- 
ciossiachè  sebbene  anche  i  più  recenti  medici 
fatto  abbiano  alcuni  cangiamenti  nelle  cure, 
convengono  tuttavia  aver  lui  intorno  a  questo 
particolare  divinamente  specolato.  Ma  anzi 
eh1  io  mostri  su1  quai  segni  precursori  si  fondi 
il  timore  delle  malattie,  e'  non  parmi  incon- 
venevole l1  esporre  quali  stagioni  e  quai  tem- 
pi, (piali  età  e  quai  corpi  sopra  gli  altri  sicuri 
siano  ovvero  opportuni  ai  pericoli,  e  quai  sor- 
ta di  mali  in  ciascuna  di  queste  circostanze  sia 
maggiormente  a  temere.  Non  già  che  in  qual- 
sivoglia tempo  e  stagione  gli  uomini  d1  ogni 
età  e  complessione  non  infermino,  e  muojano 
<F  ogni  fatta  di  mali,  ma  perchè  alcune  cose 
pivi  frequentemente  addivengono;  ed  imperò  si 
estima  necessario  a  chichessia  il  sapere  ciò  che 
delibasi  principalmente  schivare,  ed  in  quai 
tempo. 


L  1  lì  E  1\    S  E  CUNDUS 


— *>S>*>#«8*. 


C\p.  t.  —  Quac  anni  tempora,  quae  tempe- 
statimi genera,  quae  partes  aetatis,  gua- 
ita corpora  irei  tuta  bel  morbi*  opportu- 


na sint,  et  quod valetudini* 

que  linieri  possit. 


\enus  in  guo- 


Igitnr  saluberrimum  ver  est  :  proxime 
deinde  ab  hoc.  biems  :  perìculosior  aestas:  ati- 
bimnus  longe  periculosissimus.  Ex  tempestati- 
bas  vero  optimaé  aequàles  sunt,  sive  frigidae, 
sive  calidae  :  pessimae,  quae  maxime  variant. 
Qao  hi.  ni  aulnmnuspluriraos  opprima t.Nam 
fere  meridianis  temporibus  calor;  nocturnis 
atque  matutihis,  simulque  etiara  vespertini^, 
firigus  est.  Corpus  ergo,  el  aestate,  et  subinde 
meridianis.caloribus  relaxatum,  subito  frigore 
excipitur.  Sci  ut  eo  tempore  id  maxime  fit, 
aie,  quandocuraque  evenit,  noxium  est.  Ubi 
àeqnalilas  autera  est,  lanini  saluberrimi  sunt 
sereni  dies  :  meliores  pluvii,  quam  tantum  ne- 
bulosi, nubilive  ;  oplimiqtie  lucine,  qui  omni 
vento  vaca  ni  :  aestate,  quibus  favonii  perflant 
Si  gemi  s  aliud  vento  rum  est,  salubriores  se- 
ptemtrionales,  quam  sobsolani,Te1  austri  sunt: 
sic  taraen  baec,  utinterdum  regionum  sorte 
mu  leu  tur.  Nam  fere  ventus  ubique  a  mediter- 
ranei! regionibus  veniens,  saluoris;  a  mari, 
gravis  est.  Neque  solura  in  bono  tempesta  tara 
habitu  certior  faletudo  esl  :  sed  priores  mor- 
[ue,  si  <|ni  inciderunt,  le\  iores  sunt,  el 
promplius  l*i ni 1 1 n 1 1 1 r.  Pessimum  aegro  cocluni 
1  fecil  :  .l'I.»,  ni  in  i-l  quoque 

'-''•IM|S.  quod  natura  pcjui  est,  in  hoc  statu  sa- 
lubris  mulalio  sit.  il  aetas  media  tulissima 
est,  quae  neque  juvenlae  calore,  neque  sene- 

rlnlis  fi  I 

i  olii  adoli  i    p  ilei.  ( lorpus 

autem  babilissimum  quadratura  est,  neque 
gracile,  neque  obesum.  Nam  I  m  i  tatara,  ul 
in  inventa    decoi  >   est,  sic  matura    senectute 


(iili-iiiir  :  •_'!  .i.  ile  <  orpu 


inlir 


ibesi 


hebes  est.  vere  tamen  maxime,  qtiaecuinque 
humoris  mota  novantun  in  metu  esscconsue- 
runt.  I         i      i  lippitudim     pti  lulac,  profu- 

■  '  

i     i  nominant,    Iiilis  .ih .i .  quam 
"li.i.   moi  I 
miti  ili  rìeslillalin  i< 


C.\r.  i.  —  Stagioni  dell'  anno,  tempi,  tem- 
peramenti ed  età  più  o  meno  soggetti  a 
malattie,  e  quali  siano  i  mali  propri  a 
ciascuna  di  tali  circostanze. 


Fra  le  stagioni  la  primavera  è  la  più  sa- 
lubre :  dipoi  il  verno  ad  essa  prossimano;  peri- 
colosa La  .siale,  pericolosissimo  l'autunno.  In- 
fra i  tempi  dell'anno  òttimi  quelli  dir.  si  man- 
tengono eguali,  caldi  siano  o  freddi  :  pessimi 
ali1  incontro  i  mollo  variabili.  Dal  che  ne  av- 
viene che  L'autunno  ne  adduca  molli  a  mal 
termine  facendo  per  lo  più  caldo  al  mezzodì, 

freddo  alle  ore  della  sera  e  del  mattino,  m-n 
che  la  noi  le.  Quindi  il  corpo  nella  siale,  e  nei 
Susseguenti  calori  del  meriggio  rilassalo,  si  ri- 
mane costipato  dal  repentino  freddo.  K  sicco- 
me questi  cangiamenti  occorrono  più  che  al- 
tro in  questa  stagione,  cosi  in  qualsivoglia 
tempo  dell1  anno  avvengano,  sempre  sono  no- 
ccioli. Costanti  correndo  i  (empi  più  salubri 
sono  i  sereni,  meglio  i  piovosi  uè' nebbiosi  o 

nuvolosi  soltanto  :  Ottimi  di  verno  «pici  dì  che 
si    succedono    senza    \enlo.  e  di   siale    quando 

alitano  i  zeffiri.  Fra  i  venti  sono  più  salubri  i 
settentrionali  che  non  i  greci  od  australi.  Ma 
intorno  a  questo  v1  ha  sovente  diversità  per  la 

sposi/ione  del    paese    donde  i I  \  cu 1 0    procede. 

Perocché  se  deriva  «la  contrade  mediterranee 
(piasi  sempre  è  salubre  :  se  dal  mare  grave  ed 
infesto.  Ma  la  sanità  non  solo  è  più  ferma  nel- 
la buona  costituzione  del  tempo,  ma  anche  le 
infermiti  che  eransi  davanti  risvegliate  <•  più 
miti  si  rendono,  e  più  presto  terminano.  La- 
ria  più  triste  per  l'infermo  quella  si  è  che  I  in- 
fermità cagionogli,  così  che  in  questo  cu  i 
vevole  sarà  il  cambiamento,  ancoraché  si  fac- 
*cia  in  aria  peggiore.  L'età  di  mezzo  è  la  più 
sicura,    mentre   eh1  CSSa  non  è  insidiala  ne  dal 

bollore  della  giovanezza,  nù  dalla  freddezza 
della  vecchia ja.  Mie  malattie  lunghe  più 
giace  la  senile  età,  alle  .unte  l'adolescenza.  Il 
corpo  pili  favorevolmente  costituito  quello  si 
.  chi  è  quadrato,  e  non  magro  ne  prai  o.  Iro- 
'  è  1"  .dti  statura  se  p<''  un  lato  conferi- 
sci all'avvenenza  in  gioventù,  ne  espone  dal- 
l'alln    1 1  reo  hieti  i   II  corpo  magro  è 


ri  solenl.  li  quoque  morbi,  qui  in  articulis 
aer Tisane  modo  urgent,  modo  quiescunt,  cimi 
maxima  et  inchoantur  et  repetunt.  At  aestas 
non  quidem  vacat  plerisque  his  morbis  ;  sed 
adjù  il  febres,  vel  continuas,  vel  ardentes,  vcl 
tertianas,  vomitus,  alvi  dejectiones,  auricula- 
ìum  dolores,  ulcera  oris,  cancros,  et  in  ceteris 
quidem  partibus,  sed  maxime  obscocnis  ;  et 
quidquid  sudore  hominem  resolvit.  Vix  quid- 
eruam  ex  his  in  autumnum  non  incidit:  sed 
eriuntur  quoque  eo  tempore  febres  incertae, 
lienis  dolor,  aqua  inter  cutem,  tabes,  quam 
Graeci  <p9i<?iv  nominant;  urinae  difficultas, 
quam  g-^ayyov^iocv  appellai! t  ;  tenuioris  inte- 
stini morbus,  quem  zìXsóv  nominant  ;  laevitas 
intestino-rum,  quae  X£/si>Tép/e*  vocatur  ;  coxae 
dolores,  morbi  comitiales.  Idemque  tempus  et 
diulinis  malis  fatigatos,  et  ab  aestate  tantum 
proxima  presso»  interimit,  et  alios  novis  mor- 
bis conficit  ;  et  quosdam  longissimis  implicai, 
maximeque  quarlanis,  quae  per  hiemem  quo- 
i|iie  exerceant.  Neque  aliud  magis  tempus  pe- 
stilentiae  patet,  cujuscumque  ea  generis  est; 
quamvis  variis  rationibus  nocet.  Hiems  autem 
capitis  dolores,  tussim,  et  quidquid  in  fauci- 
bus,  in  lateribus,  in  viseeribus  mali  contrahi- 
lur,  iriilat.  Ex  tempeslalibus  ,  aquilo  tussim 
niovet,  fauces  exasperat,  venirem  adstringit, 
nrìnam  supprimit,  horrores  exeilat,  item  do- 
lores lateris  et.  pectoris  :  sanum  tamen  corpus 
spissat,  et  mobilius  atque  expedilius  reddit. 
Auster  aures  hebetat,  sensus  tardat,  capitis 
dolorem  movet,  alvum  solvit,  totum  corpus 
efficit  hebes,  bumidum  ,  languidum.  Celeri 
Acuti,  quo  vcl  huic  vel  illi  propiores  sunt,  eo 
magis  vicinos  bis  illisve  afFectus  facilini.  Deni- 
que  oinnis  calor  et  jecur  et  lienem  infiammai, 
mentem  hebetat,  ut  anima  deficiat,  ut  sanguis 
prorumpat,  efficit.  Frigus  modo  nervorum 
dtìstentionem,  modo  rigorem  infert;  illud 
9*Tcurfièfì  hoc  TcVai/of  graece  nomina  tur  :  ni- 
gritiein  in  ulceribus,  horrores  in  febribus  ex- 
cital.  In  siccitatibus,  aculae  febres,  lippitudi- 
im-s.  tonnina,  arìnae  difficultas,  articulorura 
dolores  oriuutur.  Per  imbres,  longae  febres, 
alvi  dejectiones,  angina,  cancri,  morbi  comi- 
tiales, resolutio  nervorum  ;  nrot^aXv^iv  Grae- 
<i  nominant.  Neque  solimi  interest  ,  quales 
dies  sini,  sed  etiam  quales  ante  praecesserint. 
Si  hiems  Bieca  septemtrionales  ventos  habuit, 
ver  autem  austros  et  pluvias  exliibet,  fere 
sublimi  lippitudines,  tormina,  febres,  maxi- 
meque  in  mollioribus  corporibus,  ideoque 
praecipue  in  muliebribus.  Si  vero  austri  plu- 
riaeque  hiemem  occuparunt,  ver  autem  frigi- 
dimi  ci  siccum  est,  gravidae  quidem  feminae, 
quii. iis  limi  ;t«l«-,i  partus,  aborlus  periclitan- 
tur;  eae  vero  quae  gignunt,  irabeciUos,  vi\- 
que  vitales  edunl  :  ceteros  lippitudo  ari. In.  et, 
ri  leniores  sunt,  gravedùies  atque  des  lilla  li o- 
k:.  male  liabent.  Ai  si  a  prima   hieme  austri 


DELLA    MEDICINA  3q 

fievole,  ebete  il  pingue.  In  primavera  però  so- 
no a  temere  quei  mali  che  nascono  da  sover- 
chi.! agitazione  degli  umori.  Perciò  allora  use 
sono  venirne  ottalmie,  pustole,  emorragie,  a- 
scessi  del  corpo  detti  nel  parlar  greco  aposte- 
mi, l'atrabile  che  appellasi  melanconia,  la  de- 
menza, l'epilessia,  l'angina,  i  reumi,  le  flussio- 
ni. E  quei  mali  pure  che  ora  occupano  gli  ar- 
ti ed  i  nervi,  ed  ora  fan  tregua,  allora  special- 
mente insorgono  e  si  rinnovellano.  Non  che 
nella  state  non  s' incorra  nella  più  parte  di 
queste  malattie,  ma  vi  si  aggiungono  febbri 
continue,  ardenti,  terzane,  vomiti,  flussi  di 
ventre,  doglie  d1  orecchi,  ulcere  della  bocca, 
cancri  in  qualsisia  parte,  ma  in  particolar  mo- 
do alle  oscene  :  e  tutti  quei  malori,  in  cui  l'uo- 
mo viene  pel  sudore  disciolto  e  sfibrato.  Non 
v'ha  forse  niuna  di  queste  infermità  che  non 
insorga  in  autunno  :  ma  nascono  oltracciò  a 
quel  tempo  febbri  d'incerta  qualità,  dolori  di 
milza,  idropisie,  la  tabe  che  porta  in  greco  il 
nome  di  ptisi\  difficoltà  d'  orinare,  strangu- 
ria  chiamata,  e  una  malattia  dei  gracili  inte- 
stini appellala  ileo  ;  e  quella  lubricità  nomala 
lienteria,  e  doglie  di  fianco  e  il  mal  caduco. 
11  medesimo  tempo  uccide  [iure  e  i  travagliati 
da  lunghi  guai,  e  oppressi  soltanto  dalla  pas- 
sala slate,  e  con  altri  nuovi  malanni  distrug- 
ge :  e  taluni  involge  fra  lunghissime  febbri, 
specialmente  quartane,  che  eziandio  tutto  ver- 
no continuano.  Né  v'  ha  altra  stagione,  in  cui 
più  agevolmente  si  desti  pestilenza  di  qualun- 
que specie,  comechè  esso  sia  per  vari  rispetti 
ai  corpi  umani  nocivo  e  triste.  11  verno  incita 
doglie  di  capo,  tosse  e  tutti  quei  guai  che  han- 
no sede  nelle  fauci,  nel  petto  e  nelle  viscere. 
In  quanto  ai  venti,  1'  aquilonare  risveglia  tos- 
se, inasprisce  le  fauci,  costipa  il  ventre,  soppri- 
me 1'  orina,  incita  orrori,  e  oltracciò  dolori  di 
cosle  e  del  petto  :  coarta  non  però  le  fibre  di 
un  corpo  sano;  più  agile  e  più  alacre  il  rende. 
L1  austro  fa  ottuso  1'  udire,  menoma  1'  acutez- 
za dei  sensi,  risveglia  dolori  di  testa,  scioglie 
il  ventre,  e  tutto  il  corpo  rende  ebete,  umido, 
fiacco.  Gli  altri  venti,  quanto  più  sono  vicini 
a  questo,  od  a  quello,  generano  effètti  prossimi 
all'uno  O  all'altro.  Finalmente  ogni  calore  in- 
fiamma il  fegato  e  la  milza,  ottunde  la  mente, 
e  cagiona  svenimenti  e  perdite  di  sangue.  II 
freddo  trae  seco  (piando  lo  stiramento,  (pian- 
do la  rigidezza  dei  nervi;  quello  dai  Greci 
.spasmo.,  questa  tetano  detto;  la  nerezza  nelle 
ulcere,  e  nelle  febbri  il  ribrezzo.  Ai  tempi  a- 
sciut  li  nascono  l'ebbri  acute,  ottalmie,  lormi- 
ni,  difficoltà  d'orinare,  doglie  articolari.  Nei 

pi<i\.^i    l'ebbri  lcule,    diarree,  angine,    cancri, 

epilessie,  risolvimento  di  nervi,  cui  i  Greci  ap- 
pellano paralitici.  Né  scilo  imporla  «piai  gior- 
ni corrano,    ma   quali    altresì  ne  precederono. 

Se  hi  verno  seco,  spirarono  venti  settentrio- 
nali, ed  in  primavera  venti  australi  e  piove,  ih; 


CELSO 


4o 

a«l  ultimimi  ver  continuarunt,  bterum  dolo- 

res,  et  insania  febricitaniiuai,  quam  <p?ivn?tv 
appcllant,  quam  celerrime  rapiunt.  Obi  vero 
cattar  a  primo  vere  orsus  aetatem  quoque  si- 
milem  exhibet,  necesse  est  mullum  sudorem 
in  febribus  subsequi.  At  si  sicca  aestas  aqui- 
lones  habuit ,  autumno  vero  imbres  austri- 
que  sunt,  tota  niente,  quae  proxima  est,  tus- 
sis,  deslillatio,  raucilas,  in  quibusdam  etiam 
tabes  oritnr.  Sin  autem  autnmnas  quoque 
aeque  siccus  iisdem  aquilonibus  perilatur, 
omnibus  qnidem  mollioribus  corporibus,  iu- 
tCT  quae  muliebria  esse  proposui,  secunda  va- 
letndo  con  tingi  t;  durioribus  vero  instare  pos- 
ami et  aridae  lippitudines,  et  febres  partim 
acutae,  partim  longae,  el  ii  morbi,  qui  ex  alia 
bile  naseunlur. 


Q I    •■!  aelates  vero  pertinel  ,   pue- 

ri  proximique  bis  vere  optime  valent,  ci  ae- 
state  prima  Ultissimi  sunt:  senes  testate  el 
.ini illuni  prima  parte:  juvenes  hieme,  qui- 
qne  inter  |uventam  lenectutemque  sunt.  Ini- 
inicior  tenibus  hiems,  aestas  adolesceulibus 
esL  Tsun  si  qua  imbecillita*  oritur,  proxi- 
nniii)  est,  ut  infante*,  tenerosque  adbuc  pue- 
roa  terpeni  ia  ulcera  oris,  quae  &q$*ì  Graecì 
noniiii.int.  vomii  11  >.  nocturnae  vigiliae,  aurium 
haunor,  cilra  umbilicum  inflammationes  exer- 
ci'.ini.  Propriae  etiam  déntientium,  gingiva- 
rum  exulcera  lionea ,  dislentionea  nervorum, 
fcbriculae,  alvi  dejectiones,  maxiraeque  cani- 
nis  denti  bus  orientibua  male  habent  Quae 
[ìericula  pienissimi  cujusque  sunt,  ci  curmaxi- 
me  venter  adslrù  tua  est  \i  ubi  aeìaa  paulum 
p  ii.  glandulae,  et  vertebra  rum,  quae  in 

spili.»  sinii  .  aliquae  inclinationes ,  atrumae, 
vermi  arura  quaedàm  genera  dolenlia 

•  Graeci  appellane  el  plura  ■  «  1  ì . t  luber- 
cula  oriuntur.  Incipiente  vero  jara  pube,  ex 
iisdem  multa,  el  longae  febres,  el  anguinia 
ex  11 11  il- 11  >  cui    i      Mi  rinacque   omnia  pueri 

"imi .1  qu  idi .1 ...  11  munì  di<  in.  di  in 

1  un.»  mense,  1  una  septimo  anno,   postea 
1  1  '  1  |.  ululi,  iti  in   pei  ii  hi. ii  ni .    si  qua  1  1  iara 

.1  I"  1  ni"   ni   minili  ni    ini  idi  i  imi      RG 

in  que  pubei  late,  ni  que  primia  1  "ii  iims.   ne  - 
atte  in   femina   primis  menatruia  finita  sunt, 
epiui  1 11  '"'"  l'i  11"'  '  1 


sopravverranno  ottalmie,  dissenterie,  febbri 
specialmente  nelle  persone  rilasciate,  e  perciò 
nelle  donne  principalmente.  Se  poi  nel  verno 
regnarono  venti  australi  e  piogge,  a  cui  indi 

succeda  una  primavera  fredda  e  secca,  le  don- 
ne incinte  e  già  prossime  al  partorire,  corro- 
no pericolo  di  abortire  :  e  quelle  che  genera  - 
no,  mei  tono  a  luce  figliuoli  deboli,  appena  Ai- 
tali :  gli  altri  soffriranno  ottalmie  secche,  e  se 
sono  attempati,  soggiaceranno  a  reumi  e  Illu- 
sioni. Ma  se  i  venti  australi  dal  primo  inco- 
minciar del  verno  continuarono  tino  all'  usci- 
ta di  primavera,  si  osserveranno  infiammazio- 
ni di  pleura,  e  il  farnetico  dei  febbricitanti, 
dello  nel  greco  parlare  frenitide*  da  cui  sa- 
ranno in  poco  d'ora  spenti  gl'infermi.  Ove 
poi  il  caldo  principiato  all'  entrar  di  primave- 
ra, seguili  tutta  slate,  dovranno  per  necessiti 
succedere  alle  febbri  abbondantissimi  sudori. 
Ma  se  una  slate  asciutta  ebbe  venti  aquilonari, 
e  T  autunno  venti  meridionali  e  piove,  in  tul- 
io il  verno  susseguente  si  avranno  tossi,  catar- 
ri, raucedini,  in  taluni  anche  la  tabe.  Che  se 
poi  in  autunno  pur  anche  asciutto  spireranno 
i  medesimi  aquiloni,  le  persone  di  tibia  molle, 

fra  cui  gii  comprese  le  donne,  godranno  per- 
fetta sanità  :  quelle  poi  di  fibra  rigida  sono 
minacciate  «la  secche  ottalmie.  da  febbri  parte 
acute,  parte  lunghe,  e  da  tutti  quei  malori  che 
procedono  dall1  atrabile. 

Rispetto  poi  all'età  i  fanciulli,  e  i  vi<  ini 
ad  essi,  di  primavera  ottimamente  se  la  passa- 
no, e  sicurissimi  sono  al  principi. ir  della  stale  : 

i  vecchi  nella  ita  te  e  nella  prima  parte  dell'au- 
tunno :  i  giovani,  e  ehi  si  ritrova  fra  la  giova- 
nezza e  la  vecchiaja  di  Mino.  Il  verno  è  pia 

contrario  ai  vecchi,  ai  giovani  la  si  ile.     allora 

se  a  caso  insorge  debolezza,  è  per  soprai  reni- 
re  ai  fanciulli  e  ai  bambini  ancora  teneri  ser- 
peggianti ulcere  nella  bocca,  chiamate  afte  dai 
Greci;  e  vomito,  e  notturne  veglie,  umore  per 

jjli  orchi,  ed  infiamma/  ioni  intorno  all'ombel- 

lico.  V1  hanno  ancora  infermiti  proprie  della 

den  li  /.ione,  coinè  ulcerazioni  delle  gengie,  con- 
vulsioni, icbbricinc  ihissi  di  ventre,  ma  tor- 
mentati vengono  principalmente  allo  spuntar 
dei  denti  canini.  Questi  accidenti  occorrono 
specialmente  ai  molto  pieni.  <•  massimamente 

a  quei  cui  e  slilico  il  ventre,  Mi  inoltratasi  al- 
quanto Tela,  sopravvengono  ghiandole  ed  in- 
.  in  \. unenti  alle  vertebre  formanti  la  spina,  e 
strame  e  certe  specie  di  dolenti  verruche  chia- 
mate in   greCO  «CI  i><  nnhuu   e  diversi  alili  lu- 

mori,  all'entrare  della  puberi. 1  insorgono  mol- 
le di  queste  affezioni,  e  lunghe  febbri,  e  Mussi 
.li  ni  11.  d<  I  naso.  Tutti  i  fanciulli  sono  in  pe- 
ricolo massimamente  nel  quarantesimo  giorno, 
.il  settimo  mese,  al  settimo  anno,  finalmente 
verso  la  pubei  ti   Sr  '"  ù  .dire  razze  dì  mali  a   • 

SalirOI Lini  l'ilio,    e  queste   noli    si   sono   di 

lesjèal    '!"  aei  •  di  Uà  pubei  ti  ni 


DELLA 

*es,  qui  diutius  manserunt,  terminantur.  Ado- 
lescenza morbis  acutis,  item  comilialibus,  ta- 
bique  maxime  objecta  est  :  fereque  juvenes 
sunt,  qui  sanguinem  exspuunt.  Post  liane  ae- 
tatem  laterum  et  pulmonis  dolores,  lelhar- 
gus,  cholera,  insania,  sanguinis  per  quaedam 
velut  ora  venarum,  affxofe'oiJcts  Graeci  ap- 
pellant,  profusio.  In  seneclule,  spirituset  uri- 
nae  diffieullas,  gravedo,  articulorum  el  renura 
dolores  nervorum  resolutiones,  malus  eorpo- 
ris  habitus,  xaxz%tctv  Graeci  appellali t,  no- 
cturnae  vigiliae,  vilia  longiora  aurium  ,  ocu- 
lorum,  etiam  narium,  praccipueque  soluta  al- 
vus,  et,  quae  sequuntur  liane,  tormina,  voi 
laevilas  intestinorum,  ceteraque  venlris  l'usi 
mala.  Praeter  haec  graciles,  labes ,  dejectio- 
nes,  deslillationes,  item  viscerum  et  la  le  rum 
dolores  fatigant.  Obesi  plerumque  acutis  mor- 
bis, et  difticullate  spirandi  slraugulantur:  subi- 
toque  saepe  inoriuniur  ;  quod  in  corporc  te- 
nuiore  vix  evenit. 


medicina  4 l 

ai  primi  amorosi  amplessi,  ne  in  femmina  ai 
primi  mestrui,  si  può  far  conjettura  sieno  per 
durar  lungo  tempo  ;  nondimeno  il  più  delle 
volte  i  morbi  febbrili  che  lungo  tempo  infe- 
starono, Tengono  per  le  suddette  cagioni  a  ces- 
sare. L/adolescenza  soggiace  ai  mali  acuti,  pa- 
rimenti al  mal  caduco,  e  massimamente  alla 
tabe  :  e  giovani  per  lo  più'sono  coloro  che  spu- 
tano sangue.  Dopo  questa  eia  va  l'uomo  espo- 
sto ai  dolori  di  costa  e  di  polmoni,  al  letargo, 
alla  colera,  alla  demenza,  ai  flussi  emorroida- 
li. In  vecchiezza  sono  comuni  la  diflìcollà  di 
respirare  e  d1  orinare,  gì1  infreddameli  ti,  le  do- 
glie d'articoli  e  di  reni,  le  paralisie,  il  mal  a- 
bito  di  corpo  detto  cachessìa  pe1  Greci,  le  ve- 
glie notturne,  i  vizi  lunghissimi  delle  orecchie, 
degli  occhi,  anche  delle  narici,  e  in  ispecie  la 
scioltezza  del  ventre,  coi  mali  che  ne  proven- 
gono come  dissenteria,  e  lienleria,  e  gli  altri 
incomodi  della  soccorrenza  del  ventre.  Oltre  le 
quali  cose  le  persone  gracili  soffrono  consun- 
zioni, diarree,  renili,  dolori  di  viscere  e  di  co- 
ste. I  pingui  per  lo  più  sono  spenti  da  mali  a- 
cuti,  e  da  ambascia,  e  muojono  sovente  all'im- 
prov vista;  cosa  che  in  corpo  gracile  quasi  mai 
non  addiviene. 


Cap.  ii.  —  De  signis  adversae  valetudini* 
futurae. 

Ante  adversam  autem  valetudinem,  ut 
supra  clixi,  quaedam  notae  oriuntur  :  quarum 
omnium  commune  est,  aliler  se  corpus  habe- 
re,  atque  consuevit  ;  neque  in  pejus  tantum, 
sed  etiam  in  melius.  Er^o  si  plenior  aliquis, 
et  speciosior,  et  coloratior  factus  est,  suspe- 
cta  habere  bona  sua  debet  ;  quae,  quia  neque 
in  eodem  habitat  subsistere,  neque  ultra  pro- 
gredì possunt,  fere  retro,  quasi  ruina  qua- 
dam,  revolvuntur.  Pejus  tamen  signum  est, 
uhi  aliquis  contra  consuctudinem  emacuil,  et 
colorem  decoremque  amisit  :  quoniam  in  iis 
quae  superanf,  est  quod  morbus  demat  ;  in  iis 
quae  desuut,  non  est  quod  ipsum  morbum  fé- 
rat.  Praeter  haec  protiuus  linieri  debet,  si 
graviora  membra  sunt;  si  crebra  ulcera  oriun- 
tur; si  corpus  supra  consuctudinem  incallii!  ; 
si  gravior  somiius  pressil.  si  tumultuosa  so- 
mma fuerunl;  si  saepius  expergiscitur  aliquis, 
quatti  asauevit,  deinde  iterum  soporatur;  si 
corpus  dormientis  circa  partes  aliquas  contra 
eonsuetudinera  insuda t,  maximeque  si  circa 
j>ectus,  aut  cervices,  aut  crura,  voi  genua.  rei 
COXas.  Itera,  si  marcel  animus;  si  loqui  ci  mo- 
veri  pigel  :  sa  corpus  torpet;  si  dolor  praecor- 

diorum  est.    aut  lolius    pectoris,    aut,    qui   ii» 

plurimis  evenit,  capitis  ;  si  salivae  plenum  esl 

os  ;  si  oculi  CUm  dolore  vertunlur  ;  si  tempo- 
ra adstricla  Mini  ;  si  membra  inhorrescunt;  si 
spirìtus  gravior  esl  :  si  circa  front em  inlehlàe 
venae  movenlur  ;  si  frequentes  osoilaliones  j 
Celso 


Cap.  ii. 


—  In  di  zìi  di  condizione 
valetudinaria. 


Le  infermità  sono  precedute,  siccome  di 
sopra  diceva,  da  certi  speciali  indizi,  il  più  co- 
mune dei  quali  è  il  sentirsi  al  tramenìi  da  quel 
che  si  suole  non  pur  in  peggio,  ma  sì  anche  in 
meglio.  Se  qualcuno  più  grasso  e  più  avvenen- 
te e  più  colorito  divenuto  sia,  deve  riguardare 
per  sospetto  questo  suo  bene  stare,  che  non 
potendo  nel  medesimo  piede  sussistere,  uè  più 
oltre  progredire,  per  lo  più  addiviene  che  dan- 
do volta  rovini,  per  dir  così,  a  precipizio.  Non- 
dimeno però  segno  peggiore  si  è,  quando  altri 
dimagra  fuor  dell1  usalo,  quando  il  colore  e 
r  avvenenza  perde,  perocché  in  queste  restan- 
do ritrova  il  male  da  esercitare  sua  forza.  Lad- 
dove mancando,  manca  quel  che  potria  raffre- 
nare e  sostenere  il  male  medesimo.  Oltre  a  ciò 
deve  tosto  mei  tersi  in  apprensione  se  le  membra 
si  lamio  più  gravi,  se  compajono  spesse  ulcere, 
se  il  corpo  si  sente  oltre  il  costume  caldo,  se 
una  sonnolenza  grave  ne  preoccupa,  se  i  son- 
ni sono  agitali,  se  più  spesso  che  altri  non  suo- 
le in  dormendo  si  risvegli,  per  indi  tornare  a 
ricadere  nel  sonno  ;  se  il  corpo  di  colui  che 
dorme  suda  in  parli  non  usale,  e  soprattutto 
intorno  al  petto,  al  collo,  alle  gambe,  alle  gi- 
nocchio od  alle  cosce.  Parimente  se  l'animo  è 
abbattuto,  se  increscevole  gli  è  il  favellare,  e  il 
muoversi  ;  se  il  corpo  è  torpido,  se  v1  ha  dolo- 
ri di  precordi  e  di  tulio  il  petto,  e  ciò  che  in 
molli  avviene,  del  capo  ;  se  la  hocea  ligurgil.t 
di  saliva;  se  ^li  occhi  si  rivolgono  non  dolore, 


42  CELSO 

si  gen u a  quasi  fatigata   sunl,  totumve  corpus 
lassitudinem  sentii.    Ex  quibus  saepc  plura, 
numquam  non  aliqua   feibrem  antecedunt  In 
primis  tamen  i liuti  considerandolo  est.  nuui 
coi  saepius  horom  aliqoid  eveniat.  ncque  ideo 
ris     alla    difficullas    sobseqoator.   Sunt 
qoaedam    proprietates  hominum,  sine 
"i  noiitia  non  facile  quidquam   in   rota- 
rum  praesagiri  pò  test    Facile  ilaque  securus 
esl  iii  iis  aliquis,  qoae  saepe  sine  pericolo  eva- 
si! :  ille  sollicitarì  debel.    coi  liaee  nova  sont  ; 
aut   < ì ai  isla  nomqoam  sine   custodia  sui  tuta 
habuit. 


Cap.  ih.  —  Quae  bona  in  aegrotantibus 
signa  sint. 

Uhi  vero  febrh  aliquem  occupavit,  scire 
non  periclitari.  si  inlatusaul  dextrum 
an t  sinistrimi,  ul  ipsi  visum  est,  cubai,  cruri- 
bos  paulura  redoctis;  qoi  fere  sani  quoqoe  ja- 
centis  babitns  est;  si  facile  converlitur  ;  si 
nocte  dormii,  iotardia  vigilai  :  si  ex  facili  spi- 
rai; si  non,  conflictatur  ;  si  circa  umbilicom 
«•i  pubem  cutis  piena  esl  :  si  praecordia  ejos 
sine  allo  sensu  doloris  aeqoaliter  mollia  in 
ie  parte  sont.  Quoti  si  paolo  tumidiora 
sunt,  sed  tamen  digilis  cedoni  el  non  dolent, 
li. ice  valetudo,  ul  spalium  aliqood  habebit, 
sic  tota  ciii.  Corpos  quoque,  qood aeqoaliter 
molle  el  calidura  est,  qoodque  aeqoaliter  t<>- 
tuiu  insudat,  el  cnjos  febricola  eo  sudore  fi- 
nitur.  lecoritatem  pollicetur.  Sternotamen- 
iiini  eiiara  inter  bona  indicia  est,  el  copiditas 
cibi  rei  .1  primo  servata,  rei  ettaro  posi  t.isii- 
<  I  i  ti  ni  orta  .  Neque  terrere  debel  ea  febris, 
idem  die  finita  esl  ;  ac  ne  ea  quidem, 
qu  trovi*  longiore  tempore  evanuit,   ta- 

men  ante  alteram  m \  loto  quievit, 

sic  ni  i  quod  ?t>iy.ptvi<  Grae- 

int,  liei  fi.  Si  quis  multili  ìncidil   romi- 
•  t   bile  el    pil  aita  debel  :  el 
album,  l.icv e,  aeqoale  \  ite 
ni  etia  n   si  quaequasi  nubeculae  innatarinl  , 
•  ■I  .  i  .mi in  .   \.  \ cilici-  i-i.  qui  ;i  peri- 

calo  1 1 1 1 1 1 ,  esl  .  reddil  mollia,  figurata,   atque 
quo  secunda    raletu- 
i    nc\  ii.    modo  convenienlia   iis .   quae 
intur.  P  jor  cita  alvoi  eli  :  sci  ne  baec 
rol  inai  debel,  si   matutinis 
lemp  iribus  roacta  magis  est,  .mi  si  prò  i  l<  n 
te  temp  ii     paulatim  i  onti  abitar  .  el  ru 
ncque  fot  ditate  odorii  limilem  alvura  sani  ho- 
lambi  e  -    qaoqae  iliquoi 
§ub  fin  Si  li- 


se le  tempie  si  sono  ristrette,  se  le  membra  im- 
brividiseono,  se  il  respirare  è  affannoso,  se  le 
vene  della  fronte  inturgidita  pulsano  violente- 
mente; se  si  hanno  frequenti  sbadigli,  se  le  gi- 
nocchia si  sentono  come  stanche,  ovvero  il 
corpo  tutto  abbattuto  e  pesto.  Più  d1  uno  di 
questi  segni  spesso  precede  la  febbre,  ma  non 
mai  senza  qualcuno.  Importa  però  da  notare 
innanzi  tutto,  se  in  una  persona  si  osservi  al- 
cuno di  questi  accidenti,  senza  che  ne  siegua 
perciò  alcun  disordine  nel  suo  corpo.  Impe- 
rocché si  danno  certe  particolarità  nei  corpi 
senza  la  cui  contezza  non  è  agevole  presagire 
cosa  sia  per  succedere.  Facilmente  andrà  esen- 
te da  ogni  male  quegli  che  in  mezzo  a  questi 
segni  più  d'una  fiata  si  trasse  immune,  ma  co- 
lui al  quale  sono  insoliti  deve  stare  in  guar- 
dia; oppure  quegli  che  non  mai  gli  ebbe  sen- 
za di  speciali  riguardi,  impunemente. 

Cap.  ni.  —  Segni  da  sperar  ne"1  malati. 


Quando  taluno  è  collo  da  febbre,  d'uopo 
è  sapere  non  essere  in  pericolo,  allorché  giace 
a  sua  posta  sul  lato  destro  e  sul  manco,  colle 
gambe  pur  un  poco  rattratte  siccome  sogliono 
giacere  i  sani  :  se  agevolmente  si  rivolta  pel 
letto:  se  la  notte  e1  dorme,  e  se  fra  il  «lì  ve- 
glia :  se  respira  con  facilità;  se  non  ha  inquie- 
tudine ;  se  attorno  ali1  ombellico  e  al  pube  la 
pelle  è  piana,  se  i  precordi  sono  molli  in  en- 
trambi i  lati  senza  venni  scuso  dì  dolore;  ("he 
se  tanto  o  (pianto  sieno  tumidi,  cedano  non 
però  alla  pressione  delle  dita,  e  non  dolgano, 
questa  malattia  comeehè  possa  durare  alcun 
Icilio.»,    non    sarà    tuttavia    pericolosa.    Anche 

quel  corpo  che  è  egualmente  molle,  e  che  ha 
per  tutto  equabile  il  sudore,  e  che  col  cessare 

di    quello    eessa    la    lebbre,    ne   porge    fondala 

speranza.  L<>  sternuto  pure  è  fra  i  segni  favo- 
revoli, e  l' appetito  conservato  fino  dal  prin- 
cipio dilla  malattia,  ovvero  ridestatosi  dopo 
l'inappetenza.  Ne  dc\c  atterrirci  quella  feb- 
bre «he  termina  il  dì  medesimo  che  renne; 
né  quella  che  quantunque  ne  infesti  da  lungo 
tempo,  nondimeno  declinò  al  tutto  innanzi  il 
secondo  accesso,  onde  che  il  corpo  ne  rimase 
libero,  il  che  dai  Greci  chiamato  viene  iìlicri- 
nes.  Se  ■  qualcuno  sopravviene  il  romito, 
questo  <lc\c  essere  misto  di  bile  e  pituita,  od 
esservi  ne!T  orina  un  sedimento  bianco,  uni- 
forme e  sciolto  :  cosi  se  nelT  orina  tstessa  o 
soprannoteranno  delle  nuvolette,  si  radano  a 
deposi  i. ne  .il  fondo;  e  quegli  che  è  fuor  di  pe- 
ricolo, evacuar  deve  per  secesso  materie  molli, 

inni  ite  e  quasi  al  medesimo  tempo,  in  cui  era 
uso  il.i  sano,  e  corrispondenti  pressa  poco  agli 
alimenti  presi,  l'in  i risto  indizio  <•  la  lubricità 
<l«l  reatre:  ma  neppure  questa  ne  deve  far 

paura  tosto    se  il  \enlrc  .ti  mattino  trovasi  più 


DELLA    MEDICINA 


flatio  in  superioribus  partibus  dolorem  tumo- 
remque  fecit,  bonutn  signum  est  sonus  ventris, 
inde  ad  inferiores  partes  evolutus  ;  magis- 
que  eliam,  si  sine  difficultate  cura  stercore 
excessit. 


43 

tenace,  e  nel  progredir  del  male  poco  a  poco 
si  ristringa  ;  e  se  le  fecce  sono  giallastre,  né  per 
fetidezza  d1  odore  eccedenti  quelle  di  un  sano. 
Similmente  nulla  pregiudica  che  sul  finire  del- 
la malattia  vengano  eliminati  alcuni  Termini. 
Se  una  ventosità  nelle  regioni  superiori  del 
corpo  cagionò  dolore  e  gonfiezza,  buon  segno 
è  il  gorgogliar  del  ventre,  indi  svolgentesi  lun- 
go le  parti  inferiori,  e  tanto  meglio  ancora,  se 
agevolmente  si  dissipa  cogli  escrementi. 


Cap.  iv.  —  Mala  signa  aegrotantium. 

Contra  gravis  morbis  periculum  est,  ubi 
supinus  aeger  jacet,  porrectis  manibus  et  cru- 
ribus  ;  ubi  residere  vult  in  ipso  acuti  morbi 
impetu,  praecipueque  pulmonibus  laboranli- 
bus  ;  ubi  noclurna  vigilia  premitur,  etiamsi 
interdiu  somnus  accedi t,  ex  quo  tamen  pejor 
est,  qui  inter  quartana  horam  et  noclem  est, 
quam  qui  matutino  tempore  ad  quartana.  Pes- 
simum  tamen  est,  si  somnus  neque  poeta,  ne- 
que interdiu  accedit  ;  id  enim  fere  sine  conti- 
nuo dolore  esse  non  potest.  vEque  vero  signum 
malum  est  etiam  somno  ultra  debitum  urgeri  ; 
pejusque,  quo  magis  se  sopor  interdiu  noctu- 
que  continuat.  Mali  etiam  morbi  testimonium 
est  vehementer  et  crebro  spirare  ;  a  sexto  die 
coepisse  inborrescere  ;  pus  expuere  ;  vix  ex- 
screare  ;  dolorem  habere  continuum  ;  diffìcul- 
ter  ferre  morbum  :  jactare  brachia  et  crura  ; 
sine  voluntate  lacrymare  ;  habere  humorem 
glutinosum  dentibus  inhaerentem,  cutem  cir- 
ca umbilicum  et  pubem  macram,  praecordia 
infiammata,  dolenlia,  dura,  tumida,  intenta, 
magisque,  si  baec  dextra  parte,  quam  sinistra, 
sunt  ;  periculosissimum  tamen  est,  si  venae 
quoque  ibi  vehementer  agitantur.  Mali  etiam 
morbi  signum  est,  nimis  celeriler  emaeresce- 
re,  caput  et  pedes  manusque  frigidas  habere, 
ventre  et  latcribus  calentibus  ;  aut  frigidas 
exlremas  partes  acuto  morbo  urgente;  aut 
post  sudorem  inborrescere;  aut  postvomitum 
stngultum  esso,  vel  rubore  oculos,  aut  post 
eupiditatem  cibi,  postve  longas  febres  lume 
fastidire  ;  aut  multimi  sudare,  maximeque  fri- 
gido sudore  ;  aut  habere  sudores  non  per  to- 
tum  corpus,  aequales,  quique  febrem  non  fì- 
niant;  et  eas  febres,  quae  quotidie  tempore 
eodern  revcrlantur  ;  quaeve  semper  pares  ac- 
cessiones  habeant,  neque  tertio  quoque  <lie 
li  \«ntiir;  quaeve  sic  continuent,  ut  per  ae- 
eessiones  increscant,  per  decessiones  tantum 
raolliantur,  nec  anquara  integrimi  corpus  di- 
iuitt;iiit.  Pessimum  est,  si  ne  levatur  quidera 
febrk,  sed  aeque  concitata  continuat.  Pericu- 
losura  esl  etiam.  post  arquatum  morbum  fe- 
brem orili  ;  utique  si  praecordia  dextra  |>artc 
darà  manserunt.  \<-  dolentibus  iis.  nulla  acu- 
ta lebris  lev  ilei  tenere  noi  debel.  ncque  \m- 
quam   in   acuta   lcbre.  auL  a   somno    non  est 


Cap.  iv.  —  Segni  cattivi  jie1  malati. 

Sovrasta  ali1  incontro  pericolo  di  grave 
infermità,  quando  l1  ammalalo  giace  supino  a 
braccia  e  gambe  distese,  quando  volonteroso  è 
di  drizzarsi  e  sedere  sul  letto  anche  nel  colmo 
del  male  acuto,  e  particolarmente  essendo  af- 
fetti i  polmoni  :  quando  è  oppresso  da  nottur- 
na veglia,  quantunque  il  sonno  se  gli  aifacci 
fra  il  giorno,  ma  vieppeggio  tuttavia  si  è  il 
dormire  tra  P  ora  quarta  e  la  notte,  che  non 
dall1  alba  fino  air  ora  quarta.  Peggiore  di  tut- 
ti è  allorché  il  sonno  non  si  affaccia  né  di  dì, 
né  di  notte,  mentre  rado  è  che  ciò  avvenga 
senza  un  continuo  dolore.  Egualmente  male 
ne  indica  un  troppo  prolungato  sonno,  e  peg- 
gio ancora  quando  il  sopore  continua  notte  e 
dì.  Segno  è  pure  di  maligno  morbo  un  respi- 
rare forte  e  frequente:  Pavere  dal  dì  sesto 
principiato  a  provare  brividi,  sputar  marcia, 
o  a  grande  stento  espettorare,  sentire  inces- 
sante dolore,  sopportare  a  gran  pena  il  pro- 
prio male,  gitlar  qua  e  là  le  braccia  e  le  gam- 
be, lagrimare  involontariamente,  avere  i  den- 
ti imbrattali  di  glutinosa  pania,  la  cute  arida 
e  secca  intorno  al  pube  e  alPombellico  :  i  pre- 
cordi infiammali,  dolenti,  tumidi,  tesi  e  tanto 
più  se  sì  fatti  accidenti  si  riscontrano  nella  de- 
stra anziché  nella  sinistra  parte  :  caso  però  più 
d'ogn1  altro  di  pericolo  pieno  si  è  quando  le 
vene  ivi  si  agitano  gagliardamente.  Segno  è 
pure  che  grave  malattia  ne  sovrastalo  smagri- 
re a  un  tratto,  aver  freddo  il  capo  e  fredde  le 
mani  e  i  piedi  intanto  che  caldi  sono  il  ventre 
ed  i  fianchi  ;  ovvero  fredde  le  estremità  nella 
pienezza  d1  un  male  acuto  :  e  dopo  il  sudore 
avere  brividi,  ed  appresso  il  vomito, il  singhioz- 
zo ;  o  aver  rossi  gli  occhi:  o  dopo  gran  voglia 
di  mangiare,  e  dopo  lunghe  febbri  provare 
nausea  e  ripugnanza  ai  cibi  :  o  il  mollo  suda- 
re, e  il  sudar  freddo;  e  aver  sudori  non  egua- 
li per  lutto  il  corpo,  o  che  non  isciolgono  la 
febbre:  mal  augurio  ne  porgono  altresì  quelle 
febbri  che  'igni  dì  ritornano  alla  medesima 

ora,  o  che    hanno   sempre  gli  accessi    eguali,  e 

clic  non  menomano  neppure  al  terzo  gì  >rho  : 
o  che  continuano  in  guisa  che  si  esaltano  per 
accessi,  si  calmano  per  declinazione,  né  mai  al 

tulio  libera  lasciano  la  persona.  Peggiore  di 
tutti  si  è  quando  la  febbre  non  si  mitiga  nul- 


44  «  E 

terribilis  nervorum  distratta.  Timore  ctiam 
ex  sorano,  mali  morbi  est,  itemque  in  prima 
febre  prolinus  mentala  esse  turbalam,  mera- 
brurave  aliquod  esse  resolutum.  Kx  quo  ca- 
sii  quamvis  vita  redditur,  lamen  iti  fere  mem- 
brum  debilitatili'.  Vomilus  eliam  periculosus 
est  sincerar  pituilae.  vel  bilis  ;  pejorque,  si  vi- 
ridis.  aut  niger  est.  At  mala  urina  est  in  qua 
subsidunt  rubra  et  laevia  :  deterior.  in  qua 
quasi  folia  quaedam  tennis  alba  :  pessima  ex 
his,  si  tamqnam  ex  furfuribus  factas  nubecu- 
las  repraesentat.  Diluta  quoque,  atque  alba, 
vitiosa  est.  sed  in  phreneucis  maxime.  Alvus 
antem  mala  est  ex  toto  suppressa.  Periculosa 
eliam.  quae  inter  febres  fluens  eompiiescere 
hominem  in  eubili  non  patitur;  utique.  si 
qnod  desccndit,  est  perliquidum,  autalbidum, 
ani  pallidum  aut  spumans.  Praeter  baco  pe- 
ricninm  oslendit  id.  quod  exrernitur,  si  est 
exigunm,  glutinosum,  laeve,  album,  idemque 
snbpallidum;  vel  si  est  aut  lividum,  aul  bi- 
liosum  .  ani  cruentami,  aut  pejoris  odoris, 
qnam  ex  consuetudine.  Malum  est  etiarn,  quod 
post  longas  febres  sincerimi  est. 


L  s  o' 

la,  ma  continua  colla  medesima  intensità.  Por- 
ta pericolo  pure  V  insorgere  la  febbre  appres- 
so l'itterizia,  soprattutto  quando  gì1  ipocondri 
del  lato  destro  si  mantennero  duri.  Ma  ninna 
febbre  acuta  accompagnata  da  dolore  agl'ipo- 
condri non  ne  deve  mai  far  lievemente  teme- 
re :  né  temibile  meno  si  è  la  convulsione  che 
insorge  nella  febbre  acuta,  o  dopo  il  sonno. 
Anche  lo  svegliarsi  dal  sonno  spaventato,  se- 
gno è  di  grave  malattia.  Del  pari  esser  l'uomo 
turbato  della  mente  fino  dal  primo  insorgere 
della  febbre,  ovvero  il  venirgli  da  paralisi  oc- 
cupato  \m  qualche  membro.  Nel  qual  caso  an- 
coraché avvenga  che  si  ridoni  alla  vita,  pine 
sempre  fievole  si  rimarrà  quel  membro.  Anche 
il  vomito  di  schietta  pituita,  ovvero  di  bile  e 
pernicioso;  peggiore  però  se  è  di  materia  ver- 
de o  nera.  Prava  é  queir  orina  che  fa  un  sedi- 
mento rossastro  ovvero  livido  :  più  prava  an- 
cora se  vi  si  osservano  come  dei  filamenti  bian- 
chi e  sottili  :  ma  la  pessima  «li  tutte  è  quando 
fa  vedere  delle  nuvolette  fatte  come  di  forfo- 
ra. Anche  l'acquosa  e  bianca  è  malvagia,  mas- 
simamente nei  frenetici.  L'assoluta  costipazio- 
ne del  ventre  ècosa  illaudabile.  Pericolosa  an- 
cora è  averlo  sciolto  nel  periodo  febbrile  da 
non  concedere  alcun  riposo  all'infermo:  ed  in 
ispecie  allorché  le  materie  che  si  evacuano,  so- 
no semiliquide,  biancastre,  pallide  o  spumose. 
Oltre  a  questo  denota  perìcolo  la  fatta  male- 
ria,  se  è  in  picciola  quantità,  glutinosa,  liscia, 
bianca,  o  di  colore  un  poco  pallido:  Ovvero 
se  è  livida,  biliosa,  sanguinolenta.  0  dì  un  odo- 
re vieppiù  tristo  che  non  suole.  Cattiva  pure 
è  (fucila  che  appresto  lunghe  febbri  non  si 
cambiò. 


De  signis  longae  valetudini*. 


C,w\  v.  —  Segni  di  lunga  malattia. 


l'osi     line    indnii     volimi    est.     longum 

mot  lumi  fieri  :  sic  rumi  necesse  est,  ni  i  Deci- 
dili Ncque  rita e  alias  ipea  in  magnis  malia  est, 
qnam  ni  irapetura  morbi  trabendo  aliquis  ef- 
fugiat,  porrigaturque  in  id  lerapua,  quod  cu- 

'. ilio  ii  lucimi  praestet.  Protinos  lamen  tigna 
ira  Mini,  èi  quibui  collidere  possumus, 
moi  l'imi,  cui  non  interamente  longius  lamen 
lempus  li.iliiini imi  •  udì  frigidui  sudor  inter 
1  non  icutas  •  in  .i  <  anni  lantani,  el  cer- 

vicei  oi  iim  :  imi   ubi.   li  bre  non  quiescente, 
insndal  i  ani  obi   corpus  modo  friarì 

'Inni     mO  I  '  '   ili'luiu  est,  Ci  l  Oli  'i    .ilms    c\   ;ili'i 

ni  :  .mi   ul.i.   qua  I  inler   febi ei  aliqua   parte 

ni  :    .mi    uhi 

pai  uni  eraa<  rescil  itera  i 
in  mi  modo  liquida  i  I  pura  est,  modo  habel 
quaedara  inbsidentia  ;  - 1  lai  ria  atque  alba  ru- 

brai  •  Mini .  quae  in  <  .i  nbsidunl  ;  ani  si 
quasdam!  quasi   mi.  ni  i  ,,  il  :   ,,,ii  si 

bulini  ! 


Fra  questi  indizi  è  a  desiderare  che  la 
malattia  tiri  in  lungo,  altrimenti  P infermo 
soccombe.  Nelle  gravissime  infermità  non  v"  è 
altra  speranza  di  vita,  che  altri  collo  indugia- 
re sfugga  l'impeto  del  male,  e  si  rechi  «osi  ,,,| 
\ììì  tempo  che  offra  campo  ad  una  cura.  Man- 
novi    non    però    alcuni    segnali,    donde  sì  può 

dedurre  che  la  malattia  come  che  non  sia  per 

uccidere  e  nondimeno  per  durare  lungo  tem- 
po. Mlorchè  mllc  febbri  non  acute  si  lm  fred- 
do sud  ne  soltanto  intorno  al  capo  ed  al  collo  : 
o  quand'anche  non  rallenti  la  febbre,  pure  si 
suda:  ovvero  quando  il  corpo  è  ora  freddo, 
ora  e. ildo  :  quando  si  cambia  ad  ogni  trailo 
colore.  ..  quando  un  ascesso  nato  in  alcuna 
poi.  nel  corso  della  febbre,  non  è  risanato  ; 
ovvero  quando  l  infermo  avuto  rispetto  alla 
dm  il  i  di  Ila  malattia,  poco  è  dimagrato,  t  li- 
mtgliantemenle  se  l'orina  ora  è  liquida  e  no 
i  .i.  ora  con  ali  un  sedimento  ;  e  se  questo  è  li- 
eto, bianco  o  rosso,  oppure  se  fa  federe  come 


Cap.  vi.  —  De  inàiclìs  mortis. 

Sed  inler  haec  quidem,  proposilo  meta, 
spes  tamen  superest.  Ad  ultima  vero  jam  ven- 
tum  esse  testa ntur,  nares  acutae,  collapsa  tem- 
pora ,  oculi  concavi ,  frigidae  languidaeque 
aures  et  imis  partibus  leniter  versae,  cutis  cir- 
ca frontem  dura  et  intenta,  color  aut  niger 
aut  perpallidus  ;  multoque  magis,  siila  haec 
sunt,  ut  neque  vigilia  praecesserit,  neque  ven- 
tris  resolulio,  neque  inedia.  Ex  quibus  causis 
interdum  haec  species  ori  tur,  sed  uno  die  fì- 
uitur  :  itaque  diutius  durans,  mortis  index  est. 
Si  vero  in  morbo  vetere  jam  triduo  talis  est, 
in  propinquo  mors  est  ;  magisque,  si  praeter 
haec  oculi  quoque  lumen  refugiunt,  et  illa- 
crymant  ;  quaeque  in  iis  alba  esse  debent,  ru- 
bescunt  ;  atque  iisdem  venulae  pallent  ;  pi- 
tuitaque  in  iis  innatans,  novissime  angulis 
inhaerescit  ;  alterque  ex  his  minor  est  ;  iique 
aut  vehementer  subsederunt,  aut.  facti  tumi- 
diores  sunt  ;  perque  somnum  palpebrae  non 
committuntur,  sed  inter  has  ex  albo  oculorum 
aliquid  apparet,  neque  id  fluens  alvus  expres- 
sit  ;  eaedemque  palpebrae  pallent,  et  idem 
pallor  labra,  et  nares  decolorat  ;  eademque  la- 
bra  et  nares,  oculique,  et  palpebrae,  et  super- 
cilia,  aliquave  ex  his  pervertuntur  ;  isque  pro- 
pter  imbecillilatem  jam  non  audit,  aut  non 
videt. 


Eadem  mors  denuntiatur,  ubi  aeger  su~ 
pinus  cubat ,  eique  genua  contracta  sunt; 
ubi  deorsum  ad  pedes  subinde  delabilur; 
ubi  brachia  et  crura  nudat,  et  inaequalf- 
ter  dispergit,  neque  iis  calor  subest  ;  ubi 
hiat  ;  ubi  assidue  dormit  ;  ubi  is,  qui  mentis 
suae  non  est,  neque  id  Tacere  sanus  solet, 
dentibus  stridet  ;  ubi  ulcus,  quod  aut  ante, 
aut  in  ipso  morbo  natum  est,  aridum,  et  aut 
pallidum,  aut,  lividum  factum  est.  Illa  quo- 
que mortis  indicia  sunt,  ungues,  digilique 
pallidi  ;  frigidus  spiritus  ;  aut  si  mauibus 
quia  in  febre,  et  acuto  morbo,  vel  insania, 
pulrnonisve  dolor,  vel  capitis,  in  veste  floccos 
ìegii,  fìmhriasve  diducit,  vel  in  adjuncto  pa- 
rìete,.  si  qua  minuta  eminet  carpii.  Dolores 
eliam  circa  coxas  et  inferiores  parles  orli,  si 
ad  riscera  transierunt,  subitoque  desierunt, 
mortem  subesse  leslanlur  ;  magisque,  si  alia 
quoque  signa  aceesserunt.  Neque  is  scrvari 
potett,  qui  sine  ullo  tumore  febricilans  subi- 
to slrangulatur.  aut  devorare  salivam  suam 
non  potesi  ;  cuive  in  eodem  febris corporisque 
habitu  cervi*  convertitiir,  sic  ut  devorare  ac- 
que nihil  possil,  ;  aut  cui  simul  et  continua 
febiis  et  ultima  corporis   infirmila»  est;   aut 


DELLA    MEDICINA  /|5 

dei  grumetti,  o  se  vi  si  sollevano  delle  bollici- 
ne d'  aria. 

Cap.  vi.  —  Indizi  di  morte. 


Ma  fra  questi  segni,  toltone  il  timore,  ne 
resta  pure  alcuna  speranza.  Essere  però  giun- 
to agli  estremi  il  dichiarano  il  naso  acuto,  le 
tempie  depresse,  gli  occhi  cavi,  le  orecchie 
fredde,  lasse  e  leggiermente  rivolte  al  basso, 
la  pelle  attorno  alla  fronte  dura  e  tesa,  nero  il 
colore  o  squallido,  e  molto  più  se  questi  segni 
si  hanno  senza  che  preceduto  siane  veglia, 
flusso  di  ventre,  o  inedia  :  dalle  quali  cose 
quest'aspetto  sovente  nasce  e  si  forma,  ma  in 
un  giorno  si  dissipa  :  il  perchè  più  lunga  pez- 
za durando,  foriero  è  di  morte.  Quando  in  li- 
na vecchia  infermità  sì  fatto  stato  duri  tre  dì, 
è  segno  d1  imminente  morte  :  e  più  se  oltre 
questo  gli  occhi  non  possono  tollerare  la  luce, 
e  sono  lagriraos^  :  e  se  il  bianco  è  fatto  rosso, 
e  se  le  venuzze  loro  sono  pallide,  e  se  Tumore 
in  che  nuotano,  si  va  conglutinando  agli  ango- 
li, e  se  un  occhio  è  più  piccolo  dell'  altro,  e  se 
sono  infossati  ed  assai  gonfi:  e  se  al  venire  del 
sonno  le  palpebre  non  si  chiudono  al  tutto,  ma 
tra  esse  parte  del  bianco  dell'  occhio  si  trave- 
de, con  che  però  che  questo  non  sia  derivato 
da  flusso  di  ventre  :  e  pallide  siensi  fatte  le 
palpebre  istessé,  e  questo  pallore  medesimo 
scolorisca  e  le  labbra  e  il  naso  ;  e  se  le  labbra 
e  il  naso  e  gli  occhi  e  le  palpebre  e  i  sopracci- 
gli, e  altre  di  queste  parti  si  pervertano,  e  l'in- 
fermo già  per  debolezza  e  più  non  oda  e  più 
non  veda. 

È  presagio  pure  di  morte  il  decombere 
che  fa  l' infermo  supino,  e  il  tener  ratlratte  le 
ginocchia  :  o  lo  sdrucciolare  col  corpo  verso  i 
piedi  del  letto,  e  lo  scoprirsi  le  braccia  e  le 
gambe,  e  qua  e  là  inegualmente  iscagliarle,  e 
averle  fredde  :  avere  il  singhiozzo,  e  dal  con- 
tinuo dormire,  essere  alienato  della  mente,  di- 
grignare i  denti,  senza  esser  uso  farlo  da  sano  : 
od  una  piaga  o  nata  nel  corso  della  malattia, 
o  già  esistente,  farsi  arida,  ovvero  smorta  o 
livida.  Sono  pur  contrassegni  di  morte  le  un- 
ghie pallide  e  le  dita  :  l'alito  freddo  ;  o  se  l'in- 
fermo nella  febbre,  e  in  male  acuto  o  nella  fre- 
nesia, o  nel  dolor  del  petto,  o  del  capo  coglie 
colle  mani  i  fiocchi  sulle  coltrici,  o  ne  divide  le 
frange;  o  va  carpendo  i  minuti  corpicciuoli, 
che  sieno  sull'  adiacente  parete.  Prenunziano 
pure  vicino  l'estremo  fato,  se  doglie  nate  ver- 
so i  fianchi  e  le  parti  inferiori  si  trasportano 
alle  viscere,  o  in  un  tratto  si  dileguano,  e  più 
ancora  se  a  questi  gli  altri  segni  si  aggiunga- 
no. Ne  sopravvivere  potrà  quegli  il  (piale  a- 
vendo  febbre  senza  verun  tumore,  si  seni  e  in 
un  istante  strozzare  :  o  se  non  può  inghiottire 
la  propria  saliva  :  uè  colui  al  quale  nella  me- 
desima condizione  di  corno  e  di  febbre  si  pie- 


cai,  febre  non  quiescente,  exterior  pars  friget, 
interior  sic  calet,  ut  etiani  silim  faciat  ;  aut 
qui,  tibie  aeque  non  quiescente,  simul  et  de- 
lirio ci  spiranti]  diffieultale  vexatur  ;  aut  qui 
epoto  veratro,  exceptus  distentione  nervorum 
est  :  .mi  qui  ebrius  obmutuit.  ls  enim  fere  ner- 
Torum  distentione  consumitur,  nisi  aul  t'ebris 
accessit,  aut  eo  tempore,  quo  ebrietas  solvi 
debet,  loqui  coepit.  Mulier  quoque  gravida 
acuto  morbo  facile  consumitur  ;  et  is  cui  so- 
mmim  dolorerà  auget  ;  et  cui  prolinus,  in  re- 
ccnii  morbo,  bilia  atra  vel  infra  Tel  supra  se 
obstemlit  ;  cui  ve  alter  litro  modo  se  promsit, 
emù  i mi  longo  morbo  corpus  ejus  esset  exte- 
nuatum  et  attedimi.  Sputum  etiam  biliosum, 
et  purulentum,  sive  separalini  ista.  sive  mixta 
proveuiunt,  iuleritus  perieulum  ostendunt. 
\c  si  circa  scplimuni  diem  tale  esse  coepit, 
proximum  est,  ul  bis  circa  quartumdecimum 
diem  decedat,  nisi  alia  sigila  meliora  pejorave 
accesserint;  quae,  quo  leviora  gravioraque 
subsecuta  sunl,  eo  vel  seriorem  mortem,  vel 
raaturiorem  denuntianL  Sndor  quoque  frigi- 
dus  in  acuta  febre  pestifero!  est,  atque  in 
olimi  morbo  vomitus,  qui  varius,  et  multo- 
i  m  i  n  colorum  est  ;  praecipueque,  si  malusili 
hoc  odor  est.  Ao  sanguinem  quoque  in  febre 
vomoisse.  pestifcrum  est.  Urina  vero  rubra  et 
tennis  in  magna  eruditale  esse  consuevil  ;  et 
saepe,  antequam  ipatio  maturescat,  hominem 
rapii  :  itaque,  si  talis  diutius  periiianet,  peri- 
eiiluin    morti*   oslemlit.    Pessima    tainen    est, 

praecipueaue  mortifera,  nigra,  crassa,  mali 
odoris.  \ i ■  1 1 1 *■  in  viris  quidem  ci  mulieribus 
talis deterrima  est,  in  pueris  vero,  quae  te- 
nuis et  diluta  est  Uvus  quoque  Tana,  pesti- 
fer  i  est  quae  strigmentum,  lauguinem,  bilem, 
viride  aliquid,  moda  diversi*  temporibus,  mo- 
llo simul.  el  in  mixtura  quadam,  discreta  ta- 
mi'ii.  rapraesentat  Sed  baec  quidem  potasi 
|..mlo  iliiiims  trahere  :  in  praectpitì  fero  jam 
esse  denuntiat,  quae  Liquida,  eademqne  \el  ni- 
■_ii.  sei  pallida,  rei  pingnii  esi  ;  utique  si 
m.iju.i  foeditas  odoi is  accessit. 


CELSO 


lllu'l    mi.  irò- ni    me    posse   ib   aliqno 

li  io  :    li  i  ii  ia    fatane   mortii  indicia   inni  . 

quomodo  interdum    deserti    a   meuicii   con- 

i  ii      nuosdamque    fama    nrodideril    in 

ibiia    i  '\  httsse  :  Quin    eliam    \  ir 

i    uomini    Deiuoi  i  iin> ,    ne    lini- 


ga  la  cervice  in  guisa  che  non  può  cosa  ninna 
ingollare  senza  disagio,  e  quegli  ali  resi  che  ab- 
biasi ad  un1  ora  e  febbre  continua,  e  somma 
fievolezza  del  corpo;  o  chi  ha  senza  che  la  feb- 
bre gli  rimetta,  fredde  le  esterne  parli,  intan- 
to che  le  interiori  sono  calde  di  guisa  che  i^li 
si  sveglia  ardente  sete  ;  ovvero  quegli  cui  non 
al  tutto  declinando  la  febbre,  sia  occupato  da 
delirio  insieme,  e  da  difficoltà  di  respirare  : 
ossivvero  quegli  che  avendo  trangugialo  elle- 
boro, venga  assalito  da  stiramenti  ;  o  che  ine- 
briatosi ammutolisca.  Imperocché  questi  dallo 
stiramento  de1  nervi  per  lo  più  resta  oppresso, 
tranne  che  non  vi  si  aggiunga  la  febbre,  o  che 
ricuperi  la  favella  attorno  quel  tempo  in  che 
deve  sciogliersi  L'ebbrietà.  Anche  la  donna  in- 
cinta assai  di  leggieri  soccombe  sotto  un  male 
acuto,  e  quegli  che  dal  sonno  ha  esacerbamen- 
to di  dolore,  e  colui  che  sul  primo  principiar 
d1  un  male  comincia  a  rigettare  nera  bile  per 
di  sotto  e  per  di  sopra  :  o  se  questo  rigettare 
occorra  nell1  uno  o  V  altro  modo,  allorché  si 
trova  il  corpo  per  lunga  infermità  già  rifinito 
e  consunto.  Ne  porgono  ancora  indizio  di  mor- 
te lo  spular  bilioso   o   purulento   sia  congiun- 

tamenie,sia  separatamente.  Che  se  questo  cora- 
paja  attorno  il  settimo  dì.  per  lo  più  si  morrà 
il  decimoquarto  salvo  che  non  sopravvengano 
più  propizi  o  più  funesti  indizi;  perocché 
(pianto  più  Bevi*  O  (pianto  più  gravi  sussi. •- 
guano,  tanto  più  larda,  ovver  sollecita  terra n- 
ne  dietro  la  morte.  Anche  il  sudor  freddo  nel- 
le febbri  acute  è  mortifero  segno,  e  del  pari  in 

qualsivoglia  malore  il  vomito  di  materie  mul- 
tilormi  e  variamente  colorate,  e  tanto  più  se 
sono  di  mal  odore.  Pestifero  segno  si  è  anche 
il  vomitar  sangue  nella  febbre.  L'orina  rossa 
e  tenue  suole    aversi  nella    grande  crudezza,  e 

pria  che  la  cozione  si  compia  l'infermo  è  spac- 
ciato :  per  lo  che  ove  tale  si  conservi  lunga 
pezza,  ne  dimostra  pericolo  dimoile.  Pessima 
per  altro  e  specialmente  mortifera  è  la  nera, 

crassa,  fetente.  Ma  negli  uomini  e  nelle  donne 
orina  tale  è  di  formidabile  preludio,  e  ne' fan- 
ciulli la  tenue  e  chiara.  Pestiferi  eziandio  sono 

L'Ii  escrementi  variali  che  olirono  lacinie  mcin- 

braniforrai,  sangue,  bile  od  alcun  che  di  verde, 

ma  a  diversi  tempi,  ora  con  gì  Untamente,  e  in 
Siffatta  mescolanza  insieme  unite  che  pur  si  la- 
sciano distintamente  riconoscere.  Nulladimenp 
si  può  in  mezzo  a  questo  pur  vivere  alcun  tem- 
po ancora  :  ma  la  morte  filala,  e  già  ne  coglie 

quando  gli  escrementi  sono  liquidi  o  nereg- 
gianti, pallidi  o  pinguedinosi,  6  soprattutto  se- 
vi si  arroge  incomportabile  fetore. 

lo  non    ignoro  che    taluno  dirmi    polreb- 

!„■  >  lecerti  sono  i  segnali  di  futura  morie. 
,. ,me  m. o  addiviene  che  tal  fiata  infermi  d>- 
bandonati  dai  medici  risanino^  e  che  qualcuno 
i  he  li  i  redei  a  ornai  trapassato  i  itornato  sia  in 
vita  mi  tempo  iste  no  ai  '  suoi  funerali  -*  Che 


DELLA   MEDICINA 


tae  quidem  vitae  satis  certas  notas  esse, 
proposuit,  quibus  medici  cvedidissenl  :  adeo 
illud  non  reliquit,  ut  certa  aliqua  signa  futu- 
rae  mortis  essent.  Adversus  quos  ne  dicani  il- 
lud quidem,  quod  in  vicino  saepe  quaedam 
notae  positae,  non  bonos,  sed  imperitos  rae- 
dicos  decipiunt;  quod  Asclepiades  funeri  ob- 
vius  intellexit,  eura  vivere,  qui  efferebalur  : 
nec  protinus  crimen  artis  esse,  si  quod  pro- 
fessoris  sit.  Illa  tamen  moderatius  subjiciam  : 
conjecturalem  artem  esse  medicinam,  ratio- 
nemque  conjecturae  talem  esse,  ut  cui  saepius 
aliquanto  responderit,  interdum  tamen  fallat. 
Non  itaque,  si  quid  vix  in  millesimo  corpore 
aliqu.indo  decipit,  fidem  non  habet,  cum  per 
innumerabiles  homines  respondeat.  Idque  non 
iis  tantum,  quae  pestifera  sunt,  dico  ;  sed  in 
iis  quoque,  quae  salutaria.  Siquidem  etiam 
spes  interdum  frustratur,  et  moritur  aliquis 
de  quo  medicus  securus  primo  fuit  :  quaeque 
m  eden  di  causa  reperta  sunt,  nonnumquam  in 
pejus  alicui  convertunt.  Neque  id  evitare  Ira- 
niana imbecillilas  in  tanta  varietà  te  corpo- 
»ii ni  potest.  Sed  est  tamen  medicinae  fìdes, 
quae  multo  saepius,  perque  multo  plures  ae- 
gros  prodest.  Neque  tamen  ignorare  oportet, 
in  acutis  morbis  fallaces  magis  notas  esse  et 
salutis  et  morlis. 


47 

anzi  Democrito  uomo  a  buon  diritto  celcbra- 
iissimo  portò  opinione  cbe  non  si  possedesse- 
ro segni  positivi  di  spenta  vita,  su  dei  quali  i 
medici  potessero  affidarsi;  tanto  è  lontano  dal- 
Fjavere  affermato  darsi  segni  certi  di  vicina 
morte.  Contra  i  quali  io  non  addurrò  neppur 
questo,  cioè  che  sovente  alcuni  contrassegni 
poco  prima  apparenti  ingannano  non  già  i  me- 
dici scaltriti  e  savi,  ma  gì1  inesperti  :  il  che  sa- 
pendo troppo  bene  Asclepiade,  si  avvide  in- 
contrandosi in  un  funebre  accompagnamento, 
vivere  colui  che  venia  tratto  :  né  dirò  che  sia 
difetto  dell1  arte,  ove  lo  sia  dell1  artefice.  Non 
pertanto  ripeterò  qui  con  più  di  moderanza, 
che  la  medicina  è  arte  conjetturale,  e  che  il 
proprio  fare  della  conjettura  è  fale  che  quan- 
tunque il  più  delle  volte  ne  corrisponda,  pure 
a  quando  a  quando  inganna.  Laonde  ciò  che 
trae  in  inganno  appena  una  volta  in  mille, 
non  per  questo  merita  minor  fede,  mentre 
corrisponde  in  un  infinito  numero  di  persone. 
E  questo  non  ptir  il  dico  per  quei  segni  che 
sono  funesti,  ma  sì  anche  per  quei  che  son 
propizi  :  imperocché  soventi  fiate  avviene  che 
la  speranza  resti  delusa,  e  perisca  quegli  cui 
il  medicante  faceva  in  sulle  prime  sicuro.  E 
quelle  cose  ritrovate  per  medicare  talora  a 
qualcuno  riescono  di  nocumento.  Né  ciò  l1  u- 
mana  fralezza  schifar  puote  in  guisa  ninna  at- 
tesa T  immensa  varietà  dei  corpi.  Ma  devesi 
nondimeno  aver  fidanza  nella  medicina,  la 
quale  assai  più  spesso,  e  nel  massimo  numero 
dei  malati  torna  più  giovevole  che  nociva. 
Tuttavia  non  è  da  ignorare  che  nei  mali  acuii 
sono  i  segni  sì  di  risanamento  che  di  morte 


Cap.  vii. —  De  notis  qnas  aliquis  in  singulis         Cap.  vii. 
morborum  generibus  fiabe  re  possi  t. 


Segni  particolari  ad  ogni 
malattia. 


Sed  cum  proposuerim  sigila,  quae  in 
omni  adversa  valetudine  communia  esse  con- 
sueverunt;  co  quoque  transibo,  ut,  quas  ali- 
quis in  singulis  morborum  generibus  habere 
jx'^sit  nolas,  iudicern.  Quaedam  autem  sunt, 
quae  ante  febres,  quaedam  quae  inler  eas, 
quid  aut  intus  sit,  aut  venturum  sit,  osten- 
dant.  Ante  febres,  si  caput  grave  est,  aut  ex 
sorano  ocidi  caligati!,  aut  frequenta  slernuta- 
menta  sunt,  circa  caput  aliquis  pituilae  impe- 
to* linieri  potest.  Si  sanguis  aut  ealor  allin- 
dai, proximum  est,  ut  aliqua  parie  proflu- 
vium  sanguini*  fìat.  Si  sine  causa  quis  ema- 
Crescit,  ne  in  in,, liiin  babitum  corpus  cjus  re- 
cidili, rnetus  est.  Si  praecordia  dolent,  ani  in- 
flatio  gravis  est.  ani  loto  <!i.-  non  concocta 
feri  ur  urina,  crudilatem esse  manifeslum  est. 
Quibus  din  color  sine  moi bo  regio  malus  est, 
hi  \d  capilis  doloribus  conflictantur,  vel  ter- 
rara  edunt.  Qui  din  babenl  faciem  pallidam 
*'!  tamidam,  aul   capile,  .mi   risceribus,  ani 


Ma  divisati  avendo  i  segni  usi  riscontrar- 
si in  qualsivoglia  malattia,  passerò  a  quelli 
che  sono  propri  di  ciascuna  specie.  Intra  que- 
sti havvene  che  avanti  la  febbre  e  che  al  tem- 
po di  essa  ci  fanno  conoscere  ciò  eh1  entro  di 
noi  avvenga  in  quell1  istante  ;  ovvero  ciò  ere- 
siavi per  avvenire.  Davanti  la  febbre  se  il  ca- 
po è  grave,  o  che  pel  sonno  abbiasi  offuscalo 
il  vedere,  e  molti  sternuti,  può  temersi  alcuna 
irruzione  di  pituita  al  capo.  Se  sovrabbonda 
il  sangue  o  soperchio  calore  si  prova,  non  au- 
drà guari  che  avrassi  un  getto  di  sangue  in 
alcuna  parte.  Se  altri  senza  ragione  dimagra, 
v1  ha  a  temere  non  il  corpo  di  lui  incorra  in 
una  rea  disposizione.  Se  gì1  ipocondri  dolgo- 
no, e  sono  enfiali  o  l'orina  per  un  giorno  in- 
tero si  faccia  inconcotla,  manifesto  è  clic  malo 
si  eseguisce  la  digestione.  Quelli  clic  da  gran 
tempo    portano    malvagio   colore    sema    a\cr 

r itterizia,  o  sono  da  gravi  doglie  afflitti  ov- 
vero  mangiano   della    lena  :   e   quelli  clic   da 


48  CELSO 

alvo  laborant.  Si  in  continua  febre  puero  ven- 
ter  nihil  reddit,  mutaturque  ei  color,  ncque 
somnus  accedit,  plora  tque  is  assidue,  metuen- 
da  nervorum  distentio  est.  Frequens  autcm 
destillatio  in  corpore  tenui  longoque,  tabem 
timendam  esse  testalur.  Ubi  pluribus  diebus 
non  descendit  alvus,  docct.  aut  subitam  deje- 
ctionem,  aut  febriculam  instare.  Ubi  pedes 
turgent,  longae  dejectiones  sunt,  ubi  dolor  in 
imo  ventre  et  coxis  est,  aqua  inter  cutern  in- 
stat.  Sed  hoc  morbi  genus  ab  ilibus  orivi  so- 
let.  Idem  propositum  periculum  est  iis,  qui- 
bus  voluntas  desidendi  est,  venter  nihil  red- 
dit, nisi  et  aegre  durum,  tumor  in  pedibus 
est,  idemque  modo  dexlra,  modo  sinistra  par- 
te ventris,  invicem  orilur  atque  finitur.  Sed 
a  jacinore  id  malum  proticisci  videtur.  Ejus- 
dem  morbi  nota  est,  ubi  circa  umbilicum  in- 
testina torquentur  (  vr^ó^ow;  Graeci  nomi- 
nant  ),  coxaeque  dolores  manent;  eaque  ncque 
tempore  neque  remediis  solvuntur.  Dolor  au- 
tem  articulorum.  prout  in  pedibus,  manibus- 
ve,  aut  alia  qualibet  parte  sic  est,  ut  eo  loco 
nervi  contrahantur  ;  aut  si  id  membruin.  ex 
levi  causa  fatigatum,  aeque  frigido,  calidoque 
ofienditur,  iroàày{ta.v  xétpdyfav  ve,  velejus  ar- 
ticuli,  in  quod  id  sentilur,  morbum  fulurum 
esseMenunliat.  Quibus  in  puerilia  sanguis  ex 
naribus  lluxii.  dein  flaere  desiit,  hi  vel  capitis 
doloribus  conflictentur  necesse  est,  vel  in  ar- 
licolii  aliqnaa  exuloerationee  graves  habeant, 
yì  l  aliquo  morbo  etiam  debililentur.  Quibus 
ieminis  menstfaa  non  proveninnt,  necesse  est 
capiti*  acerbissimi  dolores  sint,  vel  quaelibet 
alia  pus  morbo  infestetur.  Eademque  iis  pe- 
ri, ula  sun t,  quibus  articulorum  vitia,  dolo- 
res Lumoresque ,  line  podagra  similibnsque 
morbi*,  oriuntur,  et  desinanl  ;  ntiqae,  si  sae- 
pc  tempora  iisdem  dolent,  noctuque  corpora 
mtudant  Si  froni  prurit,  lippitudinis  metas 
«•si.  si  malier  a  partii  vehementei  dolores  ha- 
bet,  ncque  alia  praeterea  ugna  mala  sunt,  cir- 
ci  vigesimum   diem  .mi    sanguis    per  nares 

erumpel.  ani   in  inlerioribus    parlihus   aliquid 

abscedet  Qnicnmque  etmm  dolorera  ingen- 
i'  ni  (irci  tempori  et  frontem  habebit,  is  al- 
terutra  ratione  eum  Bniet;  raagisque,  s|  juve- 
nis  erit,  per  sanguini!  profusioneni  ;  si  senior, 
i"  i  uppurationem.  Febrii  autcm.  qnae  iu- 
bito  ^i 1 1« ■  ratione,  line  bonis  lignis  lini''  est, 
(■  i -■  i <•%.  i  liiur.  Coi  fauces  sanguine  et  ìitter- 
<liu  ri  noeta  replentur,   si.-  ut  neque  capitis 

dolores,  n<  que   pn rdiorum,  neque  tussis, 

neqae  vomitai,  neque  fi  bricali   praei  i 

bujus    ani    in    naril.us.    ani    in    l.m. jbus    llicUI 

reperii  tur.  Si  muliei  i  inguen  el  fi  bi  icula  orla 
est,  neque  caussa  upparet,  alcui  in  vulva  est. 
l  uni  autéaa  crassa,  •  i  qua  quod  desidia  al- 
bum est,  ornili,  .ii   i   arti*  iiloi .  aul  <  h  ca 

i  dolorem,  metumque  morbi   esse  l.a- 
d<  m  \u  Idi*  aul  vi*  ei  una  doloi i  m,  tumoi «  m- 


tempo   pallida   e   tumida   si   hanno   la   faccia 
convien  che  siano  mal  affetti  nella  testa,  nelle 
viscere,  o  nell1  imo  ventre.  Ogniqualvolta  un 
fanciullo  in  una  febbre  continua  nulla  renda 
per  secesso,  e  se  gli  cambi  il  colore,  né  riposi, 
e  del  continuo  pianga,  è  a  temere  una  convul- 
sione. Le  spesse  flussioni  in  un  corpo  gracile, 
e  di  eminente  statura  dimostrano  doversene 
aspettar  la  tabe.   Quando  per  alquanti  dì  non 
si  ha  benefizio  del  ventre,  sovrasta  un  subita- 
neo flusso  od  una  leggiera    febbre.   Quando  i 
piedi  enfiano,  si  hanno  inveterate  egestioni:  e 
quando  il  basso  ventre  e  le  cosce  sieno  infe- 
state da  dolori,  ne  si  minaccia  un  idrope.  Ma 
questo  male  suol  trarre  suo  cominciamento  in- 
torno ai  fianchi.  Si  trovano  medesimamente 
esposti  ali1  istesso  pericolo  quei  che  avendo 
voglia  di  andar   del  corpo,   esso  non  depone 
che  a  gran  disagio,  e  roba  durissima  :  e  quelli 
cui  si  enfiano  i  piedi,  e  cui  ora  alla  destra,  ora 
alla  manca  del  ventre  insorge  una  tumefazio- 
ne, e  a  vicenda   dileguasi  :  ma  questo  malore 
sembra  derivare  dal  fegato.   Egli  è  indizio  del 
medesimo    male,   allorché  le  intestina   si  rag- 
gruppano intorno  all'ombelico,  il  che  diesi 
grecamente  scrofon  ;  e  le  anche  possedute  da 
dolori  sì  fatti  che  né  per  lasso  di  tempo  ven- 
gono meno,  né  per  rimedi.  Il  dolore  poi  delle 
giunture  come  sarebbe  ai  piedi,  od  alle  mani 
oppure  in  qualunque  altra  parte,  è  di  natura 
tale  (me  le  nervature  in  quel  luogo  s1  irrigidi- 
scono ;   o  se  tal   membro  per  lieve   cagione 
spossato,  riceve  offesa  cosi  dal  caldo  come  «lai 
freddo,  ne  presagisce  la  podagra  0  la  chiragra  ; 
0  veramente  alcun  altro  guaì  ali1  arto  di  quel- 
la parte,  in  che  si  sente   il  dolore.   Quelli  cui 
neU1  infanzia  soleva  venire   sangue  dal  naso,  e 
che,  in  appresso  cessò  di  Unire,  forza  è  che  sia- 
no tormentati  da  doglie  <li  capo,  ovvero  sof- 
frire gravi  esulcerazioni  agli  aiticeli.  <>d  esse- 
re maltrattali  da  altro  qualunque  male.  Quel- 
li' donne,    cui  i  mestrui    QOH    Ingorgano,    con- 

vien  che  provino  acerbissimi  dolori  di  testa, 

od  abbietto   alcuna  altra    parte  del   corpo  loro 

affetta.  Ai  medesimi  incomodi  pure  vanno 
esposti  quelli,  ai  (piali  senza  aver  la  podagra 
od  altrettali  passioni,  vengono  èvanno  \i/i 

d1  articoli,  in  particola!"  modo,  se  essi  medesi- 
mi   soggiacciono    spesso    i  dolori    di    tempie,  e 

se  i  eoi  pi  imo  soffrono  notturni  sudori.  Se  al- 

l.i    Ironie    si    proserà    del     prillilo,    e  a   lenirci 

un'oftalmia.  Se  una  dortna  soffre  dopo  il  po- 
lo \i\  esimi  dolori,  né  vi  sono  altri  rei  segna* 
li.  ella  avrà  attorno  il  vigesirao  di,  oun'eraor5, 
ragia  di  naso,  od  alcun  as<  isso  alle  parli  mie* 
non.  Chiunque  pure  sentirà  un  dolore  molto 
acerbo  attorno  la  fronte,  e  verso  le  tempia,  né 
verri  liberato  0  nell1  ano  0  nell1  altro  modo 
particolarmente  per  isgorgo  di  sangue,  se  gio- 
vane sia  il  soggetto  ;  0  per  suppurazione  se 
Veci  Ino.  Ma  una   lebbre  clic  in  un  subito  cade 


DELLA     MEDICINA 


que  cum  aliquo  perieulo  subesse,  aut  certe 
corpus  integrimi  non  esse,  testatur.  Àt  si  san- 
gui* aut  pus  in  urina  est,  vel  vesica  vel  renes 
exulcerati  sunt.  Si  haec  crassa ,  carunculas 
quasdam  exiguas  quasi  capillos  habet,  aut  si 
bulla t,  et  male  olet,  et  interdum  quasi  are- 
nam,  interdum  quasi  sanguinem  trahit,  do- 
lent  autem  covae,  quaeque  inter  has  superque 
pubem  sunt,  et  accedunt  frequentes  ructus, 
interdum  vomitus  biliosus,  extremaeque  par- 
tes  frigescunt,  urinae  crebra  cupidi  tas,  sed 
magna  difficultas  est,  et  quod  inde  excretum 
est,  aquae  simile,  vel  rufum,  vel  pallidum  est, 
paulum  tamen  in  eo  levamenti  est,  alvus  nero 
cum  multo  spiritu  redditur,  utique  in  renibus 
vilium  est.  At  si  paulatim  destilla t,  vel  si  san- 
guis  per  banc  edito?,  et  in  eo  quaedam  cruen- 
ta concreta  sunt,  idque  ipsum  cum  difficultate 
redditur,  et  circa  pubem  interiores  parles  do- 
lent,  in  eadem  vesica  vi  ti  uni  est.  Calculosi  ve- 
ro bis  indiciis  cognoscunlur  :  diffieulter  urina 
redditur,  paulatimque,  interdum  etiam  sine 
voluntate,  destillat  ;  eadem  arenosa  est  ;  non- 
numquam  aut  sanguis,  auteruentum,  aut  pu- 
rulentum  aliquid  cum  ea  excernitur  ;  eamque 
quidam  promptius  recti,  quidam  resupinati, 
maximeque  ii,  qui  grandes  calculos  habent, 
quidam  etiam  inclinali  reddunt,  colemque  ex- 
tendendo, dolorem  levant.  Gravitatis  quoque 
cujusdam  in  ea  parte  scnsus  est  :  atque  ca  cur- 
su,  omnique  motti  augenlur.  Quidam  etiam, 
cum  torquentur,  pedes  inter  se,  subinde  mu- 
ta tis  vicibus,  implicali t.  Femir.ae  vero  oras 
naturalium  suorum  manibus  admotis  scabere 
crebro  cogunlur:  nonnumquam,  si  digitum 
admoverunt,  ubi  vesicae  cervicem  is  urget, 
calculum  senliunt.  Àt  qui  spumantem  sangui- 
nera  exsereant,  bis  j)ulmone  vitium  est.Mu- 
lieri  gravidae  sine  modo  fusa  alvus  elidere 
partum  potest.  Eidem  si  lac  ex  mammis  pro- 
fluit,  iwibecillum  est  quod  inlus  gerit  :  durae 
inammae,  sanum  iilud  esse,  leslantur.  Fre- 
quens  singultus,  et  pracler  eonsuetudinem 
rontinuus,  je'cur  infiamma  tum  esse,  significai. 
Si  tumores  super  ulcera  subito  ttsse  desierunt, 
idque  a  tergo  incidit,  vel  distendo  nervorum, 
vel  rigor  linieri  polest  :  at  si  a  priore  parte  id 
evenit,  vel  lateris  acutus  dolor,  vel  insania 
exspectanda  est;  interdum  eliam  ejusmodi 
casiun  .  qOM  lulisania  inter  ìiacc  est,  pio- 
iusio  alvi  sequitur.  Si  ora  venarum,  sangui- 
nem sdita  fondere,  subito  suppressa  sunt,  aut 
aqua  inter  eutem.  aut  Labes  sequitur.  Eadem 
talii-s  subii,  si  in  lateris  dolore  orla  suppura- 
no intra  quadraginta  diea  purgali  non  potuit, 
Àt  si  longa  tristi lia  cuna  loo&O  timore  et  vigi- 
lia  est,  atrae  hilis  morbui  luoest.  Quibus  sae- 
pe  M  narìbus  fluii  sanguis,  li ì s  aut  lieuis  tu- 
<ui  rapitis  doloressunt;  quos  sequitur. 
m  quaedam  ante  oculos  taraqnam  imaginei 
obverscntur.  At  quibus  magni  lienes  sunt,  bis 
Celso. 


49 

senza  cagione,  e  senza   favorevoli  indizi,  per 
lo  più  ricompare.  Una  persona  cui  le  fauci  sì 
di  notte  che  di  dì  si  riempiono  di  sangue  di  tal 
fatta  che  non  sia  preceduto  né  dolore  di  testa, 
ne  degl'  ipocondri,  né   tosse,  né  vomito,  né 
lieve  febbre,   si  convien  che  abbia  un''  ulcera 
nelle  narici  o  nella  bocca.   Se  ad  una  donna 
sopraggiugne  una   febbriciattola  con  tumefa- 
zione all'anguinaglia,  del  che  nulla  cagione  si 
mostri,  ella  ha  un1  ulcera  entro  la  vagina.   Ma 
un1  orina  torbida,  il  cui  sedimento  è  bianco 
denota  un  dolore  attorno  agli  arti,  od  alle  vi- 
scere, e  doversene  paventare  alcuna  malattia. 
Se  poi  sarà  verde,  dichiara  sovrastare  o  dolo- 
re, o  tumore  alle  viscere  minacciante  pericolo, 
od  almeno  non  essere  il  corpo  perfettamente 
sano.  Se  poi  nell1  orina  si  avrà  sangue,  ovvero 
marcia,  segno  è  che  i  reni,  o  la  vescica  sono 
esulcerati.  Ma  se  è  carica  e  sedimentosa,  ed  of- 
fre ali1  occhio  certi  tenui  filamenti  a  guisa  di 
capegli  :  o  se  ferve,  e  se  pule,  e  se  depone  tal- 
volta una  materia  come  arenosa;  talvolta  san- 
guiniforme,  e  se  olirà  questo  dolgano  le  an- 
che, e  quelle  parti  che  sono  situate  fra  esse,  e 
sopra  il  pube  colla  giunta  di  continui  rutti  di 
cjuando  in  quando  vomilo  di  bile,  e  le  estre- 
mità fredde,  e  frequente  voglia  d'orinare,  nel 
che  fare  si  abbia  grave  difficoltà,  e  ciò  che  in- 
di si  evacua,  sia  simile  ali1  acqua  o  di  color 
giallastro,  o  scolorito  ;  e  se  tuttavia  non  si  ri- 
sente da  sì  falla  evacuazione  nessun  sollievo, 
e  il  ventre  poi  si  scarica  insieme  a  molla  ven- 
tosità, non  v'ha  dubbio  essere  mal  affetti  i  re- 
ni. Quando  poi  l' orina  viene   goccia  a  goc- 
cia, e  quando  esce  del  sangue  misto  a  queJJa, 
o   quando  vi  sono  grumi  sanguigni,  e  tutto 
questo  si  faccia  con  somma  difficoltà,  e  se  più 
interne  parti  attorno  il  pube  sieno  dolenti,  il 
male  risiede  nella  vescica  medesima.  In  quan- 
to ai  calcolosi,  essi  si  conoscono  dai  seguenti 
segni.  Con  assai  disvio  si  evacua  l'orina,  e 
goccia   a   goroJa,   e  talora  anche  involontaria- 
mente. La  stessa  è  sovraccarica  di  mimila  are- 
na, e  ben  sovente  spandesi  insieme  con  essa  del 
sangue  ,  o  qualche   cosa  di  sanguigno  o   di 
marcioso.  "V'ha  alcuni  che  più  prontamente 
pisciano  stando  in  piedi,  altri  sdrajati  sul  dor- 
so, e  specialmente  chi  ha  calcoli  assai  grossi  : 
altri  sono  forzati  a  piegarsi,  e  col  protendere 
in  fuora  la  verga  alleviare  il  dolore.  Risento- 
no anche  i  calcolosi  in  quella   parte  un  sensi» 
r?i  peso,  che  si  aumenta  al  correre,  e  per  altro 
qualsivoglia  esercizio.  Certi  altri,  allorché  sono 
cruciali  dal    dolore,  incrociano  i  piedi  l'uno 
coir  altro.   Le  donne  sono  l'orzale  a  sollregare 
eolle  proprie  mani  1'  orificio  delle  partì  natu- 
rali loro,  ed  alcuna  volta  avviene  che  avendo 
recalo  il  dito  là  dove  si  trova  il  collo  della  ve- 
scica sentono  ease  medesime  la  pietra.  Quelli 
che  escrcano  sangue  spumeggiante,  hanno  of- 
feso il  polmone.  Donna  incùila  che  abbia  smo- 

1 


5o  CELSO 

gingivac  malae  sunt,  et  os  olet,  aut  sanguis    datamente  sciolto  il  ventre,  trovasi  esposta  al- 
aliqua  parie  prorumpit  :  quorum  si  nihil  ere-     l1  aborto.  Se  le  esce  del  latte  dalle  mammelle, 


nit,  necesse  est  in  cruribus  mala  ulcera,  et  ex 
bis  oigrae  cicatiices  fiant.  Quibus  caussa  do- 
loris,  neque  sensus  ejas  est,  bis  mens  labat. 
Si  in  ventrem  sanguis  confluxit,  ibi  in  pus 
vertitur.  Si  a  coxis,  el  ab  ioferioribns  parti- 
bus  dolor  in  pcclus  transit,  neque  ullum  si- 
guum  malum  accessit,  suppuralionis  eo  loco 
periculum  est.  Quibus  sine  febre  aliqua  parte 
dolor,  ani  prurigo,  rum  ruhore  et  calore  est, 
ibi  aliquid  suppurat.  Urina  quoque,  quae  iu 
domine  sano  parum  liquida  est,  circa  aures 
futurani  aliquam  suppuralionem  esse  denun- 
tiat.  llacc  vero,  cuni  siue  febre  quoque  vel  la- 
leu  l  inni,  vel  l'uturaruni  rerum  notas  babeant, 
multo  cerliora  sunt,  ubi  febris  accessit  ;  at- 
que  etlam  aliorum  morborum  tum  signa  na- 
scuntur.  Ergo  protinus  insania  timcnda  est 


il  feto  ond' e  gravida,  è  debole  ;  le  poppe  du- 
re dichiarano  essere  il  feto  sano.  Lo  spesso 
singhiozzare  e  continuo  olirà  l'usato,  signifi- 
ca essere  infiammato  il  fegato.  Se  i  tumori  so- 
pra le  ulcere  di  repente  si  dileguarono,  e  ciò 
avvenne  nella  parte  deretana,  sovrasta  perico- 
lo di  spasimo,  (»  di  rigidità  di  nervi:  se  poi  ciò 
addivenga  nella  regione  anteriore,  avrassene 
ad  a  spellare  o  dolore  acuto  di  costa,  o  frene- 
sia :  talora  addiviene  che  alla  disparizione  di 
un  tumore  ne  seguili  una  soccorrenza  del  ven- 
tre, la  quale  è  fra  le  dette  cose  la  più  salutare 
e  sicura.  Se  gli  orifici]  delle  vene  usali  a  mescer 
sangue  si  coartino  ad  un  trailo,  verranne  l1  i- 
drope  o  la  tabe.  La  medesima  labe  occorre,  se 
nella  pleurisia  natavi  la  suppurazione,  non  po- 
tè espurgarsi  entro  il  quarantesimo  dì.  Se  al- 


libi expeditior  alicujus,  quam  sani  fnit,  sermo  tri  cade  in  cupa  tristezza  con  timore  e  vigili; 
est,  subitaque  Loquacità*  orla  est,  et  baec  ipsa  egli  è  per  incorrere  nel  morbo  atrabilare.  Que- 
solito  audaeior  :  aut  ubi  raro  quis  et  vehe- 
mcntior  spirai,  venasque  concitatas  habet , 
praecordiù  duris  et  tumenlibus.  Oculorum 
quoque  frequens  motus,  et  in  capii is  dolore 
substante,  somnui  ereptus,  contiuuataqne  mi- 
cie et  die  vigilia  ;   vel  prostratum  eontra  coli- 


gli al  (piale  esce  sangue  del  naso,  od  ha  tume- 
fatta la  milza,  od  è  travaglialo  da  mal  di  capo; 
dai  quali  accidenti  ne  seguita  die  si  osservino 
dinanzi  agli  occhi  come  degli  spettri.  E  quei 
che  hanno  grossa  la  milza,  hanno  viziate  le 
eengie,  e  l'alitar  loro  è  puzzolente  ;  od'al- 


suetudinem  corpus  in  ventrem,  sic  ut  ipsius  cuna  parte  sgorga  loro  del  sangue,  le  quali 
givi  dolor  id  non  coegcril  ;  ilem,  robusto  ad-  cose  ove  non  avvengano,  forz1  è  che  abbiano 
bue corpore,  insolitUS  dentium  Strider,  insa-  ulcere  laide  nelle  gambe  e  poscia  livide  le  fi- 
line ugna  sunt.  Si  quid  edam  abscessit,  el  an-  catrici.  Sono  alienati  della  mente  quei  che  a- 
tequam  lUppuraret,  manente  adirne  fedire,  vendo  cagione  di  dolore,  noi  sentono.  Qualora 
subsedit,  periculum  afiferl  primum  furoris,  spandesi  sangue  pel  ventre,  quivi  permutasi 
deinde  interi tus.  Auris  quoque  dolor  aeutus,  in  marcia,  Se  un  dolore  delle  cosce,  e  delle 


«•>im  fibre  continua  vehenicnlique.  saepe  men- 

tem  turbai  :   el   ex  eo  casu  juniores  Lnterdum 

intra     vplimum     diem     1,101  iun t ur  ;    seniores 

tardius;  quoniam  neque  aeque  magnas  fe- 
KperiUKtnr,  neque  aeque  insaniunl  '  ita 
•ustinenv  dum  is  afifectus  in  pus  vertatur.  Suf- 


parti  inferiori  si  scaglia  al  petto  sen/a  susse- 
guirne   alcun    rio   accidente,    \    è  a   Itinere  di 

suppurazione  in  quel  luogo.  In  dolore,  <>  pni- 
rigine di  alcuna  parte  con  rossore  e  calori* 
senza  febbre  annunzia  quivi  una  suppurazio- 
ne. Anelie  un' Orina  limpida  in  persona  di  po- 


mi ic  ■  [ '  1  < » . , . i< •  sanguini   muHeris  niamroae,  fu-    ca  salute  ne  pronostica  formarsi  qualche  .iM-es- 


rorera  renturum  esse,  testtntur.  Quibus  au- 
lem longae  feVrei  sunt,  bis  ani  absu  m,>  ali- 
qui.  ani  ai  lieuloriiin  dolore*  munì.  Quorum 
nracibui  in  febre  iUiditur  ppiritus,  instai  bis 
oervonim  disteni  io.  Si  angina  subito  finita  est, 
in  pulmonem  id  malum  transit  ;  idque  saepe 
intra  leptimura  diem  occidil  :  quod  nisi  imi  - 
«I  •'-  leqoitar  al  illqua  parie  supplirei.  Dejn- 
t  alvi  uragano  resoluttonem,  torraini  ; 
posi  li.n-1  intestinorum  laevitai  oritur;  j»ost 
nimi.is  destilUlioni  s.  Lab  1  :  posi  iateris  do- 
lorami riti*  pulmoniim  ;  post  luce,  insania; 
1  corpoi is.  ni  rvorum  ri- 

gor aul  distendo  ;  ubi  caput  rumerà  tura  est, 
delirium  ;  obi  rigilia  tortit,  nei  rorura  dislen- 

•  im  :  ubi  \<  Ip  racnter  renae  luper  oli  era   - 

ventui  proli  m  inni.  Suppurai  io  \  e> 

ro  pluribui  raorbii  escila  tur,  n.uu  ^i    longae 

dolore  iìm  rn.nn  1  reraa- 

I  1  altquam  partem  id  malum  iuciunbil; 


so  agli  orecchi.  Ma  queste  cose  esibendo  1  con- 
trassegni si.i  d'accidenti  futuri,  sia  di  cose  fi- 
lenti  anche  senza  lebbre,    ass.ti  più  si  rendono 

chiare  e  certe,  quando  \i  si  aggiugne  la  feb- 
bre :  allora  insorg i  pure  i  segni  d1  .dire  iu- 

fermita.  Devesi  pertanto  temere  tubila  de- 
menza, (piando  il  parlar  di  alcuno  è  più  spe- 
dito di  quel  che  Boleva  da  sano,  e  quand'  1  i  su 
divenuto   ad    un    trailo    loquace,    e   loquace 

d'un1  insolila  ed  .tini. ice  m;iniera  :  e  (piando  al- 
cuno 00* precordi  duri  ed  enfiali  abbia  raro  e 
gagliardo  il  respiro,  e  fortissimo  li  battito  del- 
le rene,  knche  il  continuo  girar  degli  occhi,  e 

I  osi  1/ramentn  I lei  dolore  di  capo  :  0  sen  • 

za  esservi  dolore  alcuno  la  mancanza  del  ion- 
ia veglia  notte  e  <H  continuai  t.  od  an<  he 

I    li!i-  re    il    corpo    ri\  otto    sul    \  «iti  re,    a 1   1 

(he  non  \e  lo  astrìnga  dolore  nessuno  del 
vtntrc  medesimo:  infine  preludio  di  demenza 
•  .1  dui .   i,  uncnto  insolito  dei  denti  in  per- 


DELLA    MEDICINA 

in  junioribus  tamen  :  nam  in  senioribus  ex 


ejusmodi  morbo  quartana  fere  nascitur. 


Eadem  suppura  tio  fit,  si  praccordia  dura, 
dolomia  ante  vicesimum  diera  hominem  non 
suslulerunl,  neque  sangui?  ex  naribus  fluxit, 
maxiraeqne  in  adolescentibus  ;  utique  si  inter 
principia  ani.  oculorum  caligo,  aut  capitis  do- 
lores  fueruDt;  sed  tum  in  inferioribus  partibus 
aliquid  abscedit.  Aut  si  praecordia  tumorem 
moUem  ha  ben  t,  necpie  habere  infra  sexaginta 
dies  desinunl,  haeretque  per  orane  id  tempus 
febris;  ted  inni  io  superioribus  partibus  fit 
absessus  ;  ac  si  inter  ipsa  viscera  non  fit,  cir- 
ca  aurei  erumpit.  Curaque  omnis  longifs  lu- 
mor  ;<<l  suppurationem  fero  spectet,  magia  eo 
tendi t  is,  qui  in  praecordiis,  quarn  bis,  qui  in 
ventre esl  ;  is,  tjui  tupra  nmbilicum,  quam  is, 
qui  infra  est.  Si  lassitudini*  etiara  sensus  in 
lei, re  est,  vé\  in  maxillis,  vel  in  articulis  ali- 
quid  abscedit.  Interdirà]  quoque  mina  tenùis 
CI  cruda  sic.  dm  fertur,  ni  alia  salutarla  signa 
.sint;  exque  eo  casa  plerumque  infra  trans- 
vrrsinn  septum  (  quod  &ió<ptcry(W  Graeci  vo- 
eani),  Ai  abscessus.  Dolor  e  tiara  pulmonis, 


sona  per  anco  robusta  e  sana.  Se  in  alcuna 
parte  si  forma  un  ascesso,  e  questo  anzi  che 
passi  a  suppurazione,  sparisce  rimanendovi 
tuttavia  la  febbre,  porta  pericolo  prima  di  de- 
lirio, indi  di  morte.  Anche  un  dolore  acuto 
d1  orecchio  con  febbre  continua  e  veemente 
spessissimo  aliena  la  mente,  e  per  siffatto  acci- 
dente i  giovani  talora  si  muojono  entro  il  set- 
timo giorno,  i  vecchi  alquanto  più  tardi  per 
la  ragione  che  essi  non  vengono  colti  da  feb- 
bri cotanto  gravi,  né  sì  facilmente  delirano  : 
di  tal  modo  sopportano  il  male  mentre  gue- 
st' affezione  passa  in  suppurazione.  Anche  le 
poppe  delle  donne  turgide  di  sangue  presagi- 
scono delirio.  Quelli  poi  che  da  tempo  porta- 
no la  febbre  avranno  ascessi,  o  dolori  artico- 
lari. E  coloro  <x'x  quali  nella  febbre  si  arresta 
entro  alle  fauci  il  resero,  sovrasta  stiramento 
di  nervi.  Se  V  angina  in  un  subifo  si  è  dissipa- 
ta, passa  cotal  male  ai  polmoni  :  e  somigliante 
caso  per  lo  più  uccide  1'  uomo  entro  il  settimo 
giorno:  il  che* se  non  avviene,  ne  seguita  che 
in  alcuna  parte  si  formi  un  ascesso.  Per  ulti- 
mo dopo  lungo  flusso  di  ventre,  ne  nasce  la 
dissenteria  ;  dopo  questa  la  lienteria  ;  dopo 
gravissime  flussioni  di  petto,  la  tabe  :  dopo  il 
dolore  laterale,  i  guaj  de1  polmoni;  dopo  que- 
sti, il  delirio:  dopo  i  violenti  riscaldamenti 
del  corpo,  convulsioni  e  spasmi.  Nelle  ferite 
del  capo  ne  seguiterà  il  delirio;  nella  irrequie- 
ta veglia,  distendimento  di  nervi  ;  nelle  vee- 
mentissime  vibrazioni  delle  vene  sopra  le  pia- 
ghe, un  flusso  di  sangue.  La  suppurazione  av- 
viene in  assai  malattie.  Imperocché  se  lunghe 
febbri  sussistono  senza  dolore,  e  senza  mani- 
festa cagione,  certa  cosa  è  che  cotal  male  si 
deposita  in  qualche  parte,  ma  ne1  giovani  sol- 
tanto, mentre  nei  vecchi  per  lo  più  da  sì  fatto 
malore  ne  insorge  la  febbre  quartana. 

Avvien  pure  la  medesima  suppurazione 
in  quell1  infermo  che  co1  precordi  dolenti  e 
duri  non  si  morì  avanti  il  vigesimo  dì,  né  eb- 
be flusso  di  sangue  dal  naso,  e  massimamente 
appo  i  giovinetti  ;  tanto  più  se  ne1  principii 
del  male  vi  furono  o  roffuscamenlo  del  vede- 
re, o  doglie  di  capo  ;  in  questo  caso  formeras- 
si  un  ascesso  alle  parti  inferiori.  Ma  se  ai  pre- 
cordi v'ha  molle  tumefazione,  che  non  si  dis- 
si pi  entro  sessanta  giorni,  e  la  febbre  perse- 
veri per  tulio  quello  spazio  di  tempo,  allora  la 
suppurazione  avrà  luogo  nelle  parli  superio- 
ri ;  ma  se  questa  non  si  formerà  enfro  Pad- 
domine,  scoppieri  presso  alle  orecchie.  Sebbe- 
ne ogni  e  qualunque  tumore  di  lunga  durata 

tenda  per  costume  al  suppuramenlo,  tuttavia 
maggiormente  v'inclina  quello  che  aglMpo- 
CÒndri  che  quello  che  nel  ventre  si  trova  ;  ed 
anche  più  quello  che  sopra  che  non  quello  che 
sol to  rombilico  ha  sede.  Anche  allorché  si 
prova  nella  lebbre  a\i  senso  di  stanchezza, 
qualche,  ascesso  si  fa  alle  inascelle,  od  alle  arti- 


CELSO 


si  ncque  per  sputa,  neqiie  per  sanguinis  de- 
tractionem.  neque  per  victus  rationem  fini- 
tus  est.  vomicas  aliquas  interdum  excitat,  aut 
circa  vieesimum  diem,  aut  circa  tricesimum, 
aut  circa  quadragesimum,  nonnumquam  e- 
tiam  circa  sexagesimum.  Numerabimus  au- 
tem  ab  eo  die,  quo  priraum  febricitavit  ali- 
quis,  aut  inhorruit,  aut  gravitatemi  ejus  par- 
tis  sensit.  Sed  hae  vomicae  modo  a  pulmone, 
modo  a  contraria  parte  nascuntur.  Quod  sup- 
purat,  ab  ea  parte,  quam  afficit,  dolorem  in- 
ilammalionemque  concitat;  ipsum  calidius 
est  ;  et  si  in  partem  sanalo  aliquis  decubuit. 
onerare  eam  ex  pondere  aliquo  videlur  O- 
mnis  etiam  supptìratio,  <|ua  nondura  oculis 
pelet,  sic  deprehendi  potest  :  si  fobris  non  di- 
inittit.  eaque  interdiu  levi»*.-  **>  lloctu  jncre- 
scil;  multus  sudor  on^r  ;  cupiditas  tussicn- 
«li  est,  et  p-.i'u.-  uiliil  in  lussi  exsereatur  ;  ocu- 
II  i  .vi  Mini,  malae  rnbént  :  venae  sub  lingua 
inalbescunl  :  in  manibus  finn!  adunci  ungues; 
digiti,  maximeque  ramini,  cileni;  in  pedibus 
tumorcs  sunl  :  sphitus  diftìcilius  trahitur;  ci- 
bi fastidino)  est  :  pnstnlae  toio  corpore  orinn- 
tur.  Quod  <i  prolinus  initio  dolor  et  tnssis 
fuit.  et  spkitus  difficultas,  vomica  yel  ante  Mi 
circa  vicesimnra  diem  erumpct  ;  si  serius  ista 
coeperint.  necesse  est  quidem  increscanl  ;  sed 
qna  minns  cito  affeoerint,  eo  tardins  solven- 
tar.  Soleot etiam  in  gravi  morbo  pedescnm 
digitis  nnguibusqoe  nigrescere  :  quod  si  non 
est  mori  coosecuta,  ci  reliquum  corpus  inva- 
luii.  pedes  lanicn  decidnnt. 


colazioni.  Talora  eziandio  T  orina  scorre  per 
lunga  pezza  limpida  ed  inconcotta  intanto  ebe 
v1  hanno  gli  altri  salutiferi  segni,  e  da  questo 
accidente  per  lo  più  ne  insorge  un  ascesso  sot- 
to a  quel  trasverso  dissepimenlo  ebe  i  Greci 
cbiamano  diaframma.  Anche  il  dolor  del  pol- 
mone se  non  venne  a  dileguarsi  né  per  gli 
sputi,  nò  per  le  cacciale  del  sangue,  né  per 
L'esatto  governo  del  vivere,  termina  sovente 
in  vomica  o  circa  il  vigesimo  giorno,  od  attor- 
no il  trigesimo,  o  il  quadragesimo,  e  lai  fiala 
anche  verso  il  sessantesimo.  Principieremo  poi 
a  numerare  da  quel  dì.  in  cui  V  infermo  tu  per 
la  prima  volta  assalito  dalla  febbre,  od  ebbe 
orrori,  o  sentì  gravezza  di  quella  parie.  Ma 
queste  vomiche  .si  generano  ora  dentro  il  pol- 
mone, ora  dinconlro  ad  esso.  11  luogo  in  che  si 
travaglia  la  suppurazione,  divien  dolente  ed  in- 
fiammalo, ed  anche  più  caldo,  e  se  1*  ammala- 
to giace  sulla  parie  sana,  e"  pargli  di  avere  in 
quella  un  peso.  Qualsivoglia  ascesso  che  per 
anche  non  si  mostri  agli  occhi,  si  può  arguire 
da1  seguenti  segni:  se  la  febbre  non  abbando- 
na ;  se  di  giorno  è  lieve,  e  si  accresce  la  notte; 
se  erompe  profuso  sudore,  gran  tosse,  e  fre- 
quente, e  pur  tuttavia  (piasi  nulla  si  spinga  in 
tossendo,  se  gli  occhi  sono  incavali,  rosse  le 
guance,  bianche  le  vene  sublinguali;  se  le  un- 
ghie delle  mani  si  fanno  adunche,  e  le  dita 
massimamente  alle  loro  estremila  inculi,  i 
piedi  edematosi;  se  v'ha  ansietà  di  respiro, 
nausea  <d  avversione  ai  cibi.  <■  se  nascono  pa- 
stoie per  tutto  il  corpo.  Clini  se  tosto  in  prin- 
cipio -vi  fu  il  dolore,  la  tosse  e  la  difficoltà  di 
respiro,  la  vomica  scoppierà  innanzi,  ovvero 
attorno  il  vigesimo  di;  e  se  cotai  segni  più 
lardi  apparvero,,  convien  di  necessità  che  si 
aumentino,  ma  (pianto  men  tosto  ne  affissero, 

tanto  più  tardi  SÌ  dissiperanno.    Ancora    qual- 
che  Volta   in    gravissima    infermila    sogliono  i 

piedi  in  un  colle  dita  e  colle  unghie  divenir 

neri:    per    Siffatto    accidente.    o\e    non    ne  su 

susseguita  la  morte,  e  che  il  rimanente  della 

persona  risani,  i  piedi  nondimeno    \erranno  a 

cadere. 


t   \:\    Vili.  —  (Jane    notar    in  quoque    morbi 

genere  velspem  velptrieula  ostendant, 
[aitar,   al   in  quoque   morbi   g< 

|  pHcem,     qiiae    \el    spem    \.  | 

ics  dolenti,  si  pu- 
•  uieui;«  ni  i  ea  beve  el  .li- 

bimi tubsedit,  melimi  detrabit.  In   pulmonis 
i  i  vatar  dolor,  aaaun is 
i.  i.mien  aeger  i  ■  <  ile   ipirat, 

il.  ni'. i  bum  ipsUIti  n<    > 

ecunda  \  al<  tudo  coni  i 

■  ri  con  veni  t,  si  protinus 

spulimi  mi \ timi  est  rnSo  quodam  ei    anguine, 

lodo    il  limi  .  l.iim     Lati  i  una   d 


Cap.  voi.  —  Segni  che  in  ogni  gènere  di 

malattia,   danno  tperanzo   a  timore. 

S     aita  «li"  in  esponga  quei  segni  che  in 
ogni  particolar  malattia  ne  porgono  sp,  i  mza 

<»  limale.    Dalla   Vescica    alleila  da  dolore  pn>- 
eedendn    un"  orina    pili  nielli. i    in  (in   si   depnii- 

•r  ,i  inoltre  un  sedimento  biancheggiaute  e  li- 

s;  e-,  i \"  ha  più  a  temere.   Nella   polmonìa 

se  I1  espet (orazione  ra<  noma  il  dolore,  benché 
si.i  di  qualità   purulenta,  uullameno  se  ram- 
iii. d  ii"  respira   ed  agevolmente  spurga 
comporta   senza    troppa   smania  la   malattia, 

pio.  i  .i. iquìstai  e  la  pi  i si  ina    s.mil  i.  \r  c.m\  leu 
Upaveatarsj  ti  primo  insorgere  del  male,  se  lo 


DELLA     MEDICINA 


suppuratione  facfa,  deinde  intra  quadragesi- 
mura  diem  purgata,  finiuntur.  Si  in  jocinore 
vomica  est,  et  ex  ea  fertur  pus  purum  et  al- 
bum, sai us  ei  facilis  :  id  enim  malum  in  tunica 
est.  Ex  suppura tionibus  vero  eae  tolerabiles 
sunt,  quae  in  exteriorem  partem  feruntur,  et 
acuuntur  :  at  ex  iis,  quae  intus  procedunt,  eae 
leviores,  quae  con  tra  se  cutem  non  afficiunt, 
eiuuque  et  sine  dolore  et  ejusdem  coloris,  cu- 
jus  leliquae  parles  sunt,  sinunt  esse.  Pus  quo- 
que quacumque  parte   ernmpit,   si  est  laeve, 
album,  et  unius  coloris,  sine  ullo  me  tu  est  ; 
et,  quo  effuso,  febris  protinus  conquievit,  de- 
sieruntque  urgere  cibi  fastidium  et  potionis 
desiderium.   Si  quando  etiara  suppuratio  de- 
scendit  in  crura  ;  sputumque  ejusdem  factum 
prò  rufo  purulentum  est,  periculi  minus  est. 
At  in  tabe  ejus,  qui  salvus  futurus  est,  sputum 
esse  debet  album,  aequale  totum,  ejusdem- 
que  coloris,  sine  pituita  :  eique  etiam  simile 
esse  oportet,  si  quid  io  nares  a  capite  destillat. 
Longe  optimum  est  febrem  omnino  non  esse  : 
secundum  est,  tantulam  esse,  ut  neque  cibum 
impediat,  neque   crebram  sitim  faciat.  Alvus 
io  hac  valetudine  ea  tuta  est,   quae  quotidie 
coacta,  eaque  convenientia  iis,  quae  assumun- 
tur,  reddit  ;  corpus  id,  quod  minime  tenue, 
maximeque  lati  pecloris  atque  setosi  est,  cujus- 
que  cartilago  exigua  et   carnosa  est.   Super 
labem  si  mulìeri  suppressa  quoque  menstrua 
fuerunt,  et  circa  peclus  atque  scapulas  dolor 
mansit,  subitoque  sanguis  erupit,  levari  mor- 
bus solet  :  nam  et  tussis  minuitur,  et  sitis  at- 
que febricula  desinunt.  Sed  iisdem  fere,  nisi 
redit   sanguis,    vomica   erumpit;    quae   quo 
cruentior,  eo  melior  est.  Aqua  aulem  in  ter 
cutem  minime  terribilis  est,  quae  nullo  ante- 
cedente morbo  cocpit  ;   deinde,   quae   longo 
morbo  supervenit,  ulique,  si  firma  viscera 
sunt  ;  si  spiritus  facilis  ;  si  nullus  dolor  ;  si  si- 
ne calore  corpus  est,  aequaliterque  in  extre- 
mis pnrtibus  macrum  est;  siventer  mollis  ;  si 
nulla  tussis;  nulla  sitis;   si  linguam  per  so- 
mnum  quidem,  inarescit;  si  cibi  cupidilas  est  ; 
si  venter  medicamcntis  movetur  ;   si   per  se 
excernit  mollia  et  figurata;  si  extenualur  ;  si 
urina,  et  vini  mutatione,   et  epotis  aliquibus 
medicamentis  mutai ur  ;  si  corpus  sine  lassitu- 
dine est,  et  morbum  facile  suslinet  :  siquidem 
in  quo  omnia  haec  sunt,  is  ex  toto  tutus  est; 
in  mio  plura  ex  his  sunt,  is  in  bona  spe  est. 
Articulorum  vero   vitia,   ut  podagrae   chira- 
grac(|iM'.    si   juvenes  tentarunt,  ncque  callum 
induxerunl.  sol \  i  possimi  :  ma\inic<|itc  lormi- 
riibus  leniuntur,  et  quocumque   modo  venter 
fluii.  Item  morbus  comilialis,   aule   puberla- 
lem  ortus,  non   aegre    lìnilur:  et  in  quo  afa 
una  parte  corporis  venicntis  arcessionis  sensus 
incipit,  optimum  est  a  manibua  pedibusve  ini- 
tiuru  fieri  ;  deinde,  ;■  laici  ilms  ;   pesSÌmum  in- 
tcr  haec,  a  capile.  Atque  in  bis  quoque  ea  ma- 


53 

sputo  da  principio  è  giallastro  e  sanguinolen- 
to, sì  veramente  ebe  agevolmente  si  espettori. 
I  dolori  di  costa  cessano  fatta  e  purgala  la 
suppurazione  entro  quaranta  giorni.  Se  nel 
fegato  v'ha  una  vòmica,  e  da  essa  proviene 
pretta  marcia  e  bianca,   facile  è  la  guarigione 
avendo  colai  male  sua  sede  nella   tunica.  Fra 
gli  ascessi  i  più  lodevoli  sono  quelli  che  si 
portano  all'  esterno,  e  che  si  fanno  acuminati 
ali1  apice.  Fra  quelli  poi  che  si  dirigono  all'in- 
terno, più  lievi  sono  quelli  che  non  magagna- 
no la  cute  posla  dicontro  a  loro,  e  che  lascian- 
la  non  pur  indolente,  ma  dello  slesso  colore 
che  suole  avere.  La  marcia  pure  da  qualsivo- 
glia  parte  sgorghi,  ove  sia  e  liscia  e  bianca  e 
di  uniforme  colore,  non  dà  nulla  a  temere  ;  e 
tosto  che  essa  sia  effusa,  se  la  febbre  di  subito 
si  abbassa,  cessano  insieme  la  disappetenza  e 
la  sete.  V  ha  pure  minor  pericolo,  allorquan- 
do la  suppurazione  discende  alle  gambe,  e  lo 
sputo  di  rossastro  si  fa  purulento.  E  quel  ta- 
bico  che  è  per  ricuperare  la  sanila  sua,  avrà 
lo  sputo  bianco,  tutto  eguale  e  del  medesimo 
colore  senza  pituita,  ed  è  mestieri  che  sia  con- 
forme al  muco  che  distillando  dal  capo  scende 
per  le  narici.  Più  d1  ogn1  altra  favorevole  cir- 
costanza è  l'assoluta  assenza  della  febbre;  do- 
po di  che  F  averla  mitissima  e  leggiere  così 
che  non  impedisca  il  mangiare,  ne  risvegli  ar- 
dente sete.  Il  giornaliero  benefizio  del  ventre 
di  fecce  configurate  e  concotte,  e  corrispon- 
denti agli  alimenti  che  si  prendono,  è  la  cosa 
più  utile  nel  morbo  tisico.  La  compage  più 
favorevole  si  è  il  non  essere  scarno,  ed  avere 
ampio  petto  e  villoso,  le  cui  cartilagini  sieno 
tenui  e  ben  ricoperte  di  carni.  Inoltre  se  nella 
consunzione  si  sono  in  femina  soppressi  i  me- 
strui e  il  dolore  sta  fisso  intorno  al  petto  od  al- 
le scapole,  il  male  è  usato  mitigarsi  tosto  che 
si  ripresentino  i  mensuali  tributi,  imperocché 
allora  la  tosse  vien  meno,  e  con  essa  la  sete  e  la 
febbricina.  Ma  per  lo  più  non  avendo  luogo  in 
esse  l1  eruzione  de1  mestrui,  la  vomica  scoppia, 
e  questa  quanto  più  sangue  contiene,  tanto  è 
migliore.  L'idropisia  che  nacque  senza  prece- 
dente malattìa,  non  è  a  temersi;  dappoi  quel- 
la che  sopravvenne  ad  una  lunga  infermila,  se 
i  visceri  sono  intatti  e  sani,  se  il  respirare  è  a- 
gevole,  se  non  v'  ha  dolore,  se  il  corpo  è  sce- 
vro di  calore,  ed  equabilmente  gracile  all'  e- 
slreme  parti,  se  il  ventre  è  molle,  se  non  v'  ha 
tosse,  niuna  se!e,  e  se  la  lingua  non  s'  inaridi- 
sce nemmeno  durante  il  sonno,  se  v'  ha  appe- 
tenza, se  il  ventre  è  docile  ai  medicamenti,  e 
se  spontaneamente  evacua  fecce  molli  e  figu- 
rate, se  il  corpo  non  dimagra,  se  l'orina  cam- 
biasi ed  al  cambiar  del  vino,  ed  al  prendere 
certe  medicine,  se  il  corpo  gode  di  sufficiente 
vigore,  e  te  sopporta  quietamente  la  malattia  ; 

perocché    Colui    nel    (piale   .si    verificano    tutte 
queste  cose,  desso  è  al  tutto  sicuro,  e  quelli  in 


$i  C    E    L    S    O 

xime  prosimi,  qoae  per  dejcctiones  excernun- 
làr.  Ipaà  autem  dejectio  sine  ulla  noxa  est; 
quae  sino  febee  est  ;  si  celeriter  desinit  ;  si 
eentrectato  ventre  nullus  moina  ejus  sentitur  ; 
si  estremano  alvum  spiritus  sequi  tur.  Acne 
tormina  quidem  pericnlosa  suut,  si  aanguis  ac 
stringmenta  descendont,  dum  febris  ceterae- 
que  acceasloiies  luijus  morbi  absint  ;  adeo  ut 
eli. un  gravida  miilier,  non  solum  reservaii 
possit,  sed  cti. mi  partom  reaerrare.  Prodesl- 
que  in  hoc  morbo,  >i  jam  Retate  aliquis  proces- 
si, (lontra,  intestinonim  laevitas  meilius  a  tc- 
neria  aeUtibUs.depellitur;  ulique.si  ferri  urina, 
et  ah'  cibo  corpus  incipit.  Eadein  aetas  prodest 
et  incoxae  dolore,  et hnmerorum,  et  inorimi 
rcsolutione  nervm  um.  K\  quibns  coxa  si  sine 
torpore  est,  si  levitar  friget  ;  quamvismagnea 
dotores  babet,  tamen  et  tacile  et  mature  aa- 
n;iiiir:  résolutumque membrana,  si  nihilo mi- 
nus  alitar,  fieri  santini  poteafc.  Oris  resolatio 
cii.im  alvo  cita  finitur.  Òmniaque  dejectio  lip- 
picnti  prodesL  Al  varix  ortus.  vel  per  ora  ve- 
naram  subita  profano  sanguinia,  tei  tonnina, 
insani. un  tollunt  lluincroruni  dolores,  qui  ad 
scàpuias  vel  manna  tendimi,  vomita  atrae  bi- 
lia solvuntnr,  et  quisquis  dolor  deoranm  len- 

dil  ;   sanabilior   est.    Singultus   sternutamento 

tiniiur.  Lonsjas  dejecttonei  supprùnit  vomi- 
tua.  Hnlier  sanguifiem  vomens,  profasia  aien- 
struia,  liberàtur.  Qaae  menstrois  non  purga- 
tur,  m  sanguinem  ex  oaribua  radit,  omni  pe- 
ricolo vacai.  Quae  loda  laborat,  ani  difficul- 
t.  r  partom  edit,  sternutamento  levatur.  li- 
sii\ :i  quartana  ferebrevis  eat.  Cui  calor  et 

trenini-  est.  saluti  delirium    eat  laenosis  bono 

tormina  nmt.  Denlque  i  ]  >  •>  i  ■  febris  ouod  ma* 
xime  mirano  rideri  potest,  laepe  praesidio  eat; 
Nani  el  praecordiórum  dolore»,  si  sine  inflam- 
matiohe  mnt.  finii:  <-i  jocinoris  dolóri  sue*- 
currit  :  ci  nervorara  diatentionem  rigoremque, 
si  poatea  coepit,  ex  loto  tollil  ;  e!  ex  difficul- 
laie  urinae  morbnm  tenutaria  intealini  ortum, 
si  min. un  per càlorera  movet,  levai.  Ai  dolo- 
ipitia,  quibus  ocalorura  caligo,  el  ru- 
I»  ,i  i  uni  quadara  ti ontis  pi  ungine  accedimi*, 
sanguinis  profusione,  vel  fortuita,  vd  edam 
petita,  aubmoventur.  Si  ca pitia  ac  ft'onlia  dolo- 
ri rito,  rel*fi  igore,  sul  aestu  sunt,  gra- 
vedine  el  iternulamentis  finiuntur,  Febrem 
autem  ardentem,  qùam  xauct&fn  vocaut,  m« 
bitus  horror  exaolvit.  Si  in  febre  aurea  obtu- 
sae  ^iiiii.  ii  languis  m  naribus  fluxit,  ani  ven- 
illud  t  ■  i  .1 1 1 1 1  ■  i  desini!  ex  toto. 
^iliil  plus  aóN i  i  us  sui  ditatem,  quara  bilio*  i 
alvua  p-.iesi.  Ou.l.iis  in  fìstola  arinìe  minnti 
..li  ,     us,  qu  rat  Graeci  Yocant,  esse 

uni,  iis,  pb  pm  i  i  pài  te  profluxit,  la 
Idi  lui .   Ei  quibui  cum  plei  uque  per 
se  pi  ivcninnt,     «  ire   licei     intei   ea  quoque, 
i     idhibet,  ii.iin; .mi  plùi  i i ii n i ii  |" 


cui  una  gran  parie  di  esse,  egli  è  in  buona  spe- 
ranza. 1  guaj  degli  arti  poi  siccome  la  podagra 
e  la  chiragra  possono  sciogliersi  quando  at- 
taccano soggetti  giovani,  e  che  non  abbiano 
indotto  già  durezze  callose,  e  soprattutto  ven- 
gono mitigali  dalla  dissenteria,  e  dallo  sciogli- 
mento  dal  ventre  da  qualsivoglia  causa  nato. 
1/  epilessia  insorta  innanzi  la  pubertà  non 
troppo  malagevolmente  ai  cessa;  ma  più  facil- 
mente (piando  in  essa  il  senso  della  sopravve- 
niente accessione  proviene  da  una  sola  parte 
del  corpo;  buono  se  dalle  mani  o  dai  piedi, 
peggiore  se  dal  torace,  pessimo  di  tutti  se 
prende  origine  dal  capo.  In  questa  inalai lia 
ancora  giovano  sopra  gli  altri  i  rimedi  purga- 
tivi. Ed  il  flusso  istesso  del  ventre  non  reca 
nessun  pregiudizio,  quando  non  sia  accompa- 
gnato da  febbre,  (piando  cessa  tosto,  (piando 
tocco  e  palpalo  il  ventre,  nessun  moto  di  eaao 
si  sente,  (piando  le  scariche  sono  seguite  da 
espulsione  d1  aria.  Né  pericolosa  è  la  dissente- 
ria, se  il  sangue  ed  il  muco  si  evacuano  intanto 
che  la  febbre  e  gli  alili  accidenti  di  questo 
ni, dorè  manchino  al  tutto  di  qualità  che  anco 
una  pregnante  potrà  non  solo  ristabilirsi,  ma 
ancora  trarre  a  termine  il  parto.  h  giova  in 
questa  malattia  essere  alquanto  inoltrati  negli 
anni  ;  air  opposto  la  lienieria  più  agevolmen- 
te SÌ  \  inee  nella  lenera  eia  tanto  più  se  l'ori- 
na incomincia  a  fluire,  ed  il  corpo  ad  alimen- 
tarsi. La  medesima  eia  è  pur  giovatici  nel  do- 
lore di  coscia,  degli  omeri  ed  in  ogni  paralisi. 
Risanano  altresì  e  facilmente,  e  presto  le  do- 
glie delle  anche,  tuttoché  gagliardissime,  se 
non   v'ha    torpore,    se  lie\  e  e  il  freddo,  ed  un 

membro  paralitico  potrà  risanare  nuand'eaao 

si  nulla  siccome  ogn' altra  parte.  La  paralisi 
della  bocca  viene  pure  diseiolla  da  soerorren- 
Za,  0  questa    giova    .sempre  al  mal  degli   ocelli. 

Ma  una  varice  che  insorga,  od  un' istantanea 

perdila    di  .sangue    per  le  boCCUCCC  'I.  Ile  \cne, 

o  una  dissenteria  i  imuovono  la  dementa.  I  do- 
lori delle  braccia  die  si  propagano  alle  se.ipo- 
le  «.  Klle  mani,  si  risolvono  \  « 'in  il.i  mio  atrabi- 
le, e  qu.ilsix  Oglia  dolore  clic  tenda  alle  infe- 
riori regioni  è  pia  sanabile.  Il  ilnghloxxo  è 
dissipato  dallo  sternuto.  Il  romito  amati  le 
inveterate  diarree.  Il  vomitar  sangue  in  una 
donna  cessa  coll'abbondante  Buir  dei  mestrui. 
Quella,  cui  si  sono  soppressi,  se  soggiace  ad  e- 
nooi  i  ■'-  il  di  ni  ■-  \»  Immune  da  tutto  perico- 
lo, Lo  sternuto  fa  prò  a  quelle  che  soffrono  al- 
le/ioni d  utero.  ,■  che  difficilmente  partoi  isco- 
u.,.  i..i  (jM.it  tana  estiva  per  le  più  è  breve.  s  i 
Iute  vote  è  il  delirio  ;i  chi  soffre  riacaldamento 
,•  tremori!  La  dissenteria  è  giovnvole  aJ  lieno- 
if  l  inaimi  nte  la  febbre  [stessa,  il  che  parrà 
pia  ed  tutto  strana  cosa,  è<  isa  medesima  so- 

venie  un  .diilil.ro  rimedio.  I  m  perocché  dissi- 
j,.,   i  dolori    degT  ipocondri    «piando    sono   Sen- 

/,i  febbn  .  e   ovm,  in-  .  quelli  del  fi  gal 


Contra,  si  caput  febre  continenti  dolet, 
ncjue  quidquam  redditi  malum  atque  morli- 
ferura  est  ;  maximeque  id  periculum  est  pueris, 
a  septimo  anno  ad  quarlumdecimum.    In  pul- 
monis  morbo,  si  sputimi    primis    diebus   non 
fuit,  deinde  a  septimo  diecoepit,  et  ultra  septi- 
ruum    mansit ,   periculosiim   est  :   quantoque 
magia  mixtos,  neque  in  ter  se  diductos  colores 
hahet,  lauto  deterius.  Et  tamennihil  pejus  est, 
•piani  sincerum  id   edi;sive   rufum  est,  sive 
cruentura,  sive  album,  sive  glutinosum,  sive 
pallidum,  sive  spumans  :  nigrum  tamen  pessi- 
imiiii  est.  In    eodem   morbo  periculosa    sunt, 
lussi-,,  destillatio  ;  etiaim  quod    alias    salutare 
habctur,  sternutamentum  :  perieulosissimum- 
que  est,  si  liaec  seeuta  subila  dejeclio  est.  Fe- 
ro vero  quae  inpulmonis,  eadem  in  laterisdo- 
lorihus.  ci  mitiora  ugna,  et  asperiora  esse  con- 
suerunt.   ìix   jocìnore   si  pus  cruenlum  exit, 
morliferum  est.  At   ex    suppuralionibus    eae 
I>«  ssiniae  sunt,  quae  inlus  tendunt,  sin    ut  cx- 
teriorem   quoque   cutem   decolorent  :  ex   iis 
deinde,  quae  exleriorem  partem  prorumpunt, 
quae    maximae,     quaeque    planissimae    sunt. 
Qiiod  si.  m;  rupia    quidem    vomica,  vel  pure 
ex trin secai  emisso,  febris  quievit,  aut  quam- 
vis  quiei crii,  tamen  repetit;  iiem  si  sitis  est,  si 
•  ilti  fa'si  idium,  si   ventcr  liquidus,  si  pus   e»t 
livi.lum  et  pallidum  ;  si  nihii  aeger   exscreat, 
njai  piiuiiam  spumali  tem,  periculum  certum 
est.    AUque  <\    iis   quidem   sappurationibus, 
quas  pulraonum  morbiconeitarun^  fere  senes 
moriunlur:  ex    ceteris  juniores.   Al   in   tabe 
iputum  mixtura  purulentum,   febria  assidua, 
quae  ci  cibi  tempora  eripit,   el  sili  affligit,  in 
eorpore  tenui  periculum  subesse  teslantur.  Si 
quii  eliaca  in  co  morbo  diuliua  traxit,  ubi  ca- 


DELLA    MEDICINA  ,,J 

tutto  cessa  Io  spasimo,  e  la  rigidità  dei  nervi, 
se  insorse  dopo  di  essi;  e  se  la  mercè  del  suo 
calore  si  muovono  le  orine,  si  alleggia  la  pas- 
sione iliaca  nata  da  difficoltà  d1  orinare.  Ma  i 
dolori  del  capo  accompagnati  da  oscuramento 
di  vista  e  rossore  con  pnirigine  della  fronte, 
vengono  dileguati  da  un"1  effusione  di  sangue 
spontanea,  ovvero  procurala  ad  arte.  Se  i  do- 
lori del  capo  e  della  fronte  procedono  da  ven- 
to, o  da  freddo,  o  da  caldezza,  si  dileguano  o 
per  distillazione  nasale,  o  per  isternuti.  Un 
subito  ribrezzo  caccia  quella  febbre  ardente 
die  i  Greci  appellano  causode.  Se  nella  feb- 
bre l'udito  si  fa  ottuso  sopravvenendo  sangue 
del  naso,  o  un  flusso  di  ventre,  tal  male  si  di- 
legua affatto.  Wilma  cosa  più  giova  contro  la 
sordità  quanto  una  soccorrenza  biliosa.  Chi 
principia  ad  avere  nel  canal  dell1  orina  degli 
ascessetti  detti  fimata  in  greco,  risana,  tosto- 
chè  per  esso  venga  a  fluire  della  marcia.  Fra  i 
quali  affetti  li  pili  venendo  spontanei,  si  con- 
vien  sapere  che 'fra  quelle  cose  che  adopera 
T  arte,  ha  la  natura  e  vuole  la  parte  sua,  la 
quale  principalissima  è. 

AH1  incontro  se  duole  la  vescica  con  feb- 
bre continente,  e  che  1'  alvo  nulla  renda,  è  se- 
gno triste,  anzi  mortifero  :  ed  è  massimamen- 
te di  pericolo  ai  fanciulli  dal  settimo  anno  al 
quartodecimo.  Nelle  malattie  dei  polmoni  il 
mancare  ai  primi  dì  lo  sputo,  in  appresso  co- 
minciare ad  aversi  al  settimo  dì,  e  seguitare 


re  quel  periodo  è  cosa  pericolosa;  e  tanto 
più  è  pestifera  quanto  più  sono  a  vari  colori 
screziati  ;  ne  fra  loro  divisi.  Pur  nondimeno 
non  avvi  di  peggio  d'uno  sputo  schietto,  gial- 
lastro o  sanguinoso,  o  bianco,  o  glutinoso,  o 
pallido,  o  spumeggiante;  il  nero  per  altro  è 
di  tutti  il  pessimo.  Nella  medesima  malsanìa 
pericolosa  è  la  tosse,  la  flussione  od  anche  lo 
sternuto  che  si  tiene  per  salutare  in  altri  casi: 
ma  pericolosissimo  segno  è  se  a  questi  sop- 
praggiugne  un  istantaneo  scioglimento  del 
corpo.  I  medesimi  indizi  ora  più  lievi,  ora  più 
gravi  che  si  osservano  nel  dolor  del  polmone, 
hannosi  nel  dolor  di  costa.  Venir  fuora  del  fe- 
gato marcia  sanguinosa,  è  segnale  mortifero. 
Fra  tulle  le  suppurazioni  pessime  son  quelle 
che  si  dirigono  allo  indentro  scolorando  nel 
medesimo  tempo  anche  la  esterior  cute:  in 
appresso  quelle  che  vengono  all'  esterno,  e 
quelle  che  sono  diffuse  mollo  e  pochissimo  ri- 
levale. Che  se  avvenga  che  la  febbre  non  ceda 
ancorché  siasi  rolla  la  vomica,  eia  marcia 
inori    emessa;   o  quanhinqiie  risiala,   tuttavia 

ritorni  :  pariraentise  v'ha  scie,  inappetenza, 

Lubricità  del  ventre  ;  se  il  pus  è  livido,  pallido 
e  se  P  in  lei  ino  non  ispurga  die  una  spumeg- 
giatile mucosità,  manifesto  pericolo  sovrasta. 
I.  da  queste  suppuraaàoni,  Le  quali  succedono 
agli  alleili  polmonari  per  l<>  più  ne  muojono  i 
vecchi  ;  dalle  altre  i  giovani.  Ma  nella  tabe  U> 


50  C    B    L    »    O 

pilli  fluunt:  ubi  urina  quaedam  ara'.ieis  simi- 
ba  subsidenza  ostendit.  atque  in  lii>  odor  foe- 
tlus  est  ;  rnaxiineque  ubi  post  haec  otta  deje- 
clio  e>t.  protinus  moritur  :  ulique.  b  terapus 
autummi  est.  quo  fere,  qui  cetera  parte  anni 
traxerunt.  resolvuntur.  ltem  pu>  exspuisse  iu 
hoc  morbo.  deinde  ex  toto  spuere  d 
mortiferum  est.  Solent  etiam  in  adolescenti- 
bus  ex  eo  morbo  voruicae  fistulaeve  oriti  ; 
quae  non  facile  sanescunt.  nisi  si  multa  >igna 
bonae  valetudini*  subsecuta  sunt.  Lx  reliquis 
vero  minime  facile  sanantur  virgines.  aut  eae 
mulieres.  quibus  super  tabem  menstrua  sup- 
pressa  sunt.  Cui  vero  sano  subitus  dolor  ca- 
pitis  ortus  est.  dein  sommi*  Oppressit,  sin  ut 
stertat.  neque  expergiscatur.  intra  septiraurn 
diem  pereundum  est  ;  rnagis.  cura  alvus  cita 
■OH  anteee>serit.  si  palpebrae  dormientis  non 
coeunL  sed  album  oculorum  appare!.  Quos 
tamen  ita  mors  sequitur.  si  id  malum  non  est 
febre  discussum.  At  aqua  inter  cutem.  si  ex 
acuto  morbo  coepiL  ad  sanitatem  raro  per- 
ducilur  :  ulique  si  contraria  iis.  quae  supra 
ponila  sunt.  subsequuntur.  .Eque  in  ea quoque 
tus-is  spem  tollit:  item.  si  magma  sursum  de- 
orsumque  erupit.  et  a  jua  medium  corpus  im- 
plevit.  Quibusdam  etiam  in  hoc  morbo  tumo- 
res  oriuntur.  deinde  desinunt,  deinde  rursus 
assurgunt.  Hi  tutiores  quidem  sunt.  quam  qui 
supra  comprehensi  sunt.  si  attendunt  ;  sed  fere 
fiducia  IU  limite  valetudini*  oppriinuntur.  11- 
lud  pire  aliquis  mirabilur,  quomodo  qaae- 
dam  sirnul  et  aftlii.mt  mMra  corpora,  et  parie 
alijua  tueantur.  I  I qua    inter  Ottieni 

quem  imple\it.  sive  in  inaino  ab-cessu  mul- 
tum  puri*  coiit,  sirnul  id  orane  etìudisse,  ae- 
que mortiferum  •  bum  Mxni  i 
vuhtere  factus  ertangnif  est.  artìcoli  vero  cui 
•  ut.  ut  super  eos  ex  callo  quaedam  tu- 
bf-rr  iila  iiinita  sint.  nuimpiam  lib«ran  tur  : 
:  urn  viti;i  voi  in  scacciate  coepe- 
runt.  vd  in  tenai  tutem  .il>  adolesceutia  perve- 
aerasat,  ut  allunando  leniti   poaeaut,  ne  num- 

quam  ex  tot'»  tiuiuulur.    Morbi    <jii"  | 

miiialis  post  annulli   quintnai   et   ricesimnm 
orini  l'ur:  nrattoonenecriui  i ^,  * j n i 

I  uni  animili    I  Oeplt  ;    adco  ut 

■Hquid  in  natni  i  spet,   i i\  quid- 

qu.nn  in  medicina  |ÌL  I  rlim  si  suini 

tm uni  eorpoi  -'tti  itnr.  neqne  ante  n  partibm 
aliquii  renienus  mali  u 

ini|>i  01  iv>    i  'in  ;  lil  .    (  ujiwuni<|tir    il 
H   M  io    Mi     liifih    UM 

ani  nei  >lulio1  medi»  iuae  lo<  m 

I  I  mhiis  quoque  »ì  fi  l»rn 

sii  :  si  inll inumati 

rum.  ani  M-nii m  -.  si  uomo  I  longius 

II  nq.iiN  ;   v,    ,1*  m    ;,,,  ,.,  ;     M     ,  ,,,,,     ,|,,|, 

<        i  moi  iis  perii  ninno  su!,  neque, 

.si  in''  :  .  i  ii  ut. 

Isque  morlms  maxime  pOCTOI  ■fcanuil 


spurgo  misto  purulento,  e  li  febbre  incessan- 
te che  non  lascia  tempo  al  cib  •.  e  che  afflìgge 
l'uomo  di  sete,  sono  seguali  di  somma  gravez- 
za in  un  gracile  corpo.  E  se  mai  qualcuno 
anche  in  questa  infermità  tirò  in  lungo,  dap- 
ali cadono  i  capélli,  dappoiché P ori- 
na la  un  sedimento  simile  in  certo  modo  ai 
ragna telìi.  e  che  gli  sputi  pnlono  neramente, 
e  principalmente  quando  a  siliatti  accidenti  si 
aggiunga  la  diarrea,  in  piceiol  tempo  ei  muo- 
re :  tanto  più  se  è  d"  autunno,  in  cui  per  usa- 
to cessano  di  mere  quei  che  trassero  innanzi 
nelle  altre  parti  dell'anno.  Egli  è  del  pari 
funesto  segnale  1"  avere  espurgata  della  mar- 
cia in  questa  infermila,  epos  il1  essersi  del 
tutto  arrestata  l'espettorazione.  Sono  use  al- 
tresì firmarsi  appo  i  giovani  per  la  predelta 
malattia  vomiche,  o  fistole,  le  quali  non  trop- 
po facilmente  risanano  salvochè  non  soprav- 
vengano altri  molti  salutiferi  segni.  Men  fa- 
cilmente fina  essi  risanano  le  fanciulle,  o  quel- 
le temmine  alle  quali  siensi  nel  tempo  della  ta- 
be soppressi  i  mestrui.  Ad  una  persona  sana, 
se  vienle  istantaneamente  dolor  di  capo,  indi 
se  è  assalita  da  alto  sonno  si  che  forte  ron- 
ggi,  nesi  riscuota,  perirà  entro  sette  giorni, 
marinamente  se  non  essendone  preceduto 
lei  ventre,  le  palpebre  mentr'essa  dorme 
non  si  chiudono  del  tutto,  ma  lasciano  trave- 
dere il  bianco  degli  occhi.  Tutlavolta  la  febbre 
e  questo  malore,  e  sottrarre 
dalla  morte  P  inferni".  E  1"  idropisia  ehe  suc- 
cede ad  un  male  acuto  di  rado  \  m  q  risanata, 
spezialmente  se  è  accompagnata  d'accidenti 
contrari  ai  narrati  di  >i  .i  !.■    tosse 

_:ie  novello  timore  in  questo  malanno  : 

il  sangui  la  impeto  alle  p;i  li  superiori 
ed  inferiori  intanto  che  V acqua  ingombri  tut- 
ta la  parte  media  del  corpo.  Ad  alenili  idro- 
pici nascer  sogliono  de"  tumori,  quindi  s\. mi- 
re, quindi  ricomparire  di  quoto.  Questi  hanno 

pia  a  spelare  di  quelli  onde  si   parlò  DO* 

pi.i.  purché  sieno  docili  e  tolleranti  :  ma  *\  i  i- 
io  l.i  soverchia  fidanza  di  Ila  sani!  »  l"i 

DCSta.   I  munte  mai  .i\  i.h.i:  «•  qualcu- 

i    un   teni|.')  infestino  i 
i  <  orpt,  e  in  qualche  pai  te  -liti ^r I i  di  pre- 
sidio. Per  esempio,  m gì  an  <  opia  d'acqua 

1 1  ,i  (  ni».  «■  m  molta  mai <  ia  in  ampio  e- 

It.i.  tutta  si  eflbndesse  .ni  un   i rafc- 

(  l.i  morte,  non  altrimenti  chi  già 

sanissimo  è  per  ferrila  fatto  subitamente  esan- 

Efiano  si  libera  da1  mali  doloi  osi  'l 

i  sieno   nab  e  delle 

e  certi  .diri    \ i/i  degli 
vii  che  abbiano  cominciato  nell'attempata  età, 
otti  tre  ■  v  enuli  dalli  gio- 

vani // 1.  i  ora*  <  bè  alquanto  allei  iare  n  ; 

i  pi  i  «.   mai   radicalmente 
Ani  he  l.i  <  |  la    dopo  il    t  ig<  limo- 

qumto  n i j i j < *  è  di  dilli». ile  cura  :    assai  più  dilli- 


DELLA    HEDICIBA 

ad  annum  decimum  :  ceterae  aelales  facilius 
sustinent.  Mulier  quoque  gravida  ejusmodi 
casa  rapi  potest  ;  atque  etiamsiipsaconvaluit, 
parlum  tarnen  perdit.  Quia  et  jam  tormina  ab 
atrabile  orsa  mortifera  sunt  ;  aut  si  sub  his. 
extenuato  jam  corpore,  -ubi io  nigra  alvua 
profluxit.  A.I  intestinorum  laevitas  perìcolosioT 
est.  si  frequens  dejsctio  est  :  si  venter  omni- 
bus boria  et  cani  sono,  et  sine  hoc  profluit  ; 
si  similiter  noetu  et  interdiu  :  si.  ano  1 
nitur.  aut  crudum  est.  aut  nigrum,  et  praeter 
id,  etiam  beve,  et  mali  odoris  ;  si  sitis  urg 
si  post  potionem  urina  non  redditur  (  quod 
evenir,  quia  tua  :  liquor  ornuis  non  in  vesicam, 
sed  in  intestina  descendit  )  :  si  os  exulceratur, 
rubet  facies,  et  quasi  maculis  quibusdam  co- 
lorura  omnium  distinguitnr;  si  venter  est  qua- 
si fermentatus.  pinguisatqu  .  !  :?iet  ci- 
bi cupiditas  non  est.  Inter  quae  cum  evi 
rnors  sit.  multo  evidentior  est.  si  jam  I 
quoque  id  vitium  est;  maxime  etiam.  si  i.i 
corpore  senili  est.  Si  vero  in  tenuiore  intestino 
morbus  est.  vomitus.  singullus.  nervoruin  di- 
stentio.  delirium,  mala  sunt.  At  in  morbo  ar- 
quato,  durum  rieri  jecur.  perniciosissimurn 
est.Quos  lienis  male  habet.  si  tormina  prehen- 
derunt,  deinde  versa  sunt  vel  in  aquam  inter 
cutem,  vel  in  intestinorum  laevitatem.  vix 
ulla  medicina  periculo  subtrahit.  Morbus  in- 
testini tenuioris  Disi  resolutus  est.  intra  septi- 
rauin  diem  occidit.  Mulier  ex  partu.  si  cum 
febre  vehementibus  etiam  et  assi duis  capitis 
doloribus  prernitur.  in  periculo  morti»  est.  Si 
dolor  at que  inflammatio  est  in  iis  partibus. 
quibus  vi»cera  conlineutur.  frequeater  spira- 
re, signum  malum  est.  Si  sine  causa  longus 
dolor  capitis  est.  et  in  eervices  ac  scapulas 
transit.  rursusque  in  caput  revertitur.  aut  a 
capite  ad  eervices  scapulasque  pervenit.  per- 
niciosus  est  :  nisi  vomicam  aliquam  excilavit, 
sic  ut  pus  extussiretur  :  aut  nisi  s.uiiruis  ex 
aliqua  parte  prorupit  ;  aut  nisi  in  capite  mul- 
ta porrigo.  lotove  corpore  puslulae  ortae  sunt. 
/Eque  macinini  malum  est.  ubi  torpor  at  [ne 
prurigo  pervagantur,  modo  per  totum  caput, 

in  parte;  aut  sensus  alicujus   ibi 
:    eaque  ad  aummam    quoq 

perveninnt.  tt  cum  in  iisdem 
bus  auxilium  sit.   eo  lamen   difficilior   sanitas 
est.  quo  i n ii 1 11  s  iaepe  sub  bis  malia   illi 
quuntur.  In  coxae  vero  doloribus,  si  ve) 
torpor  est.   frigescitque  crua  el  ooxa  ;    ahus 
nisi  coacta  non  reddit,  idque  quod  eatee rni tur, 
mucosum  est  :  jamque  aetas  ejus  homi:, 

-inumi  annum  excessi t  ;  is  morb 

>,  minimumque  annuua  :   neque  fi- 
lini poterit,  i j i -i  aul  vere,  aut  autumno.   Dif- 
ncTKs  aeque  (  uratio  est,  in  eadem   aetate,    uhi 
humerorum  dolor  vel  ad  manua  pervenit,   vel 
■  tfii'lit.   to  el   dolorem 

umque 
Celso. 


■ 
ib  scessi- 


cile  ancora,  se  suscitossi  dopo  il  quadragesimo  : 
cosicché  in  quella  quasi  nulla  n1  ha  a  sperare 
dalla  medica  rninistrazione.  solamente  alcuni 
speme  resta  nelle  forze  della  natura,  h  da 
questo  malore  quasi  non  mai  si  risana,  qualun- 
que sia  1"  età  del  paziente,  quando  al  un"  ora 
tutto  il  corpo  invada,  ne  si  abbia  innanzi  al- 
cun senso  dell'invadente  male  in  veruna  par- 
te, ma  cada  1"  uomo  improvvisamente  a  ter- 
ra :  se  poi  v1  ha  lesione  alle  facoltà  morali,  e 
nato  un  risolvimento  dei  nervi  ,  è 
immedicabile.  Ancora   •  lo  di   morte, 

se  alla  diarrea  sopraggiugne  la  febbre,  se  v'ha 
nazione  di  fegato,  oeondri,  o 

del  ventre  :  se  la    sete   è   ineslinguibil e. 
male  è  inveterato  ;  se  gli  escrementi    sono  va- 
riati, e  si  rendono  con  dolore,  e  sopra  tutto  se 
i  tornimi  in  mezzo  a  qn  iti  comincia- 

no ad  invecchiare.  Questa  infermità  rapisce  i 
fanciulli  insino  all'  età  di  dieci  anni  :  le  altre 
eia  più  agevolmente  vi  resistono.  E  ancora  b 
donna  pregnante  può  da  caso  simile  venir  a 
morte,  e  quantunque  la  scampi,  tuttavia  perde 
il  parto.  Ancora  la  dissenteria  incitata  dall'  a- 
trabile  suol  essere  mortifera,  e  funestissimo 
indizio  è  in  persona  emaciala  destarsi  in  un 
tratto  flusso  di  materie  nere.  Ma  la  lienteria  è 
vieppiù  pericolosa,  se  le  scariche  so;. 
queuti.  se   il  ventre    ad   ogn'  ora    fraise 

.  o  Senza  :  se  siò  si  fa  notte  e  di,  se  quel 
che  si  rende  è  inconcotto  o   nero,  ed  olti 
anche  levigato  e  di  mali    - 
incalza,  se  ì"  orina  non  si  rende,    dopo    b  be- 
vanda, (il  che  addiviene  per   passare  iì 
tutto  non  in  vescica,  ma  nelle  intestina  |  se  b 

à  esulcera,  se  la  faccia  rosseggia,  e  qua- 
si si  sparge  di  certe  macchie  d1  ogni  colore,  se 
il  ventre  è  per  ventosità  tumefatto,  d 
anfrattuoso,  e  se  a  queste  cose  si  arroge  l'inap- 
petenza. In  mezzo  a  questi  segni  evidente  si 
issai  più  poi  se  già  inveteralo 
si  è  il  malore,  e  massimamente  ancora  se  ha 
un  corpo  aggravato  dagli  anni.  Il  vomi- 
to, il  singhiozzo,  gli  stiramenti  nervosi.il  deli- 
rio sono  indizi  fatali  nella  passione  iliaca. Nel- 
l'i Uerizia  perniciosissimo  incidente  si  è  farsi  du- 
ro il  t.  iifetti  della 
milza,  se  venf  --  inti da  dissenteria, 
la  quale  poscia  si  converta  in  idrope  od  in  Iien- 

ilevole 

a  sottrarli  al  pericolo.  11  male  dell"  ileo  se  non 
si  risolve  entro  sette  hi  •  Dna  puer- 

■  colla  febbre  è  apehe  assalita  da  spicta- 
i  dolori  di  t.-^ta.  trovasi  in 

1110  per 
re  si  M 

funesto  il    i 
(piente.    Li    diuturno    dolor    di 

•.  il  .pi.lc  passi  al  i  ..11.'.    alk 

noie,  e  di  nuovo  ritorni  alca]   i;odi i 

distenda  alle  prefate  [arti,  è  perni 


Dò 


C    li    L    S    O 


vero  parte  corporis  membrum  aliquod  reso- 
lutum  est,  si  ncque  movetur,  et  emacrescit, 
in  prislinum  habituni  non  reverlitur  ;  eoque 
minus,  quo  vetustins  id  vitium  est,  et  quo 
magi*  in  corpore  senili  est.  Omnique  resolu- 
lervorum  ad  medicinam  non  idonea 
tempora  sunl  hiems  ci  autumnus:  aliquid  spe- 
rari  potest  vere  et  testate.  Isque  morbus  me- 
diocri.* \iv  sanati».  \ehemens  sanarì  non  po- 
test. Oranis  etiam  dolor  minus  medicinae  pa- 
tch qui  sursum  procedi I.  Mulieri  gravidae  si 
subito  rnammae  emacuerunt,  abortus  pericu- 
Juiu  est.  Qnae  ncque  peperit,  ncque  gravida 
est,  si  lai-  babet,  a  menstrnis  defecta  est. Quar- 
tana iiuliiiimalis  fere  lon^a  est  ;  maximeque, 
quae  coepil  bieme  appropinquante.  Si  sanguis 
profluxit,  dei  mie  seeula  est  dementia  eum  di- 
shnlione  nervorum,  periculum  mortis  est: 
Itemque,  n  medicamentis  purgatum,  et  adhuc 
"man*  ni.  nervorum  distendo  oppressi!  ;  aut  si 
in  magno  dolore,  extremae  partes frigent. Ne- 
<;m e  i-  id  vit.un  redit,  qui  ex  suspendio,  spu- 
naante  ore,  detractus  est.  Alvus  mgra,  sangui- 
ni atro  similis,  repentina,  sive  rum  febre,  sive 
etiam  siae  liac  est,  perniciosa  est. 


Cw.  a   —  Di  morhorum  curationibus, 

CognUil  in. Il  p|  QOnjO- 

u  litui.  \,  !  mela  tei  r<  .mi.  ...I  cui aliones  mor- 

iseundnm   est,   Ei    bii  quaedam 

oommunes  sunt,  quaedam  propriae  :  comma* 

Bea,  quaa  pluribui  morbii  opitulantar  -,  prò* 

aunibai  ■  '  j — 


che  non  ne  nasca  qualche  vomica  in  guisa  che 
il  pus  possa  venir  espurgato  ;  o  che  sopravven- 
ga alcuna  emorragia,  o  nel  capo  si  ecciti  mol- 
ta tortore,  ovvero  prorompano  assai  pustole 
per  tutto  il  corpo.  Ed  è  pure  gran  male  pro- 
var torpori  e  pnirigini  vaganti  quando  per 
tutto  ilcorpo.e  quando  in  una  parte  :  ovvero  un 
senso  quivi  come  di  freddo,  e  questi  accidenti 
risentirli  perfino  ali1  apice  della  lingua  :  e  per 
questi  guaj  rajiito  essendo  riposto  negli  aces- 
si tanto  più  malagevole  è  il  risanamento  quanto 
più  di  rado  sotto  tali  circostanze  essi  si  formano. 
11  morbo  ischiatico  sarà  lunghissimo,  almeno  di 
un  anno,  è  non  si  risolverà  che  in  primavera  o 
in  autunno,  tuttavolta  che  forte  sia  il  torpore, 
la  gamba  e  la  coscia  fredde,  ed  il  ventre  non  si 
evacui  se  non  con  isforzo  e  gli  escrementi  sie- 
110  mucosi  e  la  persona  oltrepassante  il  qua- 
rantesimo anno.  Egualmente  di  scabrosa  cura 
nella  medesima  età  sono  le  doglie  del  braccio 
che  si  prolungano  alle  mani,  o  si  dirigono  alle 
spalle,  e  che  dal  rigettar  di  bile  non  risentono 
veruno  alleviamento.  In  qualunque  parte  del 
Corpo  abbiasi  un  membro  paralitico  che  nul- 
la si  muova,  e  che  dimagri  ;  più  attempato  non 
puote  nel  pristino  stato,  e  tanto  meno  quanto 
più  è  inveterato  il  vizio,  e  più  annoso  il  sog- 
getto. Il  verno  e  V  autunno  sono  dell1  anno  le 
meno  idonee  stagioni  alla  medicazione  della 
paralisia  :  alcun  vantaggio  sperar  si  può  dalla 
primavèra  e  dalla  stai*':  un  incompiuta  pa- 
ralisi di  rado  risanasi,  una  Compiuta,  non  mai. 
Anche  \n\  dolore  qualunque  ebe  si  rechi  alle 
partì  superiori  piega  meno  ai  rimedi.  Dna  gra- 

\  ida,  <"ui  di  presente  si  ai  \  izzirono  le  poppe  è 
in  pericolo  di  abortire.  Dna  femmina  che  non 
partorì,  né  ebe  è  gravida,  se  ba  del  latte  con- 
vien  che  sia  mancante  de  mestrui.  La  febbre 
quarta  ma  autunnale  suol  esser  lunga,  quella 
massimamente  che  cominciò  all'avvicinarsi 
del  v«ino.  Se  l.i  demenza  sopraggiugne  ad  uà 

profluvio  «li  Sangue  COn  tensione  di  nervi,  y'c 

pericolo  di  morte,  e  parimente  *e  altri  pur- 
gato con  medicamenti, e  già  vuoi,,  venga  as- 
salito «la  convulsioni  ;    <>    se    in    un    bei  issimo 

dolore  le  estreme  parti  sono  fredde.  Non  è  |",s- 
siliil  cosa  ritornare  io  fila   chi  è  stato   tratto 

■  la  un  impiccamento  già  colla  borra  rigurgi- 
tante di  bava.  Egli  è  segno  esiziale  una  re- 
pentina evacua/ione  dì  escrementi  neri  simili 

■  sangue  rappreso,  sia  con  lebbre,  od  eriche, 
lenza  «li  essa. 


Cvr. 


Cura  (L'ile  malattù 


Conosciuti  i  segni  ebe  ne  fanno  sperar* 
o  temere,  si  convien  passare  alle  oure  delle 
malattie.  Trs  queste  altre  som»  comuni,  altre 

pi  opi  ie  :  «  "limili  quelle  ebe  il   convengono  ■ 

poi  m. inni  e  di  in. di.  propi  ie  quelle  che  ;« 
-  n  ti-  pai  ti«  "l.n  i  speme.   Dirò  iq  prima  della 


cam  :  ex  quibus  tamen  quaedam  non  aegros 
solum,  sed  sanos  quoque  sustinent  ;  quaedam 
m  adversa  tantum  valetudine  adhibentur. 
Orane  vero  auxilium  corporis,  aut  demit  ali- 
quam  rnateriam,  aut  adjicit,  aut  evocat  ,  aut 
reprimit,  aut  refrigera  t,  aut  calefacit,  simul- 
que  aut  durat,  aut  mollit.  Quaedam  non  uno 
modo  tantum,  sed  etiam  duobus  inter  se  non 
contrariis  adjuvant.  Demitur  materia,  sangui- 
ne» detractione,  cucurbitula,  dejectione,  vomi- 
tu,  frictione,  gestazione,  omnique  exercitatio- 
ne  corporis,  abstinentia,  sudore.  De  quibus 
protinus  dicam. 

Cap.  x.  —  De  sanguìnis  detractione 
per  venas. 

Sanguinem.  incisa  vena,  mi! ti  novum  non 
est  :  sed  nuìlum  paene  morbum  esse  ,  in  quo 
non  mittatur,  novum  est.  Itera,  mitti  juniori- 
bus,  et  femiuis  uterura  non  gerentibus,  vetus 
est  :  in  pueris  vero  idem  experiri,  et  in  senio- 
ribus,  et  in  gravidis  quoque  mulieribus,  vetus 
non  est  :  siquidem  antiqui,  primara  ullimam- 
que  aelatem  sustinere  non  posse  hoc  auxilii 
genus,  jndicabant .  ;  persuaserantque  sibi,  niu- 
lierem  gravidam,  quae  ita  curata  esset,  abor- 
tirai esse  facturara.  Postea  vero  usus  ostendit, 
nifail  in  his  esse  perpetuum,  aliquasque  potius 
observationes  adhibendas  esse,  ad  quas  dirigi 
curantis  consilium  debeat.  Interest  enim,  non 
quae  aetas  sit,  neque  quid  in  corpore  intus 
geralur,  sed  quae  vires  sint.  Ergo  si  juvenis 
imbecilli»  est,  aut  si  mulier,  quae  gravida  non 
est,  panini  valet,  male  sanguis  mittitur  :  emo- 
ri lur  enim  vis,  si  qua  supererà t,  hoc  modo 
erepta.  Al  firmus  puer,  et  robustus  senex,  et 
gravida  mulier  valens,  tuto  cura  tur.  Maxime 
tamen  in  his  medicai  imperilus  falli  potest: 
quia  fere  mini»  roboris  il  li  s  aelatibus  subest  ; 
miilierique  praegnanti  post  curalionem  quo- 
que viribus  opus  est.  non  tantum  ad  se,  sed 
etiam  ad  partum  susfmendum.  Non  quidquid 
antera  intentionem  animi  et  prudentiam  exi- 
git,  protinus  ejicienduin  est  ;  cum  praecipua 
in  hoc  ars  sit,  quae  non  annos  numeret,  neque 
conceplionem  solam  videa t,  sed  vires  aesti- 
met,  et  ex  eo  colligat,  possit  necne  supercsse, 
quod  vel  puerum,  ve!  senem,  vel  in  una  mu- 
li-re duo  corpora  sustineat.  Interest  etiam  in- 
ler  vnlr-ns  corpus,  et  obesum  ;  inter  tenue,  et 
infirmimi  :  tenuioribus  magis  sanguis,  plenio- 
ribus  magis  raro  al.undat.  Facilius  itaque  illi 
detractionera  ejusmodi  sustinenl  :  celeriusque 
<•■'-  si  nimium  est  pinguis,  aliquis  affli  gì  tur. 
Ideoque  vis  corporis  melius  ex  venis,  qnam 
ex  if>-i  specie  aestimatur.  Neque  solum  haeo 
eousideranda  sunt,  sed  etiam  morbi  geni» 
quod  sii  :  oh  n.n  superans,  an  defìeiens  mate- 
ria laeserit;  corruptura  «orpus  sit,  an  inte- 
grimi. Nani  si  materia  vel  deest,   vel  integra 


DELLA   MEDICINA  $9 

comuni,fra  le  quali  però  alcune  recano  profitto 
non  solo  agi1  infermi,  ma  anche  ai  sani  :  altre 
non  si  usano  che  in  malattia.  Ogni  rimedio 
pe'  nostri  corpi  alcuna  cosa  toglie  o  aggiugne  ; 
attrae  o  ripercuote  ;  refrigera  o  riscalda,  ed  al 
tempo  istesso  indurisce  o  mollifica.  Certi  ri- 
medi non  recano  giovamento  in  un  modo  so- 
lo, ma  spesse  fiate  in  due  fra  di  loro  non  con- 
trarie guise.  Sottraesi  la  materia  colla  caccia- 
ta del  sangue,  colle  coppette,  colla  purgazione, 
col  vomito,  colla  fregagione,  colla  gestazione  e 
con  ogni  qualità  d'esercizio,  coll'astinenza,  col 
sudore,  delle  quali  cose  passo  a  ragionare. 


Cap.  x.  —  Della  sottrazione  di  sangue 
per  le  ve?ie. 

Trar  sangue  incidendo  una  vena  non  è 
nuovo,  ma  che  non  vi  sia  quasi  malore  niuno, 
in  cui  non  si  tragga,  è  costumanza  nuova.  Trar 
sangue  ai  giovani  e  alle  donne  non  gravide  è 
cosa  vecchia,  mi  non  ha  gran  tempo  che  ciò 
si  fa  ne1  fanciulli,  ne'vecchi  e  nelle  pregnanti 
ancora.  Gli  antichi  estimavano  che  la  prima  e 
T  ultima  età  atte  non  fossero  a  sopportare  si 
fatto  sovvenimento,  e  fermamente  credevano 
che  una  donna  incinta  che  subita  avesse  tale 
operazione  sarebbe  andata  incontro  all'aborto. 
Ma  l1  esperienza  poscia  ne  fece  accorti  ninna 
regola  intorno  all'  uso  della  flebotomia  essere 
costante  e  fissa,  ed  abbisognare  piuttosto  di  ul- 
teriori esservazioni  a  meglio  scorgere  la  mente 
dell1  artista.  Imperocché  monta  sapere  non 
quale  sia  l'età,  né  ciò  che  si  fa  entro  il  nostro 
corpo,  ma  in  che  slato  si  ritrovano  le  forze.  II 
perchè  male  a  proposito  tramasi  sangue  ad  un 
giovine  debole,  o  ad  una  femmina  illanguidita, 
avvegnaché  non  gravida,  perocché  vernasi  con 
ciò  ad  estinguere  quell'  avanzo  di  forza  che 
per  anche  loro  rimaneva.  Ma  puossi  bene  trar 
sangue  con  sicurezza  ad  un  gagliardo  ragazzo, 
ad  un  robusto  vecchio,  od  a  donna  gravida  vi- 
gorosa. Contuttociò  può  in  queste  cose  an- 
dar di  leggieri  errato  un  medicante  inesperto 
perocché  in  queste  età  v'  ha  minor  rubustez- 
za,  ed  una  gravida  dopo  una  cura  ha  d1  uopo 
di  tutte  le  sue  forze  non  tanto  per  sostenere 
sé,  ma  sì  anche  il  feto. Non  devesi  a  prima  giun- 
ta prescrivere  ciò  che  esige  di  molta  rifles- 
sione e  prudenza,  perocché  in  queste  appunto 
sta  il  pregio  dell1  arte,  la  quale  non  fa  suo 
principal  negozio  l1  annoverare  gli  anni,  o 
guardare  alla  pregnezza,  ma  sì  le  forze  bi- 
lancia per  dedurre  quinci  se  tante  ne  potran- 
no rimanere  che  sufficienti  sieno  a  sostenere 
un  fanciullo,  un  vecchio,  e  due  corpi  insieme 
in  una  donna.  Importa  eziandio  distinguere 
tra  un  soggetto  forte  e  grosso,  ed  un  magro 
e  debile.  Ì  magri  più  abbondano  di  sangue, 
più  di  carne  i  grassi.  Il  perchè  quelli  più  facil- 
mente ne  sopportano  la  sottrazione,  e  per  essa 


fio  CELSO 

est,  istad  alienimi  est  :  al  si  vcl  copia  sui  male 
habet,  vcl  corropta  est,  nullo  modo  melius 
succurritur.  Ergo  vehemeus  febris,  obi  rubet 
corpus,  plenaeque  venae  Uimnil.  sanguinis 
detractionem  requirit  :  ilem  viscerum  morbi 
nervorumque  resolutio,  et  rigor,  et  distentio; 
quidquid  dcuique  fauces  difticultatc  spiritus 
atrangnlat;  quidquid  sabito  supprìmil  vocem; 
quisquis  intolerabitia  dolor  esl  ;  el  quacumqae 
de  causa  ruptum  aliquid  inlus  atque  collisum 
<  si  :  itein  melos  eorporis  habitus,  omuesque 
acuti  morbi,  qui  modo,  ut  sopra  di\i,  non  in- 
firmitate,  sed  onere  nocenl.  Fieri  tamen  po- 
test,  ni  morbus  qoidem  ìd  desiderei .  corpus 
niilcm  vi\  pati  posse  ridestar  :  sed  si  nullum 
tamen  apparcat  aliud  aoxilium,  peritorosqoe 
sii  (fui  laborat,  nisi  temeraria  qooqoe  ria  fue- 
rit  adjutus;  in  hoc  stata  boni  medici  est  OSten- 
quam  nulla  spes  si t  sine  saogoinis  de- 
traetene, faterique.  quantus  io  hac  ìpsa  me- 
tal sii  :  et  tiun  deimmi.  si  exigetur,  sangui- 
nem  mittere.  De  quo  dubitare  in  ejusmodi  re 
non  oportel  :  satios  esl  ebim  aoceps  auxilium 
rxperiri.  qoam  nullum.  Idquc  maxime  fieri 
debet,  obi  nervi  resolati  saal  ;  obi  sabito  ali- 
qnis  obmatail  ;  ubi  angina  strangulatur  :  obi 
prioria  febris  àccessio  paehe  confecit,  parem- 
tjue  mbsequi  verisimile  est,  neqoe  eam  viden- 
lur  sastinere  aegri  virea  posse.  Cam  sii  autera 
minime  crudo  sangais  mittendua,  tamen  ne  ìd 
quidem  perpetnam  est  :  neque  eaim  semper 
concoctionem  rea  exspectat.  Ergo  si  ex  supe- 
riore parte  aliquia  decidit,  si  contasua  est,  si 
ex  aliqao  subilo  casa  sanguinei»  vorait;  quam- 
\is  paolo  ante  sompsif  cibam,  tamen  protinua 
ci  demenda  materia  est,  ne,  si  subsederi i.  cor- 
pur  a  (Biga  t.  Idem  etiam  in  aliiscasibusrepen- 
tinis,  qui  strangulabnot,  dictum  erit.  \i  si 
morbi  ratio  patietar,  tum  demam,  Dulia  crn- 
ditatia  suspicione  remanente,  id  liei,  [deoque 
eì  rei  videlur  aptù  imua  adversae  valéludinia 
dies  seconditi  sul  tertius.  Sed  ut  aliquando 
etiam  primo  die  sanguineo!  mittere  ti 
«■st. sic  numquam  utile  posi  diem  qoartum  est, 
(uni  ).'iin  ipatio  ipso  materia  el  eihausta  est, 
et  corpus  corrupit  ;  ut   detractio   imbecillum 

ni   fu  il  e  pOSSi  ^   QOO    pO     il    iole',  l'uni. 


più  presto  ne  riceve  onta  chi  trovasi  soverchia- 
mente pingue.  Meglio  pertanto  si  estima  la  ro- 
bustezza dell*  uomo  dall'1  ispezione  delle  vene 
che  non  dall'abito  del  corpo.  Né  tanto  consi- 
derar si  vogliono  queste  cose,  ma  determinare 
inoltre  qual  sia  la  specie  del  male  ;  se  la  ma- 
teria pecchi  per  eccesso  o  per  ditetto,  se  il  cor- 
po sia  sano  o  viziato.  Perocché  se  la  materia 
manca,  od  è  ben  costituita,  la  cavata  del  san- 
gue è  inconvencvole.  ala  se  è  per  copia  esube- 
rante, ovver  corrottagli  nessun'altra  guisa  vi  si 
può  meglio  riparare.  Quindi  in  una  gagliarda 
febbre  (pianilo  rosso  è  il  corpo  e  turgescenti  le 
vene,  bisogna  ricorrere  alla  flebotomia, e  simil- 
mente ne1  malori  delle  \  iscere,  nella  paralisia, 
nello  spasmo  e  nelle  convulsioni  :  finalmente 
ne'  guaj  delle  fauci  costituiti  da  uno  strango- 
lamento qua!  che  ne  sia  la  cagione,  con  difficol- 
tà di  respiro  ;  e  nella  istantanea  perdila  della 
voce: in  lutti  i  violenti  dolori,  e  nei  casi  lutti  in 
cui  che  che  ne  sia  la  cagione,  alcuna  parte  in- 
terna si  trovi  rotta  o  contusa:  parimenti  nel 
reo  abito  del  corpo,  ed  in  tutte  quelle  malat- 
tie acuì  e  le  (piali,  siccome  avvertiva  più  sopii, 
sono  ingenerate  non  per  deficienza,  ma  per 
esuberanza  d1  umori.  Conluttociò  può  avve- 
nire che  una  malattia  addimandi  positivamen- 
te il  salasso,  mentre  il  corpo  dimostri  non  po- 
terlo guari  sopportare  :  pure  se  in  questo  ine/.- 
zo  non  si  scorge  altro  presidio,  e  se  l1  animar 
lato  ne  morrebbe  ove  non  venisse  sussidiato 
tuttoché  con  mezzo  ardimentoso,  in  questo 
caso  è  ufficio  di  savio  medico  il  far  conoscere 
non  esservi  altra  speranza  fuor  della  sottra- 
zione del  sangue,  e  far  palese  al  tempo  istesso, 
quanto  si;i  il  risico  d1  usarla  :  ultimamente  te 
venga  richiesta  eseguirla.  Su  di  che  in  colai 
frangente  non  è  mestiero  istar  perplessi,  pe- 
rocché meglio  è  tentare  un  rimedio  dubbioso, 
anziché  ninno.  E  ciò  deve  massimamente  farsi 
nella  par. disi,  nel  perdimento  istantaneo  della 
voce,  nel!"  angina  che  minacci  strangolamen- 
to, ovvero  quaudo   la    primiera  accessione  di 

una   libbre  ne  mis"  in   Torse    della     vita,    celie 

probabile  è  che  possa  reiterarsi  con  pari  fero- 
cità, e  che  le  forze  dell1  infermo  non  pajano 
abili    a  sostenerla.     E    COmechè    non    si    debba 

trar  sangue  innanzi  la  concozione,  tuttavolta 
nemraen  questa  regola  vorrassi  tener  per  co- 
stante, posciachè  vi  sono  dei  casi  che  non  sem- 
pre concedono  di  aspettare  la  digestione.  Co- 
me quado  altri  si.i  precipitato  dall'alto,  od  ab- 
bia' riportato  una  contusione  '■  o  i  ne  per  qual- 
siasi subitaneo  accidente  rigetti  del  sangue,  in 
allora  quantunque  poco  davanti  abbia  man- 
giato, deve  igli  ''i  presente  cavar  sangue  attui 
che  in  loprastando  ei  non  si  aggravi  -li  più.  E 
lo  stesso  sia  detto  per  altri  casi  repentini  nei 
quali  s<,\  rasti  minai  ia  di  sofibi  amento.  (  !he 
.•  la  natura  della  miei  mila  il  permetta,  allor 
■  li  \<   i  lai  quando  non   \ i  i  imangi  pia  siculi 


Quoti  si  vehemens  febris  urget,in  ipso  impe- 
lli ejus  sanguinerai  raittere,  hominem  jugulare 
est.  Exspectanda  ergo  remissio  est:  si  non  de- 
cresca, sed  crescere  desiit,  neque  speratur  re- 
missio, tum  quoque,  quamvis  pejor,  sola  ta- 
men  occasio  non  omittenda  est.  Fere  etiam 
ista  medicina,  ubi  necessaria  est,  in  biduum 
dividenda  est  :  satius  est  enim,  primum  leva- 
re aegrum,  deinde  perpurgare  ,  quam  simili 
omni  vi  effusa  fortasse  precipitare.  Quod  si 
in  pure  quoque  aquaque,  quae  int.er  culem 
est,  ila  respondet  ;  quanto  magis  necesse  est 
in  sanguine  respondeat  ?  Mitti  vero  is  debet, 
si  totius  corporis  caussa  fit,  ex  brachio;  si  par- 
tis  alicujus,  ex  ea  ipsa  parte,  aut  certe  quam 
proxima  :  quia  non  ubique  mitti  potest,  sed  in 
temporibus,  in  bracliiis,  juxta  talos.  Neque 
ignoro,  quosdam  dicere,  quam  longissime  san- 
guinerà inde,  ubi  laedit,  esse  mittendum  :  sic 
enim  averti  materiae  cursum  ;  at  ilio  modo  in 
id  ipsum,  quod  gravai,  evocari.  Sed  id  falsimi 
est  :  proximum  enim  locum  primo  exhaurit  ; 
ex  ulterioribus  autem  eatenus  sanguis  sequi- 
tur,  quatenus  emittitur  ;  ubi  is  supressus  est, 
quia  non  trahitur,  ne  venit  quidem.  Vide  tur 
lamen  usus  ipse  docuisse,  si  caput  fractum  est, 
ex  brachio  potius  sanguinem  esse  mittendum; 
si  quod  in  numero  vilium  est,  ex  altero  bra- 
chio :  credo,  quia  si  quid  parum  cesserit,  op- 
portuniores  eae  partes  injuriae  sunt,  quae  jam 
male  habenf.  Avertitur  quoque  inlerdum  san- 
guis, ubi  alia  parte  prorumpens,  alia  emitti- 
tur :  desinit  enim  filiere  qua  nolumus,  inde 
objectis  quae  prohibcant,  alio  dato  itinere. 
Mittere  autem  sanguinem  cum  sit  expedi  lissi- 
mum,  usum  habenli  ;  tamen  ignaro  diffìcilli- 
murn  est.  Juncla  enim  est  vena  arteriis,  his 
nervi  :  ita,  si  nervum  scalpellus  altingit.  se- 
quitur  nervorum  distentio,  eaque  hominem 
ti  udeliter  consumit.  At  arteria  incisa  neque 
coit,  neque  saneseil  ;  interdum  eliarn,  ut  san- 
gui* vehemenler  erumpat,  effìcit.  Ipsius  quo- 
que venae,  si  forte  praecisa  est,  capila  com- 
primuntur,  ncque  sanguinem  emittunt.  At  si 
timide  scalpellus  demittitur,  summara  cutem 
lacera t,  neque  venam  incidit.  Nonnumquam 
ttiam  ea  latet,  ncque  facile reperitur. Ita  mul- 
i«i  difficile  inscio  facilini,  quod  perito 
faeillinium  est.  [ncidenda  ad  medium  vena 
«•si;  ex  qua  cum  sanguis  erumpit,  colorem 
ejus  ha^Kitumque  oportel  attendere.  Nani  si  is 
crassus  et  njger  est,  \iii<<  tua  est;  ideoque  uti- 


T>ELIA    MEDICINA  6l 

sospetto  di  crudità.  Laonde  il  secondo  e  terzo 
giorno  di  malattia  sembrano  a  tal  bisogna 
proprissimi  :  ma  comechè  sia  talora  espedien- 
te e  neccessario  trar  sangue  anche  il  primo  dì, 
non  mai  però  sarà  utile  dopo  il  quarto,  con- 
ciossiachè  la  materia  in  quelle  spazio  di  tem- 
po si  è  dissipala,  o  il  corpo  ha  corrotto:  laon- 
de la  sottrazione  del  sangue  potrà  renderlo 
debile,  ma  sano  non  mai. 

Se  poi  una  febbre  gagliardissima  imper- 
versa, nella  maggior  veemenza  di  essa  cavar  san- 
gue è  lo  stesso  che  uccider  l1  uomo,  per  la  qual 
cosa  aspettar  si  conviene  la  remissione.  Se  la 
febbre  non  decresce,  ma  si  fa  stazionaria,  e  se 
non  v'  è  a  sperare  declinazione,  allora  pure 
comechè  alquanto  critica  sia  la  circostanza, 
non  deve  lasciarsi  sfuggire  l1  unica  occasione 
che  si  presenta.  E  questo  medico  servizio  ogni- 
qualvolta si  esige,  devesi  anch'  esso  quasi  sem- 
pre amministrare  in  due  dì  ;  imperocché  è  più 
plausibile  sol  trar  poco  a  poco,  ed  indi  poi 
spurgarlo  al  tujrto,  anziché  involando  alla  per- 
sona in  un  solo  tratto  tutte  le  forze,  trarla  per 
avventura  in  rovina.  Che  se  questo  consiglio 
a  meraviglia  riesce  in  evacuando  la  marcia  ne- 
gli ascessi ,  e  l1  acqua  negl'  idropici ,  quan- 
to più  necessariamente  non  dovrà  corrispon- 
dere nella  flebotomia  ?  11  sangue  poi  se  tratta- 
si di  un  male  universale,  trar  si  deve  dal  brac- 
cio ;  se  di  una  qualche  parte,  da  quell'  istessa, 
od  almeno  dalla  più  prossima  :  poiché  non  si 
puote  salassare  dovunque,  ma  solo  nelle  tem- 
pie, nelle  braccia,  al  piede.  Io  non  ignoro  es- 
servi taluni  i  quali  estimano  doversi  praticare 
il  salasso  assai  lungi  di  là,  onde  ha  sede  il  ma- 
le, per  la  ragione  che  in  questo  modo  sviasi 
altrove  il  corso  del  sangue,  mentrechè  in  quel- 
T  altro  attraesi  in  quella  parte  istessa,  in  che 
sta  il  malanno.  Ma  quest'  opinare  è  falso  ;  pe- 
rocché in  principio  si  esauriscono  i  vasi  della 
parte  più  vicina,  quelli  poi  che  sono  più  lon- 
tani si  vuotano  a  ragguaglio  che  si  lascia  usci- 
re il  sangue,  ma  tosto  che  si  sopprime  non  ne 
vien  più.  Contuttociò  l1  uso  islesso  sembra 
averci  insegnato  doversi  nelle  fratture  del  ca- 
po cavar  sangue  a  preferenza  dal  braccio,  e  se 
il  male  è  in  un  braccio  Irarrassi  dall'altro  :  e 
giudico  perchè  se  mal  ne  avvenisse  da  ciò, 
quelle  parli  che  già  si  trovano  mal  affetle,  sono 
più  disposte  a  risentir  le  ingiurie.  Ancora  tal- 
volta si  diverte  il  sangue,  quando  sgorgando 
da  una  parte  s'incide  la  vena  da  un'altra  :  il 
sangue  così  cessa  di  spandersi  donde  non  vo- 
gliamo, opponendogli  un  obice  che  ne  arresti 
il  corso  coli' aprirgli  un'altra  uscita.  Eseguire 
la  flebotomia,  quanto  è  agevole  per  chi  v'  ha 
P USO,  altrettanto  riesce  difficile  a  ehi  è  ine- 
sperto. Perocché  la  vena  associata  si  trova  alle 
arterie,  e  queste  ai  nervi.  Quindi  se  lo  scal- 
pello ferisce  \ìn  nervo,  si  suscitano  stiramenti 
e  convulsioni  che  in  modo  crudelissimo  addu- 


ga  e  e 

liter  effondi  tur  :  si  rubet  et  pellacct,  integer 
ique  missio  sangòJois  adeo  non  prodest, 
ut  edam  noceal;  protinusqoe  ìs  sopprimendo! 
est  Sed  id  evenire  non  potest  sub  eo  medico, 
qui  scit,  e\  (juali  corpo  re  sangui*  mittendus 
sii.  Illuil  magia  fieri  solet,  ut  aeque  niger  as- 
sidue primo  die  profloat:  quod  qua  m  vis  ila 
<  >i.  tamen  si  |am  sai is  flnxit,  sapprimendos 
est  ;  semperqac  ante  iìnis  faciendus  est.  qnam 
anima  deficial.  Deligandumque   brachium  su- 

perimposito  expresso  ex  aqua  frigida  penice- 
lo :  el  postero  aie  adverso  medio  digito  vena 
ferieoda,  al  recens  coitas  ejas  resolvatur,  ite- 
ruraque  sanguinem  fundal.  Sive  autem  primo, 
sive  secando  die  sanguis  ;  qui  crassus  et  niger 
initio  Qoxerat,  et  robere,  el  pellucere  coepit, 
satis  materìae  detraetnm  est,  atqae  qaod  su- 
perest,  sincerano  est:  ideoqne  protinus  bra- 
chiom  deligaodum,  habendumque  ita  est,  do- 
nec  valens  cicatricola  >ii  ;  quae  ceterrime  lo 
vena  continuai  ur. 


Cap. 


—  De  languitili  detractione  per 
cucuriitulas. 


Cocorbitolaruni  vero  duo  genera  ioni  : 
aeneom,  el  corneom.  £nea,  altera  parte  pa- 
ti i  :  altera,  i  laosa  est  :  cornea,  altera  parte 
aeqne  patens,  altera  foramen  babel  exigunm. 
In  a. mi,  imi  lin.iiin ninni  ardein  conjicitor,  ac 
afe  oi  ejui  coi  poi  i  aptator,  iraprimiturqiie, 
donec  inhai  :  I  iea  per  m  «  >rpori  im- 
ponitur  ;  deinde,  nl»i  ea  parte,  qua  exiguum 
ore  ipii  ìiiin  adductus  est,  super- 

era  cai  Dm  id  i  lansom  est,  aeqoe  inhae- 
rescit.  Utraqoe  non  ea  liis  lantani  materiac 
geni  lil.ns.  M-d  (h mi  ei  qoolibel  aKo  recte  fit. 
etera  d<  lì  i  ei  nnt,  calicolas  qooqae  aul 
pultai  le  .  orii  i  ompressioris,  ei  rei  coraraode 
aptator.  \  bi  inaesit,   pi  concisa  ante  scalpello 

■  Itrahil  :    li    ì 
•pirito       l       ,   ,  ,        ,    quae  ini  a  i  «  >i, 

'•"  dii.  ili .  nodo  ;  abi  ioflal i 


L    5    © 

cono  lentamente  alla  tomba.  Ma  l'arteria  fe- 
rita né  si  riunisce,  né  risana,  e  talora  lascia 
con  veemenza  sgorgare  il  sangue.  Se  poi  la  ve- 
na è  recisa  lotta,  i  capi  della  stessa  combacia- 
no insieme,  e  non  emettono  sangue.  E  se  con 
timidezza  s*  immerge  la  lancetta  fendesi  solo 
la  esterna  cute,  e  la  vena  non  rimane  incisa. 
Alcuna,  volta  è  anche  molto  profonda,  né  è 
lieve  il  ritrovarla.  Così  assai  cose  rendono  ma- 
lagevole quest'operazione  ad  un  insipiente, 
mentre  che  all'1  opposlo  facilissimamente  rie- 
sce ad  un  perito.  La  vena  si  deve  incidere  nel 
suo  bel  mezzo,  donde  mentre  il  sangue  spic- 
cia, si  osserverà  il  colore  e  la  consistenza  di 
esso  :  perocché  se  è  denso  e  nereggiante,  esso  è 
vizialo,  e  imperciò  giova  effonderlo  :  se  per  lo 
contrario  è  rosso  e  rutilante,  sano  è,  ed  allora 
remissione  del  sangue  é  anzi  più  nocevole  elio 
no,  e  conviensi  tosto  chiudere  la  vena.  Ma  un 
colai  accidente  non  può  avvenire  ad  un  me- 
dico che  sa  conoscere  a  qoal  corpo  si  addice  la 
missione  del  sangue.  Inlervien  più  sovente  che 
il  primo  di  ne  esca  sempre  sangue  nero;  ma 
comechè  ciò  accada,  se  già  a  sufficienza  ascia- 
ne, deesi  arrestare,  e  poi-  fine  in  ogni  caso  an- 
zi che  sopravvenga  il  deliquio.  Quindi  si  fa- 
scia il  braccio  sovrapponendo  dicontro  all'  in- 
cisione un  piomaccioolo  inumidito  d'acqua 
fresca,  e  alla  dimane  si  frega  col  dito  medio  la 
vena,  affinchè  i  labbri  della  ferita  di  fresco  fra 
sé  riattiti  tornino  a  separarsi,  e  così  diasi  noo- 
\  anienle  libero  useimenlo  al  sangue.  Se  il  san- 
gue che  da  principio  fluì  denso  e  nero  comin- 
cia a  farsi  rosso  e  pellucido,  è  indizio  esserse- 
ne estratto  a  sufficienza,  e  eia  ebe  riraansi  es- 
sere poro  e  sano.  Laonde  si  fascerà  inconta- 
nente il  braccio,  e  li  riterrà  così  lino  a  che  sal- 
ila sia  la  piccola  cicatrice,  la  quale  in  una  ve- 
na prestissimo  si  compie. 

Cap.   xi.  —  Sottrazione  di  sangue  per 
le  coppette. 

Di  due  qualità  hannovi  coppette,  altre  di 

rame,  altre  di  orno.  Le  prime  SOnO  aperte  da 
Un  lato,  chiuse  dall'alito;  le  seconde  hanno 
un"  ampia  apertura  OS  una  parte,  e  un  pcrlu- 
g io  dall'  altra.  Nella  Coppetta    di  rame  poovisì 

stoppa  ardente,  t  quindi  l'apertura  di  essa  si 
ai  •  omoda  al  corpo,  tostenendola  con  la  mani» 
indilo  a  che  ri  aaerisea.  La  cornea   si  appone 

.il  i  mi  pò  cosi  coro1  e.  indi  pel  picciolo  forame 
succhiata  eolla  bocca  I  aria,  e  poscia  chiusone 
con  cera  P adito,  attaccasi  siccome  l'altra,  la- 
due  specie  di  ?entOSé  11  >n  ^i  tanno  tanto  «li 
rame  e  di  e. .ini.,     m.i     si    (li  qualsivoglia    alila 

materia.  Ma  in  disagio  d'ogn1  altra  può  co- 
modamente acconciarsi  a  quest1  uso   un   bio- 

rliicro.  mi  altro  piccini  \,ism  ohe  abbia  angusta 

I'  unii  •■   .uni a,   rosta  la  coppetta,  le  <\.^ anti 

ita    la   cute,   attran  i  il  sangue,  e  se 


DELLA 

lek  Usus  autem  cucurbitulae  praecipuus  est, 
ubi  non  in  toto  corpore,  sed  in  parte  aliqua 
^iliam  est,  quara  exahuriri  ad  confirmandam 
valetudinera  satis  est.  Idque  ipsum  testimo- 
nium  est,etiam  scalpello  sanguinem,  ubi  mem- 
bro succurritur,  ab  ea  potissimum  parte,  quae 
jam  laesa  est,  esse  mittendum  :  quod  nemo 
cucurbitulam  diversae  parti  imponit,  nisi  cum 
profusionera  sanguinis  eo  avertit  ;  sed  ei  ipsi, 
quae  dolet.  quaeque  libera nda  est.  Opus  etiam 
esse  cucurbitula  potest  in  morbis  longis, 
qua m vis  et  iis  jam  spatium  aliquod  accessit; 
sive  corrupta  materia,  sìve  spiriti!  male  ha- 
bente  :  in  acutis  quoque  quibusdam,  si  et  le- 
vari  corpus  debet,  et  ex  vena  sanguinem  mit- 
ti  vires  non  patiuntur.  Idque  auxilium  utmi- 
nus  vehemens,  ita  magis  tutum  ;  neque  un- 
quam  periculosum  est,  etiamsi  in  medio  fe- 
bris  impetu,  etiamsi  in  eruditale  adhibetur. 
ldeoque  ubi  sanguinem  mitti  opus  est,  si  in- 
cisa vena  praeceps  periculum  est,  aut  si  in 
parte  corporis  etiam  vitium  est,  bue  potius 
confugiendum  est:  cum  eo  tamen,  ut  sciamus, 
liic  ut  uullura  periculum,  ita  levius  praesi- 
dium  esse.;  nec  posse  vehemenli  malo,  nisi 
aeque  vehemens  auxilium  succurrere. 


MEDICINA  m 

altrimenti  non  fu,  attirerà  gli  spiriti.  Quindi  si 
costumano  porre  le  coppette  a  taglio,  allorché 
il  soverchio  degli  muori  sanguigni  è  la  cagio- 
ne del  male,  e  nelP  altro  modo  quando  a  rin- 
contro predomina  la  flatuosità.  L'uso  princi- 
pale delle  coppette  si  è  quando  V  affetto  non 
è  in  tutto  il  corpo,  ma  in  alcuna  parte,  cui 
basta  esaurire  per  ristabilire  la  sanila.  Ed  una 
prova  che  il  sangue  anche  colla  lancetta,  quan- 
do vogliasi  soccorrere  ad  un  membro,  si  deve 
trarre  a  preferenza  da  quella  parte  che  giace 
inferma,  si  è  che  niuno  pone  le  coppette  a  par- 
ti diverse,  se  non  per  dirigere  là  ove  le  appo-^ 
ne  il  corso  del  sangue,  ma  sì  ognora  a  quella 
regione  del  corpo  che  è  inferma  e  che  inten- 
desi  di  liberare.  Si  possono  altresì  impiegare 
questi  medicinali  presidii  ne'  lunghi  malori , 
tuttoché  già  sia  trascorso  del  tempo,  o  che  ri- 
sultino essi  da  corrompimene  di  materia,  o  da 
vizio  degli  spiriti.  Anche  in  certe  malattie  acu- 
te, dove  fa  <T  uopo  sminuire  la  quantità  degli 
umori,  intanto  che  le  forze  non  sostengono  il 
cavar  sangue  per  la  vena.  Questo  medico  prov- 
vedimento coni1  è  raen  violento,  così  è  più  si- 
curo, e  non  mai  pericoloso,  ancorché  si  metta 
in  uso  nel  maggior  colmo  della  febbre,  ed  an- 
che prima  che  sia  fatta  la  digestione.  Perciò 
ogni  qualvolta  è  richiesta  la  diminuzione  del 
sangue,  in  caso  che  si  corra  manifesto  perico- 
lo ad  incidere  la  vena,  o  che  alcuna  parte  del 
corpo  trovisi  malaffetta;  si  dovrà  piuttosto  ri- 
correre a  questo  salutare  sovvenimenlo  :  rile- 
va però  il  sapere  che  se  dalle  coppette  non  v'è 
a  temere  verun  pericolo,  non  avvi  nemmeno 
a  sperare  troppo  grande  ajuto,  e  che  i  ma- 
li violenti  richiedono  del  pari  poderosi  ri- 
medi. 


Cap.  xii. —  De  dejectione. 

i.  Dejeclionem  autem  antiqui  variis  mc- 
dicamenlis,  crebra que  alvi  ductione  in  omni- 
bus paene  morbis  moliebantur  :  dabantque 
aul  nigrum  veralrum,  aut  fìliculam,  aut  squa- 
maci aeris,  quam  \iiri$ct  x<x\x.ocr  Graeci  vo- 
cant;  aut  lactucae  marinac  lac,  cujus  gutta 
pani  adjecta  abunde  purgat  ;  aut  lac  vel  asi- 
jiiiniii!,  vel  bubulum,  vel  caprinum,  eique  sa- 
JU  paulum  adjiciebant,  decoquebantque  id,  et 
suhlalis  iis,  quae  coierant,  quod  quasi  serum 
supererai,  bibere  cogebant.  Sed  medicamen- 
la  stomachimi  fere  laedunt:  alvus  si  vehemen- 
tuis  Unii,  ani  saepius  ducitur,  hominem  infir- 
mai. Ergo  miuiquam  in  adversa  valetudine 
medicamentum  ejus  rei  cauisa  reclc  datur,  ni- 
si uhi  is  morbus  sine  febre  est  ;  ut  cum  vera- 
tram  nigruui  aul  atra  bile  vexatis,  aut  cum 
tristitia  insanienlibus,  aut  iis,  quorum  nervi 
Mrte  aliqua  resoluti  sunt,  datur.  Àt  ubi  fe- 
brea  sunt,  satius  esl  ejus  rei  caussa  cibos  po- 
tfonesque  assumere,   qui  simul  el   alant,  et 


Cap.  xii.  —  Della  purgazione. 

i.  Gli  antichi  provocavano  le  egestioni 
con  varii  medicamenti,  e  col  frequente  uso  dei 
cristeri  in  quasi  tutte  le  malattie,  e  davano 
l' elleboro  nero,  il  felce,  la  scaglia  del  rame 
delta  da1  Greci  lepida  calcou,  od  il  sugo  del 
titimalo  di  cui  una  gocciola  in  sul  pane  purga 
abbondevolmente,  e  il  latte  asinino,  o  il  vac- 
cino o  quel  di  capra  nel  quale  mettevano  un 
po'1  di  sale  ;  indi  il  faceano  bollire,  e  tolto  via 
quello  che  si  accagliava,  obbligavano  a  bere  il 
rimanente  che  era  poco  diverso  dal  siero.  Ma 
i  medicamenti  sono  per  lo  più  nocivi  al  nostro 
stomaco,  e  se  il  ventre  si  evacua  impetuosa- 
mente, e  se  con  indiscreta  frequenza  si  va  mo- 
vendo, induce  l1  uomo  in  estrema  fiacchezza. 
Onde  non  è  sana  regola  propinare  in  malattia 
medicamento  purgativo,  tranne  che  non  sia 
senza  febbre:  appunto  come  quando  si  pre- 
scrive l'elleboro  nero  a  quelli  che  sono  travar 
gliati  dall'atrabile,  o  agl'insani  per  tristezza,, 
od  a  chi  ha  alcuna  paralisi,   ma  Ogniqualvolta 


C4 

ventrem  molliank.  Suntquè  valetudini 
ra,  quibus  ex  lacte  purgatio  convenir. 


CELSO 

gene-  v1  è  febbre,  più  diritto  avviso  è  prenderò  i 
quest'  uopo  alimenti  e  beveraggi  che  ad  un 
tempo  somministrino  nudrimeuta,  e  tengano 
lubrico  il  ventre.  Sonvi  poi  alcune  infermità, 
nelle  quali  si  convien  propriamente  purgare 
col  la  Ile. 


De  ahi  ductione. 

2.  rierumque  vero  alvus  polius  ducenda 
est  ;  quod,  ab  Asclepiade  quoque  sic   tempe- 

ratum,  ut  lanini  servatimi  sit,  video  plerum- 
que  seculo   nostro   praeteriri.   Est   autem   ea 

luo'deralio,  quam  is   secutUS  videlur,    aplissi- 

ma  :  ut  ncque  saepe  ea  medicina  tentetur,  et 
tamen  semel,  vcl  summum  bis,  non  omittatur, 
si  caput  grave  est  ;  si  oculi  caligant.  ;  si  mor- 
bus majoris  intestini  est,  quod  Graeci  kóXov 
nominant;  si  in  imo  venire,  aut  in  coxa 
dolores  sunt;  si  in  stomachum  quaedam  bi- 
liosa concurrunt,  ?el  etiara  pituita  co  se,  hu- 
morve  aliquis  aquac  similis  confort  ;  si  spiri- 
tus  dil'tìcilius  reddiiur;  si  nini!  per  se  venler 
exoernit  ;  utique,  si  juxta  quoque  stercus  est, 
et  ini  us  rema  net;  ani  si  stercoris  odorem  nihìl 
dejiciens  aeger  ex.  spiritu  suo  sentii;  aut  si 
corruptum  est.  quod  excernitur;  aut  si  prima 
inedia  febrem  non  sustulil  ;  aut  si  sanguinimi 

ìnitti,  CUm  opus  sii,  vires  1  paliiinlur.  leiu- 

pusve  cjus  rei  pracleriil;  aut  si  multimi   aule 
morbum  aliquis  potayil  ;    ani  si  is,   qui  saepe 
vel  sponte,  rei  casa  purgatus  est.   subito  ha- 
bel    ;dvum    suppressam.    Servanda   vero  Illa 
turil  :  ne  ante  diem  tcrtium  duca  tur  ;   ne   ull.i 
cruditate  substante  ;  ne   in  corpore  infirmo, 
diuque  in  adversa  valetudine  exnausto  ;  neve 
■  lì   satis  alvus  quotidie  reddit,  quive 
ram  liquidano  habel  :  neve  in  ipso  accessionis 
i  nip.  in.  quia,  quod  tu  mi  infusuin  est,  alvo  con- 
tiintur.  regestumque  in  caput,  multo  gravius 
periculum  efficit  Pridie  vero  abstineri   debet 
ut  aptus  t;di  curationì  sii  :  eodem  die 
ante  aliquot  horas  aquara  calidam  bibere,  ut 
superiores  ejus  partes  madescant.  Tum   im- 
mittenda  in  alvum  est,  si  levi  i licina  con- 
tenti similis.  pura  aqoa  :   si  paulo   ralentiori, 
mnlsa  :  si  imi.  ci  in  qua  foenum  graecum,  vel 
ptisana,  vel  malva  decocta  si!  ;   si  reprimendi 
•    '  \  \  erbenis.  tarii  autem  esl   marina 
a  qua.  m  I  alia  tale  adjecto  :  atque  utraque  de- 
i  tromodior                  >r  fit,  adje<  to  i  •  I 
oleo,  vel  nitro,  vel  melle  :   quoque  acrior  est, 
.  ■.  pia t-extrahit,       I  rainue  facile  sustinetur. 
Idque  quod  iufundilur,  neqne   frìgidara  esse 
oportet,    ncque  calidum,   ne  allerutro  modo 
laedat.  < Inni  min  uhi  «   i.   quantum   fieri  pc- 
in  li  ci  'il.,  debet   aeger,   nec 
primae  <  apiditali  dejectionis  protinui  i 
nln  ii'                 :  uni  demum   desidi  >-<  .    Fere- 
qui-  <  '>  uh.  lo   derapta  mali  ri  >ribui 

partibuj  levati*,  morbam  ipsua  molli! 


Dei  cristeri. 

2.  Vuoisi  piuttosto  ne1  più  dei  casi  tener 
libero  il  ventre  co1  cristeri.  Asclepiade  ha  mo- 
derato anche  questo  non  però  eh1  ei  non  l'ab- 
bia seguito  :  ai  nostri  giorni  è  quasi  andato  in 
disuso.  Li"  uso  discreto  poi  eh1  ci  ne  fece  sem- 
bra convenienlissimo;  che  non  troppo  spesso  si 
pratichi  queslo  medicinale  presidio,  lullavolla 
non  si  tralasci  d'amministrarlo  una  o  al  più 
due  fiate,  se  la  lesta  è  pesante,  il  vedere  I 
e  se  remila  quel  malore  del  grande  intestino 
che  pe1  Greci  dicesi  colon  ;  se  nelT  imo  ven- 
tre e  ne'  fianchi  si  soffrono  de'  dolori,  se  lo 
stomaco  si  sopraccarica  di  materie  biliose,  o 
quivi  raunasi  pituita,  od  altro  umore  simi- 
glianle  all'acqua  :  sé  il  respiro  è  alquanto  mie- 
loso, se  il  ventre  nulla  evacua  spontaneamen- 
te, tanto  più  poi  se  le  materie  fecciose  si  sen- 
tono al  basso,  senza  pur  poterle  rendere,  se 
l'ammalato  niente  eliminando  ha  nel  suo  alilo 
un  odore  stercoraceo,  o  se  e  corrotto  ciò  che 
fa,  e  se  per  lo  slare  a  dieta  che  lece,  la  febbre 
contuttociò  non  venne  meno,  <>  se  richieden- 
dosi la  missione  del  sangue,  le  forze  non  la  so- 
stengono, o  se  il  tempo  opportuno  a  tarla  ò 
trascorso,  <»  se  altri  assai  bevve  pinna  che  si 
ammalasse,  o  se  chi  è  solito  o  per  accidente,  o 
spontaneamente  a  spesso  purgarsi,  siategli  ad 
un  trailo  reso  tenace  il  ventre.  Si  devono  nel- 
l'uso de1  servi/.iali  queste  regole  servare:  di 
non  amministrarli  prima  del  terio  «li.  e  non 
mai  fino  i  che  sussiste  alcuna  crude//;!,  giara* 
mai  in  persona  debole,  e  ])cv  aulica  infermità 
esausta  :  uè  a  chi  va  del  corpo  sufficientemen- 
te ogni  dì,  nemmeno  a  quegli  che  ha  il  venire 
sei. dio.  e  non  usarlo  nella  viole, i/a  dell 

si. me.  perocché  la  materia  iniettata  li  rattieue 
nelle  intestina,  «■  sollei  tndosi  verso  la  testa, 
aumenta  il  pericolo.  L1  infermo  deve  la  vigilia 
si. tu-  in  astinenza  onde  disporsi  a  così  fatta 
operazione  :  il  giorno  medesimo  deve  qualche 

Ora  davanti   bere  acqua  lepida,    onde    le   parli 

superiori  si  umettino:  lai  cose  premesse  i  in- 
ietterà   se    la     hi  (OgnO    d"  ima    lene     med  ieii  :.i, 

dell'acqua  pura  :  se  d1  w\.\  alquanto  più  forte, 
dell1  acqua  mellita,  e  se  richiedesi  cristere  mol- 
lificante, farassi  di  decozione  di   fii  no 
d*  orzo,  o  di  malva  :  i  lavativi  astringenti  si 
coropong  'no  .li  decozi li  i erbena.  (  «I   irn  - 

Unti  si   lamio  d'  BCqua   marina    od  allra   in  (die 

ilio  di  I  ile  :  e  si  r  una  che  I'  altri  utile 
lari  fai  la  bollire.  \  i<  ppiu  irritante  tarassi 
giuntando^  i  olio,  o  itili  a  od  sui  be  del  me» 


vires  deficianl,  utique  eo  die  cibimi  assume- 
re :  qui  plenior,  an  exiguus  sit  dandus,  ex  ra- 
tione  ejus  accessionis,  quae  exspectabitur,  aut 
in  meta  non  erit,  aestitaari  oportebit. 


DELLA    MEDICINA  65 

vero,  quoties  res  coe^it,  desideiido  aliquis  se     Quanto  più  è  acre,  lanLo  più  opera  :  ma  men 
exhausit,  paulisper  debet  conquiescere  ;  et,  ne     facilmente  si  ritiene.  La  roba  che  s'inietta,  non 

deve  essere  né  fredda,  ne  calda,  onde  non  ar- 
rechi danno,  né  per  V  uno  né  per  l1  altro  mo- 
do. Fatto  il  cristeo,  l1  ammalalo,  per  quanto 
può,  dee  tenersi  in  letto,  e  non  cedere  subito 
ai  primi  incitamenti  che  ha  di  scaricarsi,  ma 
quando  poi  è  forzato,  allora  senza  più  vada  al 
cesso.  E  per  lo  più,  sgombrate  così  le  intesti- 
na e  sbarazzate  le  parti  superne,  la  malattia 
islessa  diminuisce.  Qualora  poi  altri  coir  eva- 
cuare, avendolo  così  richiesto  la  cosa,  sia  rima- 
sto al  tutto  privo  di  forze,  conviene  che  riposi 
alcun  poco ,  e  onde  non  cada  in  deliquio, 
prenda  in  quel  dì  dell1  alimento,  il  quale  se 
debba  esser  copioso  o  parco,  fia  mestieri  de- 
durlo  dal  grado  dell1  accessione  che  dovrà»  o 
non  dovrà  in  quel  dì  sopraggiugnere. 


Cap.  xiii.  —  De  vomitu. 


Cap.  xiii.  —  Del  vomito. 


Àt  vornilus,  ut  in  secunda  quoque  vale- 
tudine saepe  necessarius  biliosis  est,  sic  etiam 
in  iis  morbis,  quos  bilis  concitavit.  Ergo  omni- 
bus, qui  ante  febres  horrore  et  tremore  ve- 
xanlur  ;  omnibus  qui  cholera  laborant  ;  omni- 
bus etiam  cura  qnadam  hilaritate  insanienti- 
bus  ;  et  comitiali  quoque  morbo  oppressis,  ne- 
cessarius est.  Sed  si  acutus  morbus  est,  sicut 
in  cholera  ;  si  febris  est,  ut  inter  horrores, 
asperioribus  medicamentis  opus  non  est  ;  sicut 
in  dejectionibus  quoque  supradiclum  est  :  sa- 
tisque  est,  ea  vomitus  caussa  svimi,  quae  sanis 
quoque  sumenda  esse  proposui.  At  ubi  longi 
valentesque  morbi  sine  febre  sunt,  ut  comi- 
tialis  aut  insania,  veratro  quoque  albo  uten- 
dum  est.  Idneque  hieme,  neque  aestate  recte 
datur  ;  optime,  vere  ;  tolerabiliter,  autumno. 
Quisquis  dalurus  erit,  id  agere  ante  debet,  ut 
aecepturi  corpus  humidius  sii.  Illud  scire 
oporlel,  orane  ejusmodi  medicaraenlum,  quod 
potui  datur,  non  scraper  aegris  prodesse,  scra- 
per sanis  nocere. 


Cap.  xiv.  —  De  [rìctioue. 

De  fiictionc  vero  adeo  multa.  Asclepia-i 
des,  tamquaui  inventar  ejus,  posuit  in  eo  vo- 
lumine.  quod  t  lommunium  Auxiliornm  inscri- 
pàt,  n(,  (uni  trium  tantum  fa  ce  re  t  menlio- 
ìiciu.  Jmjiis  i-i  aquae  et  gesta lionis ,  tamen 
maximam  partem  in  hac  consumpserit.  Opor- 
lel autem  neque  recentiores  viros  in  iis  frau- 
duc.  quae  vel  repererunt,  vel  recle  senili 
sunt .  ;  et  tamen  ea,  quae  a  pud  antiquiores  ali- 
quos  posila  sunt,  auctoribus  suis  reddere.  Ne- 
que dubita  ri  potest,  quin  Ialina  qttidem,  et 
dilucidius,  ubi  et  quomodq  friqtione  utcndum 
Celso. 


Ma  il  vomito  com1  è  talor  necessario  anche 
in  sanità  ai  biliosi,  così  del  pari  in  quelle  ma- 
lattie che  sono  concitate  da  bile.  11  perchè  a 
quelli  che  innanzi  la  febbre  vengono  percossi 
da  brividi  e  tremori,  ed  a  chi  soffre  la  colera, 
ed  a  quelli  ancora  che  posseduti  sono  da  pazzia 
allegra,  non  che  agli  epilettici,  esso  è  indispen- 
sabile. Ma  se  il  male  è  acuto  siccom1  è  la  cole- 
ra, se  è  febbricoso  come  in  tempo  del  ribrez- 
zo, non  si  addicono  medicine  irritanti,  sicco- 
me è  detto  di  sopra  parlando  delle  gestazioni  : 
a  provocare  il  vomito  bastano  quelle  medesi- 
me cose  che  proposi  doversi  prendere  anche 
dai  sani.  Ma  nei  lunghi  e  gravi  malori  non  feb- 
brili siccome  il  mal  caduco  e  la  demenza  vuoi- 
si talvolta  far  uso  da  111  elleboro  bianco.  Non  è 
convenevole  precettarlo  di  verno,  e  nemmeno 
di  state,  sommamente  a  proposito  la  prima- 
vera, mediocremente  di  autunno.  Quegli  poi 
che  dovrà  prenderlo,  deve  davanti  governarsi 
in  raodo  che  il  proprio  corpo  acciocché  il  ri- 
ceva, si  troviuraido.  Imporla  però  sapere  che 
tutti  i  medicinali  di  questa  natura  che  si  dan- 
no in  bevanda,  non  sempre  giovano  agl'infer- 
mi, nuocono  sì  costantemente  ai  sani. 

Cap.  xiv.  —  Della  fregagione. 

Intorno  alle  fregagioni,  quasi  come  inven- 
tore ne  fosse,  mollo  copiosamente  ha  versato 
Asclepiade  in  quel  volume  die  intitolò  dei 
Comuni  Presidi,  nel  quale   avvegnaché   a  bl>ia 

discorso  di  tre  cose,  vale  a  dire  della  fregagione^ 
dell'  acqua  e  della  gestazione,  coiHuttocio  ba 
impiegato  la  massima  parie  a  ragionare  della 
prima.  Non  convien  certo  defraudare  i  recenti 
medici  dì  quelle  lodi  che  si  sono  meritati  in 
ciò  che  <»  ritrovarono  eglino  slessi,  o  di  che 
sono  stati  accorti  seguaci,  ma  egli  è  dovere  al 
tempo  medesimo  di  restituire  ai  loro  autori  la 

9 


Of,  CELSO 

esser .  .Wlepiades  praeceperit  ;  nihil  tamen 
repererit.  quod  non  a  vetustissimo  auetore 
Hippocrate  paucis  verbis  coraprchensum  sit  : 
qui  dixit.  frirtione.  si  vehemens  sit,  durari 
corpus  ;  lì  benis,  mollili  :  sì  multa,  minili  ;  si 
modica.,  impleri  Sequilur  ergo,  ut  tum  ulen- 
dum  >it.  cara  ani  adstringendum  corpus  sit, 
qnod  hebes  est  ;  aul  molliendum,  quod  india* 
r  til  :  aul  digerendum  in  ea,  quoti  copia  nocet; 
..  id  qnod  tenne  et  infirmimi  est. 
Qua*  [amen  quis  curiosius  aestimel 

(  qnod  j.iin  ad  mediami  non  pertinet  ),  tarile 
intelliget,  omnei  ex  caussa  pendere,  quae  de- 
mit.  Nam  et  adstringitur  aliquid,  eo  dempto, 
quod  interpositum,  ni  i<l  laxaretur,  efieceral  ; 
et  muilitur.  eo  detraoto,  qnod  duritiem  crea- 
bat;  et  implelur,  non  inai  frictione,  sed  eo 
cibo,  ';ni  poste*  usque  ad  cutem,  digestione 
quadara  relaxatam,  penetra t.  Diversarum  fe- 
ro rerum  in  modo  caosM  est  Inter  nnetionem 
autem  et  frictionem  multnm  interest.  Ungi 
euim  leadlerque  pertractari  corpus,  etiain  in 
arutis  et  recentibus  morhis  oporlet  ;  in  re- 
missione tamen,  et  ante  cilmni  :  longa  vero 
Frictione  oti,  ncque  in  acniis  morhis,  ncque 
increscentibus  convento  ;  praeterquara  cura 
phrenetieùi  tomxini  ea  quactitnr.  Am.it  autem 
hocauxifion  valetudo  longa,  et  Jan  a  primo 
j,  ipeta  inclinata.  Ncque  ignoro,  quosdara  di- 
eere,  orane  auxilium  necessarinm  esse  incre- 
icentibui  morbis,  non  cura  jam  per  se  nniun- 
■  wd  non  ita  se  babet  Potesl  enim  mor- 
bus, etiara  qui  per  le  finem  habiturus  est,  ci- 
tius  taraen  adbibito  ausilio  folli  :  quod  dna- 
bus  «le  caussii  necessarinm  est  :  et  ut  quara 
primum  bona  valetudo  eontingat  ci  ne  mor- 
bus, qui  remanet,  iterimi,  quamvis  levi  de 
retur.  Potesl  morbus  minus  gra- 
.  quara  raerit,  neque  ideo  laraen  ioli i. 
icd  1  liquiis  quibusdam  inhaerere,  qnas  ad- 
motura  aliquod  auxilium  disoutif.  Sed  ut,  le- 
vata quoque  adversa  valetudine,  recte  frictio 
adhibetur  ;  sic  nuraquam  adbibenda  esi  febre 
mi   si   fieri   poterit,  cum  ex 

bit  :    sin    miniix.    certe    cimi 
ea  i  emi!   rit.  Kadem  su  lem  modo  in  totis  cor- 
pori  bus  <  ise  dehet,   ut   cura    inftrmui  aliquis 
modo  in  pari  ibus,  sul  quia  ipsius 
embria  imbei  illitaa  id  requirit,  sul  quia 
alteriu  i    i .  01  doloi  ei  ipsius 

i   in  impetu  taraen  doloria  : 
i   solutum  ipsiui  frictio- 
Rrroal  ur.   I .  >nj  e    tamen    laepius  aliud 
;  indum  est,  cura  aliud  » I <■  «1  « ■  i  ;  maxime- 

pi   .  ora  .1  i        ;      partibus  i  or- 

i  i  \  >  •  1 1 1 1 1 1 1 1  -,  ;  ìd | 

rfrii  ohm  .   Neque   au  liendi 

il.    «(Milli. •>      lll.jll 

'<  iribui  hominii  col- 

lum  est  :  et  vi  i-  pei  ini  potesl 

;  si  r<  lo 


gloria  dello  scoprimento  di  quelle  cose  che  si 
leggono  presso  qualche  vecchio  scrittore.  Non 
si  può  dubitare  che  Asclepiade  non  abbia  in- 
segnato più  ampiamente  e  con  più  chiarezza 
che  niun  altro  il  modo  onde  far  uso  della  fre- 
gagione, non  pertanto  cosa  nessuna  asserisce 
che  non  fosse  già  stata  espressa  da  Ippocrate 
scrittore  antichissimo  con  succinte  frasi:  men- 
tr'egti  disse  che  per  la  fregagione,  se  gagliarda 
il  corpo  s-1  indura  ;  se  blanda  si  ammollisce  ;  se 
soverchia  dimagra  ;  se  moderata  s1*  ingrassa. 
Quinci  ne  siegue  che  allora  dovrassene  far  uso 
quando  vomissi  o  contrai*  le  fibre  di  un  corpo 
rilascialo,  o  mollificare  quelle  che  sono  rigide, 
ovvero  stremare  ciò  che  per  la  copia  sua  ne 
incomoda,  o  veramente  nutricar  quel  corpo 
che  gracile  si  ritrova  od  infermo.  Tuttavolta 
se  altri  vorrà  attentamente  considerare  tutti 
questi  effetti  della  fregagione  il  che  però  non  è 
di  pertinenza  medica,  di  leggieri  comprenderà 
tutti  quanti  venirne  da  una  medesima  cagione 
che  è  la  sottrazione.  Perciocché  si  ristringe 
una  cosa  togliendo  ciò  che  v1  è  interposto,  il 
che  era  causa  di  sua  rilasciatezza;  e  si  mollifi- 
ca col  detrar  quello  che  cagionava  la  durezza; 
e  s'ingrassa  non  per  effetto  della  fregagione, 
ma  pel  cibo  che  penetra  indi  fino  alla  cute,  già 
rilasciata,  in  grazia  di  una  tal  (piale  digestio- 
ne. Ala  la  cagione  di  questi  infra  loro  contrari 
effetti  sta  nel  modo  del  praticar  f»  fregagio- 
ne. Non  picciola  differenza  poi  passa  tra  l'un- 
zione e  la  fregagione.  Perocché  ungere  e  lene- 
mente fregare  il  corpo  è  necessai  i<>  anche  nel- 
le acute  e  recenti  malattie,  nella  remissione 

però  e  prima  di  mangiare.  Ma  la  continuata  fre- 
gagione disconviénsi  al  tutto  negli  acuti  mor- 
bi, ed  in  (pulii  che  vanno  crescendo,  tranne  il 
solo  caso  di  voler  conciliare  il  sonno  ai  deli- 
ranti.   In*  aulica    infermiti,    e   che    dal    primo 

impeto  ha  ^ià  «laio  volta,  a  preferenza  ricerca 

questo  silfidi;),  lo  non  ignoro  che  al. •uni  nie- 
llici avvisano  essere  necessario  ogni  rimedio, 
quando  i  mali  vanno  crescendo,  e  non  quando 
per  sé  stessi  corrono  al  loro  fine.  Ma  in  questo 
eglino  vanno  errati,  imperocché  una  malattia 
che  anche  per  s<-  andrebbe  <  finire,  tuttavia 
può  togliersi  più  prontamente,  usando  di  qual- 
che rimedio  :  il  «he  necessario  é  per  due  ragie- 
pi;  e  perchè  al  più  loslo  ritorni  la  Inuma  salti- 
le. .•  perché  la  malattia  che  i  Imane,  non  li  esa- 

i  ,   i  lii.    anche   per   lie\e  e. -Mone,    (li    nuovo.     Può 

sì  l'alfe/i'UH  morbosa  esser  men  fi  i ;,x  r  ''■  quel- 
lo ai  i  lu,  e  non  per  questo  tuttavia  potersi 
sciogliere  del  tutto  i  ma  rimanervi  alcuni  a* 
v.ni/i  che  un  opportuno  rimedio  può  dissipare. 
M  i    i    la  fn        -Mie  convenientemente  si  ado- 

II  he  (piando  diminuita  si  (    l.i   fi  Un  e.   00- 

m  non  mai  usar  si  deve  nello  accrescersi  della 

ni .  ie  fin  pò  i  dui. .  «I"\  i  '  aspettar!  i  che 

il  corpo  sia  interamente  libero,  o  che  almeno 

1  ione    01  a    lì    la    pel     llll- 


ducenties  esse  faciendum  ;  inter  utrumque 
deinde,  prout  vires  sunt.  Quo  fit,  ut  etiam 
minus  saepe  in  m  ubere,  quam  in  viro  ;  minus 
saepe  in  puero,  vel  sene,  quam  in  juvene,  ma- 
nus  dimovendae  sint.  Denique,  si  certa  mem- 
bra perfricantur,  multa  valentique  frictione 
opus  est.  Nam  neque  totum  corpus  infirma  ri 
cito  per  par  lem  potest,  et  opus  est  quam  plu- 
rimum  materiae  dipeli,  sive  id  ipsum  mem- 
brura,  si  per  id  aliud  levamus.  At  ubi  totius 
corporis  imbecillitas  liane  curationem  per  to- 
tum id  exigit,  brevior  esse  debet  et  lenior  ; 
ut  tantummodo  summam  cutem  emolliat,  quo 
facili as  capax  ex  recenti  cibo  novae  materiae 
fiat.  In  malis  jam  aegrum  esse,  ubi  exterior 
pars  corporis  friget,  interior  cum  siti  calet,  su- 
pra  posui.  Sed  tuuc  quoque  unicum  in  frictio- 
ne praesidium  est  ;  quae  si  calorem  in  cu- 
tem evocarli,  potest  alicui  medicinae  locum 
tacere. 


Cap.  xv.  —  De  gestatione. 

Gestalio  (pioque  Iongis  et  jam  inelinatis 
morbi»  aptissima  est  :  utilisque  est  et  iis  cor* 
poi ibus,  (jnae  jam  ex  toto  febre  careni,  sed 
•dbuc  exerceri  per  se  non  possunt  et  iis,  qui- 
Imis  lentae  morborum  reliquiae  remanent,  nc- 
que ahter  eliduntur.  Asclepiades  etiam  in  re- 
centi vehementique,  praecipuae  ardente  fe- 
bee, ad  discutiendam  eam,  gestatione  dixit 
utendum  :  sed  id  periculose  fit  ;  raeliusque 
quiete  ejusmodi  impetus  sustinetur.  Si  quia 
tamen  experi  ri  volet,  sic  experiatur,  si  lingua 
non  eril  aspera,  si  nullus  tumor,  india  duri- 
liw,  nullus  dolor  visceribus,  aut  capiti,  aut 
praecordii»  suberit.  Eit  ex  loto  numquam  ge- 


DELLA    MEDICINA  CjJ 

to  il  corpo,  siccome  quando  si  vuole  impin- 
guare una  persona  gracile,  ora  sopra  una  sola 
parte,  sia  perchè  il  richieda  la  debolezza  di 
quella  parte  is tessa,  ovvero  di  alcun1  altra.  Es- 
sa pure  alleggerisce  gli  antichi  dolori  del  capo, 
purché  non  si  usi  nella  violenza  loro,  ed  un 
arto  paralitico  ben  sovente  racquista  il  moto 
con  farvi  dei  fregamenti.  Nondimeno  assai  più 
spesso  si  convien  far  la  frizione  in  parti  non 
affette,  e  massimamente  allora  che  si  ha  in  mi- 
ra di  richiamare  gli   umori  dalle  supreme  e 
medie  parli  del  corpo,  e  perciò  si  stropicciano 
le  estreme  parti.  Non  è  da  porgere  orecchio  a 
quelli,  i  quali  vogliono  determinare  il  numero 
dalle  freghe  da  farsi  a  qualcuno,  imperocché 
tal  cosa  devesi  dedurre  dalle  forze  del  sogget- 
to :  cosicché  se  esso  debolissimo  si  trova,  posso- 
no bastare  cinquanta,  se   poderoso  ne  potrà 
sostenere  da  dugento  :  dipoi  ci   terremo  tra 
questo  mezzo   a    norma  delle  forze.  Dal  che 
ne  viene  che  per  lo  più  meno  in  una  donna 
che  in  un  uomo,  e  meno  in  un  fanciullo  ed  in 
un  vecchio  che  in  un  giovane  si  devono  ado- 
perar le  mani.  Finalmente  se  si  fregano  certe 
regioni  del  corpo,  d1  uopo  è  di  forte  e  conti- 
nuato stropicciamento,  perocché  non  può  tut- 
to il  corpo  tosto  indebolirsi  in   grazia  d'una 
parte,  mentre  occorra  dissipare  grande  quan- 
tità di  materia,  sia  che  vogliasi  col  fregamen- 
to  sollevare  quel  membro   stesso,  od  alcun  al- 
tro. Ma  quando  la  fievolezza  di   tutta  la  per- 
sona  addimandi    questo   medicinale   governo 
in  tutta  l1  estensione  del  corpo,  facciasi  sì  ma 
più  breve  e  più  mite,  onde  rammollisca  sol- 
tanto la  cute,  acciocché  rendasi  più  facilmen- 
te   capevole  di   novella  materia  pel   davanti 
apprestato  alimento.  Che  un  infermo  ritrovi- 
si in  pericoloso  slato,  tuttavolta  che  T  esterna 
parte  del  corpo  è  assalita   da   freddo,  mentre 
all'  interno  ei  prova  caldo  con  sete,   già  diso- 
pra il  dissi,  in  questo  caso  I1  unico  ajuto  ripo- 
sto è  nella  fregagione,  la  quale   se   rivocherà 
nella  cute  il  calore,  può  dare  campo  ad  alcu- 
na medicazione. 

Cip.  xv.  —  Della  gestazione. 


La  gestazione  pure  è  molto  acconcia  ai 
lunghi  e  già  decrescenti  malori  :  ed  utile  è  a 
coloro  che  da  tempo  vanno  scevri  di  febbre, 
ma  che  di  per  se  non  si  possono  ancora  eser- 
citare, ed  a  quelli  a  cui  restano  lenti  residui 
di  malsanìa  che  di  verun  altro  modo  non  si 
dileguano.  A  sci  epiade  propose  l1  uso  della  ge- 
Stazione  anche  in  una  nuova  e  gagliarda  feo- 
bre  massime  ardente ,  onde  distoglierla;  ma 
il  farebbesi  a  grande  risico,  e  meglio  è  col  ri- 
poso attutarne  la  forza.  Ture  se  alcuno  ha  va- 
ghezza <li  sperimentarla,  il  faccia  se  la  lingua 
non  è  aspra,  se  niua  tumore,  ninna  durezza 
<   dolore  nessuno  si  sentirà   nelle   viscere,  nei 


08  C    E    L    s 

slari  corpus  dolens  debet,  sire  id  in  toto,  sive 
in  parte  est:  Din  tamen  solis  nervis  dolenti- 
bus  ;  neque  unquam  increscente  fel)re.  sed  in 
remissione  ejus.  Genera  autem  gestationis 
pi nra  sunt  :  qui  adhibenda  soni  et  prò  viribus 
cujusque,  et  prò  opibus,  ne  aut  imbeeillum 
hominem  nimis  digerant,  aut  tramili  desint. 
Lenissima  est  navi,  vel  in  porto,  vel  in  il  ti— 
mine  ;  vehementior  vel  in  alto  mari  nave,  rei 
lectica  ;  etiamnum  acrior  vehiculo.  Attrae  baco 
ipsa  et  intendi  et  leniri  possttnt.  Si  uihil  ho- 
rura  est.  sospendi  lectos  debel  et  moderi  :  si 
ne  id  qoidem  est.  al  certe  uni  pedi  sobjicien* 
dom  frumentoni  est.  atqoe  ita  lectos  hucet  il- 
luc  manu  impellendos.  Et  levia  (juidem  gene- 
ra  exercitationis  infirmi*  ronveniunt  :  valen- 
liora  vero  iis.  qui  jam  pluribus  diebus  febre 
liberati  sunt  :  aut  iis.  qui  gravium  morborum 
india  sic  sentionl  ,  Ol  adirne  febre  vacenl 
(quod  et  in  tabe  et  io  stomachi  vitiis.  et  cum 
aqoa  cotem  subiit.  et  interdom  in  morbo  re- 
gio fit).  aut  ubi  quidam  morbi,  qualis  comi- 
tialis.  qoalis  insania  est,  sine  febre,  quamvis 
din.  manent  In  quibus  affectiboa  ea  quoque 
genera  exercitationum  necessaria  sunt.  <)iiae 
romprehendimus  co  loco,  quo  qoemadmodom 
sani,  ncque  firmi  homines  se  gererent,  prae- 
cepimus. 


Cap.  xvi.  —  De  abstinentia. 

àbstinentiae  vero  duo  genera  sunt  :  alte- 
rami obi  uiliil  assamil  aeger;  alterom,  ubi  non 
jii-i  qood  oportet  India  morboroni  primura 
faiix-ui.  sitimqoe  desiderant:  ipsi  deinde  morbi, 
moderationem,  ul  neqoe  aliod  (piani  expedi t, 

ejus    ìpSIUS    diminuì     Miuia'ur.      Ncque 

«•nini  con  veni  I  ioxla  inediam  prolinus  satieta- 

Qu  ■  I   si   N.Miis  quoque  corpoi  ibns 

inatile  est,  obi  atiqaa  necessitai  fameni  ri  cil  : 

quanto  inuliliiis    e    !     in   COrOOre  «liam  aC£TO  :' 

Neque  alla  rea  magia  adjuvat  laborantem , 
quam  tempestiva  abstinentia.  [ntemperantes 
homines  apud  :  i  i!>i  tempora  curanti- 

:  i  alii,   tempora    nudi. 

•  eroittunt,   libi  ipsis   modom   \  indicant. 
I  ,  duui.  qui   <■<  U  i  b  ilio 

rum  arbitrio  relinqunot,  in  genere  cibi  liberi 
itur ,  quid  m    lieo  liceat, 
ii-. n  quid  b  ( 'mì  rehementer 

n   <  :ju<  quod  fa  numi  lui     vel 
t'-in  pei  i  atur. 


capo  o  nei  precordi.  È  sempre-  schifare  la  ge- 
stazione, dolente  il  corpo'tutto,  od  alcuna  par- 
te ;  salvo  nondimeno  il  caso,  in  cui  dolgano 
i  Soli  nervi,  e  non  mai  nel  crescere  della  feb- 
bre, ma  nella  remissione  di  essa.  Di  due  ma- 
niere si  hanno  gestazioni,  delle  quali  si  può 
far  uso  a  seconda  delle  forze  e  delle  facoltà  di 
ciascuno  ;  onde  né  soverchio  esauriscano  un 
uomo  debile,  né  manchino  al  povero.  La  più 
piacevole  di  tutte  è  quella  che  si  fa  in  barca 
nel  porto,  o  pel  fiume  :  pia  violenta  in  allo 
mare,  ovvero  in  lettiga.  La  più  veemente  è  in 
eocchio.  31a  queste  varie  fogge  di  gestazione 
possono  rendersi  e  più  forti  e  meno  forti.  In 
disagio  di  tutte  queste  si  sospenda  il  letto,  e 
facciasi  muovere.  E  se  questo  pur  manca,  si 
convien  mettere  un  sostegno  ad  un  piede  del 
letto,  e  poscia  con  una  mano  spignerlo  qua  e 
là.  Le  più  blande  maniere  d1  esercizio  si  ad- 
dicono ai  soggetti  deboli,  le  più  forti  a  coloro 
che  già  ^^  più  giorni  sono  liberali  dalla  feb- 
bre, od  a  quelli  che  sì  poco  risentono  i  forieri 
di  malattie  gravi  che  si  trovano  per  anche 
senza  febbre  (  siccome  avviene  neir  elisia,  nei 
malanni  di  stomaco,  nell'idropisia  e  talvolta 
neir  itterizia  ).  ovvero  in  certi  malori  non  feb- 
brili, quantunque  durino  lungo  tempo,  sicco- 
me il  mal  caduco  e  la  pazzia.  Nelle  quali  affe- 
zioni sono  pur  necessarie  quelle  maniere  d1  e- 
sercizio  che  si  esposero  colà,  ove  si  dettero  i 
precetti  secondo  i  quali  si  devono  regolare  le 
sane,  ma  dilieale  persone. 

C.vr.  xvi.  —  Dell' 'astinenza. 

Di  due  sorte  è  V astinenza  :  Pana  in  cui 

nulla  prende  l1  infermo,  V  altra  in  cui  prende 

ciò  solo  «die  idi  e  convenevole.  Le  malattie 
pò  cominciamene  vogliono  toi.de  asti- 
nenza di  cibo  e  di  bevanda  :  in  appresso  nel- 
le malattie  istesse  si  richiede  moderazione, 
non  osando  che  alimenti  dicevoli,  e  questi  an- 
che con  parsimonia  ;  perocché  sempre  discon- 
viene la  sazievolezza  dopo  r  inedia,  la  «piale 
si  anche  ai  sani  è  Docente,  allorché  per  alcu- 
na  Decessiti!  provarono  la  fame,  quanto  pia 
do!  ^*VA  ad  un  infermo?  Nulla  cosa  reca  giova- 

.jnenlo  maggiore  agli  ammalati,  quanlo  l\isli- 

Deoza  a  tempo.  GÌ1  io  temperanti  fra  noi  la* 
sciaon  ai  medici  i  tempi  del  prender  cibo;  al- 
iti ali1  incontro  quasi  in  dono  loro  accordano 
i  tempi,  a  è  siissi  riservandosi  la  misura.  (Io- 
sì  estimano  liberalmente  adoperai  coloro  i 
quali  mentre  lasciano  le  altre  cose  ali  arbi- 
trio dei  medicanti ,  vogliono  esser  liberi  in- 
torno al  mangiare  :  quasi  che  v'  i  icerchi  qual 
lei  ita  al  medii  o,  non  quale  salutifera 

m.i   allo  infermo.  ;i  cui   hoppo  si  ninne.    Inda- 

volta  i  he  si  sbaglia  intorno  a  i  io  <  he  prende, 
sia   nella   qaaliti .    sia  nella  quantità    o  nel 
pò, 


DELLA     MSDICISA 


Ca».  xvii.  —  De  sudore. 


69 


Gap.  x\ ii.  — -  Z)e/  sudore. 


Sudor  etiara  cluobus  modis  elicitur  :  aut 
sicco  calore,  aut  balneo.  Siccus  calor  est,  et 
arenae  calidae,  et  laconici,  et  clibani,  et  qua- 
rumdam  naturalium  sudationum,  ubi  terra 
profusus  calidus  vapor  aedifìcio  includifur,  sic- 
ut  super  Baias  in  myrtetis  habemus.  Praeter 
baec,  sole  quoque,  et  exercitatione  movetur. 
Utiliaque  haec  genera  sunt,  quoties  humor  in- 
tus  nocet,  isque  digerendus  est.  Ac  nervorura 
quoque  quaedara  vitia  sic  optime  curantur. 
Sed  cetera  infirmis  possunt  convenire  :  sol,  et 
exercitatio  tantum  robustioribus  ;  qui  tamen 
sine  febre,  vel  inter  initiaraorborura,  vel  etiam 
gravibus  morbis  tenentur.  Cavendum  autem 
est,  ne  quid  horum  vel  in  febre,  vel  in  erudi- 
tale tentetur.  At  balnei  duplex  usus  est.  Nani 
modo,  discussis  febribus,  initium  cibi  plenio- 
ris,  vinique  firmioris,  valetudini  facit  ;  modo 
febrem  ipsam  tollit.  Fereque  adhibetur,  ubi 
summam  cutem  relaxari,  evocarique  corru- 
ptum  humorem,  et  babitura  corporis  mutari 
expedi t.  Antiqui  tiraidius  eo  utebantur:  Ascle- 
piades  audacius.  Neque  terrere  autem  ea  res, 
si  tempestiva  est,  debet  :  ante  tempus,  nocet. 
Quisquis  febre  liberatus  est,  simula tque  ea  uno 
die  non  accessit,  eo  qui  proximus  est,  post 
tempus  accessionis,  tuto  lavari  potest.  At  si 
cireuitum  habere  ea  febris  solita  «st,  sic  ut 
tertio,  quartove  die  revertatur,  quandocum- 
que  non  accessit,  balneum  tutum  est.  Manen- 
tibus  vero  adhuc  febribus,  si  bae  sunt  lentae, 
lienesque  jamdiu  male  babent,  recte  medicina 
ista  tentatur  :  cum  eo  taraen,  ne  praecordia 
dura  sint;  neve  ea  tameant  ;  neve  lingua  aspe- 
ra sit,  neve  aut  in  medio  corpore,  aut  in  ca- 
pite dolor  ullus  sit,  neve  tura  febris  increscat. 
Et  in  iis  quidem  febribus.  quae  certum  circui- 
tum habent,  duo  balnei  tempora  sunt  ;  aite- 
rum,  ante  borrorem  ;  alterum,  febre  finita  : 
in  iis  vero,  qui  lenlis  febriculis  din  delinen- 
tur,  cum  aut  ex  toto  recessit  accessio;  aut,  si 
id  non  solet,  certe  lenita  est,  jamque  corpus 
tara  integrum  est,  quam  maxime  esse  in  eo 
geniere  valetudinis  solet.  Imbecillusbomo,  itu- 
i  iis  in  balneum,  vi  tare  debet,  ne  ante  frigus 
altquod  experiatur  :  ubi  in  balneum  venit, 
paulisper  resistere,  experirique  num  tempora 
adstringantur,  et  an  sudor  aliquis  oriatur:  il- 
liifl  si  incidi!,  hoc  non  secutum  est,  inutile  eo 
die  balneum  est  ;  perungendusque  is  leni  ter, 
et  auferendus  est,  vitandumque  onmi  modo 
frigus,  <•!  abstinentia  utendum.  \i  ri  tempori- 
bus  integris,  primum  ibi,  deinde  alibi  sudor 
incipit,  fovendum  os  aqua  calida  ;  tum  in  solio 
desidendum  est  ;  atque  ibi  quoque  videndum 
niirri  sub  primo  con tactu  aquae  calidae  summa 
ètttis  inhorrescat  :  quod  vix  tamen  fieri  potest, 
si  priora  recte  cesserunt  ;  certum  id  autem  si- 
gnum  inutilis  balnei  est.  Ante  vero,  (piani  in 


Il  sudore  si  provoca  in  due  guise  :  o 
col  calore  secco,  o  col  bagno.  Il  calore  secco 
è  quello  della  rena  calda,  della  stufa,  del  for- 
no o  di  alcuni  naturali  sudato],  ove  il  caldo 
vapore  surgente  da  terra  si  raccoglie  in  una 
stanza  siccome  gli  abbiamo  sopra  Baja  nei 
mirteti.  Oltre  questi  mezzi  il  sudore  s*  incita 
anebe  col  sole  e  coli'  esercizio.  Queste  manie- 
re d'incitare  il  sudore  sono  proficue  ogniqual- 
volta v'  ha  entro  di  noi  un  umore  infetto  che 
smaltire  si  convenga.  E  per  tal  guisa  certe  af- 
fezioni dei  nervi  vengono  sanate,  ma  mentre 
le  prime  maniere  si  possono  adattare  ai  debo- 
li, il  sole  e  il  moto  non  si  acconciano  che  ai 
robusti,  purché  siano  senza  febbre  od  in  prin- 
cipio di  malattia,  o  che  non  siano  preoccupati 
da  gravi  malori.  Bisogna  astenersi  da  entram- 
bi questi  mezzi  di  far  sudare  nel  tempo  della 
febbre  e  della  digestione.  Doppio  è  V  uso  del 
bagno.  Perocché  ora  al  convalescente,  sciolti 
pienamente  gli  accessi  febbrili,  segna  il  comin- 
ciamento  di  un  alimento  più  sostanzioso  e  di 
un  vino  più  forte,  ed  ora  dissipa  la  febbre 
istessa.  E  quasi  sempre  si  mette  in  uso,  al- 
lorché è  espediente  di  rilasciarla  pelle,  e  trar- 
ne fuora  un  umore  malefico,  e  cambiare  l'abi- 
to del  corpo.  Gli  antichi  erano  intorno  a  que- 
sto assai  timidi  ;  Asclepiade  coraggioso  ed  ar- 
dito. Non  v1  ha  per  verità  nulla  a  temer  dal 
bagno,  se  si  usa  convenevolmente,  ma  pregiu- 
dica se  fassi  innanzi  tempo.  Un  ammalato  che 
venga  liberato  dalla  febbre,  e  che  trapassi  un 
dì  senza  averla,  nel  susseguente ,  passato  il 
tempo  dell1  accesso,  può  con  tutta  sicurtà  la- 
varsi. Persistendo  poi  ancora  le  febbrili  ac- 
cessioni, e  queste  lente  e  che  già  da  lunga 
pezza  insensibilmente  travagliano,  somma  uti- 
lità ne  presta  il  bagno  :  nondimeno  che  per 
altro  non  siano  gì1  ipocondri  duri  ed  enfiati, 
né  aspra  la  lingua,  e  che  nella  parte  media  del 
corpo  così  come  nel  capo  niuno  dolore  si  sen- 
ta, e  che  la  febbre  in  quell1  ora  non  cresca. 
Ed  in  quelle  febbri  similmente  che  hanno  un 
costante  periodo  due  sono  i  tempi  opportuni 
a  far  bagnature.  L'uno  innanzi  il  ribrezzo, 
l1  altro  cessala  la  febbre.  Ma  in  quelli  che  da 
tempo  sono  malmenati  da  lente  febbriciatto- 
le,  allorché  od  è  al  tutto  disciolto  l1  accesso, 
od  almeno  quando  che  ciò  non  avvenga,  cal- 
malo che  sia,  e  che  il  corpo  ornai  si  ritrovi  a 
colai  grado  d1  integrità  quale  suol  aversi  in 
così  falla  generazione  di  male.  Una  persona 
malaticcia  che  vuol  bagnarsi,  convien  che  si 
guardi  dal  freddo  innanzi  ciò  fare:  e  disceso 
poi  eh1  ei  sia  nel  bagno,  star  fermo  alquanto, 
ed  osservare  se  le  tempie  si  ristringono,  e  se 
un  poco  si  affaccia  il  sudore  :  se  quelle  patisco- 
no Strettezza  ed  il  sudor  non  si  mostra,  disili  i- 
le  è  in  quella  giornata  il  bagno  :  devesi  quindi 


CELSO 


aquam  calidam  se  demittat,  an  postea  aliquis 
perungi  debeat,  ex  ratione  valetudinis  suae 
cognoseat.  Iure  tamen,  nisi  ubi  nomimi tim, 
ut  posici  dal.  praecipietur,  moto  sudore  leni» 
ter  corpus  perungendum  ;  deinde  in  aquam 
calidam  demittendum  est.  Atque  hic  quoque 
habenda  \iriuin  ratio  est,  neque  commilten- 
dum,  ut  per  aestum  anima  defieiat;  sed  ma- 
turius  is  auferendus,  curioseque  vestimentis 
involvendus  est,  ut  neque  ad  eum  frigus  aspi- 
ret,  et  ibi  quoque,  antequam  aliquid  assumat, 
insudet.  Fomenta  quoque calida  sunt,  milium, 
■al,  arena  ;  quodlibet  eorum  calefactum,  et  in 
Knteum  conjectum;  si  minore  vi  opus  est, 
di. un  totani  linleum;  at  si  majore,  exstincti 
titiones.  involutique  panniculis.  et  sic  circum- 
dati.  Quia  eliam  calino  oleo  replentur  utricu- 
li  ;  et  in  rasa  fictilia,  a  similitudine  quas  len» 
ticulas  voeant,  aqua  conjicitur;  et  sai  sacco 
Unico  excipitur,  demitturque  in  aquam  bene 
calidam,  tana  super  id  membrum,  quod  fo- 
vendom  est,  collocatur.  Juxtaque  ignein,  fer- 
ramenta  duo  sunt,  capitibus  paulo  latioribus  : 
alterumque  ex  his  demittitur  in  eum  salem, 
et  aqua  super  leviler  aspergitur  ;  ubi  fingere 
eoemt,  ad  Ignem  refertur,  et  idem  in  altero 
fìt;  deinde  invicem  in  utroque  :  inter  quae, 
descendi  l  lalaus  et  ralidus  succus,  qui  conlra- 
rtis  aliquo  morbo  nervis opitulalur.  Eia  omni- 
bus ( '(immune  est,  digerere  id,  quod  vel  prae- 
oordia  onerata  vii  faueej  strangulat,  vel  io  ali- 
qoo  membro  nocct.  Quando  autem  quoque 
ntendum  sii,  in  ipsis  morborum  generibus  di- 
cclur. 


ClFi  \un.  —  Qui  ri/ii,  putionesve,  ani  va- 
trntis.  uitt  mtdiuet  auf  iinbccillac  ntute- 
rinv  tuni. 

Cura  de  iia  dietnm  ait,  quaa  detrahendo 
jn\:nii  |  ad  ea  venienduni  est,  quei  alani,  id 
ett.  <  illuni  1 1   potionem.   Haec  autem  non  «•- 

mmnm   1 .1 1 1 1  u  •  - 1   iii"i  |...i  uni.     sed    eli. un   mtiiii- 

dae  i  ili  tudini  •  i ionia  praeaidia  innt:  per- 

tinetqw    id  rem,  omnium  pi  opi  interni  i 

pi  unum,  ul    'ii       '  i;   quomodo  hi  i  ulaulul  ; 


ugnere  soavemente,  e  trasportar  di  colà,  e 
schifare  a  tutto  potere  il  freddo,  e  stare  a  die- 
ta. Ma  se  il  sudore,  integre  le  tempie,  comin- 
cia prima  da  esse,  di  poi  dalle  altre  parti,  si 
dtVJ  fomentar  la  bocca  con  acqua  calda  :  indi 
scendere  nella  vasca  del  bagno,  e  quivi  simi- 
gliantemente  considerare  se  al  primo  toccar 
delP  acqua  calda  si  abbrividisca  la  pelle:  il  che 
difficilmente  avviene  se  i  primi  segni  furono 
favorevoli  :  il  che  manifesto  segno  è  che  il  ba- 
gno è  illaudabile.  Se  altri  poi  debba  ugnerai 
avanti  o  dopo  <T  essersi  immerso  nell1  aequa 
calda,  il  rilevi  dallo  stato  della  propria  sanità. 
Tuttavia  (piasi  sempre,  salvo  che  non  siasi 
specificamente  ordinato  che  tacciasi  dopo,  mos- 
so appena  il  sudore,  deve  pianamente  ugne- 
re  il  corpo,  poscia  rientrare  nel  bagno,  e  qui- 
vi ancora  si  devono  valutare  le  forze,  e  guar- 
dare si  deve  non  cada  per  soverchio  calore  in 
deliquio  ;  ma  traimelo  fuora  più  presto,  e  in- 
volgerlo studiosamente  di  panni,  onde  il  fred- 
do non  lo  raggiunga,  e  nella  medesima  stanza 
del  bagno  prima  che  prenda  alimento  lascia- 
re che  sudi.  Àncora  si  costumano  delle  fo- 
mentazioni calde  con  miglio,  con  sale,  con 
arena,  ciascuna  di  tali  cose  riscaldata,  ed  in- 
volta in  pannolino  ;  se  fa  d1  uopo  di  un  blan- 
do calore,  anche  il  solo  pannolino,  ma  se  di 
uno  assai  forte,  de1  tizzoni  estinti  involli  en- 
tro una  pe/./.a  ed  apposti.  Si  riempiono  anche 
degli  otncelli  d1  olio  ealdo  ;  o  si  mette  dell'a- 
cqua in  vasi  di  terra,  chiamati  pei  la  figura 
Loro  lenticchie  ;  0  si  riempie  di  sale  un  sac- 
chetto, il  quale  s1  immerge  in  acqua  ben  cal- 
da, e  poi  si  appone  alla  parte  da  fomentare. 
E  sieno  nel  fuoco  dui*  ferii  con  Capitelli  ^^ 
po'  più  larghi.  T  uno  di  essi  s'insinua  nel  sud- 
.lcllo  tale,  e  sopra  vi  si  spruzza  bel  bello  del- 
l'acqua; allorché  incomincia  a  freddare  si 
rimette  nel  fuoco,  e  lo  .slesso  si  pratica  ColPj li- 
tro ;  cosi  ,i  vicenda  in  entrambi  :  di  tal  modo 

ne  viene  ;■  coinè  un  salso  e  caldo  umore  che 
presta  di  molto  ajulo  a  certi  malori  cagionati 
da  rigidità  di  nervi.  Adoperamento  comune 
di  tutte  queste  fomenta  è  di  smaltire  eia  che 
aggrava  i  precordi,  0  che   stria  le  fauci.  0  che 

la  nocumento  a  qualche  membro*  Quando  poi 

usare  si  debba  ciascuna  dì  queste,  si  dirà  nel- 
le sin-ole  specie  di  mali. 

<  \r.  win.  —  Quali  sono  i  cibi  o  le  bevan- 
de di  /orli ,  mezzano  o  debile  nutri- 
mento. 

Dappoiché  detto  si  è  .li  quelle  «ose  che 
giovano  sottraendo,  a  quelle  si  deve  passare 
che  alimentano,  cibo  cioè  e  bevanda*  E  que- 
sti non  tanto    sono    i  e. minili    Miasidj    di    lutto 

le  malattie,  ma  di  Ila  saniti  ■incora  :  i  i1  ap- 
partiene al  nostro  eggetto  il  conoscere  ogni 
qualità  d  alimento,  prima  affinchè  i  sani  mp- 


DELLA 

deinde,  ut  exsequenlibus  nobis  morborum  ca- 
ra tiones,  liceat  species  rerum,  quae  assumen- 
dae  erunt,  subjicere,  neque  necesse  sit  subin- 
de  singulas  eas  nominare.  Scire  igitur  opor- 
tet,  omnia  legumina,  quaeque  ex  frumentis 
pauificia  sunt,  generis  valentissimi  esse  (valen- 
tissimum  voco,  in  quo  plurimum  alimenti 
est)  :  item  orane  animai  quadrupes  domi  na- 
tura; omnem  grandem  feram,  quales  suntea- 
prea,  cervus,  aper,  onager  ;  omnem  grandem 
arem,  quales  sunt  anser,  et  pavo,  et  grus  ;  o- 
mnes  belluas  marinas,  ex  quibus  cetus  est, 
quaeque  his  pares  sunt  :  item  mei,  et  caseum. 
Quo  minus  mirura  est,  opus  pistorium  valen- 
tissiraum  esse,  quod  ex  frumento,  adipe,  mel- 
le,  caseo  constat.  In  media  vero  materia  nu- 
merari, ex  oleribus  debere  ea,  quorum  radi- 
ces,  vel  bulbos  assumiraus  ;  ex  quadrupedibus 
leporem;  aves  omnes  a  minimis  ad  phoenico- 
pterum  ;  item  pisces  omnes,  qui  salem  non  pa- 
tiuntur,  solidive  saliuntur.  Imbeeillissimam 
vero  materiam  esse,  omnem  caulem  oleris,  et 
quidquid  in  caule  nascitur,  qualis  est  cucur- 
bita, et  cucumis,  et  capparis  ;  omnia  poma, 
oleas,  cochleas,  ilemque  conchylia.  Sed  quam- 
vis  haec  ita  discreta  sint,  tamen  etiam,  quae 
sub  eadem  specie  sunt,  magna  discrimina  re- 
cipiunt;  aliaque  res  alia  vel  valenlior  est,  vel 
intìrmior.  Siquidem  plus  alimenti  est  in  pane, 
quam  in  ullo  alio  :  firmius  est  trilicum,  quam 
milium  ;  id  ipsum,  quam  bordeum  ;  et  ex  tri- 
lieo  firmissima  siligo,  deinde  simula,  deinde 
cui  nihil  ademptum  est,  quod  àuroirupov  Grae- 
ci  voca.nl  :  infirmior  est,  ex  polline  ;  infìrmissi- 
)ii!!s,  cibarius  panis.  Ex  leguminibus  vero  va- 
lenlior faba,  vel  lenticula,  quam  pisum.  Ex 
oleribus  valentior  rapa,  napique,  et  omnes 
bulbi  (in  quibus  cepam  quoque,  et  allium  nu- 
lìiero)  quam  pastinaca,  vel  quae  specialiter  ra- 
di.mia  appellatur  :  item  firmior  brassica,  et 
bela,  et  porrum,  quara  lacttica,  vel  cwcurbila, 
vel  asparagus.  Al  ex  fruclibus  surculorura  va- 
lentiores  uvae,  ficus,  nuces,  palmulae,  quam 
quae  poma  proprie  nominantur  :  alque  ex  bis 
ipsis  fìrmiora,  quae  succosa,  quam  quae  fragi- 
lia  sunt.  Item  ex  iis  avibus,  quae  in  media 
specie  sunt,  valentiores  eae,  quae  pedibus, 
quam  quae  volatu  magis  nituntur  ;  et  ex  iis, 
quae  volatu  fidunt,  firmiores  rpiae  grandiores 
aves,  quam  quae  minutae  sunt;  ut  ficedula  et 
lurdus.  Atque  eae  quoque,  quae  in  aqua  de- 
gnili-, leviorem  cibum  praeslant,  quam  quae 
nalamli  scienliam  non  bubent.  Inter  domcsli- 
cas  vero  quadrupedes,  levissima  suilla  est; 
gravissima,  bubula:  itemque  ex  feris,  quo 
niajus  quodqne  animai,  eo  robuslior  ex  eo  Gi- 
bus- est.  Pisciumque  eorum,  qui  ex  media  ma- 
teria sunt,  quibus  maxime  utimur,  lainen  gra- 
vissimi sunt  ex  quibus  salsamente  quoque  fie- 
ri potsunt,  qualis  lacertus  est;  deinde  qui, 
quamvis  teneriores,  tamen  duri  sunt,  ut  au- 


WEDICINA  ?I 

piano  di  qual  modo  usarne,  indi  accioccbènoi 
in  curando  ci  troviamo  in  grado  di  determina- 
re le  specie  di  quegli  alimenti  che  si  dovranno 
prendere  senza  esser  obbligati  ad  indicarli 
tratto  tratto  nominatamente.  Si  conviene  im- 
per tanto  sapere  che  tutti  i  legumi  e  tutte  le 
paste  fatte  di  grano  appartengono  alla  classe 
delle  sostanze  di  fortissimo  nutrimento  (  e 
chiamo  fortissimo  ciò  che  rinchiude  in  sé  il 
massimo  di  sostanza  nutricia  ).  Del  pari  tutti 
i  quadrupedi  domestici,  ogni  grosso  salva  tico, 
come  il  capriolo,  il  cervo,  il  cinghiale  ,  l1  asi- 
no selvaggio:  tutti  i  grandi  uccelli,  quali  l'oca, 
il  pavone,  la  grue  :  tutte  le  fiere  marine,  fra 
cui  la  balena,  e  gli  altri  cetacei  :  parimente  il 
mele,  e  il  formaggio.  Onde  non  è  maraviglia 
che  nutrientissimo  sia  un  pasticcio  che  consti 
di  grano,  grasso,  mele  e  formaggio.  Nella 
classe  poi  delle  sostanze  di  mezzano  nudri- 
mento  sono  da  riporre  quegli  erbaggi  di  cui 
non  usiamo  se  non  le  radici  ed  il  bulbo  :  fra 
i  quadrupedi  la^lepre,  gli -uccelli  tutti  dal  più 
piccolo  fino  al  fenicottero  ;  istessamente  i  pe- 
sci tutti  che  non  si  salano,  o  si  salano  interi. 
Debolissima  nutritura  somministrano  gli  er- 
bami,  e  tutto  ciò  che  nasce  sul  caule,  siccome 
la  zucca,  il  cocomero,  il  cappero  :  le  frutta 
tutte,  le  olive,  le  chiocciole  e  le  conchiglie. 
Ma  oltre  queste  differenze,  altre  grandi  se  ne 
riscontrano  fra  le  sostanze  comprese  nella 
medesima  classe,  laddove  una  qualità  d'ali- 
mento è  più  o  meno  nutriente  di  un1  altra. 
Così  più  sostanza  dà  il  pane  di  qualsivoglia 
altro  cibo.  Il  grano  è  più  forte  del  miglio, 
questo  più  deir  orzo,  e  la  parte  più  sostan- 
ziosa del  grano  è  il  primo  fiore,  dipoi  il  secon- 
do, dipoi  la  farina  così  com'  è  senza  stacciar- 
la, la  quale  i  Greci  diconla  autopiro:  debole 
è  il  pane  fatto  col  fior  di  farina,  debolissimo 
il  pane  casereccio.  Fra  i  legumi  più  forte  è  la 
fava  o  la  lenticchia  del  pisello,  e  fra  le  erbe 
edule  la  rapa  ed  il  navone,  e  tutte  le  radici 
bulbose,  nel  cui  novero  cntranvi  anche  la  ci- 
polla e  F  aglio,  lo  sono  più  della  pastinaca,  o 
di  quella  che  specialmente  si  chiama  radice. 
Parimente  più  nodritivo  è  il  cavolo  e  la  bie- 
tola e  il  porro  della  lattuca,  del  cedriolo  o 
dello  sparagio.  Ma  dei  frutti  che  nascono  dai 
tralci,  più  nutrienti  sono  le  uve,  i  fichi,  le 
noci,  i  dattili,  che  non  i  pomi  propriamente 
detti  :  e  fra  questi  lo  sono  più  i  succosi  di 
quei  che  sono  fragili.  Fra  gli  uccelli  della 
classe  media  più  nodriscono  quelli  che  più 
stanno  sulla  terra  di  quei  che  più  volano  ;  e 
ira  quei  che  si  fidano  al  volo  più  nutriehevoli 
sono  i  più  grossi,  come  il  beccafico  ed  il  lor- 
do. E  quegli  ancora  che  vivono  ncll1  acqua, 
prestano  più  leggiero  alimento  di  quei  che 
passano  in  terra  la  viia  loro.  Fra  i  quadrupe- 
di domestici  leggierissima  è  la  carne  porcina, 
pesante  oltremòdo  quella  di  bue,  Ufeòlhre  ;  li 


7* 


GELSO 


rata,  corvus,  sparili,  ondala  ;  Inni  plani  post 
quos  etiamnum  lcviores  lupi,  mullioue.  et  post 
hos,  omnes  saxaliles. 


Neque  vero  iu    gcneribus    rerum    tan- 
tnmiuodo  discrimen  est,  seti  etiam  in  ij>sis  : 

quod  et  ariate  tìl,  et  membro  ,  et  solo,  et 
coelo,  et  habitu.  Nam  quadrupes  omno  ani- 
mai, si  lactens  est,  minua  alimenti  praestat? 
ilemque  quo  tenerìor  palina  cobortana  est:  in 

piscibut  quoque  media  aetas,  quae  noudum 
summam  magniludinem  implevit.  Deinde  ex 
eodem  sue,  ungulae,  rostrum,  aures,  cerebel- 
lu ni  ;  t-v  agno,  Iiocdove,  cum  petiolis  totum 
rapili  aliqu auto,  quam  celerà  membra,  levio- 
ra  suut  :  adeo  ut  in  media  materia  poni  pos- 
sint.  Ex  avibus,  colla,  alaeve  recte  infirmis»- 
mis  adnomerantur.  Quod  ad  solum  vero  per- 
line!, frumentum  quoque  valentius  est  colli- 
num,  quam  campestre  :  levior  piseisinter  saxa 
neditus,  quam  in  arena  ;  levior  in  arena,  qnam 
in  limo  :  quo  flt,  ut  ex  stagno,  vel  laco,  rei 
flamine  eadean  genera  grariora  sinl  :  levior- 

que,  qui  in  allo,  quam    qui    in  vado  vixit.   O- 

mne  etiam  ferum  animai  domestico  lerint;  et 
qaodcamqac  hamido  coelo,  quam  quod  siero 
nalum  est.  Deinde  eadem  omnia  pinguia , 
quam  inaerà;  recentia,  quam  salsa;  nova, 
«I ii .-i in  vetusta,  plus  alimenti  habent.  Tumrei 
eadem  magia  ani  jurulenta,  qnam  aaaa  ;  magia 
atta,  quam  elisa.  Orum  darum  Talentitsimae 
materiae  eat  ;  molle,  rei  aorbile,  imbeciliaai- 
mae.  Cnmqne  panificia  omnia  nrmittima  sint, 
dota  tamen  quaedam  genera  frumenti,  al  ali- 
ce, oryza,  ptiaana,  rei  et  tiadem  faeta  aorbitio 
rei  pulticula,  et  aqua  quoque  madena  pania) 
imbecillitsimia  adnumerari  poteat  l.\  potio- 
nibua  vero,  qnaecnmquc  ti  frumento  beta 
<  -i.  itemque,  he,  mulaum,  defructum,  paaaum 
rinnm  aul  dolce,  mi  rehemena,  ini  muatum, 
ani  magnae  retnttaut,  ralentittimi  generia 
eat  Ai  ...  i  inni,  et  ìd  \  ìnum  quod  pau<  orum 
.-unioni ni.  rei  .mi si. tu m.  rei  ptng  ieeat,in  ine- 
dia mal.  ria  est  :    ideoqae    inlirmis    numqu.im 

generia  alteriua  dar!  debet,  Aqua  omnium  Im- 
becilliaaima  eat  Firraiorque  ai  frumento  po- 
lio* t.  quo  firmina  (ail  ipaun  frnmentnm: 
firmior  t%  eo  i inQ,  quod  bone  aolo,  qu.nn 
quod  tenui  |  quod  |nc  temperato  i  oh  h>.  qnam 

qUOd     .Oli    liilni^    Illuni.!.,.    .,i||     iiiims     sire.).     ni- 

miumqne  ani  li itjido,  ani  ealido  natalo  eat 
Mulaum,  quo  plot  mellia  habet;  defrutum, 
qno  magia  in. ...  tum  :  paaaum,  quo  n  iìi  i  io 
nvfattt,  eo  nlentint  iti    Ujua  leriaaima 


animali  salvatici  tanto  più  ne  danno  sostan- 
zioso alimento  quanto  più  son  grossi.  E  fra 
tutti  i  pesci  che  spellano  alla  classe  media  e 
de1  quali  facciamo  principalmente  uso,  sono 
più  grari  quei  che  si  possono  anche  salare, 
come  il  lacerto  :  di  poi  quelli  che  sebbene  più 
dilicati,  nondimeno  sono  duri,  siccome  la  do- 
rata, il  corvo  marino,  Y  occhiata,  lo  sparo  ; 
poscia  tutti  i  pesci  piani  ;  appresso  i  pesci 
lupi  e  le  triglie,  e  infine  tutli  i  piccioli  pesci 
di  mare. 

Né  già  solamente  ne1  generi  stanno  le  dif- 
ferenze, ma  negl1  istessi  individui  delle  ape- 
eie  medesime  :  il  che  ha  luogo  per  T  età  e 
per  le  parti,  pel  suolo,  pel  clima  e  per  la  cor- 
poratura. Perciocché  un  quadrupede  o  (piai 
siasi  altro  animale,  se  è  lattante  somministra 
minor  nutrimento  :  così  del  pari  il  pollame 
quanto  più  è  giovine  tanto  meno  è  nutriente. 
1  pesci  pure  quando  non  abbiano  passata  Tela 
di  mezzo,  e  non  siano  giunti  al  loro  ultimo 
incremento.  Dipoi  nel  porco  medesimo  meno 
nutritivi  sono  i  piedi,  il  grugno,  gli  orecchi, 
il  cervello.  Nell'agnello  e  nel  capretto  la  le- 
sta e  le  zampe  sono  alquanto  più  leggiere  del- 
le altre  parti,  per  cui  queste  ai  possono  collo- 
care nella  classe  di  mezzo.  Il  collo  e  le  ali  de- 
gli uccelli  giustamente  ai  ascrivono  fra  le  par- 
ti d'infima  sostanza.  Ter  (pianto  poi  si  ap- 
partiene al  suolo,  il  grano  delle  colline  è  più 
nutricberole  di  quel  ni  piano,  l'iù  leggiero  è 

il  pesce  che  aia  fra  uh  scogli  che  per  Le  arene, 
e  questo  più  di  quello  che  si  rire  ne"  pantani. 
Dal  che  ne  viene  (die  le  medesime  specie  sieno 
più  pesanti  secondo  che  sono  o  d*  uno  stagno, 
o  di  un  lago,  o  di  un  fiume  ;  e  quelli  che  vi- 
vono alla  superficie  son..  più  leggieri  di  quei 
che  alloggiano  ne1  bassi  fondu  Anche  la  car- 
ne di  qualunque  animale  salratico  1<>  è  più  di 

quella  di  un  dimestico,    e  quel  che  e    nato   in 

aria  umida  è  meno  nutriente  di  quel  che  na- 
cque in  asciutta.  Dipoi  gli  altri  animali  han- 
no in  se  più  nutrilura,   grassi  che  magri,  fre- 

Bchi  anziché  salali,  più  morti  .li  fresco  che  ì\a 
gran  tempo.  Inoltre  la  medesima  carne  nutri- 
ca pili  allessa  che  ariosi.),  più  arrosta  «  he  frit- 
ta. L'uovo  .Imo  e  di  validissimo  nutricameli; 

tO,  il  molle  0  da   bere,  «li  debolissimo.   IM    .t\  - 

vegnaehè  tutte  le  specie  di  pane  siano  rustau- 
zioaiaaime,  ai  può  non  periamo  aacrirere  fra 
le  cote  di  menoma  forza  certi  preparati  di 
grano  tarato .  come  I"  alice,  il  riao,  I  <u  /<> 
mondato  ed  i  brodi  fatti  con  siffatte  soatanze, 
l.i  farinata  ed  anche  il  pane  ammollato  nel- 
I"  .icqn.i.  Frale  bevande  tutte  quelle  prepa- 
rate con  frumento,  <■  il  latte,  il  mulao,  la  ai 
pi.  il  -vino  patto,  d  tino  dolce  <>  gagliardo,  o 
mosto  .un  oi  ,i.  ed  il  vecchissimo  entrano  nella 
famiglia  delle  più  alimentizie.  Sfa   l1  aceto  «> 

epici  vino    che  ha    1""  hi  anni.  0  <  he  «    tU  >lci  0 

o pingue  a' appartiene  alla  mezzana,  e  per 


DSL  LA     MEDICINA 


pluviali?  est  ;  deinde  fontana  ;  tum  ex  flumi- 
ìie  ;  tum  ex  puteo  ;  post  haec  nive,  aut  glacie  ; 
gravior  his,  ex  lacu  ;  gravissima,  ex  palude. 
r'acilis  etiam,  et  necessaria  cognitio  est  natu- 
ralo ejus  requirentibus.  Nam  levis,  pondero 
apparet  ;  et  ex  iis.  quae  pondere  pares  sunt, 
eo  raelior  quaeque  est,  quo  celerius  et  calefit 
et  frigescit,  quoque  celerkis  ex  ea  legumina 
percoquuntur.  fere  vero  sequitur,  ut,  quo 
valentior  quaeque  materia  est,  eo  minus  faci- 
le concoquatur;  sed  si  concocta  est,  plus  alat. 
Itaque  utendum  est  materiae  genere  prò  \iri- 
bus  ;  modusque  omnium  prò  genere  sumen- 
dus.  Ergo  imbeeillis  hominibus,  rebus  infir-r 
missimis  opus  est  ;  mediocriler  fìrmos  media 
materia  optiate  sustinet;  et  robustis  apla  va- 
lidissima est.  Plus  deinde  aliquis  assumere  ex 
levioribus  potest  :  magis  in  iis,  quae  valentis- 
sima sunt,  temperare  sibi  debel. 


7* 

questo  non  devesi  ài  deboli  dare  mai  d1  altra 
qualità.  L'  acqua  è  di  tutte  le  bevande  la  più 
leggiera.  E  un  beveraggio  fatto  di  frumento 
tanto  più  è  forte,  quanto  più  è  forte  il  fru- 
mento stesso.  Più  gagliardo  è  il  vino  fatto  in 
terreno  forte  che  in  debole,  in  clima  tempe- 
rato che  di  soverchio  umido  o  secco  :  ed  ec- 
cessivamente freddo  o  caldo.  11  mulso  quanto 
più  contiene  di  mele,  la  sapa  quanto  più  è 
cotta,  il  passo  quanto  più  secca  fu  V  uva,  tan- 
to più  forti.  L'  acqua  più  leggiera  è  la  pio- 
vana, in  appresso  quella  di  fonte,  quindi  di 
fiume,  finalmente  quella  di  pozzo  :  dopo  di 
queste  viene  T  acqua  di  neve  o  di  ghiaccio, 
più  pesante  fra  queste  è  quella  di  lago,  pe- 
santissima di  stagno.  Necessario  ed  anche  age- 
vole è  lo  indagare  la  natura  dell'  acqua,  pe~ 
roechè  dal  peso  ne  appare  la  leggierezza  ;  e 
fra  quelle  che  sono  di  egual  peso,  si  riconosce 
per  migliore  quella  che  più  prontamente  si  ri- 
scalda e  si  raffredda  :  e  quella  in  che  più  pre- 
sto vengono  cotti  i  legumi.  Si  può  fermare 
in  massima,  che  quanto  più  forte  è  un  ali- 
mento tanto  men  facilmente  si  digerisee,  ma 
se  vien  digerito,  meglio  nutrisce.  Nella  scelta 
pertanto  degli  alimenti  devesi  aver  rispetto  allo 
stato  delle  forze,  e  non  prenderne  di  qualun- 
que classe  si  sia  che  una  debita  quantità,  giu- 
sta la  natura  loro.  Quindi  le  persone  cagione- 
voli ed  imbecilli  mestiero  hanno  di  cose  assai 
gracili:  le  sostanze  della  classe  mezzana  ottima- 
mente si  confanno  ai  mediocremente  robusti, 
ed  ai  robusti  adatte  sono  le  sostanze  più  for- 
ti. E  per  ultimo  può  ciascuno  prendere  in 
maggior  quantità  le  cose  men  nudrilive,  ma 
neir  uso  delle  più  forti  e  sostanziose  convien 
eh'  ei  sia  temperalo. 


Cap.  xix.  —  Quae  natura  ac  proprietas 
cujusque  rei  sit,  auae  vesci/nur. 


CAr.  xix.  —  Della  natura  e  proprietà 
delle  cose  dì  che  ci  nutriamo. 


Nequae  haec  sola  discrimine  sunt;  sed 
etiam  aliae  res  boni  succi,  aliac  mali  sunt; 
quae  zù%u\ou;  vel  y.axoxó\oug  Graeci  voeant  ; 
aliae  Umes,  aliae  acres;  aliac  crassiorem  pi- 
tuitam  in  nobis  faciunt,  aliae  tenuiorem,  aliae 
jjdoneae  soni  stomaeho,  aliae  alienae  midi  ; 
Uemquc  aliae  inffcnt,  aliae  ab  hoc  absunt  ;  a- 
kiae  calefaciunt,  aliae  refrigeranl  ;  aliae  facile 
in  stomaeho  acesetmt,  aliae  non  facile  intuì 
corrumpuntur  ;  aliae  movent  alvum.  aliae 
uippriraunt;  aliae  citant  nrinam,  aliae  tar- 
pani ;  quaedam  lomnum  movent,  quaedam 
■casus  exeiUnt.  Quae  omnia  ideo  trascenda 
sunt,  quoniam  aliud  ahi,  vel  corpori,  vel  va- 
letudini, convenit. 


Ne  qui  si  ristringono  le  differenze,  peroc- 
ché fra  le  sostanze  cibarie  altre  sono  di  buo- 
no, altre  di  cattivo  succo.  Chiamano  i  Greci 
euclule  le  prime,  cacochile  le  seconde  :  altre 
sono  dolci,  altre  aspre;  altre  condensano  la  pi- 
tuita, altre  rassottigliano  :  altre  sono 
devoli,  altre  contrarie  allo,  stomaco  4  sii 
ugualmente  altre  generano  flati,  altre  no: 
quali  riscaldano,  quali  rinfrescano:  altre  di 
leggieri  s1  inacidiscono  entro  il  ventricolo,  al- 
tre difficilmente  \i  si  corrompono:  altre  muo- 
vono jl  ventre,  altre  il  c^itipano  :  altre  invi- 
tano il  sonno,  altre  risvegliano  i  sensi.  D'uo- 
pò  e  perciò  conoscere  la  proprietà  <!i  ci  •  <  an  1 

sostanza,  essendo  che  altre    ;>i    addice  a    certe 

circostanze  del   temperamento  <*  della  infer- 
mità ;  ed  altra  ad  .dire. 


Celso, 


di',  ix.  —  De  his,  quae  boni  Succi  sunt. 


Cap.   xx. —  Di  quelli  che  sono  di  buon 
succo. 


Boni  succi  sunt,  tritieum,  siligo,  dica, 
oryia,  amylum,  tragum,  ptisana,  lac,  caseus 
mollis,  omnis  venatio,  oranes  aves,  quae  ex 
media  materia  sunt  ;  ex  majoribus  quoque 
eae,  quas  «apra  nominavi  :  meati  inter  tene- 

ifosquc  pieces,  ut  mullus,  et  lupus  :  ▼er- 
ra, lectaOB,  ortica,  malva,  cucumis,  cucurbita, 
uvnm  sorbik,  portulaca,  cochleae,  palmoiae: 
ex  poiiiis  quodeumque  acque  acerbum  ncque 
acidum  cai:  vincasi  dulee  vel  lene  passimi, 
tlcfruluin,  oleae,  quae  ex  bis  duobus  in  alter* 
nlr..  Mivat.ic  sunt  :  vulvae,  rostra,  trunculi- 
qne  filini,  omnia  piagala  caro,  omnis  gluti- 
nosa, omnfl  jecur. 


Sono  di  buon  succo  il  grano,  la  segale, 
1"  alita,  il  riso,  V  amido,  il  trago,  reno,  il  lat- 
te, il  formaggio  tresco,  il  selvaggi  urne  tutto, 
tutti  gli  uccelli  di  mezzana  sostanza,  e  tra  i 
giunsi  ancor  quelli  che  annoverai  dì  sopra  :  i 
pesci  di  qualità  di  mezzo  fra  i  duri  ed  i  tene- 
ri, siccome  la  triglia  e  il  lupo  marino  :  la  lat- 
tuga di  vciim.  T  ortica,  la  malva,  il  cocomero, 

Li  iucca,  l'uovo  a  bere,  la  porcellana,  le  chioc- 
ciole, i  datteri  :  fra  le  poma  qualunque  pur- 
ché non  acido  ne  acerbo  :  il  mu<>  dolce  o  di- 
lieato,  il  passo,  la  sapa.  le  olive  che  slate  sono 
conservate  Dell1  uno  o  V  altro  di  questi  vini  : 
gli  uteri,  i  grugni  e  i  piedi  del  porco  :  tutte  le 
earni  crasse  eie  glutinose  ed  i  fegati  tutti. 


Cap.  xxi.  —  De  hit)  quae  mali  succi  sunt.       Cai»,  xxi.  —  Di  quelle  che  sono  di  reo  succo. 


Mali  vero  succi  sunt,  milium,  panlcum  ; 
hordeum,  legumina,  caro  domestica   perma- 
,  .salsa,   omue   salsamentum, 
:.  vetus  cesena,  si  '-.  rapa,  pa- 

pi, bulbi,  bi  isqne  enain  e;  ma  ejus, 

un  ,  eruca, 

nasturii  :.n.  Umilimi,  i  un  i.i.  b j  sso- 

|P!,,n.   i    •  feniculum,   ouminum, 

...  i  oa.  ■    |  .1.  lienes, 

ina,  pomum  quodeumque  acidum 

arnia  aei  ia,  acida, 

omnes- 

tre   sunt,   aut   qui 

•  nimiuin    I  [uè  sunt,  ut   fere 

i&!  limosive  .rivi  ferunt,  qui- 

que  in  Dimiam  magnitudineni  exeesserunt. 


Sono  di  reo  succo  il  miglio,  il  panico, 
V  orzo,  i  legumi  la  carne  di  animali  dimestici 
Strama gr a,  tutte  le  carni  salate,  e  i  salumi,  il 
gaio,  il  formaggio  secchio,  i  ceei,  la  radice,  la 
rapa,  il  navone,  le  radici  bulbose,  il  cavolo  e 

mollo  più  le  suecime,  lo  sparagio,  la  bietola, 
il  cocomero,  il  porro,  la  ruchetta,  il  crescione, 
il  timo,  la  niepita,  la  santoreggia,  l'issopo,  la 
ruta,  lancio,  il  finocchio,  il  cumino,  1"  anisi, 
il  romice,  la  senape,  l'aglio,  U  cipolla,  le  mil- 
ze, i  reni,  le  intesi  ina.  lolle  le  trulla  atre,  o 
lazze,  e  1'  BeetO  :  tutto  ciò    Che  è    aere,    acido. 

acerbo,   Polio,  il   minuto   pesce  del  mare,  e 

quelli  tolti  che  sono  ecee-si\  amenle  duri,  co- 
me è  la  più  parte  di  epici  che  vivono  negli 
slagni,  nei  laghi  e  ne1  limacciosi  ruscelli  e  che 

»ono  giunti  ad  una  sformata  grossezza. 


Cap.  xxn.  —  Quae  reS  lenes,  quache 
acres  sint. 

Lenei  luteo   sunt,  sorbitio,  pulticula, 
1         ara,  amylum,  ptisana,  pinguis  caro,  et 
i  aque  glutinosa  est  :  quod  fere  quidem 
in  dm  »  fit,  praet  ipuequc  lamen  in 

ungulis,  inni'  ulisque  suum,  in  petiolis  capitu- 
i  '   rum  <  t    \ iiulorum  et  agnorum, 

■  iu-ni  ohi  proprie  bul- 

:  !..  defrutUl  nuclei 

i  itera,  omnia 

.  «  !  .in  1  quidem  quo 
e 

itubus,  o.  ino. i,i, 


Cap.   Un.  —  Quali  cose  sono  dolci,   e  quali 
sono  acri. 

Alimenti  blandi  sono  i  brodi, le  poltiglie, 

le  paste,   l'amido,    Torio    decollo,    la    carne 
ti  issa  <•  la  glutinosa  qualsiasi,  quale    suol  i  *» 

sei'  quella    d'animali    domestici,    ma,    sp -vial- 
i  piedi  e  i   -inocchi  .hi     ma). ih,  i     /am- 

pciti  e  le  piccole  i.si.-  de'capretli,  degli  •>    m  1 

[j    e    .1.   i    Tllrlll.    e    |..il  IHlCllll    lllli.  |U4   Ile    Cidi    l 

che  dioonsi  propriamente  bulbi  :  il  latte,  la  sa- 
pa. il  fi  «d  i  pignoli,  \<  i  i  poi  -"no  li 

troppo  austeri,  gli  BCldi  lutti,  tutti  i  salumi,  il 
il  (piale  UintO  pio  (pianto  più    è  buOflO  : 

ni.    l'aglio,  la   cipolla.  I  i  ne  lrlt.\ 

la  ruta,  il  nasturzio,  il  cocomero,  la   bietole, 
i  r.i\..li.  idi  sparagi,  la  senape, la  radice,  Peo* 

divia.  il  basilico,  li  lattuga  ■  h  r,;i   l-ul''  ,!(" 

gli  cri 


Cap.  xxiii.  —  De  his  quae  crassiorem, 
quaeve  tenuiorem  pituitam  facilini. 


DELLA    MEDICINA  "j  5 

Cap.  xxiii.  —  Di  quelle  che  addensano,  e  di 
quelle  che  attenuano  la  pituita. 


Cras<iorem  antera  pituitam  faciunt,  ova 
sorbilia,  alica,  oryza.  araylura,  ptisana,  Iac, 
bulbi,  omniaque  fere  glutinosa.  Extenuant 
caradem,  omnia  salsa,  atque  acria,  atque  acida. 


Cap.  xxiv 


—  De  his  quae  stomacho 
idonea  sunt. 


Stomacho  aulem  aplissima  sunt,  quae- 
cumque  austera  sunt,  etiam  quae  acida  sunt, 
quaeque  contacla  sale  modico  sunt  :  itera  pa- 
nis  sine  fermento,  et  eloia  allea,  vel  ory/.a, 
vel  ptisana  ;  orati is  avis,  oranis  venatio,  alque 
utraque  vel  assa,  vel  elixa  :  ex  doraest icis  ani- 
malibus  bubula  :  si  quid  ex  celeris  sumitur, 
macrum  potius,  quara  pingue:  ex  sue,  ungu- 
Jae,  rostta,  arres.  vulvaeque  sleriles.  ex  ole- 
ribus,  intubus,  lactuca,  pastinaca,  cucurbita 
elixa,  siser  :  ex  pomis,  cerasum,  morum,  sor- 
bum,  pirum  fragile,  quale  crustuminum  vel 
naevianum  est  :  itera  pira  quae  repcnuntur, 
tarentina  atque  segnina  ;  malura  orbicula- 
luni,  aut  scandianum,  vel  nmerinum,  vel  co- 
toneum,  vel  punicum,  uvae  ex  olla,  molle 
ovum,  palmulae,  nuclei  pinci,  oleae  albae  ex 
dura  muria,  caedein  aceto  intinctae,  vel  ni- 
#rae,  quae  in  arbore  bene  penna turuerunt, 
vel  quae  in  passo,  defrutove  servatae  sunt  : 
vinum  austerum,  licet  etiam  asperum  sit,  item 
resinatura  :  duri  ex  media  materia  pisees,  o- 
sirea,  pectines.  murices,  purpurae,  cochleae  ; 
cibi  potionesque,  frigidae,  vel  ferventes  :  ab- 
sinthium. 


Cap.  xxv.  —  Quae  res  alienae  stomacho 
sint. 

Aliena  vero  stomacho  sunt.  omnia  tepi- 
da, omnia  salsa,  omnia  jurultnta,  omnia  prae- 
nulcia,  omnia  pinguia,  sorbitio,  panis  fermen- 
l.ilns,  idemque  \«'l  ex  milio,  vel  ex  bordeo, 
oleum,  radi(  cs  olerum,  et  (piodcumque  plus 
ex  oleo  garoveeslur,  mei,  mulsura,  defrulum, 
passoni;  I;ic.  omnis  caseus,  uva  recens,  ficus 
et  viri'lis  el  arida,  legumina  omnia,  quae* 
que  ipflare  consueverunt  :  itera  tbymum,  ne- 
peia.  satureia,  hyssopurn  nasturtium,  lapa- 
llmm,  !.q>>  oi.-i,  [uglandes.  Ex  his  autem  intel- 
►test,  non.  quidquid  boni  succi  est,  pro- 
tinus  stomacho  convenire,  protinus  boni   sue* 


Più  densa  rendono  la  pituita  le  uova  a 
bere,  P  alica,  il  riso,  P  amido,  P  orzo  mondo, 
il  latte,  i  bulbi,  e  quasi  tutte  le  sostanze  glu- 
tinose. L'  attenuano  le  cose  salate,  le  acri  e 
le  acide. 

Cap.  xxiv.  —  Dei  cibi  confacevoli  allo  sto- 
maco. 

x\limenti  confacevoli  allo  stomaco  sono 
gli  austeri  ed  anche  gli  acidi,  e  quelli  che  so- 
no stali  leggiermente  salati,  il  pane  azzimo, 
P  alica  lavata,  ovvero  il  riso  o  1'  orzo  mondo  : 
gli  uccelli  tutti,  e  d'  ormi  qualità  salvaggina, 
e  quelli  e  questi  arrosto,  ovvero  allesso:  fra 
gli  animali  domestici  la  carne  del  bue,  e  se  si 
fa  uso  di  alcun'allro  sia  esso  piuttosto  magro 
che  grasso  :  del  poi-co  i  piceli,  il  grugno,  gli 
orecchi,  gli  utefi  per* anche  sterili  :  fra  ;::ì  er- 
baggi P  endivia,  la  lattuga*,  la  pastinaca,  la 
zucca  allessa,  i  sisari  :  fra  le  frulla  la  ciriegia, 
la  mora,  la  sorba,  la  pera  gentile,  quale  lacru- 
sfumina  e  la  neviana  :  egualmente  le  pere  di 
Taranto  e  di  Segni  che  si  sogliono  conserva- 
re :  la  mela  ri  tonda,  o  quelle  di  Scandia,  o 
d'  Amorino,  o  la  cotogna,  o  la  granata,  V  uva 
cotta,  l'uovo  molle,  i  datteri,  le  pinocchio, 
l1  olive  bianche  tenute  nella  salamoja  forte,  e 
le  stesse  infuse  nell1  acelo,  e  le  nere  lasciale 
perfettamente  maturar  sulla  pianta,  o  quelle 
si  sono  conservate  nel  vino  passo  e  nella  sapa, 
il  vino  duro  benché  alquanto  divenuto  aspro, 
e  parimenti  il  resinato  :  i  pesci  duri  della  mez- 
zana qualità,  le  ostriche,  i  pettini,  le  murici,  le 
porpore,  le  conchiglie,  i  cibi  e  le  bevande  fred- 
de, od  assai  calde,  e  l1  assenzio. 


Cap. 


xxv. 


Quai  cose  sono   nemiche  allo 
stomaco. 


Sono  contrarie  allo  stomaco  tutte  le  cose 
tiepide,  le  salate,  tutti  i  sughi,  tutti  i  dolciumi 
tutte  le  sostanze  grasse,  la  gelatina  dell1  orzo, 
il  pane  fermentalo,  quello  di  miglio  o  d'orzo, 
l'olio,  le  radici  delle  erbe  d'  orto,  qualsivoglia 
erbaggio  mangialo  con  olio  e  garo  :  il  mele,  il 
vino  mulso,  il  passo,  la  sapa,  il  latte,  ogni  sor- 
ta di  formaggio,  l'uva  fresca,  i  fichi  e  freschi 
e  secchi,  i  legumi  tutti,  e  quelli  che  sogliono 
ingenerar  flatulenze  :  similmente  il  timo,  Ila 
uu  piidla,  la  santoreggia,  P  issopo,  il  crescio- 
ne,-il  lapato,  la  lamsana,  le  noci.  Dal  fin  qui 
dello  si  può  comprendere  non  tutti  gli  alimenti 
3i  buon  sugo  essere  convenienti  allo  stomaco, 
né  ciò  che  si  confà  allo  stomaco,  esser  sempre 
di  taudevol  sugo. 


1* 


C    B    L    S    O 


Cap.  xxvi.  —  De  his  quae  injlant. 


tlnflanl  autem,  omnia  fere  legumina, 
omnia  pinguia,  omnia  dulcia.  omnia  jurulen- 
\.\.  mustum,  atque  ctiam  vinum,  cni  niliil  ad- 
irne aetatis  accessit  :  ex  oleribus,  allium,  ccpa, 
brassica,  omnesque  radices,  excepto  sisere  et 
pastinaca,  bulbi  ficus  ctiam,  aridae,  sed  magia 
virides,  uvae  recenles,  nuces  oiiines.  exceptis 
nurlcis.  pineis,  lar.  omnisque  caseus,  quidquid 
di  inde  subcrudum  aliquid  assumpsit. 

De  his.  quae   minime  injlant. 

Minima  infialili  tìt  ex  venatióne,  aucu- 
pio.  piscibus,  pomis.  oleis,  conchyliis,  ovis  vel 
inollibus  vel  sorbilibus,  vino  volere.  Fenicu- 
lum  vero,  et  anethum,  tnflationes  etiam  lc- 
vant. 


Cap.  xxvi.  —  Dì  quelle  che   enfiano. 

Ingenerano  fiati   quasi   tutti    i  legumi, 

tutte  le  robe  pingui,  le  dolci,  e  succulenti  :  il 
vino  mosto  ed  anche  il  recente  :  Ira  gli  ortag- 
gi T  aglio,  la  cipolla,  il  cavolo,  e  tulle  le  radi- 
ci, tranne  il  sisaro  e  la  pastinaca,  i  tartufi,  i 
fichi  seeebi,  ma  più  i  verdi,  V  uva  fresca,  le 
noci  tutte,  eccettuati  i  pinocchi,  il  latte  ed  i 
formaggi,  e  tutti  licitino  i  cibi  malcotli. 


Di  quelle  che  non  enfiano. 

Ninna  ventosità  fanno  il  salvagiume,  gli 
uccelli  da  caccia,  i  pesci,  i  frutti,  le  olive,  le 
conchiglie,  le  uova  fresche,  o  da  sorbire,  il  vi- 
no vecchio.  11  finocchio  poi  e  V  anisi  dissipano 
anzi  le  flatulenze. 


Cap.  xxvn.  —  De  his  quae  calefaciunt, 
a  ut  refrigerant. 

At  calefaciunt,  piper,  sai,  caro  omnis  ju- 
rulenta,  allium.  copa.  ficus  arida,  salsamcn- 
imii.  vinum,  et  quo  meracius  est,  eomagis. 
'Refrigera ni  olerà,  quorum   crudi  canles   assu- 

niuniur.  ut  intubus,  ci  tactuca  :  itèm  corian- 

diiiin.  CUCUmis,  clivi,  cucurbita,    In  la.    inora, 

cerasa,  mala  austera,  pira  fragilia,  caro  elixa, 
praecipueque  .".inni,  sivecibusex  co,  sive 
potio  assumitur. 


f'vr.  xwni.  —  De  ltis\  quae  intus  facile 
corrumpuntur. 

I.ii  ile  autem  intus  corrumpuntur,  panis 
ntalus,  et  quisquis  alius  quam   ez  tritico 
est,  lac,   uni;  ìdeoque  etiam  lactentia  atque 
omne  pi  stori  una   opus;    teneri   pisces,  ostrea, 
i  vetus,   ci  assa  vel  le- 
onini  dnlci'.   mulsum,  defrutum, 
dquid  deìnde  vel  furulentum  est, 
•I  nimis  tenue. 


Gap.  xxvni. 


Di  quelle  che  riscaldano,  o 
rinfrescano. 


l  :   <  1 1 1 1  •  i  •  ] 


I  nii 


.lui. 


De  hit  qii'ir.  intuS  minimi'  vitiantur. 

\\   minime  intus   viliantur,    panis  sine 
fermento,  •>  poi  ius  duriores,  dui  i 

■  I      "111111  ,i,ii  .i!.i   |,ul.i.    ani     ICai  u   . 

sed  etimi  lolligo.  locusta,  polypus;  item  bu- 
eademque  aptior 

•  >n  1 1 1  i.i  <  1 1 1< 
|  mi  |>iii  ie  ;  \  iniiin 
>  1 1  resinatum. 

Cap.  wi\.  —  Ih-  his    quae  alcuni  nmeent. 

xi  alvum  movent ,   panis   fermentata*, 


Sostanze  riscaldanti  sono  il  pepe,  il  sale, 
le  carni  succulenti,  F  aglio,  le  cipolle,  i  fichi 
secchi,  i  salumi.  iLvino,  e  quanto  più  è  {uno, 
tanto  più.  Rinfrescano  tutti   quegli  erbaggi, 

dei  (piali  si  mangia  lo  stelo  crudo,  siccome    l;i 

cicorea  e  la  lattuga, egualmente  il  coriandolo, 
il  cocomero  ;  la  zucca  colla,  la  bieta,  la  mora, 
le  ciliege,  le  mele  la/./.c,  le  pere  gentili,  la  cal- 
ne allessa,  einispezial  modo  Taccio  sia  giun- 
to ai  cibi,  o  ai  beveraggi. 


Cap.  wmii. 
mente    si 


—  Di  quelli  che  entro  agecol- 
corrompono. 


Si  corrompono  facilmente  il  pane  fer- 
mentato,   e  qualunque  altro  al  (tari   di  quel  di 

fromento  :  il  latte,  il  mele,  e  perciò  anche 
tutti  i  latticini,  e  tutte  le  manifatture  di  pa- 
sticceria :  i  pesci  teneri,  le  ostriche,  gli  erba- 
mi,  il  cacio,  e  fresco  e  vecchio,  la  carne 
sa  o  tenera,  il  vino  dolce,  il  mulso,  il  passo  : 
la  sapa,  ultimamente  tutto  che  >■  mucoso. 
troppo  dolce,  e  I  coppo  tenero. 

Di  quelle  che  entro   non   si  viziano. 

Non  si  viziano  il  pane  azzimo,  gli  uccelli 
e  particolarmente  ì  un. Ilo  duri,  i  pesci  duri  uè 
soltanto  come  il  dorata  •>  lo  scaro,  mi  anche 
il  i  slamai  o,  !.•  I"i  usta,  il  polipo  :  inoli  re  !  i 
e, une  bovina,    e.l  ogni  generazione  di    carni 

dure  ;    i    s, illuni   tulli  :  |e  chiocciole,  la   non  ì(  i, 
le  DOI  |>"ie.  il  \  ino  BUSterO  0  il  resinalo. 

Cap.  kxii  —  Quelle  che  muovono  il  Vèntre. 

Muovono  il  Muli  «  il  pane  i<  rmentato,  e 
più  se  di  tutta    farina  ovvero  d'orto:   il  ea- 


DELLA    MEDICINA 


sica,  si  subcruda  est,*  lactuoa  :  anethum,  na- 
si urlium,  ocimum,  urtica,  portulaca,  radicula, 
capparia,  allium,  cepa,  malva,  lapathum,  beta, 
asparagus,  cucurbita,  cerasa,  mora,  poma  o- 
mnia  mitia,  ficus  etiam  arida,  sed  magis  viri- 
dis,  uvae  rccentes,  pingues,  minutae  aves,  co- 
chleae,  garum,  salsaraentum,  ostrea,  pelorides, 
echini,  musculi,  et  omnes  fere  conchulae,  ma- 
ximeque  jus  earum  ;  saxatiles,  et  omnes,  te- 
neri pisces,  sepiarum  atramenlum  ;  si  qua  ca- 
ro assumitur  pinguis',  eadera  vel  jurulenta, 
vel  elixa  ;  aves,  quae  nalant;  melcrudum,  lac, 
lactenlia  omnia,  mulsum,  vinum  dulce  vel 
salsum,  aqua,  tenera  omnia,  tepida,  dulcia, 
pinguia,  elixa,  jurulenta,  salsa,  diluta. 


97 

volo  mezzo  eotto,  la  lattuga,  l'anelo,  il  na- 
sturzio, il  basilico,  l'ortica,  la  portulacca, 1% 
radice,  i  capperi,  1'  aglio,  la  cipolla,  la  mal- 
va, il  lapato,  la  bietola,  gli  sparagi,  la  zuc- 
ca, le  ciliege,  le  more,  tutti  i  frutti  dolci,  il 
fico  secco,  ma  meglio  il  verde,  V  uva  fresca, 
gli  uccelli  grassi  e  minuti,  le  chiocciole  :  il  ga- 
ro,  i  salumi,  le  ostriche,  le  peloridi,  gli  echi- 
ni ,  i  muscoli  e  quasi  tutti  i  conchigliacei 
e  massimamente  il  loro  sugo  :  i  piccoli  pe- 
sci di  mare,  e  tutti  i  pesci  teneri,  il  liquore 
della  seppia,  la  carne  grassa  d'  ogni  qualità 
mangiata  allesso,  o  presone  il  brodo  :  gli  uc- 
celli che  nolano,  il  mele  vergine,  il  latte  e 
tutti  i  latticini,  il  vino  mulso,  il  dolce  o  sala- 
to, l1  acqua  ;  tutte  le  cose  molli,  tepide,  dol- 
ci, grasse,  cotte,  succose,  salate,  disciolte  e 
stemperate. 


Cap.  xxx.  —  De  Iris,  quae  cdvum  adstringunt.     Cap.  xxx. —  Quelle  che  costringono  il  ventre. 


Contra  adstringunt,  panis  ex  siligine , 
vel  ex  simila  ;  magis,  si  sine  fermento  est  ; 
magis  etiam  si  ustus  est;  intendilurque  vis 
ejus  etiam,  si  bis  coquitur  :  pulticula  vel  ex 
alica,  vel  ex  panico,  vel  ex  milio  ;  ifemque  ex 
iisdem  sorbitio  ;  et  magis,  si  haec  antea  fricta 
sunt:  lenticula,  cui  vel  beta,  vel  intubus,  vel 
ambubeia,  Vel  plantago,  adjecta  est  ;  magisque 
etiam,  si  illa  ante  fricta  est  :  per  se  etiam  in- 
tubus, vel  ex  piantatine,  vel  ambubeia  fricta  : 
minuta  olerà,  brassica  bis  decocla  :  dura  ova, 
magisque  si  assa  sunt  :  minutae  aves,  menila, 
palumbus,  magisque  si  in  posca  decoclus  est  ; 
grus,  omnes  aves,  quae  magis  cnrrunt,  quam 
volant  ;  lepus,  caprea  ;  jecur  ex  iis  quae  se- 
vum  habent,  maximeque  bubulum,  ac  sevum 
ipsum  :  caseus,  qui  vehementior  vetusta  te  fit 
vel  ea  mutalione,  quam  in  eo  transmarino  vi- 
demus  ;  aut  si  recens  est,  ex  mele,  mulsove  de- 
coctus  ;  item  mei  coctum,  pira  immatura,  sor- 
ba, magisque  ea,  quae  torminali-a  vocantur 
mala  colonea,  et  punica,  oleae  vel  albae  vel 
permaturae,  myrta,  palmulne,  purpurae,  mu- 
rices,  vinum  resinatimi,  vel  asperUm ,  item 
meracum,  acelum,  mulsum  quod  inferbuit, 
item  defrutum,  passum,  aqua  vel  tepida  vel 
praefrigida,  dura,  id  estea,  quae  tarde  pnlrc- 
scit,  ideoque  pluvia  potissimum  ;  omnia  dura, 
matta,  austera,  aspera,  tosta,  et  in  eadem  car- 
ne, assa  potius,  quam  elixa. 


All'  incontro  stringono  il  ventre  il  pane 
di  fiore  si  di  fromento  che  di  segale,  e  più  se 
è  senza  lievito  :  più  ancora  se  è  abbrustolito, 
mala  sua  costrittiva  virtù  accrescesi  se  si  fa 
biscottare.  La  polta  fatta  con  farina  di  fro- 
mento, panico,  o  miglio,  e  similmente  i  brodi 
de1  medesimi,  e  più  se  sono  stati  precedente- 
mente abbrostoliti.  La  lenticchia  mescolata  o 
con  la  bietola,  o  con  la  cicorea,  o  con  radic- 
chio, o  la  piantaggine,  e  tanto  più  se  fu  prima 
abbrost.olita  :  ancora  l1  endivia  o  da  sé,  o  con 
la  piantaggine,  o  il  radicchio  fritto  :  i  minuti 
erbami,  il  cavolo  cotto  due  volte,  le  uove  du- 
re, principalmente  se  fritte,  i  minuti  uccelli, 
il  merlo,  i  palombi  e  più  se  cotti  nella  posca,  le 
grue,  gli  uccelli  che  corrono  più  che  non  vo- 
lano, la  lepre,  il  cavriolo,  il  fegato  di  quelli 
che  hanno  del  sevo,  e  in  particolare  quello  del 
bue,  ed  il  suo  sevo  :  il  formaggio  che  per  vec- 
chiezza è  più  forte,  e  per  lo  mutamento  che 
soffre  venendo  d'oltremare: il  fresco  cotto  nel 
mele  o  nel  mulso  :  islessamente  il  mele  cotto, 
le  pere  immature,  le  sorbe  e  specialmenle 
quelle  che  si  dicono  torminali,  le  mele  coto- 
gne e  le  granale,  le  olive  bianche,  e  le  molto 
mature,  i  mirti,  i  dattili,  le  porpore,  i  murici, 
il  vino  resinifero,  o  aspro  ;  e  così  il  vino  pu- 
ro, 1'  aceto,  il  mulso  bollito,  e  si  la  sapa,  il  vi- 
no passo,  1'  acqua  tiepida  o  freddissima,  e  la 
dura,  vale  a  dire  che  sta  assai  tempo  a  putre- 
farsi, e  perciò  l'acqua  piovana  sopra  ogn' al- 
tra :  tutto  le  cose  dure,  magre,  lazze,  agri, 
intostate,  e  della  carne  medesima  più  presto 
1'  arrostita  che  1'  allessa. 


Cap.  xxxi.  —  De  ìris,  quae  urinam  movent.     Cap.  xxxi.  Quelle  che  provocano  le  orine. 


Urinam  animi  movent,  quaecumqne  in 
Urlo  nascenti.,  boni  odoris  sunt,  ut  apium, 
ruta  ,  anelrum,  ocimum,  mentha,  hvssopum, 


Muovono  1' orine  tutte  le  erbe  odorifere 
che  crescono  pe1  giardini,  come  1'  appio,  la 
ruta,  1'  aneto,  il  basilico,  la  menta,  1'  issopo, 


78 

anicini  cerimi!  rum,  n;isturtium,  eruca,  feni- 
n.num  :  praeter  haec,  asparagus,  capparis,  ne- 
peta,  thvmum,  satureia,  lapsana.  pastinaca, 
magisqu$  agresti»,  radicala,  siser,  cepa  ;  ex 
venalione,  maxime  lepus  ;  vinun)  tenue.  ( >i j »er 
et  roiuudum  et  longuin,  sinapi,  absiuthium, 
nuclei  pinci. 


Gap.  xxxii.  —  De  his,  quae  ad sornnum 
apta  sunt. 


e  e  y  s  o 


T  anisi.  i]  coriandro,  il  nasturzio,  la  ruchetta, 
il  finocchio  ;  olirà  queste  gli  sparagi",  i  cappe- 
ri, la  niepitella,  il  timo,  la  santo  regia,  la  lam- 
sana,  la  pastinaca  e  principalmente  la  s-alvati- 
ca,  la  radice,  i  sisari,  la  cipolla.  Della  cacciagio- 
ne la  lepre  sopra  ogn1  altra  cosa  :  il  vino  pie- 
colo,  il  pepe  sì  il  lungo  come  il  rotondo,  la 
senape,  Y  assenzio,  i  pinocchi. 

Gap.  xxxii.  —  Quelle  che  conciliano  il  sonno. 


Sonino  vero  aptum  est.  papaver,  lactuca,  Conciliano  il  sonno,  il  papavero,  la  lattu- 

,''<|iie  aestiva,  cujus  caukculus  jam  lacte     ga  e  precipuamente  l'estiva  il   di  cui   slcj<>  è 
repleUis  est,  niorum,  porruni.  già  ricco  di  latte,  le  more,  il  porro.         ;  " 


De  his  quae  ad  sensum  excitant. 


Di  quelle  che  risvegliano  i  scu,  i. 


Sensus  exeitant,   nepela  ,    tliymum  ,  sa-  Risvegliano  i  sensi  la  niepila,  il  timo,   fa 

torcia,  liissopuni,  praecipue.pie  pulegium^  ru-     santoreggia,  l'issopo  e  spezialmente  il  puleg- 
la,  et  cepa.  gio,  la  ruta  e  la  cipolla. 


-AP.    XXM1I. 


De  his.  quae  materiam 
evocant. 


Evocare  vero  materiam  multa  admodum 
possimi  :  sed  ea,  cuin  ex  peregrinis  medica- 
mentis  maxime  constcnt,  aliisque  magis.  qu  im 
quilms  ralione  victus  succo  rritur,  opilulenlur. 
in  praesenlia  dilleram  :  ponam  vero  ea,  quae 
promla,  et  iis  morbis,  de  quibus  prolinus 
diclorai  sum,   apta,  corpus  erodimi,  et  SIC  e  •, 

qood  mali  est,  extrabtmt.  Hatentautern  hano 

facultaleiii.  semina  erucae,  nasturlii,  radica- 
lae  ;  praecipoae  lamen  omnium,  sinapi.  Salis 
()  i  iqne  el  liei  cadem  vis  est. 


De  liis,  quae  reprimimi. 

\  >  uiler  vero  simili  et  reprimimi  el  mol- 
lili ut.  I  ma  soccida  ex  aceto  vel  \  ino.  coi  oleum 
imi   est  ;    <  ontritae  pai  mula  e,    fui  Purea 
ia  \  1 1  ai  eto  d  scoi  tL  Kì  sforni  r<  pri- 
llimi el  refrigeranti  berba  mnralìa,  toqBìviov 
m]  nriff/xio*  appellant,  lerpyllum,  potagioni, 
ori  in, uni.    berba    sanguinali!,    quam    Gì 
ToXvyp ■■  ■  '« o   int.  portulaca,   papaveri]  folia 
ilique  \ itiu   i.  i  "i  indi   folia,  bj 

tu,  liser,  apiuro,  lolanom,  qnara 
roc  "iì.  brassicae  folta,  inlu- 
niculi  semen,   contrita  pira 
\r\  m  da  [uè col  mea,  lenticula1  ■  |u  • 

frigida,  maximeque  pio  fiali*,  vinaio,  acetum, 
el  horum  ali  pi  i  ma  lem  \  I   pania ,  rei   fa 
i  ni  i.   vi  ì  tpongi  i.   vii  nini»,  \  i  I  I  ni  i  ii] 

i  ter 

i.n,  l:i  ..   I.  i. 


Cap.  xxxiii.  —  Di  quelle  ceEfc  che  attraggo- 
no gli  umori. 

Gran  numero  di  sos  anze  possono  attrar- 
re gli  umori,  ma  quelle  che  constano  di  fora- 

stiere  droghe-  sono  per  lo  più  efficaci  in  quei 
casi,  in  che  il  governo  dietetico  non  è  suffi- 
ciente; di  questi;  non  parlerò  al  presente  :  di- 
rò solo  di  quelle  che  sono  alla  mano,  e  che 
convengono  in  quelle  infermità,  delle  quali 
ragionerò  fra  poco.  Oneste  escoriano  la  pelle, 
e  così  del  corpo  traggono  fuori  ciò  (he  v"1  ha  di 
reo.  Godono  di  questa  forza  i  semi  della  ru- 
chetta, il  nasturzio,  le  radici,  ma  sopra  tutte 

pai  tiro!.  ,iin.  ni.'  la  senape  :  il  sale  ed  anelie  i 
fichi  hanno  una  \irtù  medesima. 

Dei  ripercusshi  ed  ammollienti. 

Blandi  riperCUSSÌvi  ed  ammollienti  ad  un 
tempo  sono  la  lana  siici. la  immersa  nell*  acelo 

<>  nel  vino,  in  cui  sia  aggiunto  dell'olio:  i  dat- 
teri animi. rati,  la  scinola  colla  nell'acqua  sa- 
lata o  nelT  ardo.  Sono  poi  ripercussivi  é  rinr 
frescanti  insieme  la  parietaria,  chiamata  par* 
tenia  o  /irrdicìd.  il  serpillo,  il  puleggio,  il  ba- 
T  erba  sanguinella,  dai  <  rreci  detta  po- 
lì^nnn.  li  boi     liana,  Le  foglie  del  papavero,  ed 

i  \ilicc!ii  delle  vili,  le  foglie  del  colia  ml"lo.  il 
j,)s,  i.,iii  e   il   mUSCO,   il  sisaro.   Papp'lO,  il  solano, 

,1, ■nomin  ii"  grecamente  strignon^  le  foglie  del 
cavolo,  P endivia,  la  piantaggine,  i  semi  del  fi- 
nocchio, le  pere  e  le  miele  tritate,  particolar- 
mente !'•  cotogne,  la  lenticchia,  l'-aaojua  fredda, 
la    | > i « •  s  na mente,    il    \  ino,    f  ardo 

o  lana  su 
urnate  in  alcuno  di  qu  i 

. >.  r  obo . 


il  meli 


il  l'OS  ' 


die 


sic 


iamarix,ligustruui,rosa,rubus,  laurus,  bedera, 
putiicuramalum. 

Sine  frigore  autera  reprimunt,  cocta  mala 
cotonea,  malicorura,  aqua  calida,  in  qua.  ver- 
beoae  coctae  sunt,  quas  supra  posui,  pulvis 
vel  ex  faece  vini,  vel  ex  rnyrti  foliis,  amarae 
nuces. 

Cap.  xxxiv.  —  De  his^  quae  calefaciunt. 

Calefacit  vero,  ex  qualibet  farina  catapla- 
sma, sive  ex  tritici,  sive  ex  farris,  sive  hor- 
dei,  sive  ervi,  vel  lolii,  vel  inilii,  vel  panici,  vel 
lenliculae,  vel  fabae,  vel  lupini,  vel  lini,  vel 
i'oeui  graeci,  ubi  ea  deferbuit,  calidaque  impo- 
nila est.  Valenlior  tainen  ad  id.;omnis  farina  est 
tx  mulso,  quam  ex  aqua  cocta.  Praeterea  cy- 
priuum,  irinuin,medulla  adeps  ex  fele,  oleum, 
magisque  si  vetus  est,  junctaque  oleo  sai,  ni- 
trura,  gith,  piper,  quinquefolium. 


SELLA    MEDICINA  ?<) 

della  verbena  con  teneri  fiuti,  siccome  quei 
d'ulivo,  cipresso,  mirto,  lentisco,  tamarice,  li- 
gustro, rosajo,  rovo,  lauro,  edera,  melagrana. 
I  ripercussivi  non  rinfrescanti  sono  le 
mele  cotogne  cotte,  la  scorza  delle  melagrane, 
la  decozione  di  verbena  proposta  da  me  già 
sopra,  la  polvere  o  di  gruma  di  botte,  o  di  fo- 
glie di  mirto,  le  mandorle  amare. 

Cap.  xxxiv.  —  Delle  cose  riscaldanti. 

Riscalda  un  impiastro  di  qualsivoglia  fa- 
rina di  grano,  d1  orzo,  di  farro,  di  mocco,  di 
loglio,  di  miglio  o  panico,  di  lenti,  di  fave,  di 
lupini,  di  lino  o  di  fiengreco,  la  quale  fatta 
pria  bollire  si  pone  calda.  GÌ1  impiastri  però 
più  riscaldanti  sono  quei  composti  di  farina 
cotta  nel  vino  mulso,  anziché  nell'acqua.  Inol- 
tre il  ciprino,  V  irino,  la  midolla,  il  grasso  di 
gatto,  Polio,  e  tanto  più  se  è  vecchio,  ed  il  sa- 
le giunto  ali1  olio,  il  nitro,  il  git,  il  pepe,  il 
cerfoglio. 


De  fiis,  quae  durante  aut  emoliiunt. 

Fereque,  quae  vehementer  et  reprimunt 
et  refrigerane  durant  ;  quae  calefaciunt,  dige- 
runt  et  emoliiunt  :  praecipueque  ad  emollien- 
dum  potest  cataplasma  ex  lini  vel  foeni  graeci 
temine;  His  autem  omnibus,  et  simplicibus,  et 
permixtis,  varie  medici  utuntur  ;  ut  magis, 
quid  quisque  persuaserit  sibi,  appareat,  quam 
quid  evidenler  compererit. 


Di  ciò  che  indurisce  od  ammollisce. 

E  per  lo  più  tutte  le  sostanze  che  for- 
temente reprimono,  ed  insieme  rinfrescano, 
induriscono  ;  e  quelle  che  riscaldano  e  di- 
gestiscono, mollificano  ;  ed  in  ispecie  vale  a 
mollificare  un  impiastro  di  semente  di  lino  o 
di  fiengreco.  Di  tutte  queste  cose  poi  e  sem- 
plici e  composte  i  medici  fanno  un  uso  varia- 
to assai  in  tanto  che  si  ravvisa  apertamente 
essersene  altri  formata  un1  idea  così  in  sua 
mente,  anziché  averla  dedotta  da  fatti  incon- 
trastabili e  certi. 


-&É>Ì^@^j*S* 


A.  CORN.    CELSI 


DELLA  MEDICINA 


DE  MEDICINA 


DI  AULO  CORN.  CELSO 


LIBER    TERTIUS. 


LIBRO    TERZO. 


Gap.  i.  —  De  morborum  generìbus. 


.trovisis  omnibus,  quae  pertinent  ad 
universa  genera  morborum,  ad  singulorum 
curationes  veniam.  Hos  autem  in  duas  species 
Graeci  diviserunt  ;  aliosque  ex  his  acutos,  lon- 
gos  esse  dixerunt:  ideoque,  quoniaru  non  sem- 
per  eodem  modo  respondebant,  eosdem  alii 
inter  acutos,  alii  inter  longos  retulerunt.  Ex 
quo,  plura  eorum  genera  esse,  manifestimi  est. 
Quidam  enim  breves  acutique  sunt,  qui  cito 
Tel  tollunt  hominem,  vel  ipsi  cito  finiuntur  : 
qnidam  longi,  sub  quibus  neque  sanitas  in 
propinquo,  neque  exitium  est  :  tertiumque  ge- 
nus  eorum  est,  qui  modo  acuti,  modo  longi 
sunt;  idque  non  in  febribus  tantummodo,  in 
quibus  frequentissimum  est,  sed  in  aliis  quo- 
que fit.  Atque  etiam,  piaeler  hos,  quartata 
est,  quod  neque  acutum  dici  potest,  quia  non 
perimil;  neque  ulique  longum,  quìa,  si  occur- 
rilur,  facile  sanatur.  Ego,  cum  de  sin^ulis  di- 
cam,  cujus  qnisque  generis  sit,  indicabo.  Divi- 
darri  autern  omnes  in  eos,  qui  in  totis  corpori- 
bus  consistere  videntur,  et  eos,  qui  oriuntur  in 
partibus.  Incipiam  a  prioribus,  panca  de  omni- 
bus praefafus.  In  nullo  quidem  morbo  minus 
fortuna  sibi  vindicare,  quam  ars,  polest;  nipote 
cum,  repugnante  natura,  nihil  medicina  profi- 
ciat.  Magis  lamen  ignoscendum  medico  est  pa- 
rum  profìcienli  in  acutis  morbis,  quam  in  lon- 
gis.  Hic  enim  breve  spatium  est,  intra  quod,  si 
auxilium  non  profuit,  aeger  exstinguitur  :  ibi 
et  deliberationi.etmutationircmediorum  tem- 
pus  patet;  adeo  ut  raro,  si  inter  initia  medicus 
accessit, obsequens  aeger  sine  illius  vilio  pereat. 
Longus  tamen  morbus  cum  peni  tal  insedit, 
quod  ad  diflicultalcm  pertinct,  acuto  par  est. 
El  tentai  qnidem,  quo  vetustior  est  ;  longus 
autein,  quo  recenlior,  eo  facilius  curatur. 
Celso. 


Cap.  i.  —  Delle  speciali  malattie. 

A  remesse  quelle  nozioni  che  risguarda- 
no  generalmente  le  infermità  tutte,  passerò  al- 
la cura  di  ciascuna  in  particolare.  1  Greci  le 
divisero  in  due  classi,  lunghe  ed  acute:  ma 
posciachè  non  tutte  sempre  terminavano  al- 
l'istessa  foggia,  altri  alla  classe  della  acute,  al- 
tri a  quella  delle  lunghe  riportarono  le  mede- 
sime affezioni.  Quinci  chiaro  è  darsene  molle 
generazioni  ;  perocché  altre  sono  brevi  e  acu- 
te, le  quali  o  tosto  uccidono,  ovvero  finisco- 
no ;  altre  diuturne  in  cui  la  sanità,  o  la  morte 
sono  per  anco  lontane  ;  ed  una  terza  ve  a1  ha 
le  quali  ora  sono  acute,  ora  lunghe,  e  ciò  in- 
terviene non  nelle  febbri  soltanto,  nelle  quali 
cosa  tale  frequentissima  è,  ma  in  altre  infer- 
mità eziandio.  Oltre  a  queste  una  quarta  clas- 
se se  ne  riscontra  che  non  possono  dirsi  acute 
perchè  non  uccidono,  né  lunghe  perchè  prov- 
vedendovi, agevolmente  risanano.  Allorché 
terrò  discorso  delle  singole  malattie,  indiche- 
rò a  qnal  classe  partenga  ciascuna  di  esse.  Le 
dividerò  tutte  in  universali  che  pajono  pren- 
dere tutta  la  persona,  e  in  locali  che  hanno 
sede  in  certe  parli.  Darò  principio  dalle  pri- 
me, dopo  avere  intorno  alle  infermità  poste 
alcune  generali  nozioni.  La  fortuna  ha  in  ogni 
malattia  non  minore  possa  dell1  arie,  nulla 
potendo,  contrastante  natura,  giovare  la  me- 
dicina. Nondimeno  più  scusabile  è  un  medico 
che  poco  profitta  nelle  acute  che  non  nelle 
lunghe,  stante  che  in  quelle  non  ha  che  un 
brieve  spazio  di  tempo,  entro  il  quale  se  i  ri- 
medi non  giovano,  l'infermo  perisce  :  nelle 
altre  al  contrario  ha  tempo  sì  di  consultare 
come  di  cambiar  rimedi,  per  lo  che  se  il  me- 
dico Tenne  chiamalo  a  principio,  raro  è  che 
un  docile  infermo  soccomba.  Pure  un  lungo 


C    B    L    i    O 


Alternili  illud  ignorari  non  oportet.  quod 
non  omnibus  aegris  eadera  ausàlia  conveniunt. 
Kx  quo  ineidit.  ut  alia  atipie  atta  summi  au- 
ctores,  quasi  sola,  vinilica verint.  proni  cuiqUe 
cesserant.  Oportet  itaque,  ubi  aliquid  non 
respondei,  non  fanti  potare  auctorem,  quanti 
aegrdm,  et  experiri  aliad  atque  alimi:  sic 
tareen,  ut  in  ncutis  morbis  rito  mutetur,  quod 
nihil  prodesl  ;  in  longis,  quo  a  tempus,  ut 
facit,  sic  etiam  solvit.  non  statini  condemne- 
tur.  si  quid  non  statini  prò  fui  I  ;  minus  vero 
ri  alni-  SÌ  quid  paulum  saltcm  juvat;  quia 
prolectus  tempore  expletur. 


malore  altamente  radicalo  è  di  guarigione 
difficile  quanto  un  acuto  :  ed  un  acuto  più  di 
leggieri  si  cura  quanto  più  è  antico,  ed  un 
lungo  quanto  più  è  recente.  Convien  sapere 
di  più  ohe  i  medesimi  rimedi  non  si  addicono 
egualmente  a  tutti  gì1  infermi;  dal  che  ne  è 
derivato  che  scrittori  insigni  abbiano  spaccia- 
to diversi  medicamenti  siccome  unici,  secondo 
il  succèsso  che  ciascuno  aveane  ol tenuto.  De- 
vesi  pertanto  allorché  un  rimedio  non  corri- 
sponde,   preterire   la   sanila    dell'1  interino   alla 

riputazione  dell' autore,  e  cimentarne  altri,  di 

tal  t'alia  però  che  nelle  malattie  acute  tosto  si 
cangi  ciò  che  non  fa  prò  ;  nelle  Lunghe  ali1  in- 
contro non  subilo  si  riprovi  quello  che  non  sì 
tosto  produce  il  desialo  effetto,  perocché  co- 
me queste  le  forma  il  tempo,  così  il  tempo  le 
scioglie  ;  assai  meno  poi  dovrassi  abbandona- 
re, se  almen  un  poco  giova,  perciocché  col 
tempo  si  ghigne  a  compierne  la  cura. 

Cap.  u,  _  Quoìfiodo  morbi  cognoscantur,  Cap.  ii.  —  Di  qual  modo  si  conoscono  le 
et  an  ìncrescant,  an  minuantur\  et  qua  malattìe,  e  se  crescono,  mantengonst  in 
ratione  abinitio,  qui  languere  incipit,  cu-  i stato,  o  decrescono  ;  e  come  debbasi  cu- 
rari debeat.  rare  chi  comincia  a  soffrire. 


Prolinus  autem  inter  initia  scire  facile  est. 
qui  acutna  morbus,  quis  longus  sii:  non  in  iis 
golam,  in  quibns  sempér  ita  se  habet;  sed  in 
iis  qnoqne.  in  qnibns  variai.  Nani  obi  line  in- 
termissioni! lolores  graves  ur- 
gent,  acutus  morbus  est  :  ubi  lenii  Jolores,  len- 
ml    et  j  patia  Inter  accessiones 
porri  guntur,  acceduntque  ea  tigna,  quae  in 
isita  rant,  longura  hunc 
i'nt  ;i  i  ii  ni  esse,  manifestum  est.  Vldenduro etiam 
i.  an  consistat,  an  mi- 
noatnr:  quia  quaedam  remedia  increscentibua 

,    plura    ì  nel  in  atÌ3    conveniunt;    eaque, 

,],,,,•  «  k  jeentibua  apta  sunt,  ubi  acutus  Incre- 
icena  u  i  -.-.i.  in  remissionibua  potina  experien- 

uicin  morb  iv  diim  grayio- 

.    ninni  :  ha 

rtoutur,  ci  postea 

•  tque  in  longii  quoque  morbis,  e- 

dei  noia,  non  habentibus,  icire  licet,  iu- 

ii  |  mina  '-  lì  dcienor  con- 

i 

iena,  li  percorril  corpaa  fi  igus  :"it 

.  qaa  \  conlra- 

i  ']u>  n  >tae  miit.  Prae- 

ilendui 

,     |  liualis;  ut  primo  d    nipla  ni.. 

1,1  itnriut.  al 
■    il     p  mit.    I  C  II 
qn  indo  is  non  in  loto  eorpoi  i        '     i  parta  eil  ; 
i  '  ■.  t,  \i"i  tolit 

■ 
tur,  \]  .!.  initio  an 

i       ria  caralio  minai 
in  quinci  luit.  SJ 


Age^ol   cosa    è    sulle    prime    riconoscere 
quai   male   sia    acuto,    «piale    Lungo  :    uè  già  in 

(piei  soltanto  nei  quali  così  sempre  addiviene, 
ma  ancora  in  quelli  che  sono  variabili.  Impe- 
rocché quando  sopra  ^giungono  accessi  senza 
intermissioni;  e  (piando  si  l'anno  sentire  ga- 
gliardi dolori,  allora  V  infermità  è  acuta. 
Quando  p<>i  lenti  sono  i  dolori  e  lente  le  feb- 
bri, e  che  lasciano  degli  intervalli  fra  le  acces- 
sioni, e  \i  si  aggiungono  quei  segni  che  nel 
precedente  libro  s-1  indicarono,  chiaro  è  la  in- 
fermità dover  es  er  lunga.  Àncora  notare  bi- 
sogna, se  la  malattia  è  nell'aumento,  nello 
staio  o  nella  declinazione,  poiché  ©crii  rimedi 
convengono  alle  crescenti,  altri  alle  declinan- 
ti ;  a  quei  che  sono  dicevoli,  ove  un  acuto 
morbo  eresoente  incalza,  devonsi  piuttosto 
ui  ire  nelle  remissioni.  I  \\^  malattia  si  a 
va  quando  pnì  fot  li  insorgono  i  d  il  il  i  e  gli 
accessi,  e  questi  ritornano  anziché  il  prece- 
dente sii  fornito,  e  più  tardo  vengono  meno. 
Ma  nelle  lunghe  malattie  ancorché  non  si  pre- 
sentino tali  segni,  convien  sapere  che  esse  si 
aumentano  quan  I"  \  igo  è  il  sonno,  iniperfet- 
i  |   ||   ,'  le   fecce   fetenti 

torpidi  i  sensi,   lai  <\.ì  la  mente,  se  ribi 
certo  calot e  pi  rvade  il  corpo,  più  se  impalli- 
disce.   Gli  arridenti  contrari   indica  |0  declina- 

xione  di  mal  iltia.  Oltre  le  quali  rose  nei  mali 
■cuti  si  di  i  e  più  lardi   nutrii  are  r  jnf< 
ciò  vuoisi  fare  nel  decremento  loro,  affinchè 
s  >ll ratti  in  pi  ima  pli  umoi  i.  pei  '  '  ' 

violenza  :   ne1  lunghi  più  sollecitamente  onde 
vi  ,  ii, ,,  |     |         lo  di  la   malattia, 

mentre  eh*  durerà.  E  quando  questa  non  sia 


quia  temere  habitus,  adirne  iulegris  viribus  vi- 
vit,  admota  curatioiie  momento  restituitili". 
Sed  cura  ab  iis  coeperim,  quae  notas  quas- 
dam  futurae  adversae  valetudiuis  exhibent, 
curationum  quoque  principium  ab  animad ver- 
sione ejusdem  temporis  faeiam.  Igitur,  si  quid 
ex  iis,  quae  proposita  sunt,  incidit,  omnium 
opti  ma  sani,  quies  et  abstinentia;  si  quid  bi- 
bendum,  aqua;  idque  interdum  uno  die  fieri 
satis  est;  iuterdum,  si  terrentia  manent,  bi- 
duo:  proximeque  abstinentiam  sumendus  est 
cibus  exiguus,  bibenda  aqua  ;  postero  die  etiam 


DtLLA    MLDlCIiSÀ  83 

universale  ma  locale,  convien  tuttavia  mirai' 
maggiormente  alle  forze  di  tutto  il  corpo,  an- 
ziché alla  sanità  della  parte  affetta.  Monta  pur 
di  sapere  se  P  infermo  fu  da  principio  bene  o 
male  curato,  perocché  i  rimedi  men  giovano  a 
coloro,  ne1  quali  sono  stali  lungamente  indar- 
no adoperati.  Pure  se  alcuno  incongruamente 
curato  non  ha  per  ancora  esauste  le  sue  forze, 
si  ristabilirà  tosto  che  si  sottometta  ad  una 
convenevole  medicatura  :  ma  coni1  io  diedi 
cominciamenlo  da  quei  segni  che  presagisco- 
no in  certo  modo  futura  malattia,  così  con- 


vinum  ;  deinde  invicem  alternis  diebus,  modo     verrà  che  dia  principio  da  quel  tempo  mede- 


aqua,  modo  vimini,  donec  omnis  caussae  melus 
finiatur.  Per  haec  euim  saepe  inslans  gravis 
morbus  disculilur.  Plurimique  falluntur,  dum 
se  primo  die  protinus  sublaluios  languorem, 
aut  exercitatione,  aut  balneo,  aut  coacta  deje- 
ctione,  ani  vomita,  aut  sudalionibus,  aut  vino 
sperant.  Non  quod  interdum  id  incidat,  aut 
non  decipiat;  sed  quod  saepius  fella t,  sola- 
que  abstinentia   sine  ullo  periculo  medeatur 


simo.  Adunque  se  sopraggiugne  taluno  ai 
quegl1  indizi  che  ho  recitati,  meglio  d1  ogii1  al- 
tra cosa  sono  P  astinenza  e  il  riposo.  Non  si 
deve  bere  altro  che  acqua,  e  basta  tal  fiata 
questa  per  lo  spazio  di  un  dì,  tal  altra  due, 
quando  persistano  i  segni  minacciante  il  male, 
e  immediatamente  dopo  P  astinenza  non  si 
prenda  che  un  tenue  alimeli  lo,  e  si  beva  a- 
cqua  ;  il  dì  seguente  vino,  e  in  appresso  alter- 


um  praeserlim  etiam  prò  modo  lerroris  mo-     nativamente  un  dì  acq 


ina,  Pallio  vino,  infì- 


deràri  ìiceat .  ;  et  si  leviora  indicia  fuerint,  satis 
sit  a  vino  tantum  a  bs  ti  nere,  quod  subtraclura 
plus,  quam  si  cibo  qui  demalur,  adjuvaf.  :  si 
paulo  graviora, facile  sit  non  aquam  tantum  bi- 
bere,  sed  eliam  cibo  carnem  subirabere  ;  inter- 
dum panis  quoque  minus,  quam  prò  consue- 
tudine assumere,  humidoque  cibo  esse  con- 
tentum,et  oleie  potissimum  :  satisque  sit,  tum 
ex  toto  a  cibo,  a  vino,  ab  omni  mo!u  corporis 
abslinere,  cum  veheraentes  notae  terruerunt. 
Ncque  dubium  est,  quin  vix  quisquam,  qui  non 
dissimulavi t,  sed  per  haec  mature  morbo  oc- 
curri  t,  aegrotet. 


natlanto  che  siasi  dileguata  ogni  temenza  del 
male  :  con  queste  precauzioni  non  di  rado  si 
scampa  da  grave  sovrastante  infermità.  Molti 
sono  errati  sperando  potersi  tosto  liberare 
dal  male  il  primo  dì  o  coli1  esercizio,  o  col 
bagno,  o  col  purgamento,  o  col  vomito,  o  coi 
sudori,  o  col  vino,  non  perchè  questo  modo 
di  curar  non  riesca,  o  ne  deluda,  ma  perchè  il 
più  sovente  inganna.  La  sola  astinenza  è  me- 
dicina spoglia  <P  ogni  pericolo,  perocché  ci  è 
dato  di  regolarla  secondochè  richiede  la  gran- 
dezza del  male  onde  si  teme,  e  se  lievi  sono 
gli  accidenti,  basta  P  astenersi  dal  vino,  la  cui 
sottrazione  più  vale  della  stessa  sottrazione  del 
cibo  :  se  gravi  converrà  non  solo  bere  acqua, 
ma  anche  astenersi  dalla  carne  :  usar  talora 
minor  quantità  di  pane  del  consueto,  ed  atte- 
nersi ad  un  cibo  umido  fatto  massimamente 
di  erbaggi  :  e  se  poi  fortissimi  si  affacciano 
gP  indizi  sarà  necessario  in  tal  caso  astenersi 
al  tutto  da  ogni  alimento  e  dal  vino  e  da 
qualsiasi  ragione  di  corporale  esercizio.  E 
quasi  impossibile  che  alcuno  infermi  ogni 
qualvolta  non  sia  slato  trascurato,  ma  che  di 
buon1  ora  con  le  anzidette  regole  abbia  fatto 
ostacolo  al  male. 


Cap.  ni.  —  De  febrium  generibus. 

Atipie  bue  quidem  sanis  facienda  sunt, 
tantum  caussam  metuentibus.Sequitur  vero  co- 
ratio  febriurn,  quod  elin  toto  corpore,  et  vul- 
vare maxime  morbi  genus  est  Ex  his  una  quo- 
tidiana, altera  lertiana,  altera  quartana  est:  in- 
lerdum  etiam  longiore  circuita  quaedam  re- 
deunt;  s-d  id  taro  111.  In  pjioribus,  et  morbi 
sunt,  et  medicina,  Li  quartanae  qaidem  sim- 
pliciores  sunt.  lucipiuat  kic  ab  horrore }  dtiu- 


Cap.  in.  —  Delle  varie  maniere  di  febbri. 

Questo  è  ciò  che  deve  farsi  dai  sani  «he  sol- 
tanto temono  la  venula  «lei  male.  Seguita  ora 
la  cuia  delle  febbri,  le  quali  non  pur  sono 
una  malattia  di  tutto  il  corpo,  ma  sì  an- 
che delle  più  comuni.  Di  queste  febbri  altra  è 
oli. liana,  altra  teriana,  altra  quartana:  non 

già  che  non  s'incontrino  febbri  di  un  circolo 
anche  più  lungo,  ma  ciò  di  rado.  Le  prime 
come  sono  vere  malattie,  così  ne  possediamo 


84  CELSO 

de  calor  erompiti  finitaque  fcbre  biduum  iu- 
tegrum  est:  ita  quarto  die  revertitur.  Tertia- 
narnm  vero  dna  genera  sunt.  Alterum  eodera 
fnodo,  qno  quartana,  et  incipiens,  et  desinens; 
ilio  lantani  interposito  discrimine,  quod  unum 
diem  pracstat  integrum,  tertio  redit.  Alterum 
longe  perniciosius,  quod  tertio  quìdem  die  re- 
vertitur. ex  oclo  autem  et  quadraginla  horis 
fere  sex  et  triginta  per  accessionein  occupai, 
interduin  eli  un  vel  minus,  vel  plus;  neque  ex 
toto  in  remissione  desistit.  sed  tantum  Levili S 
est.  Id  penna  plerique  medici  nfitrftrmn  ap- 
pellant.  Quotidiana  e  vero  variaosunt.  et  mulli- 
pliccs.  Aliae  enim  prolinus  a  calore  inripiunt, 
aliae  a  fri  gore,  aliae  ah  horrore.  Frigus  voco, 
ubi  extremae  parle>  mcmhrorum  inalgescunt: 
borrorem.  ubi  totum  corpus  intremit.  Rursus 
aliae  sic  desinunt,  ut  ex  loto  sequatur  inte- 
gritas:  aliae  sie .  ut  aliquantum  quidem  mi- 
nuaturei  febre,  nihilominus  taraea  qnacdam 
reliquiae  remarteant,  donec  altera  accessioacce- 
dat,  ac  saepe  aliae  vix  quidquam  aut  nihil  re- 
ni'itlmi,  sed  ita  ut  continaent.  Deinde,  aliae 
fervorem  ingenlem  babent,  aliae  tolerabilem: 
aliae  quotidie  pares  sunt.  aliae  impares;  alone 
invicem  altero  die  leniores,  altero  vchementio- 
res  :  aliae  tempore  codem  postridie  revertun- 
tur,  aliae  vel  serius  vel  célerins:  aliae  diem  no- 
ctemque  accessione  el  decessione  implent,  aliae 
minus,  aliae  plus:  aliae.  cura  decedttnt,  sudo- 
rem  um\  cut.  aliae  non  movent  ;  atque  alias  per 
sudorem  ad  integritatem  veni  tur,  alias  corpus 
tantum  imbecilli  ui  redditnr.  Accessiones  etiara, 
modo  singnlae  singuKs  diebas  finot,  modo  bi- 
nae  pluresve  concnrrnnl  :  ci  quo  saepe  evenit, 
ut  qnotidie  plures  accessiones  remissionesque 
s'mt  :  vìe  lamen,  ni  anaquàeqne  alieni  priori  re- 

spondeal  Interdilli)  vero  accessiones  qU  "':<• 
ronfundunlur.  sic  ul  nolari  ncque  tempora  ea- 
nno  nequé  ipatia  postint.  Ncque  rerum  <'sU 
qu ...|  dicitnr  aquibusdam,  nullara  febrera  m- 
ordinatara  esse,  ni^i  aut  ei  vomica,  ani  ex  io- 
li ira  mattone,  aut  ei  nlcere  :  facilior  enim  se^m- 
per  cn ratio  foret,  li  hoc  rerni  ■  '>''  "' 

évi  dentea  eaussae  faciunt,  tacere  etiara  abditae 
,1  •  re,   led  de  verbo  eoètro- 
vei  iam  movent,  qui*  cura  nliter  aliterque  in 
■  morbo   t<- 1  > !■'*<;  accednnt,   ti'")  easdem 
inordinate  redire,  sed  alias  aliatqne  mbinde 
01  in  lii  tint  f  food  l  imi  n  ad  corandi  rationem 
nib'l  pertineret,  etiamti  vere  diceretur.  Tem- 
ti isionom  nodo  liberalità  "»"- 
do  vii  ul I  «  sunt 


il  rimedio.  Le  quartale  sono  più  semplici  di 
tutte  le  altre.  Incominciano  per  ordinario  con 
ribrezzo,  ne  succede  il  calore,  e  caduta  la  feb- 
bre per  due  giorni  si  è  liberi  al  tulio,  e  di  tal 
modo  al  quarto  dì  rinnovasi.  Delle  terzane 
se  ne  danno  due  specie.  L'uni  comincia  e  fi- 
nisce non  altramente  ebe  la  quartana,  con 
questo  divario  che  un  dì  solo  lascia  libero 
l'inférmo,  e  al  terzo  ritorna.  L'altra  ben  di 
gran  lunga  più  perniciosa,  la  (piale  ricompare 
sì  al  terzo  dì.  ma  di  quarantotto  ore,  trenta- 
sei  per  lo  più  sono  occupate  dalla  l'ebbre  (tal- 
volta anche  meno  o  più  ),  né  in  lutto  si  so- 
spende nel  suo  declinare  ma  sol  si  la  piti  leg- 
geri. Dalla  più  parte  dei  medici  viene  questa 
maniera  ili  febbre  denominala  emitri  tea.  Va- 
rie e  moltlplici  sono  le  specie  della  colidiana  ; 
perocché  ali  re  fanno  il  loro  ingresso  con  cal- 
do, altre  con  freddo,  altre  con  brivido.  Chiamo 
freddo  quando  le  estremità  dèlcorpo  s'inti- 
rizziscono, brivido  quando  tutto  il  corpo  tre- 
ma. V'hanno  pur  altre  febbri  che  lasciano  una 
piei*i  intermissione,  ed  altre  che  sì  alquanto 
diminuiscono,  ma  restavi  non  però  qualche 
avanzo,  fino  a  che  subentra  l'altra  accessione; 
o  talora  altre  che  poco  o  nulla  rimettono,  aia 
COSÌ  cune  pi  icipiarono,  proseguono.  Ancora 
se  ne  OSSservano  che  sono  accompagnale  da 
un  immenso  calore,  altre  il  cui  calore  è  mode- 
ralo, altre  che  hanno  ogni  dì  eguali  gli  acces- 
si ;  altre  gli  hanno  ineguali,  ed  a  vicenda  un 
dì  più  miti,  un  dì  più  forti,  alcune  fanno  ri- 
torno alla  medesima  ora  del  di,  altre  pia  lai- 
do o  più  presto  :  in  alcune  PaCCeSSO  ^a  per  lo 
crescere  ed  il    ealare   riempie    lo  spazio   di  un 

giorno  e  di  mia  notte:  in  altre  dura  più.  in 
altre  meno:  in  alcune  la  declinazione  dell'ac- 
cesso termina  con  sudore,  in  altre  SCtìZa  :  in 
alcune  il  sudore  riconduce  a  sanità,  <'  >'>  altre 
non  fa  che  maggiormente  infievolire  il  corpo. 
Inoltre  non  si  ha  talora  che  un  sol  aCCCSSO  per 

di.  talora  due  od  anohe  pio,  dal  (die  addivie- 
ne che  nella  slcss,i  giornata  si  osservino  mol- 
le accessioni  e  molle  remissioni  in  guisa  pe- 
rò che    Ogni    BCCeSSO  corrisponda    a    qualcuno 

di  ipu •Mi  che  il  precedettero.  Soventi  volte 

ancora  gli  .u  cessi    si  confondono    in  lauto  (  he 

non  se  ne  può  notare  ne  l'ingresso  ne  la  dura- 
ta. \  ero  non  è  siccome  per  alcuno  SOStienSÌ  che 

non  vi  sieno  febbri  irregolari,  tranne  quelle 
no  effètto  di  vomica,  o  d"  innaromamen- 
to  o  <r  ul.  era.  In  quel  còsi  se  \ erace  fi i 
cilissima  sarebbe  la  cura  delle  febbri.  Ma  ciò 
che  vico  prodotta  da  cagioni  evidenti,  non  po- 
trà eziandio  effettuarsi  per  Cagioni  nascoste? 
\\  r  tal  gni  i  «  ri  non  mettono  in  campo  una 
questione  di  < ma   di  parole,  sostenendo 

rh<-  l.i   I.  hi. re.  la  (pule  insorge  in  una  malattia 

oi.i  i modo,  ora  in  un  altro  non  è  altri- 
menti erratica,  ma  som»  in  vece  divei  ie febbri 

i    lUCCedono    le   une    alle    altre.   Il    <  he    so 


DEICA    BKD10UA 


Cap.  iv.  —  De  curationum  diversi* 
generibus. 

Et  febrium  quidern  ratio  maxime  talis  est. 
Cnralionuni  vero  diversa  genera  sunt,  prout 
auctores  aliquos  habent.  Asclepiades  officium 
esse  medici  dieit,  ut  t.uto,  ut  celeri  ter,  ut  ju- 
cunde  curet.  Id  votum  est  :  sed  fere  periculosa 
esse  nimia  et  feslinatio  et  voluptas  solet.  Qua 
vero  moderatione  utendum  si t,  ut,  quantum 
fieri  potest,  omnia  ista  contingant,  prima  sem- 
per  habita  salute,  in  ipsis  partibus  curationum 
considerandum  erit.  Et  ante  omnia  quaerilur, 
primis  diebus  aeger  qua  ratione  continendus 
si t.  Antiqui,  medicamentis  quibusdam  datis, 
concoctionem  molliebantur  ;  eo  quod  erndita- 
tem  maxime  horrebant:  deinde  eam  materiam, 
quae  laedere  videbatur,  ducendo  saepius  al- 
vum  subtrahebant.  Asclepiades  medicamenla 
sustulit  ;  alvum  non  toties,  sed  fere  tamen  in 
omni  morbo,  subduxit,  febre  vero  ipsa  praeci- 
pue  se  ad  remedium  uli  professus  est.  Convel- 
lendas  enim  vires'aegri  putavit,  luce,  vigilia, 
sili  ingenti,  sic,  ut  ne  os  qnidem  primis  die- 
bus elui  sineret.  Quo  magis  falluntur,  qui 
perjucundam  ejus  disciplinam  esse  concipiunt. 
ls  enim  ulterioribus  quidem  diebus  cubantis 
eliam  luxuriae  subscripsit;  primis  vero  torto- 
ris  vicem  exhibuit.  Egoautem,  medicamento- 
rum  dari  potiones,  et  alvum  duci  non  nisi  raro 
debere,  concedo:  et  id  non  ideo  tamen  agen- 
(lura,  ut  aegri  vircs  convellantur,  existimo; 
quoniam  ex  imbecillitale  summum  periculum 
est.  Minui  ergo  tantum  materiam  superantem. 
oportet,  quae  naturaliter  digeritur.  ubi  nihil 
novi  accedit.  Itaque  abstinendus  a  cibo  primis 
diebus  est,  in  luce  habendus  aeger,  nisi  infir- 
mus,  interdiu  es*.  quoniam  corpus  ista  quoque 
differii;  isque  cubare  quam  maximo  conclavi 
'debet.  Quod  ad  sitim  vero  somnumque  perti- 
net.  moderimdum  est,  ut  interdiu  vigilet  noctu, 
si  fieri  potest,  conquiescat  :  ac  ncque  potest, 
neqne  nimium  sili  crucielur.  Os  eliam  ejus 
elui  potest,  ubi  et  siccum  est,  et  ipsi  foctet  ; 
quamvis  id  lempus  aptum  potioni  non  est. 
Commodeque  Erasistralus  dixit.  sa  epe,  inte- 
riore parte  bumorern  non  requirente,  os  et 
fauces  requirere  ;  neque  ad  rem,  male  baberi 
aegrum,  pertinere.  Ac  primo  quidem  sic  te- 
nendus  est.  Optimum  vero  medicamentum  est, 
opportune  cibus  datus  :  qui  quando  primum 
dari  debeat,  quaerilur.  Plerique  ex  antiqui* 
tarde  dabant,  saepe  f]uinto  die.  saepe  sexlo  : 
et  id  fortasse  vel  in  Asia,  vel  in  vEgyplo,  coeli 
ratio  palilur.  Asclepiades,  ubi  aegrum  triduo 
per  omnia  fa  li  pavera!,  quarto  die  cibo  desli- 
uabal.  At  Themison  nuper,  non  quando  coe- 


85 

vero  pur  fosse,  nulla  tuttavia  rileverebbe  alla 
cura.  Anche  il  tempo  delle  remissioni  è  ora 
protratto  assai,  ed  ora  quasi  impercettibile. 

Cap.  iv.  —  Delle  diverse  maniere  di  cure. 


Tale  è  l'ordine  principale  delle  febbri.  Di- 
verse poi  sono  le  maniere  di  medicatura,  se- 
condo i  diversi  autori  che  ne  hanno  discorso. 
Asclepiade  dice  essere  officio  del  medicante 
di  curare  con  prestezza,  giocondità  e  sicu- 
rezza. Tale  è  il  desiderio  :  ma  riescir  suole  per 
lo  più  di  danno  e  il  troppo  voler  affrettare,  e 
il  troppo  compiacere  alla  sensualità  dello 
infermo.  Dovremo  osservare  in  trattando  del- 
la medicazione  di  ciascun  malore  qual  tempe- 
ramento debbasi  usare  per  soddisfare  a  tutti 
e  tre  quest'intenti  in  quanto  è  lecito,  avuto 
sempre  il  pricipal  rispetto  alla  conservazione 
dell'ammalato.  E  prima  di  tutto  si  ricerca  co- 
me debbasi  conitene  re  ai  primi  dì.  Gli  antichi 
procacciavano  con  alcuni  medicamenti  la  di- 
gestione, perocché  sopra  ogni  cosa  paventava- 
no la  crudezza  :  dipoi  si  facevano  ad  elimina- 
re quella  materia  che  parea  loro  noccvole 
mercè  di  frequenti  cristei.  Asclepiade  die  ban- 
do ai  medicamenti  :  egli  moveva  l'alvo  co'cri- 
steri  non  sì  spesso,  ma  però  in  quasi  tutte  le 
malattie  ;  e  della  febbre  istessa  valevasi  a  cura- 
re la  febbre  medesima  particolarmente.  Portò 
opinione  ancora  che  si  dovessero  spossar  le 
forze  del  malato  colla  luce,  colla  veglia,  colla 
sete  più  crudele,  cosicché  non  concedeva  ai 
primi  dì  neppure  di  sciacquare  la  bocca.  On- 
de quanto  mai  vanno  errati  coloro  i  quali  si 
figurano  esser  lo  suo  medicare  in  ogni  parte 
giocondo  e  piacevole.  Che  se  ai  giorni  conse- 
cutivi secondò  anche  alle  voluttuosità  dell'in- 
fermo, ai  primi  senza  fallo  ei  le  parti  di  carne- 
fice sostenne.  In  quanto  a  me  accordo  che  non 
si  debbano  somministrare  pozioni  medicamen- 
tose, né  usar  crisleri,  se  non  se  raramente; 
nulladimeno  però  sono  di  parere  che  non  si 
debba  ciò  fare  con  fine  di  fiaccar  le  forze  del 
malato,  perciocché  la  fievolezza  è  cosa  troppo 
pericolosa.  Fa  d'  uopo  imperlanto  sol  meno- 
mare la  soperchiai) te  materia,  la  quale  per  sé 
medesima  naturalmente  si  dissipa,  ove  sto- 
rnella ogni  nuovo  alimento.  Quindi  devesi  ai 
primi  dì  far  aslcnerl'  infermo,  ed  esporlo  alla 
luce  tra  il  giorno,  salvochè  non  sia  manche- 
vole di  forze,  perocché  anch'essa  coopera 
alla  digestione  degli  umori,  e  vuoisi  colloca- 
re in  camera  più  che  si  può,  ampia  e  spa- 
ziosa. In  (pianto  al  sonno  e  alla  sete,  con- 
vicn  temprarlo  così  che  del  dì  vegli,  di  notte 
riposi  :  che  di  soverchio  non  beva,  né  di  so- 
vnc  Ilio  soffra  la  sete.  Si  può  altresì  sciacquar 
la  bocca,  e  (piando  sia  riarsa  0  (piando  renda 

spiacente  odore,  comechè  quel  tempo  accon- 


B6 


C    E    L    8    U 


pisset  febris,  sed  quando  desisset,  nut  certe  le- 
vata ess't,  eonsiderabat  :  et  ab  ilio  tempore 
exspectato  die  tertio,  si  non  accesserat  febris, 
statini  ;  >i  accesserat,  ubi  ea  vel  desterai,  vel  si 
assidue  iahaerebat,  certe  si  se  incliti averai.  ci- 
bimi dabat.  Nihil  autem  horum  utique  per- 
petuimi est.  Nani  polest  primo  die  primus  ci- 
bus  dandus  esse,  polest  secundo,  polest  tertio, 
potesl  non  nisi  quarto,  aut  quinto;  polest  post 
uuain  accessionern,  polest  post  duas,  potest 
post  plures.  Refert  enhn,  qualis  morbus  sit, 
cpiale  corpus,  (piale  coelum,  quae  aetas,  quod 
lem  pus  anni:  minimeque,  in  rebus  multuin 
in  ter  se  differenti  bus,  perpetuimi  esse  pr^e- 
ceptam  temporis  potest.  lo  morbo,  qui  plus 
virium  aufert,  celerkis  cibus  dando* est:  ilem- 
que  eo  eoelo,  quod  magis  digerì t.  01)  (piani 
eausam,  in  Attica  nullo  die  aegerabstineri  recte 
videtur.  Malurius  etiam  poero,  «piani  juveui  ; 
aeslate,  quasi  bienne,  dari  debet.  Unum  illad 
est,  quod  scraper,  quod  ubique  servandum 
est,  al  aegri  vires  subinde  assidens  rnedicas 
inspiciat,  el  qaaradia  sapererunt,  abstiaentia 
pugnet;  si  imbecillitatem  vereri  coeperit,  cibo 
subveniat.  ld  cnim  ejus  officiare  est,  ut  aegrum 
neqoe  supervacoa  materia  oneret,  neque  iui- 
]>.(  illilatem  fame  prodal.  ldque  apud  I.ra- 
sistratum  quoque  invenio  :  qui.  quamvis  pa- 
rano docait,  (piando  reo  ter,  «pi. indo  corpus 
ipsura  exinaniretar,  dicendo  tamen,  haec  esse 
videnda,  el  tum  cibimi  dandam,  cam  eorpori 

tur,  satis  oslendit,  dnm  vires  super;  s- 
sexit,  dari  non  oportere;  ne  deficerent,  con- 
sulendum  esse.  El  bis  antera  intelligi  potest, 
ab  ano  mèdico  maltOI  non  posse  curari  :  cu m- 
qoe,  s:  artifez  est,  ìdoneàm  esse,  qui  non  mul- 
tano ab  aepro  recedi t.  Sed  qui  qaaestai  - 
vinnt.  qaoniana  is  majoT  ex  popolo  est.  liben- 
ter  amplectuntar  ea  praecepta,  quae  sedulita- 
tera  oon  exigunt;  ni  in  hac  ipsa  re.  l'arile  est 
(•nini  d  isionei  numerare  iis  quoqne, 

qui  aegrum  raro  rident:  illeassideal  wrcv-^ 
est,  qui,   qnod  lolom  opus  est,  \  i s i j m ^  est, 

«piando  i  li  in  is  in  li  ,    llus  hi  tu  rus  sii.  ni  si  ci  bu  ni 

i  it.  In  plm  ilm  i  i.iin.  ii  id  inilium  cibi 
dia  quartui  aptissinrni  esse  consoetit 


ciò  non  sia  alla  bevanda.  E,  come  saviamente 
riilette  Erasistrato,  possono  spesse  voltele  fau- 
ci eia  bocca  aver  bisogno  d' essere  umettate 
senza  averne  mestiero  le  parti  interne,  e  nulla 
rilevare  clic  l'infermo  sia  crucialo  così.  E 
questo  è  ciò  die  devesi  fare  sul  eoniinciamen- 
to  del  male.  11  nutrimento  congruamente  dato 
è  l'ottima  di  tutte  le  medicine:  ma  si  dispu- 
ta intorno  al  tempi  di  cominciarlo  a  dare. 
I  più  degli  antichi  non  lo  davano  che  assai 
tardo,  sovente  al  quinto  dì,  sovente  al  sesto, 
e  tal  uso  forse  il  permetteva  la  natura  del  cli- 
ma in  Asia  ed  in  Egitto.  Aselepiade  dopo  ave- 
re per  tre  dì  abbattuto  d'ogni  modo  il  suo 
ammalalo,  il  (piarlo  lo  destinava  al  cibo.  Ma 
Temisone  non  ha  guari  esaminava  non  (pian- 
do cominciasse  la  l'ebbre,  ma  quando  fornisse, 
od  almeno  che  si  fosse  menomala  :  e  da  quel 
tempo  aspettato  il  terzo  dì,  se  la  l'ebbre  non 
riassaliva,  incontanente  somministrava  il  cibo; 
e  se -tornava  il  dava  (piando  od  al  tutto  era 
partita;  ovvero  caso  che  continuamente  per- 
sistesse,  allora    almeno   che    si    fosse  calmala. 

Njuna  però  di  queste  norme  è  <\a  seguire  in- 
variabilmente.  Imperocché  si   può  accordare 

il  cibo  al  primo  dì,  si  può  al. secondo,  al  terzo, 
in  alcuni  casi  non  si  può  lino  al  quarto^  0  al 
quinto:  si  può  dopo  un  accesso,  dopo  due,  e 
sì  dopo  parecchi.  Perocché  rileva  qua!  sia  il 
e  del  male,  quale  il  corpo,  quale  il  ('li- 
ma, «piale  T  età,  (piale   la  stagione  ;    e    in   co-r. 

cotanto  Ira  sé  discordi  non  si  può  fermare  una 

Ossa  attorno  il  tempo  di  nutricare  il  ina- 
lalo. In  una  maialila  che  più  ne  scema  di  for- 
ze, pili  per  tempo  si  darà  mangiare,  e  lo  fles- 
so tarassi  sotto  un  cielo  fin-  pili  smaltisce. 
Perlochè  in    Urica  no  il  si   -indica  prudente 

cosa  lasciare  1"  interino  anche    un  .sol  dì   senza 

cibo,  incora  por-ere  si  dovrà  più  sollecita- 
mente ad  un  fanciullo  che  ad   un  giovane,  e 

più  nella  siale  che  nel  verno,  l'ila  so], i  cosi  <\.i 

osservarsi  sempre  e  in  ogni  Luogo  è  che  il  me- 
dico esamini  le  forze  dell'ammalato,  e  se  già 

sono  deficienti  cerchi  di  ristorarle  colf  ali- 
no uh».  Imperocché  questo  è  il  proprio  ufficio 
suo.  che  né  di  superflua  materia    lo  aggra* 

\  i.    ne    se    debile,    il    i  idtlc.i     .il    nieiile    per  so- 

\ civliu  attinenza.  E  tale  ritrovo  <  saei e  la 
sentenza   di  Erasistrato    il  quale  avvegnaché 

ma!  abbia  precitato  il  lcmp".'iii  cui  lo  stomaco 

in  cui  il  corpo  medesimo  vengono  ad  esinanirsi, 
t'outiii ioi  io  avendo  avvertito  di  laica  lai  cosa 
attenzione,  e  dare  d  cibo  gol  quando  il  corpo 
il  richiede,  fu  ra  inif  ito  \  ìì\<\<-  non  doversi  di 
nessun  modo  somministrare  perfino  a  che  le 
o.  In  i  i  proi  vedere  che  non  ven» 
l t.i  tulio  questo  si  può 
\  olmeute  <  onoi  cei  e  non  un  solo  me- 

li molti  ammalati  ad  un  lei 

I      altro  é  buon 
pi  itii  a  .    .    Iroj  N  diluor 


Est  antera  alia  eliara  de  diebus  ipsis  du- 
bitatio;  quoniam  antiqui  potissimura  impares 
sequebantur;  eosque,  tamquam  tunc  de  aegris 
judicaretur ,  xp/s-zwoyj  nominabant.  Hi  erant 
dies  tertius,  quintus,  septimus,  nonus,  unde- 
ciinus,  quartusdecimus,  unus  et  vicesimus  ;  ita 
ut  surama  potenlia  seplimo,  deinde  quartode- 
cimo, deinde  uni  et  vicesimo  daretur.  Igitur 
sic  aegros  nutriebant,  ut  dierum  imparium 
accessiones  exspeclarent;  deinde  postea  cibura, 
quasi  levioribus  accessionibus  instanlibus,  da- 
rent  ;  adeo  ut  flippocrates,  si  alio  die  febris 
desisset.  recidivano  liniere  sit  solitus.  Id  Ascle- 
piades  jure  ut  vanum  repudiavi!  ;  ncque  in 
olio  die,  quia  par  imparve  esset,  iis  vel  majus 
vel  rainus  periculnm  esse  dixit .  Iuterdum 
emiri]  pejores  dies  pares  tiunt  ;  et  opportunius 
post  eorum  accessiones  cibus  dalur.  Nonnum- 
quam  etiàm  in  ipso  morbo  dierum  ratio  mu- 
tallir  ;  fitque  gravior,  qui  remissior  esse  con- 
sti -vcrat.  Àtque  ipse  quartusdecirous  par  est.  in 
qao  esse  magnani  vim  antiqui  falebantur.  Qui 
cmn  octavum  primi  naturam  babere  coutenti  e« 
renl,  ut  ab  eo  secundus  septenarius  inciperet, 
ipsi  sibi  repugnabant,  non  octavum,  nequc  de- 
cirhum,  néque  duodecimum,  dieui  Burnendo, 
quasi  potfntiorem  ;  plus  enini  tribuebant  rid- 
ilo et  undecimo.  Quod  cum  fecissent  sine  olia 
probabili  ratione,  ab  undecimo,  non  ad  ter- 
tiumdecimum,  sed  ad  quartunidecimum  trans- 
ibant.  Est  eliam  apud  Mippocratem,  ei,  qnern 
septimus  dies  liberaturus  sit,  quarlum  esse 
gravissimum.  Ila,  ilio  quoque  auctore,  in  die 
pari  et  gravior  febris  esse  potest,  et  eerla 
futuri  nota.  Atque  idem  alio  loco  quartana 
qnemqne  diem.  ut  in  utrumque  efficnoissiinum 
appreheridit;  id  est,  quarlum,  seplimum.  nn- 
dèi  situata  ,  quartumdecimum,  decitnamsepti- 
mnrn.  In  quo  ei  ab  impariti  ad  paria  rationeni 
transil,  el  ne  hoc  quidem  proposi  tutti  conser- 
vavit;  cum  a  septtrao  die  undecimus,  non 
qnartas,  sed  quintus  sit.  Adeo  apparet,  qua- 
cumque  ratione  ad  nuraerum  respexerimus. 
tiiliil  rationis,  sub  Ilio  quidero  auctore,  repe- 
rire. Verum  in  bis  quidero  antiquos  lune  cele- 
bre»! admodum  pythagorici  aunieri  fefeuerunl  : 
cum  liic  quoque  medicus  non  numerare  dies 


DKLLA    MEDICINA  87 

gasi.  Ma  quei  ebe  sono  intesi  al  guadagno,  es- 
sendo questo  tanto  più  grande,  quanto  più 
grande  è  il  numero  dei  malati,  volentieri  si 
attengono  a  quei  precetti  ebe  non  esigono 
troppa  diligenza,  siccome  nella  cosa  or  detta  ; 
perocché  non  è  malagevole  anche  a  quei  che 

I  ara  mente  visitano  i  loro  ammalali  1'  annove- 
rare i  giorni  e  gli  accessi  :  ma  si  richiede  del- 
l'5 assiduità  in  quel  curante  che  vuol  vedere  in 
qual  tempo  sia  per  farsi  più  del  dovere  debile 

II  infermo,  ov'egli  non  prenda  alimento,  cosa 
unica  e  principalissima.  Nella  più  parte  però 
il  dì  quarto  suol  essere  il  più  confacevole  pei* 
cominciare  ad  alimentare  il  malato. 

Ma  qui  un  altro  dubbio  insorge  intorno 
a  questi  medesimi  dì,  poiché  gli  antichi  stava- 
no grandemente  attenti  ai  giorni  impari,  e  li 
chiamavano  crismi  quasi  che  in  essi  si  giudi- 
cassero le  malattie.  E  questi  erano  il  terzo,  il 
quinto,  il  settimo,  il  nono,  Vundecimo,  il  quar- 
to decimo,  il  vigesimoprimo,  talmente  che  la 
possanza  maggiore  veniva  data  al  settimo,  poi 
al  quarto  decimo,  indi  al  vigesimoprimo.  On- 
de che  non  nutrivano  gli  ammalati  se  non 
dopo  gli  accessi  de1  giorni  dispari  ;  ed  accor- 
davano in  appresso  il  nutrimento,  come  se  do- 
vessero succedere  accessi  più  miti  e  più  beni- 
gni, tanto  clie  Ippocrate  paventar  soleva  una 
recidiva,  se  la  febbre  abolita  si  fosse  in  altro 
dì  fuori  dei  dispari.  Quella  dottrina  fu  da 
Asclepiade  a  buon  diritto,  siccome  vana,  on- 
ninamente rigettata,  dimostrando  non  esservi 
maggiore  o  minor  pericolo  in  uno  più  che  in 
un  alftro  dì,  per  esser  pari  o  dispari.  Perocché 
alcuna  volta  più  infausti  sono  i  pari,  o  più  ac- 
conciamente dassi  mangiare  dopo  gli  accessi 
di  simigliatiti  giorni.  Né  di  rado  avviene  che 
si  permuti  nello  stesso  male  l1  ordine  de'  gior- 
ni, e  che  si  faccia  più  grave  e  sinistro  quel  che 
solea  essere  più  favorevole.  Ma  l' ist.esso  deci- 
moquarto giorno,  in  cui  gli  antichi  asserivano 
esservi  il  massimo  potere,  è  pari.  Ed  eglino 
avvisando  V  ottavo  essere  di  egual  natura  del 
primo,  e  die  per  esso  incominciasse  il  secondo 
settenario,  a  sé  medesimi  contraddicevano  col 
prendere  non  l1  ottavo,  né  il  decimo  né  il  duo- 
decimo, siccome  i  più  polenti,  mentre  che  una 
maggior  influenza  attribuivano  al  nono  e  al- 
l' undecimo,  lo  che  fatto  avendo  senza  alcuna 
plausibile  ragione  dall'  undecimo  non  passa- 
vano al  decimoterzo,  ma  sì  al  quartodicesirao. 
Trovasi  ancora  presso  Ippocrate  il  (piallo  di 
essere  gravissimo  per  quegli  che  dovrà  esser 
libero  al  settimo.  Così  anche,  secondo  lui,  la 
febbre  non  solo  può  esser  più  grave  in  giorno 
pari,  ma  esser  anco  un  segnale  sicuro  di  ciò 
che  è  per  avvenire.  Ed  in  altro  luogo  egli  si- 
migliantemente  ritiene  ogni  quarto  dì,  vale  a 
dire  il  quarto,  il  settimo,  l'undecimo,  il  deci- 
mo (piarlo  e  il  diciol  Icsimo.  per  piò  efficace  SÌ 

in  meglio  che  in  peggio:  nel  che  egli  dal  nu- 


M 


CELSO 


debeat,  ied  ipsas  accessione*  intueri;  et  ex  his 
conjectare,  quando  dandus  cibus  sit.  Illud  au- 
tera  magis  ai  rem  pertiuet,  scire,  tara  opor- 
teat  dari,  cum  jam  bene  venne  conquieverunt, 
an  elianmum  manentibus  reliquiis  febris.  An- 
tiqui enim  quam  integerrimis  corporibus  ali- 
roentumofferebant:  Asclepiades.  inclinata  qui- 
dem  febre,  se  1  adhuc  tamen  inhaerente.  In 
quo  vanam  rationem  secutus  est:  non  quod 
non  sit  interdum  maturius  cibus  dandus,  si 
mature  tiraetur  altera  ac.cessio  ;  sed  quod  sci- 
licet  quam  sanissimo  dari  debeat:  minus  enim 
corrumpitur,  quod  integro  corpori  infertur. 
Ncque  tamen  veruni  est,  quod  Themisoni  vi- 
debatur,  si  duabus  horis  inleger  futurus  esset 
aeger,  satius  esse  tum  dare;  ut  ab  integro  cor- 
pore  potissimum  didueeretur.  Nani  si  didmi 
tam  celeritcr  posset,  id  esset  optimum  :  sed 
cum  hoc  breve  tempus  non  praestet,  satius  est, 
principia  cibi  a  decedente  febre  quam  reliquias 
ab  incipiente  excipi.  Ita,  si  longius  tempus  se- 
cundura  est,  quam  integerrimo  dandus  est;  si 
breve,  etiam  antequam  ex  toto  integer  fiat 
Quo  loco  vero  integritas  est,  eodem  est  reniis- 
sio,  quae  maxima  in  febre  continua  potest  esse. 
Atque  hoc  quoque  quaeritur,  utrum  tot  horae 
exspeclandae  sint,  quot  febrem  habuerunt;  an 
satis  sit,  primam  parlera  earum  praeteriri,  ut 
aesris  juoundius  insidat,  quibus  interdum  non 
Tutissimum  est  aulem,  ante  totius  ac- 
cessionis  tempus  praeterire:  quamvis,  ubi  lon- 
ga  febris  fuit  potest  indulgeri  aegro  maturius, 
dum  tamen  ante  minimum  pars  dimidia  prae- 
tcreatur.  Idque  non  in  ea  sola  febre,  de  qua 
projume  dicium  est,  sed  in  omnibus  ila  ser- 
vandum  est. 


mero  dispari  passa  al  numero  pari  :  ma  né  pu- 
re ei  seguì  questo  sistema,  sempre  essendo  che 
T  undeciino  contando  dal  giorno  settimo,  non 
è  quarto,  ma  quinto.  Da  qui  chiaro  appare  in 
qualsisia  modo  ragguardare  si  voglianole  idee 
d"  Ippocrate  rispetto  al  numero,  essere  anche 
presso  di  lui  destituite  d'ogni  ragionevole  ba- 
se. .Ma  ciò  che  principalmente  trasse  in  ingan- 
no gli  antichi  su  questo  proposito,  furono  i 
numeri  pitagorici  a  que1  tempi  in  grandissima 
fama  :  dovendo  il  medico  qui  pure  non  anno- 
verare i  giorni,  ma  i  parossismi  medesimi  ri- 
guardare, e  da  essi  dedurre  quando  sia  da 
concedere  l1  alimento.  Ma  ciò  che  più  imporla 
si  è  di  sapere ,  se  convenga  accordarlo  sol 
quando  dileguata  si  è  la  febbre,  od  anche 
quando  pur  ne  rimangono  alcuni  avanzi.  Im- 
perocché gli  antichi  non  davano  mangiare, 
che  ad  intero  cessamento.  Asclepiade  nella  re- 
missione maggiore,  ancorché  abolita  non  fos- 
se al  tutto.  Nel  cui  adoperare  una  vana  dot- 
trina seguì  :  non  già  che  non  si  debba  talvolta 
concedere  un  poco  più  sollecitamente,  se  più 
sollecito  si  paventa  il  susseguente  accesso,  ma 
perchè  dee  darsi  sol  quando  il  corpo  si  troi  \ 
il  più  possibilmente  wmo.  essendoché  no  o  si 
corrompe  ciò  che  s1  ingerisce  in  un  corpo  sce- 
vro di  male.  Ne  perà  vero  e  quel  che  sembra- 
va a  Temisone,  essere  miglior  senno  ministrar 
T  alimento  quando  l'infermo  fosse  per  rima- 
nere per  due  ore  libero  del  tutto,  acciocché  la 
(\\j<  elione  venisse  in  massima  parte  operata 
da  un  corpo  sano.  Che  se  in  sì  picciol  tempo 
si  compisse  b  digestione,  saria  questo  il  mi- 
glioro, ma  ciò  non  accadendo,  preferibile  e 
che  si  cominci  a  in  e  la  digestione  sul  il- 
ei.Ila  febbre  antiche  fornirsi  sul  principiar  .li 
un'altra.  Ma  so  v*  ha  grande  intendilo  non 
.1.  ve  darsi  che  a  corpo  integerrimo  ;  so  piccolo 
prima  che  sia  libero  .1.1  tulio.  In  .pici  l 
•imo  tempo  poi  in  che  mio!,-  av.r  Ino-,.  Papi- 
ri hi  la  remissione  :  la  .piale  in  una  I.  1.- 

1  ntinna  può  idissima.   Ma  qui 

pini-  dimandasi  se  aspettar  detonai  tante 
"iv.  quante  fosse  durala  l.i  febbre,  ni  \<  >"  se 
basti  eli.-  di  esse  ne  sia  trapassata   la  prima 

poi.-  ondo  torni  vieppiù  grato   ai  maiali,    olio 

sentono  sovente  dell'appetito.  La  più  sicura 
m  è  di  passare  innanxi  a  tutto  il  tempo  dell  ac- 
cessione, benché  qualora  la  febbre  tu  lunga, 
si  può  più  presto)  compiacere  dio  infermo, 
purché  abbia  per  I"  meno  percorsa  la  metà 
della  sua  dm  a/n. in.  E  questo  devesi  ossei  fare 
non  in  <pi<  Ila  sola  fi  bbre,  della  quale  si  à 
prossimamente  parlato,  ma  cosi  in  tutte 


DELLA.    MJiDlCIXA 


C\v  \  —  De  febritm  speciet/us,  et  singu- 
loruni  curatìoiiibus  ;  et  pri/no,  auaudo 
cibus  jebricitanlibus  dandus  sit. 


Haec  magis  per  ornuia   genera   febrium 
perpetua  sunt;   naac  ad  singulas  earum  spe- 
cics  descenda  in.   Igitur  si  semel  tantum  ac\  h- 
sit,  deinde  desiit,  Ccique  vel  ex  inguine,  vel  ex 
lassitudine,   vel  ex  aestu,  alia  ve  simili    re  lui', 
sic.  ut  interior  nulla  caussa  metum  fecerit,  po- 
stero die,   cuna  tempus  accessionis   ita  transiti. 
ut  nihil  moverit,  cibus  dari  polest.    At   si  ex 
alto  calor  venit,  et  gravilas  vel  capitis  vel  prac- 
bordtòram    secuta   est.   neque  appaici,   quii 
corpus  contuderit  ;  quamvis  unam  accessionero 
secuta  integritas  est ,    tamen,    quia  tei  -liana  li- 
nieri potest,  exspeclandus  est  dies  terlius  :  et 
ubi  accessionis   teuipus   praeteriit,   cibus  dan- 
dus est,   sed  exignus  ;    quia  quartana   quoque 
timeri  potest  :  et  die  quarto  demani,  si  corpus 
integrum  est,  eo  cum  fiducia  uteiulum.  Si  fero 
postero,  tertiove,  aut  quarto   die  secuta  tèbris 
esl  ;   scire  licet,   ruorbum   esse.   Sed  terti m a- 
rum,  quartanarumque,  quarum  et  certus  cir- 
cuitus  est,  et  finis  inleger,  et  liberaliter  ijuietn 
tempora  sunl,  expeditior  ratio  est  :  de  quibus 
suo  loco  dieam.  .Nune  vero  eas  explicabo,  quae 
quotidie  urgent.  Igitur  lertio  quoque  die  cibus 
aegro   commodissime   datur  :   ut  alter  febreni 
minuat,   alter   viribus   subveniat.   Sed  is  dari 
debet,   si  quotidiana  i'ebris  est,  quae   ex  tolo 
desinat,   simulatque  corpus   integrum  factum 
est  :  si  quamvis  non  accessiones,  febres  tamen 
jungunlur.  et  quotidie  quidem  inciescunt,  sed 
sine  inlegrilate  tamen  rem  illuni,  cum  corpus 
ita  se  babet,  ut  major  remissio   non  exspecte- 
lur:  si  altero  die  gravior,  altero  levinr  aecessio 
est,  post  graviorem.   Vere  vero  graviorem  ac- 
cessione m   levior   nox  sequilur  :  quo  tìt,  ut 
graviorem    accessionem    nox   quoque   tristior 
anlecedat.   At  si  conlinualur  i'ebris,  neque  le- 
vior uoquam   tit,  et  dari  cibum  Decesse  est, 
quando  dari  debcat.  magna  dissentir»  est.  Qui- 
dam, (juia  fere  remtssius  matutinum   tempus 
aegris  est,   tuuc  putant  dandum.   Quod    si  re- 
sp  >i  li  -t.  min  quia  mane  est,  sed  quia  remissio 
c>l  aegris,  dari  debet.  Si  vero  ne  lune  quidem 
ulla  Dequies  aegris  est.   hoc  ipso  pejus  :à  tem- 
pus est.  quod  cum  sua  natura  meli us  esse   de- 
beat,  morbi  vitio  non  est  :   simukjuc  iuseqai- 
iur   tempus  no  ridi.iuuin.  a  quo  cum  omnis 
aeger  fere  pejor  fiat,  timeri  potest,  ne  illc  ma- 
gis  etiam.   quam    ev   consuetudine,   nrgealur. 
Igitur  alii  vespere  tali  aegro  cibum  dant.  &  I 
cum  eo   temp   i     fere  peséimi  tint,  qui  aegro- 
tant.   Tcrendura   est.  ne.   si  quid  tunc  di  >\eii- 

fial   aliquid   .1  »p 15.  Ob  haec,  ad  roe- 

dìam  n  <  ^t,  finito  jam  gì  a- 

lemque    longiseime   di- 

uturis  vero  antelucani!  borii,  qui- 


89 

Ca.p.  v.  —  Delle  {•  ine  specie  di  febbri,  e 
delie  particolari  cure  ;  e  printieramente 
quando  si  deve  dar  da  mangiare  ai  feb- 
bricitanti. 

Queste  cose  sono  più  costanti    nella  me- 
dicatura delle  febbri  in  generale:  ora  passerò 
alle  singole  specie  loro.  Se  si  attaccò  una  sol 
volta  e    dipoi   ebbe  suo    fine,   o  che  derivò 
dall'  anguiiiaja.   o  da  lassezza.   0   da  riscalda- 
mento,  o  da  altra  simigliali) e  cosa,    l :o 
nanna  interna  cagione    la  abbia   prodotta,  il 
susseguente  dì,  dappoiché  il  tempo  dell'i 
so  è  trascorso  intanto   che  nitan  vestigio  più 
siavi  di  esso,  ai  può  accordar  l'alimento.  Ma  te 
il  calore  è  proceduto  dalle  più  ime  parti,  e  sus- 
seguilo da  gravezza  del  capo,  o  de1  precordi 
senza  che  appaja  ciò  «he  ha  disordinalo  il  cor- 
po, quantunque  ad  una  sola  accessione  sia  sub- 
entrala  una  perfetta  integrità,  non  per  tanto 
temere  potendosi  una  terzana  devesi  aspettare 
il  terzo  «lì  :  e  tosto  clip  il  tempo  dell'  accesso 
travalicato  sia.  deve  amministrarsi  il  cibo,  ma 
pareo,  potendosi  temete  anche  una  quartana. 
E  finalmente  il  quarto  dì.  se  il  corpo  ebbero. 
si  può  con  tutta  fidanza  mangiare.  Se  poi  la 
febbre  venne  al  secondo,  od  al  terzo,  ovvero  al 
quarto  dì,  allora  è  questa  una  malattia.  Ma  la 
cura   delle   febbri   terzana   e   quartali) 
quali  è  fisso  il  periodo,  e  la  terminazione  in- 
tera, e  gli  spazi  intermedi  assolutamente  libe- 
ri, è  più  spedita  d'ogni  altra,  e  di  q» 
discorrerà  a  suo  luogo.  Ora  tratterò  di  quelle 
che  vengono  cotidianamente.   Pertanto    ogni 
tre  dì  dassi  acconciamente   da  mangiare  al- 
l'ammalato, onde  per  un  lato  si  scemi   I; 
bre,  per  l'altro  si  ristorino  le  forze.  Ma  - 
concedere,  se  la  febbre  è  cotidiana.  e  che  al 
tutto  cessi,  ed  insieme  libero  si  riduca   il  cor- 
po :  e  quantunque  non  le  accessioni,  ma  le  feb- 
bri si  uniscano  e  ogni  dì  più  crescano,  rimet- 
tendo però  senza  lasciar  pienamente  libero  il 
corpo,  allor  si  darà  1"  alimento,  quand  1 
quel  grado  «li  remissione  che  maggiore  non  si 
possa  aspettare  :  e  se  L'accessione  un  dì 
forte,  r  altro  più  lieve,  si  darà  dopo  il  più  for- 
te. E  poiché  ad  un  grave  insulto  succede  por 
lo  più  una  notti-  tranquilla,  così  avvici 
una  notte  inquieta   preceda  una  violeni 
cessione.  Ma  (piando  debbasi  dar  l'alimento, 
se  la  ■  l'i     ■  è  continua,  né  mai  si  men< 
se  \"  ha   bisogno   indispensabile   di    nutrire   il 
malato,  verte  -so  ciò  grandissimo    disparere. 
Menni  avvisano  doversi  dar  la  mal  tir.. 
che  allora  più  sollevali  si  ritrovano  gl'infer- 
mi. 11  che  se  corrisponde  in  pratica.  d< 
non  già  perchè  è  di   mal  lina,   ma   SÌ   \< 
malati  si  trovano  in   remissione.   Se  poi    l    i"- 

1  ti  no 11  proi  1  sollievo  neppure  a  tal 

po  .  ppunto  tal  no  pò 

quanto  che   dov< 
12 


9°  c  E 

bus  oranes  fere  maxime  dormiunt;  deinde 
inaiutino  tempore,  quod  natura  sua  levissi- 
munì  est.  Si  vero  febres  vagae  Mint,  quia  ve- 
rendom  est,  ne  cibum  statini  subsequantur, 
qoandoeumqae  quis  ex  accessione  levatus  est, 
tunc  debet  assumere.  At  si  plures  accessiones 
eodem  die  veniunt,  considerare  oportet,  pa- 
vesile per  omnia  sin t.  qaod  fi*  tieri  potest, 
an  impares.  Si  per  omnia  pares  sunt,  post  eara 
poliaa  aceessionem  cibas  dari  debet,  quae  non 
inler  meridiera  et  resperem  desini!  :  si  impa- 
res snnt.  considei  andum  est.  (jno  disteni.  Nam 
si  altera  gravior,  allora  levior  est,  post  gravio- 
r.  in  dari  debet  :  si  altera  longior,  altera  bre- 
vior.  post  longiorem  :  si  altera  gravior,  altera 
loogior  est,  considerandom  est,  atra  magis 
affligat,  ili  ci  vi.  an  haec  tempore,  et  post  eam 
dandus  est.  Sed  piane  plurimnm  interest, 
quuntae  qualesque  inter  eas  remissiones  sint. 
Nam  si  post  alterata  febrem  motio  manet,  post 
alteram  integralo  corpus  est  ;  integro  corpo- 
re.  cibo  tempus  aptius  est:  si  semper  lebricula 
manet,  sed  alteram  tamen  longius  tempus  re- 
missionis  est,  id  potius  eligendum  est  ;  adeo 
ut,  ubi  accessiones  continuantur .  protinus, 
inclinata  priore,  dandus  eibus  sii.  Ktenim  pcr- 
petnom  est,  ad  quod  onnie  consilinm  dirigi 
potest.  cibnm  quam  maxime  semper  ab  acces- 
sione futura  reducere;  et,  hoc  salvo,  dare 
quam  integerrimo  corpore.  Quod  non  inter 
daas  tantum,  sed  etiam  inter  plures  accessio- 
ni -  servabitor,  Sed  cum  si t  aptissimnm,  tertio 

quoque    die  eibuui  dare;    tamen,  si  corpus  in- 

firmum  est,  qootidie  dandus  est,  moltoqne 
magis.  si  continente!  febres  line  remissione 
Mini,  quanto  magis  eoi  pus  affligunt;  aut  si 
daae  pìuresve  accessiones  eodem  die  veniunt. 
res  efficit,  al  et  a  primo  die  protinas 

eibus  dari   quolidie  debeat,    si  protinns  venae 

concidernnl  ;  et  saepios  eodem  die,  si  inter 
plnres  accessiones  lubinde  vis  corpori  desi. 

J 1  lini  tarnen  in  bis  servaudum  est.  ut  posi  eas 

minai  «  ibi  delur,  post  qaas,  si  per  »  or- 
pai  lioeret,  omnino  non  daretar.  Cura  vero 
febrii  instet,  incipiat  angeatur,  consistat,  de- 
cedati deinde  in  accessione  consistat,  sol  finia- 
lurj  icire  li  et,  optimum  ciba  tempi' 
fèbre  finita;  deinde,  cam  decessio  ejus  consi- 
atit;  lertiura,  lineeessc  est,  quandocuraqae 
rnnis  pei  iculoss  esse,  Si  ta- 
men propter  infìrmilatem  necessitai  nrget, 
aatiui  esse,  consistente  jam  incremento  febris, 
aliquid  offerre,  quam  inori  cantei  m tic 
just  mie.  quam  incipit  nte .  <  tira  «  o  tamen,  ut 
nulle  l<  '        non  sii  sustinen- 

dns   \.  |oe  hei cui  ipsai  tantum  fe- 

K  rlù  nei  intuei  i,  led  <  nam  toliui  i  01 
porii  I  id  ii  tu  m,  et  ad  cum  dirigere  curationem  : 
aeu  lupersunl  first,  leu  desunt,   leu  quidam 
ajii  aflectui  inlerveniunt.   I  un  fero  lempcr 

;  p   re 


L    S   O 

per  sua  natura  migliore,  non  lo  è  colpa  del 
male;  e  parimenti  ne  siegttc  che  al  tempo  me- 
ridiano, nel  «piale  conciossìachè  soglia  esacer- 
barsi la  malattia,  si  può  a  ragione  temere  non 
imperversi  anche  più  del  costume.  11  perchè 
altri  concedono  in  questa  infermila  l'alimento 
alla  scia.  Ma  essendo  in  quell'ora  il  più  delle 
volte  gravemente  oppressi  i  malati,  v1  ha  a  te- 
mere non  si  aggravino  di  più.  ministrando  loro 
alcuna  cosa.  Per  queste  ragioni  io  differisco  alla 
mezzanotte,  vale  .1  dire  allorché  è  già  decorso 
il  tempo  più  reo. e  che  il  medesimo  è  ancor  lon- 
tanissimo,  /foche  qualche  ora  innanzi  lo  spun- 
tar del  dì,  in  cui  i  malati  sogliono  generalmente 
dormire:  analmente  il  tempo  mattutino,  il 
quale  è  per  sua  natura  il  più  mite.  Se  poi  le 
febbri  sono  irregolari,  poiché  temer  puossi 
non  al  cibo  subentri  incontinente  un  accesso, 
così  ogni  qualvolta,  il  malato  sollevato  si  tro- 
vi dall1  accesso,  devesi  cibare.  Ma  se  molti  ac- 
cesssi  si  ripetono  nel  medesimo  dì,  d1  uopo  è 
osservare,  se  sono  eguali  in  tutto,  il  che  è 
quasi  impossibil  cosa,  0  veramente  se  disegna- 
li. Se  sono  in  tutto  eguali  di  durata,  si  deve 
somministrare  il  cibo  piuttosto  dopo  quel  pa- 
rossismo che  non  termina  fra  il  mezzodì  e  la 
Mra.  K  se  sono  diseguali,  devesi  notare  in  che 
consiste  questa  diseguaglianza:   perocché   se 

un  accesso  è  più  forte.  Tallio  più  Lieve,  con- 
tiene dar  T  alimento  appresso  il  più  forte  :  se 
uno  è  più  lungo,  l1  altro  più  breve,  vuoisi  ve- 
dere se  più  aggravi  quello  per  la  violenza,  o 
questo  per  la  durata,  e  dopo  quello  si  ciberà 

il   malato.    Ma    grandemente    imporla   sapere 

quante  (-  quali  sieiio  fra  essi  le  remissioni,  im- 
perocché se  dopo  un  parossismo  rimane  alcu- 
na altera /.ione,  e  se  dopo  un  altro  resta  il  cor- 
po  al    tUttO    libero   e    quieto,    sarà    questo     il 

tempo  pia  congruo  ali1  alimento  :  e  •«  rima- 
nesse tempre  uu  residuo  di  lebbre,  purebe 
dopo F  accesso  il  tempo    della    remissione    sia 

più  lungo,  si  deve  preferire  questo,  intanto  che 
se  gli  accessi  sono  subentranti,  tosto  declinato 

il  primo,  dee  darsi  a  mangiare.  IVr  lo  «die  è 
norma  costante  da    tenersi    sempre,    di  cibare 

quanto  più  si  pud  discosto  dal  parossismo  che 
In  da  succedere,  e  olirà  questo  darlo  in  tem- 
po che  I"  ini.  ini.»  si  trovi  nel  miglior  essere: 
la  qualcosa  non  tanto  li  deve  osservare  fra 
due  accessi,  ma  anche  fra  molti.  Ma  sebben 
sia  dicevolissimo  dar  mangiare  ogni  tradì, 
tuttavia  se  e  debole,  devesi  ministrare  ogni 
giorno,  e  tanto  più,  se  le  febbri  sono  conti- 
nenti senza  remissione  musa,  quanlo  pia  in 
nacchiscono  il  corno:  ovvero  nel  caso  clic  si 
ripetano  due  o  più  accessi  nel  medesimo  dì.  la 
(|n;.l  rosa  fa  che  si  debba  dare  I* alimento  lino 
,\,A  primiero  di  se  i  polsi  ad  un  tratte  si  ab 
hassano  :  <•  poi  voli.-  lo  stesso  giorno,  qua  - 
loi  i  per  I"  »  i|M  i-i  i  dajle  ai  cessioni  a  mino  ., 
manosi  vadano  scemandole  forze  dell  ani* 


tantum,  non  ctiarn  animo  laborcnt:  tum  prae- 
cipue,  ubi  cibum  sumpserunt.  Itaque,  si  qua 
sunt,  quae  exasperatura  eorum  animos  sunt, 
optimum  est,  ea,  durn  aegrotant,  eorum  poti- 
liae  subtrahere  :  si  id  rieri  non  potest,  susti- 
nere  tamen  post  cibum  usque  somni  tenipus, 
et  cum  experrecti  sunt,  tum  exponere. 


medicina  91 

malato.  Cionnullameno  convien  notare  dover- 
si porgere  minore  alimento  appresso  quelle 
febbri,  dopo  le  quali  nullo  se  ne  dada  ove  la 
condizione  delle  forze  il  permettesse.  Ma  poi- 
ché la  febbre  si  annunzia,  incomincia,  cresce,  fa 
sosta,  decresce,  quindi  si  ferma  nella  declina- 
zione, ovver  finisce,  importa  sapere  il  più  op- 
portuno tempo  per  alimentare  il  malato  esse- 
re, quando  la  febbre  è  cessata  ;  indi  allorché 
rimane  nel  suo  stato  di  diclinazione  :  final- 
mente se  di  necessità  è  di  accordar  Y  alimen- 
to, ogniqualvolta  essa  declina,  ogn'allro  tem- 
po essere  pericoloso.  Nondimeno  se  per  l1  e- 
strema  debilità,  ne  stringa  il  bisogno,  sia  più 
convenevole  dar  qualche  alimento  nello  stato 
della  febbre,  anziché  nel  suo  aumento  :  più 
convenevole  nella  imminente  che  nella  in- 
cominciante :  con  questo  però  che  in  qualsi- 
voglia tempo  si  debba  refìciare  quell1  infermo 
cui  si  vanno  menomando  le  forze.  Ma  non  ba- 
sta che  il  medico  abbia  rocchio  ai  diversi  accessi 
della  febbre,  ma^deve  considerare  ancora  Pabi- 
to  di  tutto  il  corpo,  e  ad  esso  rivolgere  le  sue 
sollicitudini,  sia  che  le  forze  eccedino,  ovvero 
manchino,  e  che  vi  sin  complicazione  d1  altri 
morbosi  affetti.  E  come  è  cosa  importante  di 
far  sempre  coraggio  ai  malati,  onde  che  se  so- 
no infermi  del  corpo,  non  infermino  anche 
dell1  animo,  così  precipuamente  dopo  che  eb- 
bero tolto  alimento.  Impertanto  se  incontra 
cosa  che  fosse  per  agitare  i  loro  animi,  lau- 
dabilissimo fia  tenergliela  nascosa,  mentre  che 
sono  ammalali,  e  se  ciò  non  può  farsi,  convien 
almeno  aspettare  dopo  il  mangiare  fino  al 
tempo  del  sonno,  e  risvegliali  che  siano  al- 
lora partecipargliela. 

Cap.  vi.  —  Quando  potiones  febricìtantìbus     Cap.  vi.  —  In  che  tempo  sia  espediente  dare 
dari  expediat.  da  bere  ai  febbricitanti. 


Sed  de  cibo  quidem  facilior  cum  aegris 
ratio  est  ;  quorum  saepe  stomachus  lume  re- 
spuit,  etiamsi  mens  concupiscit:  de  potione 
vero  ingens  pugna  est;  eoque  magis,  quo  major 
febris  est.  Haec  enim  sitim  accendi t,  et  tum 
maxime  aquam  exigit,  cum  illa  periculosissima 
est.  Sed  docendus  aeger  est,  ubi  febris  q  aie  ve- 
ri t,  prolinus  silim  quoque  quicturam  ;  lon- 
gioremque  accessionem  fore,  si  quod  ei  datura 
fuerit  alimentari):  ila  cclcrius  eum  desinerò 
silire,  qui  non  bibit.  Necesse  est  tamen,  quan- 
to facijius  otiam  sani  fa  mera  quam  silim  su- 
stincnt,  tanto   magis  aegris   in    potione,   quam 

in  cibo  indulgere.  Sed  primo  quidem  die  nul- 
lus  humor  dari  debet;  nisi  subilo  sic  venae 
Conci derunt,  ut  cibus  quoque  dari  debcal  : 
secondo  vero,  celerisque  etiam,  quibus  cibus 
non  (lal)ilnr,  tamen,  si  magna  siiis  urgebit, 
potio  dari  potest.  Ae  ne  illud  quidem,  ab  He- 
ra elide  Talentino  dictura,  ralione  card:  ubi 
aut   bilis  aegrum,  aut  crudilas  male  habet, 


Ma  rispetto  al  cibo,  è  cosa  più  agevole 
persuadere  i  malati,  lo  stomaco  de1  quali  .spes- 
so il  ripugna,  avvegnaché  ne  abbiano  arden- 
te voglia  :  intorno  poi  alla  bevanda,  qui  è  il 
contrasto,  e  tanto  più  quanto  più  intensa  è 
la  febbre.  Perocché  essa  mette  sete,  e  così  ne 
nasce  T urgenza  della  bevanda  allora  appunto 
che  è  al  sommo  pregiudicevole.  Però  de  ve  si 
avvertile  il  maialo,  che  al  cedere  della  feb- 
bre, cede  pur  anche  V  arsura  :  e  che  V  accessp 
sarà  più  lungo,  se  ferragli  dato  mangiale: 
così  più  tosto  cesserà  d'aver  sete  chi  non  beve. 
Convien  tuttavolta  che  quanto  i  sani  più  age- 
volmente sopportano  la  faine  che  non  la  sele, 
«osi  più  si  secondino  gl'infermi  rispello  al 
bere  che  al  mangiare.  Ma  il  primo  dì  però 
ninna  bevanda  «lai  assi  se  non  nel  cast)  elie  i 
polsi  ad  un  hallo  si  abbassino  così  che  si  deb- 
ba concedere  anche  il  nudrimento.  Nel  sc- 
condo  poi,  e  ne**  susseguenti,  ne*  quali  come- 
chc  non  diasi  mangiare  nonostante  ovel'uo- 


';3 


C    E    X    5    O 


elpedire  quoque  per  modiras  potiones  mi- 
ao va  m  materiata  eorruptae.  lllud  viden- 
ilum  est.  ut  (jualia  tempora  cibo  legantur,  ta- 
li, i  piti  ioni  quoque,  ubi  sinc  ilio  datar,  deli- 
gantur;  aul  cum  aejjrum  dormire  cupiemoa  ; 
quoJ  fero  sitis  prohibet.  Satis  aotem  eonvenit, 
cum  omnibus  lebririlantibus  nimins  bamor 
alieni»  ast,  tum  praecipoe  este  feminis,  quee 
i  lu  in  febrea  i  icideruut. 


Sod  cuna  tempora  cibo  potionique  febris 
et  remissionis  ratio  del,  non  osi  expeditissi- 
niM'ii  sei  re,  «[lini  I"  aeger  febrìcitet,  quando 
vit.  quando  di  Sciai  :  sin*  qoibna  di- 
i  Illa  non  possunt.  Venia  enim  maxime 
Ci  ius,  fallacissimae  rei;  quia  saepc  istac 
leniores  celerioresve  sunt,  et  aetate,  et  sexu, 

.  .min  natura  :   et  plerumque  salis  sano 

corpore,  si  stomachila  infirmila  est,  nonnam- 
quam  etiam  incipiente  febre,  labeant  ei  qaie- 
scant;  al  imbecillas  is  vi. Ieri  possi  l,  coi  facile 
tataro  gravi*  instai  accesaio.  Contra  saepe  eaa 
concitai  el  reaolvil  sol,  et  balneum,  el  exerci- 
i  iii.ius.  el  ira,   el  quihbet  alius  animi 

ini.  rum  priinum  medicus  venil. 

àollicil  dubitanti*,  qaomodo  illi  se 

;  videatur,  eaa  moveat.  I  »!>  qaam  caaa- 

aam,  periti  medici  eat,  non  protinaa  al  venit, 

hendere  mano  brachinm:  ledprimum 

re  li  1  »  ri  \ulii!.  percoli  tariqae,  qoemad- 

modum   ae  babeat,  et   >i   quia  ejos   metua  est, 

puoi  te  lenire  :   luna   deinde 

ejua  cqrpori  manura  admotere.  Quaa  vena* 

■utem  eonspectua  medici  movet,  quam   facile 

mille  r  -  turba  ni  :  Altera  rea  eat,  cui  credimua, 

,  alar,  x  •  n  ""  '"''  qnoque    scitatur 

In  bore   sonino,  meta.  lollii  iludine    I    i- 

lor  intaerl  qaidem  eii.im  ista  oportel  :  -  d  bla 

non  omni  i  en  dere.  V-  protinua  qaidem  scire, 

i  imi»  \  ente  naturaìiter 

oi  dinatae  Mini,   lep  nrqae  lalia  est.   qua 

aleni   su!.  (  dorè 
motuque   fel  I  ita,  si 

sali  ter  colia  eal  ; 
r  et  in  I 

un  il. iis   cam   fei  \  ore 
proraropil  •   il  color,  sai   rab  n  e,  aut  pallore 

et  aal  per- 

.  lor,    nini   (il. 

1        l'\     llllS 

(  il.  qa  un  i  •  .  fdicm  neqae 

,rd  illi  i     rmiiH  s  notai, 


mo  si  trovi  angustiato  da  scio  artfentissinta, 
si  potrà  concedere  il  bere,  iNe  è  fuor  di  ragione 

il  detto  di  Eraclide  tarantino  clic  (piando  una 
congerie  di  bile  e  di  crudezze  aggrava  l'in- 
fermo, siconvien  temperarla  mescolando  no- 
veMa  materia   alla  corrotta   col  bcvor  poco  e 

Si  dei  e.;\  rei  -lire»  lie  il  leiiq.  i 
lo  pel  cibo  sia   pur  quello  per  la  bebanda,  e 

(piandosi  dà  bere  senza  dir  da  mangiare,  SÌ 
(pici  tempo,  in  cui  si  desidera  che  l'in- 
riposi,  perocché  la  sete   suole  proibire 

i  sonni.  Si  è  poi  d'  accordo  quanto  basta  che 
essendo  a  tulli  i  febbricitanti  contrario  il  so- 
perchio bere,  a  quelle  femmine  lo  sia  princi- 
palmente, le  quali  a  Cagion  del  parto  incappa- 
rono nelle  febbre. 

Ma  se  P  ordine  della  febbre  e  sua  remis- 
sione assegna  i  tempi  al  cibo  ed  alla  bevanda, 
non  è  gran  fatto  agevole  discernere  (piando 
I"  ini  mio  abbia  la  lebbre,  quando  stia  me- 
glio, e  quando  sia  debile,  sen/a  le  quali  con- 
tezze  non  si   possono  dispensare  i  cibi  ed  i  be- 

i.  Imperocché  noi  <i  riportiamo  prin- 
cipalmente ai  polsi,  fallacissima  cosa,  perchè 

essi     spesso    sono    molto    lenti,    oweio    assai 

cel  ii  <•  per  I"  età  e  pel  sesso  e  per  la  qua- 
lità dei  corpi  :  per  lo  più  in  persona  dis- 
cretamente sana,  quando  abbia  infievolito 
lo  stomaco,  sovente  anche  sul  cominciar  duna 
febbre,  sono  i  polsi  quieti  e  depressi,  a  tale 
che  possa  parer  debil  colui  che  è  per  i 
re  alla  grave  accessione  ond'  è  minacciato,  A 
tro  assai  sovente  il  sole,  il  bagno,  I"  e- 
,  il  timore,  V  ira  <>  qualunque  altra 
affezione  dell'animo  concita  i  polsi  in  modo 
che  vengono  anch' essi  in  movenza  al  primo 

venir  del  medico,  la  cui  presenza  desia  agi- 
lamento  e  perplessità  allo  infermo,  incerto  del 
giudizio  che  è  per  l'are  di  sua  infermitadè. 
Egli  è  p  r  questo  che  suole  1"  esperi.'  e  pe- 
rito inedie...  non  tosto  eli1  enlra  prendere  col- 
la mano  il  braccio,  ma  prima  se  leraicon  sem- 
biante allegro,  e  dimandare  del  suo  ^■■*yi-  lo 
infermo;  e  se  e  presoda  alcun  timore.  cOn 
parlar  lusinghevole  confqrtare  I"  animo  di  lui, 

indi  poacia   recar    la    mano    al    pois...     Ma     se   i 

mo  commossi  dal  solo  aspetto  del  me- 
dico, «piante  alterar   non  gli   \"'s 
bai  egualmente  fallace 

r    «  '•    affidi) •.    il    calore  :     pero. die. 

questi  .hi  per  caldezza  d   aei  e, 

■uno.  per  temenza,  per  an 
;,  mente,    Si  com  len    dunque   ri     iiai  - 

dare  anche  a  queste   rose,   ma  i  prestarvi 

.    ,  redenza.  I     pi  ima  di    lutto   <\-^   sa 
i    pici  ante  i  olu  ,   i   cui 
polsi  sono   ri    .i-i     i  come  i uol    natura,  «• 
il    mi  tale    quale    |U0l   <ss. 

i  deve  che  v i   ni 
febbre  pei    osservi    agitamento  e  caloi 

!       |,    il  ■  |      inc_u.dn. ci. li     alida. 


rinomi 
sereizio 


DELLA 


Ubi  vero  fehris  fuit,  atque  decrevit  , 
cxspeetare  oportet ,  num  tempora ,  partes- 
ve  corporis  aliae  paulura  maclescant,  quae 
sudorem  venturum  esse  teslenlui*  :  ac  si 
qua  nota  est,  tunc  demum  dare  potui  ca- 
lidari aquam  ;  cujus  salubris  effectus  est,  si 
sudorem  per  omnia  membra  difìundit.  llujus 
autem  rei  caussae,  continere  aeger  sub  veste 
satis  multa  manus  debet  ;  eademque  crura 
pedesque  contenere:  qua  mole  plerique  aegros 
in  ipso  i'ebris  impetu,  potissimeque  ubi  ardens 
ea  est,  male  babent.  Si  sudare  corpus  coepit, 
linteum  tepefuccre  oportet,  paulatimque  Slo- 
gala membra  detergere.  At  ubi  sudor  omnis 
fìuilus  est,  aut  si  is  non  venit,  ubi  quam  maxi- 
me potui t,  idoneus  esse  cibo  aeger  videlur, 
sub  veste  leniler  ungendus  est,  tura  delergen- 
dus.  deinde  ei  cibus  dandns.  Is  autem  febrici- 
tantibus  humidus  est  aptissimus,  aut  bumori 
certe  (juam  proximus:  utique  ex  materia  quam 
levissima.  maximeque  sorbitio  ;  eaque,  si  ma- 
gnae  febres  fueiint,  quam  tenuissima  esse  de- 
bel.  Mei  quoque  despumatum  buie  recle  adji- 
citur,  quo  corpus  magis  nulriatur  :  sed  id,  si 
stomachum  offendil,  supervacuum  est;  sicut 
ipsa  quoque  sorbitio.  Dari  vero  in  v'icem  ejus 
pò  test,  vel  intrita  ex  aqua  calida,  vel  alica  elo- 
ta  ;  si  finn us  est  slomacbus,el  compressa  alvus, 
ex  qua  mulsa  ;  si  vel  il  le  languet,  vel  baec  pro- 
fluì  t.  ex  posca.  Et  rtrimo  quidem  cibo  id  satis 
est.  Secundo  vero  aliquid  adjici  potest,  ex  eo- 
dern  tamen  genere  materiae,  vel  olus,  vel  eon- 
chylium,  vel  pomum.  Et  dum  febres  quidem 
ìncreseunt,  bic  solus  idoneus  cibus  est.  Ubi 
vero  ani  desinimi,  aut  levantur,  semper  < { 1 1 i — 
Aera  iocipiendum  est  ab  aliquo  ex  materia  le- 
vissima, adjieiendum  vero  aliquid  ex  media, 
ratione  babita  subinde  et  viriura  hominis,  et 
morbi.  Ponendi  vero  aegro  varii  cibi,  sicut 
Asclepiades  praecepil.  Lum  demum  suni.  ubi 
fastidio  urgetur,  neque  satis  vires  sufYìciunt; 
ut  paulam  ex  singulis  degustando,  famem  vi- 
tet.  At  si  neque  vis.  neque  cupiditas  deest, 
nulla  varietale  sollicitandus  aeger  est  ;  ne  plus 
assuma!,  quam  concoquat.  Neque  verum  est, 
quod  ab  eo  dicitur,  facilius  concoqui  cibos 
varios.  Eduntur  enim  fàcilius:  ad  concoclio- 
'n ni   .iute  ni   materiae  genus  il  modus  perii- 


medicina  p,3 

se  v1  ba  pure  calore  alla  fronte,  e  se  esso  nasce 
dalle  più  ime  parli  del  corpo,  se  l1  aria  pro- 
rompe fervidissima  dalle  nari,  se  il  colore  si 
è  cambiato  in  rossore  o  pallore  insolito,  se  gii 
occhi  sono  gravi,  o  molto  secchi  ovvero  ami- 
detti,  se  il  sudore,  allorché  ^iene,  è  ineguale, 
e  se  i  polsi  non  si  muovono  ad  eguali  inter- 
valli. Per  la  qual  cosa  non  deve  il  medico  se- 
dersi allo  scuro,  né  porsi  a  capo  del  letto, 
ma  dirimpetto  all'infermo  in  luogo  allumina- 
lo e  chiaro,  ond'  egli  contempli  e  rilevi  tulli 
i  segni  anche  del  volto  islesso  di  colui  che 
giace. 

Caso  poi  che  la  febbre  vi  sia  stata  e  siasi 
diminuita,  bisogna  nolare  se  le  tempie,  od  al- 
tre parli  del  corpo  siano  un  poco  madide,  il 
che  ne  accerta  il  sudore  non  essere  lungi  a 
prorompere.  E  se  v1  è  quest1  indizio,  allora  fi- 
nalmente somministrare  a  bere  dell"1  acqua 
calda,  il  cu:  effetto  sarà  salutare,  se  diffonde 
il  sudore  per  tutte  le  membra.  Per  questo  de- 
ve P  ammalato  tenere  le  mani  sotto  coperte 
sufficientemente  pesanti  :  e  con  esse  coprire 
ancora  le  gambe  e  i  piedi  :  del  cui  peso  il  più 
dei  maiali  prova  noja  nella  violenza  della  feb- 
bre, massime  se  essa  è  ardente.  Allorché  il 
corpo  comincia  a  sudare,  bisogna  riscaldare 
un  pannolino  ,  e  con  esso  poco  a  poco  ra- 
sciugare ciascuna  parte.  Ma  cessato  intera- 
mente il  sudore,  o  se  esso  non  venne,  almeno 
quanto  più  ne  potè,  allora  l1  infermo  sembra 
acconcio  al  cibo,  ma  devesi  prima  sotto  le 
coltri  lenemente  ungere,  indi  tergere,  e  per 
ultimo  dargli  mangiare.  Ai  febbricitanti  sì 
conviene  un  cibo  umido,  o  quasi  umido,  e  di 
sostanza  più  eh1  è  possibile,  leggiera.  A  ninna 
la  cede  il  brodo,  e  questo  pure,  se  le  febbri 
sono  state  intense  e  gravi,  esser  deve  tenuissi- 
mo.  Ad  esso  si  puote  convenevolmente  unire 
mele  despumato  onde  il  corpo  si  nutra  me- 
glio, ma  se  offende  lo  stomaco,  si  vuol  lascia- 
re, e  cosi  anche  il  brodo.  Si  può  dare  in  loro 
vece  pane  di  spella  intrito,  ovver  istemprato 
in  acqua  calda  :  e  se  lo  stomaco  è  forte,  e  il 
ventre  ristretto  inacqua  mielita  ;  e  se  quello 
è  languido,  e  questo  sciolto  iu  posca.  E  que- 
sto basta  per  primo  alimento:  al  secondo  si 
può  aggiugnere  alcuna  cosa,  la  «piale  convien 
che  sia  del  medesimo  genere  di  materia  sì  co- 
me erbaggi,  eonchigliacei,  0  frulla.  E  meni  re 
le  febbri  crescono,  questo  cibo  solo  è  accon- 
cio. Quando  poi  o  cessano,  ovver  declinano, 
si  deve  principiar  pur  sempre  dai  cibi  di  leg- 
gierissimo nutrimento,  aggiugnervene  poscia 
qualcuno  del  mezzano,  posta  mente  ognora 
alle  f-.rze  del  malato  ed  alla  qualità  del  male. 
Si  devono  poi  finalmente,  siccome  insegnò  A- 
sclepiade,  metter  dinanzi  air  ammalalo  diver- 
si <il»i.  ogniqualvolta  provi  ripugnatila,  e  le 
forze  sieno  declinanti,  acciocché  un  pò1  di 
tulli  assaggiando,  schifi  In  fame.  Ma  se  la  forza 


CELSO 


nenf.  Ncque  iriter  magnos  dolores. ncque  inrrc- 
morbo,  tutuni  est,  segnimi  cibo  implori  ; 
sed  uhi  inclinata  jam  in  melius  valetudo  est. 


Sunt  aliar  quoque  observationes  in  febri- 
bus  necessariae.  Atque  id  quoque  TÌdendum 
est,  quod  quidam  solum  praecipiunt,  adstri- 
ctum corpus  sii,  anprofluat;  quorum  alterum 
strangulat,  alterum  digerì t.  Nana  si  adstrictum 
est.  ducenda  aWns est,  movenda  urina,  elicien- 
dus  ninni  modo  sudor.  Io  hoc  genere  mor- 
borura  sanguinem  e  tiara  misisse,  concussisse 
veheraentibus  gcststionibus  corpus,  in  luraine 
babuisse,  imperasse  l'ameni,  sitim,  vigiliam 
t.  1  lite  «si  etiara  ducere  in  balneum, 
piiu-.  demiltere  in  solium,  tum  ungere,  ite  rum 
ad  soliura  redire,  multaque  aqua  fovere  ingoi- 
na,  interdum  etiam  oleum  in  solio  cum  aqua 
caline  miscele:  nli  riho  serius  et  rarius,  tenui, 
simplici,  molli,  calido,  exigno;  maximeque 
oleribua,  qu  alia  sunt,  lapathum,  nrtica,  malva; 
vel  jure  eli. un  concharum,  musculorumve,  sul 
locustarnm  :  ncque  danda  caro,  nisi  elixa,  est. 
At  potio  esse  debel  magia  liberalis,  et  aule  ei- 
1  •  * i ni.  el  post  li ìi ne,  et  cum  hoc,  ultra  qnam 
siiis  coget  :  potcritque  a  balneo  etiam  pingui  us, 
ani  dulcius  d  iri  vinum  :  poteri!  semel,  aut  bis 
interponi  Graccum  salsnm.  (anitra  vero,  si 
corpus  profluet,  sudor  coercendus,  quiei  adhi- 
1.  ih  crii;  tenebria,  somnoque,  quandocum- 
que  volet,  ntendnm  :  non  nisi  leni  gestatione 
corpus  agitandum,  el  prò  genere  mali  pubve- 
niendum.  Nata  si  venter  fluii,  sul  si  stoma- 
chni  non  contine!,  ubi  febris  decreti t,  libera- 
litcr  oportel  aquam  tepidara  potui  dare,  et 
vomere  cogere  ;  nisi  sol  fauces,  sul  p 
d  a,    ni  I  itui  dolet,  aul  fetui  morbus  est. 


Si  \   ;  ■   odoi  '  v  i'  et,  duranda  cutis  esl  ni- 
tro, vel  s  ile,  qnae  cura  ntur  :  a 

id  \  iiiuiii  «  it,  oleo  <•  m  pus  ungendura  ;  si 
1,1  el  melino,  r<  I  mj  rleo,  cui 
\  umili  .ni «.il -ru ni  sii  idjei  tura.  Quisquis  autera 
(loore  ara  venil  in  balneum,   prius 

ungi  :.  ni  solium  demillendus  est, 

Si  in  <  nte  rilium  est,  ti  igida  quoque,  quam 
(  ilìd  i  aqa  «  roelia  i  ul(  tur.  I  bi  ed  cibura  ven- 
tiiiii  <  si.  il. ii  i  «III-    i  la 

\.  qui  quam  minime  con  uropi  possi», 
I  usici  ara,  \  ci 

;  i    pn  flui 


non  manca .  ne  1"  appetenza,  non  si  deve 
stimolalo  colla  varietà  onde  non  incontri 
eh"  e1  mangi  più  di  quello  pud  digerire.  Nò 
vero  è  ciò  che  per  lui  si  va  dicendo  concuo- 
cersi più  facilmente  i  variali  cibi  :  più  facil- 
mente in  vero  si  mangiano,  ma  la  digestione 
dipende  dalla  qualità  e  misura  loro.  Ne  è  cosa 
priva  di  pericolo  riempir  di  cibo  il  malato  fra 
gagliardi  dolori,  od  a  malattia  tuttor  crescente, 
sì  lune  allorquando  cadendo  quella  incomin- 
cia a  sorridere  la  sanità. 

A  "ha  eziandìo  altre  rilevanti  osserva/ioni 

nella  cura  delle  febbri.  E  d'  uopo  è  vedere  pur 
anco,  il  che  per  molti  tiensi  per  l1  unica  iosa 
essenziale,  se  il  corpo  è  rigido  o  rilasciato. 
1/  uno  ilei  quali  ne  soffoga,  1"  altro  ne  esauri- 
sce. Laonde  se  è  rigido,  si  deve  con  cristei 
muovere  il  venire,  provocare  l'orina,  incitare 
per  Ogni  modo  il  sudore.  In  questa  razza  di 
mali,  giova  pure  il  trar  sangue,  scuotere  il 
corpo  con  violente  gestazioni,  esporlo  a  gran 
luce,  prescriver  fame,  scie,  vigilia.  Ed  è  utile 
ancora  tradurlo  al  bagno,  farlo  bagnare,  indi 
ungerlo,  e  di  nuovo  farla  rientrare  nel  bagno; 
le  anguinaia  fomentar  di  molt' acqua  calda: 
alcuna  volta  anche  mescolare  dell1  olio  all'a- 
cqua calda  del  bagno,  prender  tardo  e  di  ra- 
do cibo  leggiere,  semplice,  molle,  caldo,  parco 

e  principalmente  di  erbaggi,  quali  il  lapato, 

rorlica.    la  malva,    ovvero   anche  il  SUgO  delle 

conchiglie  o  de1  muscoli,  o  delle  locuste,  e  la 
carne  non  sia  in  altra  guisa  che  allessa,  sfa  la 

bevanda  deve   essere  più    liberale,  e.  innan/i   e 

dopo  il  pasto,  e  fra  questo  anche  oltre  al  bi- 
sogno   della    scie  :  e  si  può   dare   ali"  uscir   del 

bagno  del  vino  grasso  o  dolce,  fra  cui  inter- 
porre pò  trassi  una  nata  o  due  vino  greco  sa 
lato.  Al  contrario  se  il  corpo  è  rilascialo,  con- 
vien  raffrenare  il  sudore,  lasciando  a  sua  posta 

dormire    il  inalalo,   in   pieno    riposo   ed    all' o- 

scuro,  non  agitare  il  suo  corpo  se  non  per 
soave  gestazione,  ed  i  seconda  del  male  por- 
gerli sovvenimento.  Imperocché  se  \"  ha  diar- 
ie.! o  vomito  tOSlO  «die  la  lebbre  sia  menoma- 
la, si  coni  ien  dare  ■■  bei  e  acqua  tiepida  in 
grande  copia,  e  far  che  vomiti,  purché  non 
dolgano  le  fauci,  i  precordi  od  itati, oche  il 
male  non  sia  inveterato. 

v  l'infermo  suda,  devesi  costipare  la  cu- 
li nitro  o  con  sale,  giunti  e  mischiati  al- 
l'olio. Se  i  sudori  sono  discretti,  basta  ungere 
d'.olio  iljcorpo  ;  se  strabocchevoli,  d'ole  rosa- 
la, <»  melino,  0  illirico,  ;,  cui  mio  del 
\iiiii    austero.    <    li  i  un>  |  ne  si  1 1  '<  >v  a    interino  per 

i  il  a  si  iatezza,  pervenuto  chi  i  d(  Ile 

•  m  e,  deve  ungersi,  dipoi  enti  -^'  uel  ba  - 

fUO.  Se   il   male  ita    114  Ila   eule.     pi  .  ii  i  ibile  sai   i 

I  .,,  qua  fredda  alla  calda.  1/  alimento,  giunta 

li  darlo,  d.ve  darsi  foi  I  ■.  freddo, 
iernpli<  e.  i  he  pochissimo   ^i  t  ori  orapà,  pane 
i    ,  ,,i  ne  ••!!.    a,  vino  austero,  o  che  vi 


cium  ; 
eridum 


DELLA   MEDICINA  QD 

si  sudores  nocent,  vomitusve  sunt,  fri-     si  accosti ,  e  caldo  se  sciolto  è  il  ventre  ,  e  se  i 


Caput  vii.  —  Quomodo  pestilentesfebres  cu- 
rar i  debeant. 

i.  Desiderai  eliara  propriam  animadver- 
sionem  in  febribus  peslilentiae  casus.  In  hac 
minime  utile  est,  aut  fame,  aut  medicamentis 
uii,  aut  ducere  alvum.  Si  vires  sinunt,  sangui- 
noia  mittere  optimum  est  ;  praecipue,  si  cura 
dolore  febris  est  :  si  id  parum  tutum  est;  ubi 
febris  levata  est  vomita  pectus  purgare.  Sed 
in  hoc  maturius,  quam  in  aliis  morbis,  ducere 
in  balneum  opus  est;  vinum  calidum,  et  me- 
racius  dare,  et  omnia  glutinosa  ;  inter  quae 
carnem  quoque  generis  ejusdem.  Nam  quo  ce- 
lerius  ejusriiodi  tempeslales  corripiunt,  eo  ma- 
turius auxilia,  etiam  cum  quadam  temerità  te, 
rapienda  sunt.  Quod  si  puer  est,  qui  laborat, 
ncque  tantum  robur  ejus  est,  utsanguis  mitti 
possit,  cucurbitulis  ci  utendum  est  ;  ducenda 
alvus  vel  aqua  vel  ptisanae  cremore  ;  tum  de- 
mum  levibus  cibis  nutriendus.  Et  ex  loto  non 
sic  pueri,  ut  viri,  curari  debent.  Ergo,  ut  in 
alio  quoque  genere  morborum,  parcius  in  bis 
agendum  est;  non  facile  sanguinem  emillere, 
non  facile  ducere  alvum,  non  cruciare  vigilia, 
fa  me  ve,  aut  nimia  siti,  non  vino  curare.  Vo- 
mitus  post  febrem  eliciendus  est  :  deinde  dan- 
dus  cibis  ex  levissimis  ;  tum  is  dormiat  ;  po- 
steroque  die,  si  febris  manet,  abslineatur;  ter- 
tio.  ad  similem  cibum  redeat.  Dandaque  ope- 
ra est,  quantum  fieri  potest,  ut  inter  oppor- 
li! nam  abstinentiam  cibosque  opportuno»,  o- 
uiissis  ccteris,  nulriatur. 


Curatio  ardentis  febris. 

2.  Si  vero  ardens  febris  extorret,  nulla 
medicamenti  danda  portio  est;  sed  in  ipsisac- 
cessionibus  oleo  et  aqua  refrigerandus  est, 
qnae  miscenda  raanu  sunt,  donec albescant  ; 
eo  conclavi  tenendus,  quo  mullum  et  purum 
sereni  trabere  possit;  neque  mullis  vestimen- 
lis  itrangulandus,  sed  admodum  levibus  tan- 
tum velando*  est.  Possunt  etiam  super  stoma- 
ebum  imponi  folia  vifis  in  aqua  frigida  lincia. 
Ae  ne  citi  quidem  nimia  vexandus  est.  Alen- 
dns  maturius  est,  id  esl  a  die  ter  ti  o  ;  el  aule 
cibua  iisdem  perungendus.  Si  pituita  in  sto- 
macho  coiii.  inclinala  j.nn  accessione,  vomere 

COgendus  esl  :  Inni  .laudimi  l'i  iridimi  olus.  ani 

poraum,  ex  iis,  quae  storoacho  conTeniunt.  Si 

siccns  nianci  storaachus,  protinus  rei  ptisanae 
vc|  alicae,  vel  oryzae  cremor  dandus  est,  cum 
qua  recena  adeps  cocla  sii.  Cum  vero  in  sum- 


iudori  nojano,  o  vi  sono  vomiti,  freddo. 

Cap.  vii.  —  Di  qual  modo  si  debbano 
curare  le  febbri  pestilenziali. 

i.  Una  febbre  di  carattere  pestilenziale 
esige  una  speciale  osservanza.  In  essa  non  è 
utile  l'inedia,  i  medicamenti,  o  i  cristeri.  Se 
le  forze  il  consentono,  meglio  di  tutto  è  il 
trar  sangue,  massimamente  ove  la  febbre  sia 
con  dolore;  se  ciò  è  cosa  poco  sicura,  attutala 
che  sia  la  febbre,  purgare  lo  stomaco  col  vo- 
mito. Ma  in  questa  più  presto  che  in  altre  ma- 
lattie, devesi  usare  il  bagno,  dare  vino  caldo  e 
pretto,  alimenti  glutinosi  fra  cui  anche  la  car- 
ne della  medesima  qualità.  Imperocché  quan- 
to più  prontamente  malattie  di  questa  falla 
uccidono,  tanto  più  tosto  devesi  ricorrere  ai 
presidi  dell1  arte  anche  con  certo  qual  ardi- 
mento. Che  se  ne  è  gravato  un  fanciullo,  uè 
tanta  forza  è  ih  lui  da  sostener  la  sanguigna, 
gli  si  pongono  le  coppette,  gli  s1  inietlano^ri- 
steri  d'acqua  pura  o  di  decozione  d'  orzo,  e 
nutresi  indi  poscia  di  leggieri  cibi.  Ma  i  fan- 
ciulli non  si  devono  così  curare  come  le  per- 
sone adulte.  Adunque  non  altrimenti  che  in 
ogn'  altra  genìa  di  morbi,  devesi  intorno  ad 
essi  agire  con  più  di  ritenutezza,  non  trar  lo- 
ro sangue  sì  agevolmente,  né  sì  agevolmente 
muover  loro  il  ventre,  non  gravarli  colla  ve- 
glia, colla  fame  o  con  sete  eccessiva,  né  medi- 
cmarfi  con  vino.  Appresso  la  febbre  si  provo- 
ca il  vomito,  dipoi  si  amministra  un  alimento 
de  più  tenui,  indi  si  fa  che  dormi,  ed  alla  di- 
mane se  persiste  la  febbre,  stia  in  astinenza 
poi  al  lerzo  dì  ritorni  all'uso  di  un  simigliati- 
te  alimento.  E  bisogna  fare,  per  quanto  sf  può, 
che  tra  1  opportuna  astinenza,  lasciale  le  altre 
cose,  e  sia  con  aggiustato  cibo  nudrilo. 


Cut 


delle  febbri  ardenti. 


2.  Se  febbre  ardente  ne  abbrucia,  non 
devesi  dare  alcuna  pozione  medicinale,  ma 
negli  stessi  accessi  rinfrescare  il  malato  d'olio 
e  d  acqua  che  giunti  insieme  si  agitano  colla 
mano  si  che  biancheggino  :  e  devesi  tenere  in 
una  stanza,  in  cui  possa  respirare  moli' aria  e 
pura:  ne  aggravarlo  di  troppe  coperte,  ma 
coprirlo  appena .delle  più  leggieri.  Si  possono 
ancora  porre  alla  regione  dello  stomaco  foglie 
d.  vile  bagnale  di  tresca  acqua,  ne  Io  si  deve 
cruciare  lasciandolo  eon  soverchia  sete.  Si 
convien  cibarlo  piùpresto,  cioè  sul  terao  dì, 
ed  avanti  il  mangiare  ungerlo  colie  medesime. 
cose.  Se  una  congerie  di  pituita  ingombra  lo 
stomaco,  declinala  la  febbre,  devesi  far  vomi- 
tare, indi  fargli  prende,,,  qualche  ri n fricati- 
vo erbaggio,  od  alcuno  t,a  quei  frutti  che  so- 
no dello  stomaco  amici.   Se  lo  stomaco  conti- 


98  C    B    L 

ino  incremenlo  morbus  est,  silique  non  ante 
quattoni  dieta,  Basasse  siti  antecedente.,  frigi* 
tia  equa  copiose  praestanda  est,  ut  bibat  etiara 
ultra  wlietatem;  et  cimi  jam  ventai  et  prae- 
cordia  ultra  modino  repleta,  satisque  refrige- 
rata Mint.  vomere  debet.  Quid, mi  ne  voniitum 
quidem  exigunt  ;  sed  ipsi  sepia  frigida  tau- 
luui.  ad  sstaptaacin  data,  prò  medicamento  u- 
tuntur.  Lhi  otraunlibet  l'aduni  est,  multa  ve- 
ste operini'lu-.  est,  e!  col]  randa*,  ut  dormiate 
Pensassi  posi  kmajaia  sitini  el  vigiliam,  post 
muliam  sUsisHibÌ,  posi  infraetum  caloreim, 
piemia  somnus  venit,  per  quera  ingens  sudov 
esfunditur;  ì  •  I  •  1 1 1  « >  praesentissimnm  auxilium 
!  in  iis  Issaste*,  in  qui  bus  praeter  ardo» 
rem.  nulli  dolorcs,  nullo*,  praecordiorum  Iu- 
nior; mliil  prohibens,  voi  in  thorace,  vel  in 
polmone,  rei  in  faucibus  ;  non  ulcus,  non  de- 
j«  < -ilo.  non  proflnviaai  alvi  imi.  Siqaisantem 
in  hai  ju  smodi  sebve  leviter  tussit,  is  neqne  ve- 
li'-inrnii  siti  1  assflàilaliii,  neqnc  bibere  squam 
trigidam  debel  :  sed  eo  modo  eurandua  est, 
«pio  in  ceteris  febribua  praecipitur. 


ima  ad  essere  riscaldato,  vuoisi  incontanente 
somministrare  creraor  «li  riso,  o  «li  spella,  o 
<1"  orzo,  nel  quale  siasi  bollita  adipe  fresca. 
Quando  poi  la  febbre  è  giunta  al  suo  col- 
mo, non  però  prima  del  quarto  dì.  precedu- 
tane una  grande  arsura,  necessario  è  dare  al- 
l' animai. ilo  acqua  fresca  in  molta  copia,  af- 
finchè n<'  beva  oltr' anche  la  saturante  :  c<\ 
allorché  il  ventre  ed  i  precordi  si  trovano  fuor 
di  moilo  ripieni,  e  sufficientemente  rinfresca- 
li, comico  che  vomiti.  Alcuni  non  fanno  nep- 
pur  vomitale,  ma  scrvonsi  dell1  islessa  acqua 
fredda  per  medicamento  data  tino  a  ripienez- 
za. Falle  entrambe  queste  cose,  vuoisi  coprir 
bene  il  malato  e  lasciarlo  dormire.  Quasi  sem- 
pre addiviene  ebe  appresso  sì  Lunga  sete  e  vi- 
gilia e  lantii  sa/.iclà  e  tanlo  e. dorè  ammorza- 
to, ne  succeda  un  pieno  sonno,  pel  (piale  un 
piotilo  sudore  si  effonda,  lo  che  è  un  sovve- 
niinenio  più  efficace  e  favorevole  d'ogn1  altro 

in  quelle  trilliti  però,  nelle  (piali  oltre  T  ardo- 
re non  v"al)l)iano  dolori  ninni,  e  ninna  tumi- 
de//;» ;ii  precordi  e  ninna  contraria  indicazio- 
ne o  nel  petto  0  nei  polmoni  0  indie  lanci, 
non  esulcerazione,  non  abbattimento  delle 
non  profluvio  alvino.  Se  poi  in  questa 
specie  di  febbre  altri  è  gravato  da  lieve  tosse, 
non  si  tormenti  con  sete  crudele,  uè  ì;1ì  si  mi- 
nistri acqua  fresca  a  bere,  ma  vuoisi  curare 
coinè  si  addila  nelle  altre  febbri. 


C.vpit  vili.  —  Citrullo  iemitertiamae  Jebris    Cai*,  mh.  —  Cura  della  febbre  semitertana^ 
f/uae  tiuir^traì'ov  dicitur.  la  quale  emitri  tea  si  appella* 


Al  uhi  id  !_'einis  tertianae  est,  quod  if/u#- 
T?iraìov  medici  appellant,  magna  cura  opus 

,st.    ne  id  fallai.    Ililiet  eniin    pici  ininpie    f're- 

ejuentiores  accessionei  deeessionesque,  ut  alimi 
mori. i  genus  viderì  possit  :  porrigiturque  fe- 
l»ris  inier  borei  vigiliti  qnatuor,  et  tri  gin  ts 
sei  :  ni.  quo  I  idem  est.  non  idem  esse  vidca- 
tur.  El  magnopere  necessarium  est,  neqne  da- 
ri  cibum,  nisi  in  ea  remissione,  quae  vera  est: 

«•!  ulti  e.i  venìt,  prolinns  d.iri  :  plnriiniq  ne  sub 

alterutro  curanti*   errore  subito  roonuntur. 

1  magnopei  e  aliqui   rei  prohibet,  inter 

ini  ti. «  sanguinis   midi  debel  :   Ioni  da  ri  uibus, 

qui  ncque  incitel   febrem,  el   laraen  kongom 

|    1 1  min  siisline.it. 


Bla  (piando  sia  quella  ragion  di  febbre 
terzana,  clic  i  medici  chiamano  emitritea^ 
mestieri  è  di  grande  attenzione  per  non  in 
pannarsi.  Conciossiachè  avendo  esss  per  lo 
più  frequentissimi  gli  accessi  ed  i  declinamen- 
ti.  potrebbesi  leggermente  prendere  per  un. 1 
altra  specie  di  m. de.  e  durando  alcuna  volta 
ventiquattro  ore    ed   alcun1  ali ra    trentasei, 

pini  parerne  un'altra  inani  -ra  di   febbre  men- 
ti- e  la  stessa.  Ivi  e  di  massima  importanza  non 

dar  mangiare  se  non  nella  remissione  vera,  e 

d;irlo  tosto  che  sia  venula:  moltissimi  sono 

Coloro    (die    incoili. mente    li    111110)0110    per    lo 

sbagliare  che  fa  il  curante  nell'una  o  nell'ai 
tra   di  queste   cose.    I.  deve  i.   salvochè   noi 
proibisca  qualche  forte  ragione  contraria,  isti- 
tuire il  -d. isso,  e  quindi  somministrare  un  ali- 

meuto  «'In    non  esacerbi  la  t.  bbi  e,  ma  ) I 

sostenga  n<  U i  lunga  durazione  di  essa. 


1 


(Hi, it\<>  itiìtiirum  febrium. 


< 


i\. —  Cairn  <b!le  Iruti  febbri. 


n  onii  n  ni  [uam  <  iit  m  lentae  t-  In  e,  rine  ul-  Incontra   talvolta  clic  il  co  pò  sia  p 

.H    neqne  cibo,  duto  da  lente  febbri  che  non   rimettono  mai, 

ncque  ul  li  remedio  1 i  est    In  hoc  casu  im  e  che  non    danno    luogo  n<    al    nutrimento, 

i-  ,\i  I.--I.   Bt   mot  h'iin   uni  l'I        fisi  '  '  ìmcdio.     In    <]•■• 

Urne  cium  curalioni  •  studiar)  di  in  cambia  n  natui  t  i 


DELLA    MEDICINA 


igitùr  ex  aqua  frigida,  cui  oleum  sit  adjeetum, 
corpus  ejus  pertraetandum  est,  quoniam  in- 
terdirai sic  evenit,  ut  horror  oriatur,  et  fiat 
initium  quoddam  novimolus;  exque  eo,  cuni 
magis  corpus  incaluit,  sequatur  etiara  remis- 
sio.  In  bis  frictio  quoque  ex  oleo  et  sale  salu- 
bris  vide  tur. 


At  si  diu  frigus  est,  et  torpor,  et  ja- 
ctalio  corpo  ri  s,  non  alien  um  esl,  In  ipsa  te- 
ore  dare  mulsi  tres  aut  quatuor  cyathos,  vel 
cum  cibo  vimini  bene  dilutum.Intenditur  enim 
saope  ex  eo  febris  ;  et  major  orlus  calor  simul 
et  priora  mala  tollit,  et  spera  remissioni*,  in- 
que  ea  curationis  o^tendit.  Neque,  Hercules, 
ista  curatio  nova  est,  qua  nunc  quidam  tradi- 
tos  sibi   aegros,  qui  sub   cautioribus   inedicis     ed  in  essa  quella  eziandio  di  un  compiuto  ri- 


97 

le  :  così  si  renderà  forse  meglio  disposto  al- 
la medicatura.  Si  deve  impertanlo  alcuna  vol- 
ta strofinare  il  corpo  del  malato  con  acqua 
fredda  mista  a  dell1  olio  :  giacche  infrequen- 
te non  è  che  ne  nasca  un  certo  brivido,  e  che 
sia  principio  di  un  novello  commovimento  : 
e  da  ciò  tanto  maggiore  ne  subentrerà  la  re- 
missione quanto  più  il  corpo  si  riscaldò.  'La 
fregagione  d1  olio  e  sale  sembra  pur  salutifera 
in  queste  febbri. 

Ma  se  da  lunga  pezza  v'ha  freddo  e  torpore 
ed  agitamento  della  persona,  non  è  discon- 
venevole in  tempo  della  febbre  stessa  porgere 
tre  o  quattro  bicchieri  di  vino  mulso,  ovvero 
vino  ben  innacquato  fra  pasto.  Dal  che  la  feb- 
bre spesse  volte  si  esacerba,  on deche  ed  un 
maggior  calore  sorgendone  i  primitivi  mali 
rimuove,  e  speranza  ne  dà  d1  una  remissione, 


trahebantur,  interdura  contrariis  remediis  sa 
nant.  Siquidem  apud  anliquos  quoque  ante 
Herophilum  et  Erasistratum,  maximeque  post 
Hippocratera  fuit  Petro  quidam,  qui  iebrici- 
tautem  hominem  ubi  acceperat,  multis  vesti- 
mentis  operiebat,  ut  simul  calorem  ingentem, 
sii  inique  excilaret  ;  deinde,  ubi  pauldm  rem  it- 
ti coeperat  febris,  aquara  frigida m  polui  da- 
bat  ;  ac,  si  moverai  sudorera,  explicuissc  se 
aegrum  judicabat  ;  si  non  moverai,  plus  etiani 
aquae  frigidae  ingerebat,  et  tura  vomere  co- 
gebat.  Si  alterutro  modo  febre  libera  vera  t, 
prolinus  suillam  assam,  et  vimini  homini  da- 
bal:  si  non  libera  vera  t,  decoquebat  aquam  sa- 
le adjecto,  eamque  bibere  cogebat;  ut  moven- 
do venlrem  purgaret.  Et  intra  haec  omnis 
ejus  medicina  erat  :  eaque  non  minus  grata 
fuit  iis,  quos  Hippocratis  successores  non  re- 
fecerant,  quam  nunc  est  iis,  quos  Herophili 
vel  Erasistrali  aemuli  diu  tractos  non  expe- 
dierunt.  Neque  ideo  tamen  non  est  temeraria 
ista  medicina  ;  quia  plures,  si  protinus  a  prin- 
eipiis  excepit,  interimit.  Scd  cum  eadem  o- 
mnibus  convenire  non  possint.  fere,  quos  ra- 
tio non  restituita  temer i la s  adjuvat.  Ideoqué 
ejusmodi  medici  roelius  alienos  aegros,  quam 
snos,  nutriunt.  Sed  est  circumspecli  quoque 
hominis,  et  novare  interdum,  et  augere  mor- 
bini), ci  febres  accendere;  quia  curaliom -in, 
ubi  i<l.  quòd  est,  non  recipit,  potest  recipere 
id,  quod  fulurum  esl. 


Celso. 


sanameli  lo.  Questa  foggia  di  medicatura  non  è 
nuova  altrimenti,  mentre  ccn  essa  più  fiate 
addivenuto  è  the  certi  con  contrari  rimedi 
risanano  ammalati  gillatisi  loro  in  braccio,  i 
quali  sotto  medici  soverchio  cauti  si  traevano 
in  lungo.  E  di  vero  gli  antichi  anche  prima 
di  Erofìlo  e  di  Erasistralo,  ed  in  ispecie  appres- 
so Ippocrate  fuvvi  un  certo  Petronio,  il  quale 
dappoicchè  vernagli  affidato  mi  febbricoso,  di 
molte  coperte  il  copriva,  acciocché  un  gran 
calore  ad  un  tempo  e  sete  se  gli  eccitasse  ;  in- 
di dacché  alquanto  la  febbre  cominciava  a 
declinare,  dava  a  bere  dell1  acqua  fredda,  e  se 
a  caso  muovea  il  sudore,  tenea  per  fermo  di 
avere  già  sbarazzato  l1  infermo  :  se  poi  noi 
muovea,  una  maggior  copia  d'acqua  tresca 
facevagli  avvallare, ^oi  forza  va  lo  a  recere.  Se 
avveniva  che  o  in  un  modo,  o  nell1  altro  e1  si 
liberasse  dalla  febbre,  di  J> restate  appresta*" 
faceva  al  paziente  della  carne  di  porco  arrostita 
e  del  vino.  Ove  poi  liberalo  non  si  fosse  altri- 
menti, bolliva  dell1  aequa  con  sale,  e  questa 
faceva  bere  al  malato,  acciocché  muovendogli 
il  ventre,  venisse  a  ripurgarsi.  Ed  infra  i  ter- 
mini di  queste  cose  lutti  vi  ristringeva  la 
medicatura  sua  :  e  questa  noii  tanto  fu  in  altri 
tempi  giovativa  a  quelli  che  dai  Seguaci  d1  Ip- 
pocrate non  poterono  essere  sanali,  quanto  lo 
è  presentemente  a  coloro,  cui  gli  emuli  d'E- 
rotìlo  e  di  Era.sislratohanno  per  lunga  stagione 
indarno  curato.  Né  lascia  però  questo  modo  di 
medicare  d' essere  temerario,  perocché  assai 
ne  uccide,  ove  si  metta  in  uso  fin  da  principio. 
Ma  non  polendo  le  medesime  cose  a  tulli  in- 
distintamente convenire,  ne  avviene  talora  che 
la  temerità  sovvenga,  a  quelli,  cui  ;t  curare  non 
volsero  il  senno  e  la  ragione.  Il  perché  medi- 
ci di  questa  tempra  meglio  gli  liti  ni  malati  cu- 
rano che  noni  propri.  Ma  si  pertiene  <n\  un 
canto  ed  iacaitrito  medito  e  cangiare  tal  fiata, 
«d  au montare  la  malattìa,  <  le  febbri  riaccen- 
dere :  perocché  la  situazione,  ta  chr  si  ritrova 

i3 


yS  «     B     »     S    O 

V  infermità  non  ammette   cura,    e  può  >ì  am- 
metterla quella,  che  è  per  venirne. 

CAPfT  x.  —  Remedia  infebrìbus  ad  capitis     C.uw.  —  Rimedi  al  dolor  del  capo,  alt in- 
dolore™, et  praecordiorum  infiammatio-        Jì '  immazioim  dei  precordi ,  ed  all'  aride** 

neni,  et  ariditatem,  et  scabritiem  linguae.         za  e  scabrosità  citila  lingua  nelle  febbri. 


Considerandura  csl  etiam,  febresne  solae 
sint,  an  alia  quoque  bis  mala  accedati!  ;  id  est, 
nuno  capul  doleat,  unni  lingua  aspera,  num 
praecordia  intenta  sint.  Si  capitis  dolores  sunt, 
rosam  cum  areto  nascere  oportet,  et  in  id  in- 
gerere  :  deinde  babere  duo  pittacia,  quae  fron- 
tis  latitudinem,  longitudinemque  aequent  ;  ex 
his  invicem  altorum  in  aceto  et  rosa  habere, 
alternai  in  fronte  ;  aut  intinctam  iisdem  la- 
nani  succidano  imponere.  Si  acetum  ofièndit, 
pura  rosa  utendum  est;  si  rosa  ipsa  laedit, 
oleo  acerbo.  Si  ista  parum  juvant,  teri  potest 
vel  iris  arida,  vel  nuces  amarae,  vel  quaelibet 
herba  ex  refirigerantibus  :  quorum  quidlibet 
ex  aceto  impositum,  dolorem  minuit  ;  sed  ma- 
gia aliud  in  alio.  Juval  etiam  panis  cum  papa- 
vere  injectus  ;  vel  cum  rosa,  cerussa,  spumavo 
argenti.  Ollacere  quoque  vel  serpyllum,  vel 
anethum,  non  alienum  est.  At  si  in  praecordiis 
infiammatio  et  dolor  est,  primo  superimpo- 
oenda  »unt  catapUsmata  reprimemiia  ;  "e,  si 
calidiora  fuerint,  plui  eo  materiae  concarral  : 
deinde)  ubi  prima  infiammatio  se  remisi!,  tunc 
demum  ad  calida  et  humida  veniendum  esl  ; 
ut  «■  \.  quac  remanserunt,  discuti ant.  Nolte  ve- 
ro inflammationis  midi  quatuor,  rubor,  et  Iu- 
nior, cum  calore,  fi  dolore.  Quo  magis  erraTil 
Erasistratos,  qui  febrem  nullam  sin,-  hac  <,sM> 
dixit  Ergo  si  vinc  infiaiftmatione  dolor  est, 
niliil  imponendum  est  :  lume  enim  statini  ipsa 
teoria  solvei,  4.1  sì  ncque  infiammatio,  neque 
febris,  sed  tantum  praecordiorum  dolor  est. 
protinus  calidis  ei  siccis  fomentis  titi  licet.  Si 
vero  lingua  ricca  et  icabra  est,  detercrenda 
primum  penicillo  esl  ex  aqui  calida  :  demde 
ungenda  mixtis  inter  se  rosi  et  incile.  Mei  pur- 
gai, rota  reprimi t,  tiro  nlque  liccescere  non  si- 
nii.  Ai  si  icabra  non  est,  sed  arida,  ubi  peni- 
culo  detersa  esl  :  ungi  rosa  debet,  cui  cerae 
p. minili  sii  adjectum. 


Devesi  esaminare  ancora,  se  la  lebbre  sia 
sola,  ovvero  se  ad  altri  mali  congiunta:  per 
esempio  se  dolga  il  capo,  se  sia  aspra  la  lingua, 
se  tesi  i  precordi.  Se  duole  il  capo,  d1  uopo  è 
mescolale  insieme  aceto  ed  olio  rosato,  e  su  di 
quello  versarlo  :  avere  poi  due  pezzuole  di  li- 
no che  la  larghezza  e  la  lunghezza  adeguino 
della  fronte,  e  ili  queste  tenerne  a  vicenda 
l1  una  in  olio  rosalo  ed  in  acelo,  1"  altra  sulla 
fronte  :  ossivvero  apporvi  lana  sucida  intinta 
nel  miscuglio  istesso.  Se  Pacato  irrita,  liscias- 
si puro  olio  di  rosa  ;  e  se  questo  pure  la  male, 
si  adopera  olio  acerbo.  Se  queste  cose  poco  al- 
leggino, si  può  pestare  iride  secca,  o  noci 
amare,  o  qualunque  erba  delle  rinfrescatile  ; 
ciascuna  delle  quali  cose  in  aceto  infusa  ha 
proprietà  di  sminuire  il  dolore,  ma  V  una  il 
farà  pia  d'  un'altra  a  seconda  de1  soggetti. 
Giova  anche  il  pane  immerso  nel  decotto  di 
papavero  ovvero  olio  rosato  con  cerussa,  o 
schiuma  d1  argento.  Utile  è  anche  V  odorare 
il  serpillo  o  P  aneto.  Ma  se  gP  ipocondri  so- 
no  infiammati  e  dolenti  convien  prima  sor- 
porvi  impiastri  ripercussivi,  perchè  se  fossero 
calefattn i  potrebbero i  1  i\ ocare maggior  quan- 
tità di  materia.  Allorché  poi  la  prima  violenza 
della  infiammazione  è  attutata  giova  il  porvi 
robe  calde  e  mollitive,  affinchè  vengano  al  tut- 
to dissipati  i   rimasugli   dell1  infiammamento. 

Oliatilo  sono  i  segni  di  esso,  rossore  e     luini- 

dezza  con  calore  e   dolore:   il  che  dimostra 

«pianto  andasse  erralo  Krasi.strato  il  qnalé  es- 
seri non   darsi   l'ebbre  senza   infiammazione. 

Se  v'ha  pertanto  dolore  seii/a  inliain  ma/  ione, 
non     si    deve    applicar    nulla  ,    ini  perocché    la 

lébbre  medesima  rimuove  «pianto  prima  il  do- 
lore :  e  se  non  v"  ha  né  infiammazione  né  léb- 
bre, ma  soltanto  dolore  ai  precordi,  si  posso- 
no usar  tostamente  fomenti  caldi  e  secchi.  Se 
poi  la  lingua  è  arida  e  icabra,  vuoisi  deterge* 
re  prima  con  pannolino  bagnato  in  acqua  cal- 
da, indi  ungere  di  un  miscuglio  d' olio  rosa- 
to e  ni.  le.  Il  mele  pur-.i.  1*  «ilio  rosato  repri- 
me,   e    al    tempo  istesso  la  che     non     dissecchi. 

1.  se  non  ic  scabra,  ma  sì  arida,  detersa  in 
prima   con  una  pezza,  deve  ungersi  con  olio 

rosalo.  In  CUJ  lia  siala   fusa    ^^    poco    di    cera. 


<    ui   i    \i    —  Rrmviìia    ronli,  i    fi  tgU  v,  0  Uod      Ca».  IL 
fibre*  prue,  tdit. 


—  dira  con  tra  il  freddo  che  pre* 

la  I'  !■'  re. 


Solet  etiam  ante febres <    afri  a   ;  idqae  Suole  innanzi  alle  febbri  venirne  anche  il 

\.l  molestissimum  morbi  genus  est.   Obi  id     freddo, ed  è  esso  stesso  un  male  de* più  mole- 

' alni,  olimi  polionc  prohibendui  atgef    iti.  Quando  si  aap<  Ila  devesi  vietare  al  maialo 


est  :  haec  enim  palilo  ante  data,  multimi  malo 
ndjicit.  Item  malurius  veste  multa  tegendus 
est  :  admovenda  partibus  iis,  prò  quibus  me- 
iuimus,  sicca  et.  calida  fomenta,  sic,  ne  statini 
vebementissimi  calores  incipiant,  sed  panlatim 
increseant  :  perfricandae  quoque  eae  partes 
manibus  unciis  ex  vetere  oìeo  sunt,  eique  adji- 
ciendum  aliquid  ex  calefacientibns  ;  conlenli- 
que  medici  quidam  una  frictione,  eliam  ex 
quolibet  oleo,  sunt.  In  liarum  febrium  remis- 
sionibus  nonnuUì  tres  aut  qnatuor  sorbitionis 
cyatbos,  etiamnum  manente  febre,  dant;  dein- 
de, ea  bene  unita,  reficiunt  stomachimi  cibo 
frigido  et  levi.  Ego  tum  hoc  puto  tentaiidum, 
cuna  parum  cibus,  semel  et  post  febrem  datus, 
prodest.  Sed  curiose  prospiciendum  est,  ne 
terapus  remissionis  decipiat:  saepe  enim  in 
hoc  quoque  genere  valetudinis  jam  minui  fe- 
bris  videtur,  et  rursus  intendi  tur.  ltaque  ei 
remissioni  credendum  est,  quae  eliam  immo- 
ratur,  et  jactationem,  foetoremque  quemdam 
oris,  (\aem  o%nv  Graeci  vocant,  minuit.  11- 
lud  satis  convenit,  si  quotidie  pares  accessio- 
nes  sunt,  quotidie  parvum  cibum  dandura  :  si 
impares.  post  graviorem,  cibum  ;  post  levio- 
rem,  aquam  mulsam. 


DF.LLA    MEDICINA  99 

qualunque  bevanda,  per  motivo  che  ministra- 
ta alcun  poco  innanzi,  accresce  fortemente  il 
male.  Devesi  simigliantemente  coprirlo  bene  e 
per  tempo,  ed  apporre  alle  parti  per  le  quali 
si  teme,  fornente  calde  e  secche,  cominciando 
con  mite  calore,  che  vuoisi  poi  bel  bello  au- 
mentare. Si  strofineranno  inoltre  quelle  parti 
con  mani  unte  di  vecchio  olio,  a  cui  sia  mi- 
schiata alcuna  droga  calefaciente.  Alcuni  medi- 
ci si  contentano  di  una  sola  fregagione  falla  di 
qualsivoglia  olio.  Altri  nelle  remissioni  di  que- 
ste febbri,  avvegnaché  pur  sussista  una  condi- 
zione febbrile,  somministrano  tre  o  quattro 
tazze  di  brodo:  dipoi  cessata  al  postutto  la 
febbre,  restaurano  lo  stomaco  con  cibo  rinfre- 
scativo  e  leggero.  Io  son  d1  avviso  che  sia  da 
far  ciò  quando  il  cibo  dato  una  sola  volta,  e 
dopo  la  febbre  poco  giovi.  Ma  bisogna  atten- 
tamente guardare  per  non  ingannarsi  sul  tem- 
po della  remissione  ;  imperocché  anche  in  que- 
sta generazione  di  mali  spesse  volte  sembra 
che  la  febbre  già  diminuisca,  e  di  nuovo  si  au- 
menta. Per  lo  che  si  deve  credere  a  quella  re- 
missione che  persiste  pur  qualche  tempo,  e 
che  diminuisce  l1  ansietà,  e  quel  tal  fetore  di 
bocca,  detto  grecamente  ozin.  Se  i  parossismi 
sono  ogni  dì  pari,  comunemente  si  conviene 
doversi  dare  ogni  giorno  alcun  poco  di  ali- 
mento :  se  impari  dopo  il  grave,  il  cibo  ;  dopo 
il  lieve,  la  mulsa. 


Caput  xii.  —  Cu  ratio  horroris  infebribus.      Cap.  xii.  —  Cura  del  brivido  nelle  febbri. 


Horror  autem  eas  fere  febres  antecedi t, 
quae  certuni  habent  circuitimi,  et  ex  toto  re- 
mi h.unt.ur  ;  ideoque  tulissimae  sunt,  maxime- 
que  curationes  admittunt.  Nani  ubi  incerta 
tempora  sunt,  neque  alvi  ductio,  neque  bal- 
neum,  neque  vinum,  neque  medicamentum 
aliud  recle  datar.  Incertum  est  enim,  quando 
febris  ventura  sit  :  ita  fieri  potest,  ut  si  subito 
vcnerit.  gamma  in  eo  pernicies  sit,  quod  au- 
xilii  causa  sit  inventimi.  Nihilque  aliud  fieri 
potest,  quam  ut  primis  diebns  bene  abslinea- 
tur  aeger  ;  deinde,  sub  decessu  febris  ejus, 
quae  gravissima  osi.  cibum  sumat.  Atubicer- 
tu>  eircuitus  est,  facilius  omnia  illa  tentali! ur; 
quia  magia  proponere  nobis  et  accessionum  et 
decessionum  vices  possumus.  In  bis  autem, 
ciim  in  velerà  verunt,  utilis  fames  non  est  :  pri- 
mis lanl.ummodo diebus  ea  pugnandum  est; 
deinde-  dividenda  curatio  est,  et  ante  horror, 
tum  febris  discntienda.  Igilur  cum  primum 
aliquis  inliorruil,  et  ex  horrore  incaluif,  dare 
ei  oportet  potai  tepidam  aquam  subsalsam,  et 
vomere  cum  cogere  :  nam  fere  talis  horror  ab 
iis  oritar,  quae  biliosa  in  stomacho  resederunt. 
Idem  faciendum  est,  si  proximo  quoque  cir- 
cui tu  aeque  accessit  :  saepe  enim   sic  Idiscuti- 

lur.  Jamque,  quod  genus  febris  sit,  scile  licci. 
Jlaque  sub  exspeclalionc  proximae  accesàionis 


11  ribrezzo  precede  pressoché  quelle  feb- 
bri tutte,  le  quali  hanno  un  determinato  pe- 
riodo, e  che  intermettono  pienamente:  laon- 
de sono  pochissimo  pericolose,  e  facilissime  a 
risanare.  Conciossiachè  sendo  indeterminati  i 
tempi,  non  si  dariano  convenevolmente  né  cri- 
steri,  né  bagni,  né  vino  o  qualunque  altro  me- 
dicinale :  mentre  è  incerto  quando  la  febbre 
sia  per  assalirne:  onde  può  addivenire  che  se 
subito  sopraggiugne,  riesca  perniciosissimo  al 
malato  quell1  istesso  che  fu  diretto  a  soccorso. 
E  niente  altro  può  farsi,  se"  non  se  tenere  ai 
primi  dì  in  rigorosa  astinenza  V  infermo,  di- 
poi sul  mancare  della  febbre  più  grave  por- 
gergli a  mangiare.  Ma  quando  costante  è  il 
circolo,  più  agevolmente  si  praticano  tutte 
queste  cose,  perocché  meglio  conoscere  pos- 
siamo e  il  tempo  deir  accesso,  e  quello  della 
declinazione.  Ma  in  queste  quando  che  siano 
inveterate,  non  è  utile  la  fame;  con  essa  si  può 
andar  solo  incontro  al  male  ai  primi  giorni  : 
dipoi  devesi  partire  la  medicazione,  e  prima 
cacciare  il  freddo,  indi  la  febbre.  Pertanto  lo- 
stochè  taluno  ebbe  il  ribrezzo,  e  da  questo 
passò  al  calore,  è  necessario  elargii  a  bere  ;i- 

eqna  tepida  un  po' salala,  e  cosi  cingerlo  a  ri- 
gettare, attesoché  cotal  ribrezzo  vuole  ripe- 
tere sua  origine  da  biliose  materie  che  si  sol- 


C    l      I 


quae  tostare  torli. i  potest,  dedueeridus  in  bal- 
ìitiiui  esl  ;  dandaque  opera,  ùl  per  lempus 
horroris  io  solio  sit.  Si  J.»i  quoque  sensori!. 
nihilomiuus  idem  sub  exspectat&one  quartate 
:  àquidem  eo  quoque  modo 

ìs  disoutltur.  Si  ne  balneum  quidem  pro- 
f ii i t.  ani.-  accessjonem  album  edat,  aat  bib.it 
cali  da  Di  aquam  cuna  piperò  ;  siquidem  ea  quo- 

tsumpta  ealorem  movent,  qui  horr  >rera 
non  .ìilmiiti:.  Deinde  eodem  modo,  quo  in  fri- 
ptum  est,  antequam  inhorrescere 
possiti  operiatur:  fomentisque,  sed  protinns  va- 
lidìoribus,  totani  corpus circumdare  conventi, 
ynaximeque  mvolutis  exstinctia  test i>  <^t  litioni- 
1  Si  nihilominus  horror  perruperit,  molto 
«»1«« >  cale&ctd  inte*  ipsa  vestimenta  profìinda- 
tnr,  cui  aeque  ei  caleiacientibus  aliquid  sit  a- 
<  I  i .  •  i  i  » i  1 1 1  ;  adhibeaturque  frictio,  quantam  is  su- 
stinere  poterit,  maximeque  inmanibusel  pe-< 
dibus  ;  et  spiri tum  ipse  oontineat.  Neque  <I« - 
sistendum  est.  etiamsi  Horror  i  -i  :  saepe  enim 
pertinacia  |u va ntis  malora  corporis  vincit. 


si  ipii-!  «vuimiii-  danda  aqua  tepida,  ite- 
rumque  vomere  cogendusest;  utendumque 
eisdem  est,  »I-  •  1 1  <  ••  ■  borrór  finiatur.  Sci  prae- 
ler  haec,  ducenda  alvus  est,  si  tardi us  horror 
quiescel  :  siquidem  id  quoque  exonerato  cor- 
pore  prodest.  I  Ltimaque  post  baec  auxilia 
ioni,  gesta tio  el  frictio.  Cihus  antera  in  ejus- 
modi  morbi]  no  ixime  danduc  est,  qui  mollerai 
alvura  praestet  ;  caro  glutinosa  ;  vinum,  rum 
dabilur,  uuslerum. 


fermarono  nello  stomaco.  Tal  cosa  Tarassi  pu- 
re, se  il  brivido  febbrile  sopravviene  anche  al 
susseguente  parossismo,  perchè  così  spesse  ba- 
ie distogliesi.  l'ai  allora  a  chiarie  si  \  ime  qual 

sorta  'b  febbre  essa  sia.  Pertanto  nell^aspetta-* 
zione  di  un  prossimo  accesso  che  può  soprav- 
venire al  terzo  dì.  si  conduce  1  infermo  al  ba- 
gno, e  si  procura  che  al  tempo  del  ribrezzo 
e' si  trovi  nel  soglio.  K  se  i\i  pure  I  orripila- 
mento  il  prende,  faccia  uulladimeno  lo  stesso 
nelT  espeltazione  del  quarto  accesso, imperoc- 
ché a  questo  modo  si  riesce  talvolta  a  rimuo- 
verlo. Se  non  fa  nulla  nemmeno  il  bagno, 
mangi  deàP  aglio  innanzi  Inaccesso,  ovvero  be- 
va acqua  calda  con  pepe,  lo  quali  cose  muovói 

no  calore,  pel  (piale  si  esclude  il  ribrezzo.  Di- 
poi si  ricopra  prima  che  sopraggiunga  il  brivi- 
do, siccome  detto  fu  doversi  taro  nel  freddo, 
e  si  appongano  subitamente  sul  corpo  tutto 
fomento  di  maggior  forza  preferendo  mattoni 
caldi  e  tizzoni  spenti  involli  in  pannolini.  Se  a 
malgrado  di  tutto  ciò  ne  vorrà  il  brivido,  un- 
gasi tutto  il  corpo  sotto  coperte  con  olio  eal- 
do, a  cui  sia  parimente  unita  qualche  sostanza 

riscaldativi  :     e   facciansegb*    fregagioni   laute 

quante    ne  potrà  sostenere,    e    in    ispe/ialilà   ai 

piedi  e  alle  mani,  od  in  facendole  l1  infermo 
r  a  (tenga  il  fiato.  Nò  si  deve  sospendere,  ancor- 
ché ne  venga  il  brivido  perocché  spesse  volte  la 
ostinatezza  nell'  uso  di  ciò  che  giova,  supera  e 

\  ince  il  malo. 

So  incontra  che  ei  vomiti,  irli  si  dee  por- 
gere acqua  lepida;  e  sforzarlo  i  vomitar  di 

nUOVO,    e  far  USO    de'  medesimi    rimedi    Tino    a 

che  Y orrore  non  dia  fine.  Ma  olirà  questo  ai 

scioglierà  il  venire  eu' erisleri.  (piando  Torro- 

re  tiri  molto  in  lungo,  attesoché  anch'  essi  di 
sgombrando  il  corpo,  apportano  giovamento. 
Gli  estremi  rimedi  appresso  tutti  questi  sono 
la  gestazioni  e  la  fregagione.  Il  nutrimento  in 

malattie  di  questa  natura  sia  tale  che  favorisca 

la  scioltezza  del  ventre  :  e;inic  glutinosa  :  t  \i- 

no,  allorché  sì  darà,  austero. 


I 


\V.    Vili. 


CurcUÌo  q itotul'uinae.  frbris. 


CaP.  \ui.  —  Della  febbre  quotidiana. 


Haec  ad  •  •min  i  cai  i  situi  febrium  perti- 
inni  :  diteernendae  (amen  singulae  sunt,  sicul 
rationem   habenl   dissimilem.    Si   quotidiana 

iduo  primo  ma piopere  ibsl inere  opoi 
set;   tum  cibis  altero  quoque  dienti.  si   rea 
baveli  ■  l  febrem  experirì   balneum 

el  v  iiiiim  ;  magi  que  si   horrore  lublato   li  tee 
apei  est 


Queste  cose  sf^artengono  alle  accessioni 
d.llr  febbri  ì'i  generale;  necessario  però  •  di- 
stinguere le  singole  specie  in  quanto  che  cia- 
scuna  li»  mi  iip"  proprio  e  particolare.  Se  è 
cotidians  bisogna  ai  primi  tre  dì  stare  in  gran- 
de astinenza,  indi  prendere  alimento  ogni  duo 

di  s>  la  lebbre  e  già  in  \  eei  I  o.i  la.  tentare  do- 
po r accesso  il  bagno  e  il  vino,  tanto  più  se  es- 
sa sussiste,  eziandio  rimesso  il  brivido. 


<    ve    viv     —  ('a  rut  io  tiri  intuir   fièHt. 


Si 


e 


—  Pclla  febbre  terzana. 


•i  \  •  ro  tei  i,  ni  i.  •ni  ••■  e\  loto  "ii.  i  mitili.  Se  poi  ••  terzana  squisitamente  intemm- 

■ut  quartana  <   l     liis  diebus,   el   ambula-     tenti    ovvero  quartana,  fa  d'uopo  ni    dì  in- 

tionibus  uti  oportet,  aliisque  exerciutionibu  (are  altri  esercizi  e  le 


il  unctionibus.  Quidam  ex  antiquioribus  rae- 
dicis  Cleophanlus,  in  hoc  genere  morborum, 
inulto  ante  accessionem,  per  caput  aegrum 
multa  ealida  aqua  perfundebat,  deinde  vinum 
dabat.  Quod,  quamvis  pleiaque  ejus  viri  prae- 
cepta  secutus  est  Asclepiades ,  recte  tamen 
praeteril  :  est  enim  anceps.  Ipse,  si  tertiana  fe- 
bris est,  tertio  die  post  accessionem  dici!  al- 
vuin  duci  ©pectore;  quinto,  post  horrorem 
vomitimi  elicere  ;  deinde  post  febrem,  sicut  ilìi 
mos  fiat,  adhuc  calidis  dare  cibimi  et  vinum; 
sesto  die,  in  lectulo  detineri  :  sic  enim  fore, 
ne  septimo  die  febris  accedat.  Id  saepe  fieri 
posse,  verisimile  est.  Tulius  tamen  est,  ut  hoc 
ipso  ordine  ulanmr,  tria  remedia,  vomitus,  al- 
vi ductionis,  vini,  per  triduum,  id  est,  die  ter- 
tio, et  quinto,  et  septimo  tentare  :  nec  binimi, 
nisi  post  accessionem,  die  septimo  bibat. 

Si  vero  primis  diebus  discussus  morbus  non 
est,  inciditque  in  vetustatem,  quo  die  febris  ex- 
spectabitur,in  ledalo  se  contineat:  post  febrem 
periricetur:  tum,  cibo  assumpto,  bibat  aquam; 
postero  die,  qui  vacai,  ab  exercitalione  un- 
elioneque  aqua,  tantum  contento»,  conquie- 
scat.  Et  id  quidem  optimum  est.  Si  vero  im- 
becillilas  urgebit,  et  post  febrem  vinum,  et 
medio  die  paulum  cibi  debebit  assumere. 


medicina  ioi 

unzioni.  Un  certo  C leofante*  mèdico  antichis- 
simo, spargeva  in  queste  affezioni  molt1  acqua 
calda  sul  capo  del  malato,  dipoi  davagli  del 
vino.  Asclepiade  avvegnaché  abbia  quasi  sem- 
pre seguiti  i  precelli  di  quest'autore,  tutta- 
volta  lia  lodevolmente  trascurato  questo  rime- 
dio, siccome  dubbioso  e  incerto.  Egli,  se  la 
lebbre  è  terzana,  dice,  doversi  al  terzo  dì  do- 
po T  accesso  provocare  il  vomito  :  infine  dopo 
la  febbre  sussistendo  ancora  il  caldo  suo  por- 
gere alimenti  e  vino,  siccome  era  uso  di  fare  : 
al  sesto  trattenersi  in  letto  :  di  tal  modo  esti- 
mava che  la  febbre  non  dovesse  al  settimo  ri- 
tornare. Egli  è  verisimile  che  ciò  possa  alcuna 
volta  addivenire.  Più  sicuro  però  si  è  con  que- 
st1  ordine  far  uso  di  tre  rimedi,  vomito,  criste- 
ri  e  vino  per  tre  dì,  cioè  il  terzo  e  il  quinto  e 
il  settimo:  ne  bere  vino  se  non  dopo  il  paros- 
sismo del  settimo  giorno. 

Se  il  male  non  resta  vinto  ai  primi  dì,  ma 
va  invecchiando,  deve  F  ammalalo  nel  giorno 
in  cui  aspetta  ^'accesso,  tenersi  in  letto  :  dopo 
la  febbre  si  facciano  le  fregagioni,  indi  mangia- 
to che  abbia,  beva  acqua,  e  al  susseguente  dì 
in  cui  è  vacuo  della  febbre,  si  riposi  da  ogni  e- 
sercitamenlo  e  dall'unzione,  ristringendosi  sol- 
tanto a  bere  dell'acqua.  E  questo  è  certamen- 
te il  meglio.  Se  poi  proverà  grave  debolezza, 
dovrà  dopo  la  febbre  prender  del  vino,  e  a 
mezza  giornata  un  poco  d'alimento. 


Caput  xv.  —  Curatio  quartanae  febris.  Cap.   xv.  —  Della  febbre  quartana. 


Eadem  in  quartana  facienda  sunl.  Sed 
rum  haec  tarde  admoduun  finiatur,  nisi  primis 
dieljus  discussa  est,  diligentius  ab  inilio  prae- 
cipiendum  est,  quid  in  ea  fieri  debeat.  Igitur 
si  cui  cum  horrore  febris  accessit,  eaque  de- 
siil.  eodem  die  et  postero  tertioque  continere 
«  '  debel,  ci  aquam  lantumniodo  calidam  pri- 
mo die  post  febrem  sumere;  biduo  proximo, 
quantum  fieripotest .  ne  hanc  quidem.  Si  quar- 
to die  cum  horrore  febris  revertitur,vomere,sic 
ut  ante  praeceplum  est  ;  deinde  post  febrem, 
modicum  cibum  sumere,  vini  quadratitela  ; 
postero  tertioque  die  abstinere,  aqua  tant  am- 
modo (alida,  si  silis  est.  assuuipia.  Septimo  die 
balneo  frigus  praevenire  ;  si  febris  redierit, 
ducere  alvum  ;  ubi  ex  co  corpus conquieverit, 
in  unclione  vehernenter  perfricari  ;  eodem 
modo  sumere  cibum  ci  vinum  ;  biduo  proxi- 
mo-se  abstinere,  frictione  servala.  Decimo  die 
rursus  balneum  experiri;  ci,  .si  postea  febris 
accessit,  aeque  perfricari,  vinum  copiosius  bi- 
bere.  Ac  si  pròximum  est,  ni  quies  tot  dierum 
et  abslinentia    cura  ceteris,    quae   praeeipiun- 

tur,  febrem  tollant.  Si  vero  nibilominus  rema- 
nei.  alimi  ex  loto  sequendura  esl  curationfo 
genus  ;  tdque  agendum,  ut,  quod  din  snsii- 
hendura  est,  corpus  fatile  sustineat.  Quo  mi- 
nili eiiam  curatio  probari  Heraclidis  Tarentini 


Le  medesime  cose  si  devono  fare  nella  quar- 
tana. Ma  poiché  suol  essa  durar  lungo  tempo 
salvochè  non  sia  fugata  in  principio,  d'uopo 
è  al  suo  primo  comparire,  attentamente  deli- 
berare quello  che  vi  si  debba  fare.  Se  la  feb- 
bre imperlanlo  si  affaccia  con  ribrezzo,  subito 
ebe  è  venuta  meno,  deve  il  malato  stare  in 
quiete  quel  medesimo  dì,  e  il  susseguente  e  il 
terzo,  e  prendere  solamente  dopo  la  febbre  al 
primo  dì  dell'acqua  calda,  e  ne'  due  susse- 
guenti neppur  questa  se  è,  possibile.  Se  al 
quarto  ritorna  la  febbre  con  ribrezzo,  recere 
com'è  prescritto  di  sopra,  indi  cessata  la  feb- 
bre prendere  un  modico  cibo,  ed  un  quartuc- 
cio  di  vino  :  il  giorno  dopo  e  il  terzo  si  are  in  a- 
slinenza.  bevendo  solo,  se  ha  sete,  dell'acqua 
calda.  Nel  settimo  giorno  si  deve  col  bagno 
prevenire  il  freddo,  e  se  la  febbre  tornasse, 
fare  un  cristeo,  e  quando  il  corpo  si  sarà  dopo 
tulio  questo  poslo  in  calma,  farsi  nell'unzione 
fortemente  strofinare,  e  nel  medesimo  modo 
mangiare,  e  bere  vino  ;  nei  due  dì  susseguenti 
stare  in  astinenza,  ma  seguitare  la  fregagione. 
Nel  decimo  provare  nuovamente  il  bagno,  e 
se  in  appresso  ritorna  la  febbre,  (are  simi- 
glian temente  le  strofina/ioni,  e  bere  vino  più 
copiosamente.  Cosi  avverrà  cke  il  riposo  di 
lanli  giorni,  e  l'astinenza  giunta  alle  allre  pn  - 


debet,  q-ii  primis  diebui  dneendam  alvum, 
deiode  abstinendam  in  septimura  diero  dixit. 
Onci,  ut  suslinere  aKquis  possit,  tamen,  etiam 
fobre  Liberatus,  vii  rel'eeiioni  valebit  :  adeo,  si 
febris  saepius  aecesserit  ,  concidet  Igitur  si 
tcrlio  decimo  die  morbus  manebit,  balncum 
ncque  aule  fefcrem,  ncque  post  eam  tentan- 
dum  erit  ;  uìm  interdum  jam  horrore  discus- 
so :  horror  ipse  per  ea,  quac  supra  scripta 
sunt,  expugnandus.  Beinde  post  febremopor- 
lebit  ungi,  el  vebementer  perfricari  ;  cibum 
et  validum,  el  fortiter  assumere;  vino  ali 
quantum  libebtl  :  posterò  die,  cum  satis  quie- 
\erit.  ambulare,  exereeri.  ungi,  perfricari  for- 
titer, cibimi  capere  sinc  vino:  tertio die absti- 
n.  iv.  Quo  die  vero  febrem  exspeelabit,  ante 
■urgere,  et  exereeri,  dareque  operano,  ut  hi 
ipsani  exercitationera  febris  tempus  incurrat: 
sic  enim  saepe  Illa  discutitor.  Ai  si  io  opere 
occupavi!,  timi  demoni  se  recipere.  In  ejus- 
modi  valetudine  medicamenta  sunt,  oleum, 
frictio,  exereitatio,  eibus,  vimini.  Si  venter 
adstrictus  est,  solvendus  est.  Sed  haec  facile 
validiores  faeiunt  :  si  imbecillitas  oceupavit, 
pio  exercitatione  gestatio  est:  si  ne  liane  qui- 
d(  ni  suétinet,  adhibenda  tamen  frictio  est:  si 
haec  quoque  vehemens  onerai,  intra  quietem 
et  nnctionem  el  cibami  sistendum  est  ;  danda- 
■ue  opera  est,  ne  qua  cruditas  in  quotidianam 

id  inalimi  verta  L  \am  quartana  neniinem  ju- 

gulal  :  sed  si  ex  ea  facta  quotidiana  est.  in  ma- 
lli aeger  est  :  qnod  tamen,  Disi  culpa  vcl  aegri 
a  vi  (  in  antisj  umquam  hi. 


(..w.  IVI.  —  Curar  in  (ìuarutn  quartana- 


Sì    sì  duae   quartanac  tunt,  ncqui 
quii  proposut,  exen  itationcsadhiberi  possunt; 

;nii  «\  I-.I-.  quiesi  <  i  e  opus  est,  aut,  si  id  diffi 
I,  leni  ter  ambulare  ;  considera  diligen- 
icr  involutii  pedibus el  capite;  quoliei  febris 

•  ibum  modicum   Mimi 
\  inii'ii  ;  i .  !iqno  ti  i  imbecillitai  nr  - 

ibstinare.    \ I    li  dune   febres   pene   jun- 
guntur.  pò  i  utramqoe cibum sumere:  deinde 
1 1  movei  i  -ili  pili  et  p 


LIO 

scritte  cose,  cacciano  la  febbre.  Se.  a  malgrado 
questo,  la  febbre  persiste,  allora  ibrz'è  gii  tarsi 
ad  una  medicina  al  tutto  contraria,  e  adope- 
rare sì  che  il  corpo  facilmente  sopporti  un  male 
che  deve  durar  Lungo  tempo.  Quanto  manco 
perciò  è  d'approvare  la  medicatura  di  Eradi- 
de  da  Taranto,  il  quale  ai  primi  dì  insegnava 
doversi  muovere  di  ventre  co'lavativi,  indi  fa- 
re astinenza  fino  al  settimo  dì.  La  quale  asti- 
nenza ove  pure  altri  sopportar  la  potesse,  a 
gran  disagio  potrebbe,  ancoraché  liberato 
dalla  febbre,  rimettersi  in  forze,  e  tanto  più 
decadrebbe,  se  gli  accessi  febbrili  si  ripetesse- 
ro molle  volte.  Se  adunque  la  febbre  rimarrà 
lino  al  decimoterzo  giorno,  non  dovrà  pro- 
varsi il  bagno  né  aranti  ne  dopo  la  febbre, 
tranne  che  il  brivido  non  sia  già  tolto  di  mezzo: 
il  brivido  istesso  vineesi  per  quei  rimedi  che  si 
sono  esposti  di  sopra.  Dipoi  eessala  la  febbre 
gioverà  ungersi,  e  con  violenza  strofinarsi  , 
prendere  alimento  nutritivo  e  copioso,  bere 
vino  a  sua  posta  ;  nel  susseguente  dì  dopo  es- 
sersi baslevoliiiente  riposato,  passeggiare,  e- 
sercitarsi,  ungersi,  e  fortemente  strofinarsi) 
mangiare  senza  bere  vino,  e  il  terzo  dì  aste- 
nersi. In  quel  giorno  in  che  si  aspetta  la  leb- 
bre, prima  levarsi  dal  letto  ed  esercitarsi,  e 
far  che  il  tempo  dell1  accesso  cada  Dell1  eserci- 
zio istesso  :  perocché  in  tal  guisa  spesse  Tolte 
distogliesi.  Ma  se.  nonostantel'accesso,  soprag- 
giunge nell'ano  dell'esercitarsi,  allora  poi  con- 
viene darsi  al  riposo.  In  questa  infermità  i  ri- 
medi sono  Polio,  la  fregagione,  V esercizio,  il 
cibo,  il  vino.  Se  il  ventre  è  costipato,  devesi 
tenerlo  sciolto,  Ma  queste  cose  agevolmente  l«i 

fanno  i  soggetti  robusti  :  a  rincontro    se    \    lia 

debolezza,  tenga  luogo  d'esercizio  la  gestazio- 
ne, e  se  non  potrà  ut  anche  sopportar  questa, 
(ara  la  fregagione  :  ove  essa  pure  alquanto  ga- 
gliarda lo  aggravi,  forza  è  ristringersi  al  rw 
poso,  all'unzione,  al  nutrimento  :  ed  aver  cura 

Che  questo  male  per  indigestione  non  trapassi 

in  lebbre   eolidiana.    Che    la    quintana    ninno 

ammazza,  ma  se  essa  si  cambia  in  cotidiana,  il 
malato  si  ritrova  i  mal  partito:  il  che  però 
non  addiviene,  se  non  per  colpa  dell'  infermo 

0  del  curante. 

Ca»i  ìvl  —  Della  quartana  doppia. 

Ma  se  l.i  quai  lana  <•  doppia,  e  se  non  si 
possono  usare  quegli  esercizi  che  io  proposi, 
.i  bisogna  riposarsi  interamente,  ovvero  se  ciò 
.'•  malagevole,  pianamente  passeggiare,  poi  se- 
derai tenendo  ben  coperti  i  piedi  e  la  testa: 
tutte  le  volte  che  venuta  e  terminata  è  un1  ac- 
ie,  pigliare  un  moderato  cibo  e  del  \  i  - 
no,  <•  nel  rimanente  tempo  astenersi,  se  non 
prevale  fiacchezza  di  forze*  Ma  te  le  due  ac- 
cessioni quasi  si  to<  i  uno  prendere  alimento 
sci  dopo  la  fine  d' entrambi  s  quindi  nell  uvj 


DKLI.A     UBO  ICC*  A 


io3 


•tionem  cibo  uti.  Cum  vero  vetus  quartana 
raro,  uisi  vere,  solvatur  ;  utique  eo  tempore 
attendendum  est,  ne  quid  fiat,  quod  valetudi- 
nera  impediat.  Prodestque  in  vetere  quartana 
mutare  subinde  victus  genus;  a  vino  ad  aquam, 
ab  aqua  ad  vinoni,  a  lenibus  cibis  ad  acres, 
ab  acribus  ad  lenes  transire  ;  esse  radicem, 
deinde  vomere  ;  jureve  pulii  gallinacei  ven- 
trem  resolvere  ;  oleo  ad  frictiones  adjicere  ca- 
lcfacientia  ;  ante  accessionem  sorbere,  vel  ace- 
ti cyalhos  duos,  Tel  unum  sinapis  cum  tribus 
graeci  vini  salsi,  vel  mista  paribus  portioni- 
bus,  et  in  aqua  diluta,  piper,  castoreum,  laser 
myrrbam.  Per  haec  enim  similiaque  corpus 
agitando»  est,  ut.  moveatur  ex  eo  statu,  quo 
detinetur.  Si  febris  quievit.,  diu  meminisse  ejus 
diei  convenit;  eoque  vilare  frigus  calorem, 
cruditalem,  lassitudinem.  Facile  enim  reverti- 
lur,  nui  a  sano  aliquamdiu  timetur. 


Cap.  ami.  —  Curatio  quotìdianae  febris^ 
quae  ex  quartana  facto,  est. 

At  si  ex  quartana,  quotidiana  facta  est  ; 
cum  id  vilio  incideril,  per  biduum  abstinere 
oportet,  et  friclioue  uti  ;  aquam  tantirmmodo 
vespere  potui  dare.  Tertio  die  saepe  fìt,  ne  fe- 
btis  accedat:  sed  sive  fuit,  sive  non  fuit,  cibus 
post  accessionis  tempus  est  dandus  ;  et  si  nia- 
net,  per  biduum  abstinenlia,  quarta  maxima 
imperali  eorpori  potest,  et  frictione  quolidie 
uleudum  est. 


tervallo  degli  accessi  e  muoversi  alquanto,  e 
appresso  L'unzione  mangiare.  Siccome  poi  ra- 
ro è  che  un'inveterata  quartana  si  sciolga  pri- 
ma della  primavera,  così  è  da  schifare  in  quel 
tempo  tutto  ciò  che  frastornar  ne  possa  la 
guarigione.  E  giova  nell'invecchiata  quartana 
cambiare  di  tanto  in  tanto  qualità  di  vitto  ; 
passar  dal  vino  all'acqua,  e  da  questa  a  quel- 
lo ;  dai  blandi  alimenti  ad  alimenti  irritanti, 
e  da  questi  ritornare  vicendevolmente  a  quel- 
li :  mangiare  del  rafano,  poi  vomitare;  o 
muovere  il  ventre  con  brodo  di  pollo  :  all'olio 
per  le  fregagioni  aggiugnere  droghe  riscal- 
danti :  innanzi  l'accesso  sorbire  due  bicchieri 
d1  aceto  e  uno  con  senape  e  tre  parti  di  vino 
salso  greco  :  ovvero  uniti  in  egual  porzione,  e 
nell'acqua  disciolti,  pepe,  castoro,  laserpizio  e 
mina.  Per  queste  ed  altre  simigliatiti  cose  si 
deve  agitare  e  perturbare  il  corpo  onde  si  ri- 
muova da  quello  stato  in  che  è  rat  tenuto.  Se 
la  febbre  è  troncata,  d'uopo  è  ricordarsi  lun- 
ga pezza  il  dì  dall'accessione,  e  in  quello  schi- 
vare il  freddo,  il  caldo,  l'indigestione  ed  la  so- 
verchia fatica.  Che  di  lieve  ritorna,  ov'  anche 
dalla  risanata  persona  non  si  abbiano  per  un 
certo  tempo  i  debiti  riguardi. 

Cap.  xvn. — Della  febbre  cotidiana  derivata 
dalla  quartana. 

Se  la  febbre  di  quartana  si  è  falla  coti- 
diana,  appena  che  ciò  interviene,  bisogna  per 
due  giorni  astenersi,  fare  fregagioni,  e  bere 
alla  sera  solamente  dell'acqua.  Assai  sovente 
incontra  che  al  terzo  dì  la  febbre  non  eom- 
paja  ;  ma  compaja,  o  no,  il  nutrimento  vuoisi 
dare  trascorso  il  tempo  del  parossismo  ;  e  se 
essa  sussiste,  si  convien  ordinare  la  più  gran- 
de astinenza  che  si  può  imporre  ad  un  uomo, 
ed  ogni  dì  praticare  le  fregagioni. 


Caput  xviii.  —  De  tribus  insaniae  generi-  Cap.  xvm. —  Delle  tre  generazioni  di  follia^ 
bus  :  et  primo  de  ejus  curationt,  quae  a  e  prima  della  cura  di  quella  che  da  Gre- 
graecis  (pfé'vwriv  dicitur.  ci  è  detta  frenesia. 


Et  febrium  quidem  curatio  exposila  est. 
Supersunt  vero  alii  corporis  affectus,  qui  huic 
superveniunt  :  ex  quibus  eos,  qui  certis  parti-* 
bus  attignavi  non  possunt,  protinus  jungam. 
Incipiam  ab  insania,  primamque  hujus  ipsius 
pattern  aggrediar,  quae  et  acuta,  et  in  febre 
est  :  Qfév»<rtv  Graeci  appellant.  lllud  ante  o- 
mnia  icire  oportet,  interdirai  in  accessione 
aegros  desipere,  et  Locrai  aliena.  Quod  non 
quidem  leve  est  ;  ncque  incidere  potest,  nisi  in 
febre  rettemeli  ti:  non  lamen  aeqnae  pestiferum 

esl  ;  nani  plerumque  breve  esse  consiievit,    ie- 

vatoque  accessionis  impedì,  protinus  mens  re- 
dit.  .Ncque  iil  genus  morbi  remedium  aliud 
detiderat,  quam  quod  in  enranda  febre  prae* 
ceptum  esl.  Phreuesis   vero  Lum  demmo  est, 


Ed  ecco  esposta  la  cura  delle  febbri.  Ma 
ad  altri  morbi  va  soggetto  il  corpo,  fra  i  quali 
intendo  ragionar  prima  di  quelli  che  a  deter- 
minate sedi  non  si  possono  ascrivere.  E  mi  fa- 
rò dalla  demenza,  primamente  dicendo  della 
prima  specie  di  questo  genere  che  costituisci; 
un  morbo  acuto  e  febbrile,  dai  Greci  nomato 
frenesia.  Innanzi  tulio  si  conviene  sapere  co- 
me alcuna  volta  i  malati  nell'accesso  farneti- 
cano, e  non  connettono  ne' loro  discorsi,  il 
che  non  è  lieve  per  certo  :  né  ciò  avvenir  suo- 
le che  in  una  febbre  sommamente  gagliarda, 
nulladimeno  non  è  segno  assolutamente  fatale 
.scudo  per  lo  più  breve,  e  la  niente  torna  chia- 
ra e  serena  tosto  die  si  attuta  V impeto  della 
febbre.  Questa  morbosa   al'le/.ione   non   altro 


1  8  \  CELSO 

rum  conlinu>i  dementia  osse  incipit  :  autcom 

ae^cr,  quamvis  adhaò  sapiat,  lamen  quasdam 
vanaa  imaginel  aceipil  :  per ice  la  est.  ubi  incus 
illis  iinaginibus  addici  a  est. 


Ejus  antera  pinta  genera  sunl  ;  siquidem 
CX  phrenelieis  alii  hilarcs.  alii  Iristqs  sunl  ;  alii 
iacilius  continentur.  et  intra  Verbo  desipiunt, 
alii  consurguftt,  et  \iolenter  quaedam  maini 
ta'-innt  ;  atipie  ex  bis  ipsis  alii  nihil  nisi  im- 
pelli peccanl.  alii  eliam  arles  adhibenl.  sum- 
uiamque  speciem  sanitaria  in  captandis  malo- 
rum  operimi  oecasionibus  praebent  ;  sed  exilu 
deprehendttntnr. 

El  liis  aulcm  cos,  qui  intra  verba  desipiuni, 
ani  levi  ter  eliam  marni  peccanti,  onerare  aspe- 
riorìbus  coercitionihns  saperi  aeuofm  est  :  èos 
vero,  qui  \  i'dentiiis  se  geront,  viueire  nnivc- 
nit,  ne  vel  sibi  vel  alteri  noceant.  Neqae  cre- 
dendoli] est,  si  vinctusaliquis,  dum  levaci  vin- 
culis  cupit,  qnamvis  prudenter  et  miserabili- 
ter  loquitur  ;  qoetturai  is  dolus  insaqientis  est. 
Fere  vero  antiqui  tales  aegros  in  tenebrìa  ha- 
bebanl  ;  eo  quod  illis  contrarium  esse*,  e\i«  r- 
reri,  et  ad  quielem  animi  tenobras  ipsas  con- 
ferre  aliquid  jndicabant  Vi  àaclepiades,  tam- 
quau  tenebra  ipsis  terrentibua,  in  Lamine  ha- 
bendos  eoa  dixit.  Neutrino  autem  perpetuum 

est:    alium    enim    lux.    alium    tenebrai-   magis 

turbanl  :  reperiunturque,  in  quibus  nnllum 
discriraen  deprehendi,  Tei  hoc.  tei  ilio  modo 

possit.  Optimum  itaque  est,  ufrunnpie  expe- 
rii  i  :  et  bahere  som,  qui  tenebras  Imi  rei.  in 

Ime:  inni.  qiM  luccio,  in  tenebri  S.  \l  ubi  nnl- 
lum tale  divi  mici)  evi.  BegeT,  si  vireshabel, 
loco  lucido  ;  si  non  li.ibel,  obscuro  continen- 
ti us  est. 


Hemedii   vero  adliibere,    ubi    m;i\iine  fu- 

rof  argot,  lupervacuura  est:  simul  enira  fe- 
bus  quoque  incresciL  llaque  tura  nihil  nìsì 
eontmenuus  aeger  cet  :  ubi  rero  reepetilur, 
festinanti  r  lebveniendum  est.  /ksclepiades per- 
niile esse  ,li\ii  .  |,,s  languineni  imiti,  bc  si 
t'  addentai  ;  i  ..h ni  beni  s.  rulli.,  quod  nc- 
que mtanii  <ss.  i.  niai  febre  intenta  ;  ncque 
sangui*,  nisi  iu  remissione  « iju  .  reete  mittere- 
tui  Sed  ipse  in>  bis  somnum  multa  f rie t ione 
ii  ;  i  uni  ci  intentio  i-  brìs  somnum  im- 
pediate et  frictio  non  nisi  in  remissione  ejui 
ntilii  wi.  Itaque  hoc  quoque  auxilium  debu il 
;  «,» ' 1 1 « I  igitur  esl  .'  Multa  iti  pi ae<  i- 
pili  p- 1  ii  ni',  i».  i<-  final  aliai  omiMi  nd  «  l  I 
i  •uiiuu.i  . 1 1 1  i  |U4   fi  bi  i  •  bah  i   tt  mpora,   » ju i- 


rbnedio  a  Idimanda  che  quello  ehe  fu  pre- 
seritto  nella  cura  della  febbre.  Vera  frenesìa 
poi  si  ha  allorché  comincia  ad  esservi  una 
continuata  demenza,  ovvero  allorché  l'am- 
malalo avvegnaché  per  anche  conscio  di  sé, 
riceve  alcune  vane  immagini;  e  perfetta  fre- 
nesia è  allorquando  la  metile  è  assorta  tutta 
quanta  in  colali  impressioni  ed  immagini. 

Questa  interinila  è  di  molte  specie,  pe- 
rocché Ira  i  frenetici  altri  sono  allegri,  altri 
melanconici  :  ali  ri  docili,  e  sol  folleggiano  nei 
ragionari  :  altri  si  levano  mi.  c  colle  mani  l'an- 
no alcune  cosca  violenza  ;  altri  ancora  fra  que- 
sti non  delinquane  se  non  in  quell'impeto;  altri 
mettono  anche  in  opera  le  afetuxie  mostrando 
OBI  apparente  buon  senno  nel  cogliere  le  oc- 
casioni di  eseguire  rei  disegni,  ara  ali1  atto 
vengono  discoperti. 

Ora  quelli  tra  questi  che  non  istanno  a 
martello  parlando,  od  eziandio  che  lievemente 
trascorrono  colle  mani,  non  accade  aggravare 
d'aspri  ra£freuamen ti; quei  bensì  convien  le- 
gare  che  si  comportano  a  violenza,  onde  né  a 
sé,    ne  altrui  rechino  danno.  Né  si  deve  Credi 

re  ad  un  avvinto  farnetico  che  brama  essere 
dai  lacci  smollo,  quantunque  umile  e  sommesso 

e1  parli,  perciocché  «picsla  è  I'  us. ita  fui  beli. i 
dei  malli,  db  antichi  ritenevano  ordinai  ir- 
niente colai  inalali  tra  le  lem  Ine,  estimando 
clic  essere  spaventali  fosse  ai  frenetici  cos., 
dannosa,  e  che  la  tenebrìa  Conferisse  non  po- 
co alla  calma  dell1  animo.  Asclepiade  ali1  in- 
contro   avvisando  le  leni  lue     islcssr    qnal    ci 

gione  di  spavento,  volle  si  ritenessero,  al  gran 

Òbiaro.  Ninna   però    di    queste    cose    è   canone 

fisso  :  imperocché  altri  è  più  molestato  dalla 
luce,  altri  più  dall'  oscurità  :  e  s% incontrano 
taluni  pe"  quali  è  indifferente  lo  starà  alla  lu- 
ce,   o  al  hujo.  Quindi  savissimo  consiglio  si 

è  provare  ora  ì"  una  ,  ora  l'altro;  e  india 
luce    collocare    chi    abborre    V  oscurità    e   nel - 

l'oscurila  chi  non  può  soffrir  ki  luce.  Ma  non 
essendovi  tal  differenza, se  I   infermo  è  in  fbi 

ta  ponassi  in  luogo  Incurie  .  Inaio,  scalili 
melili  ali1  "scuro 

Inutile  è  adoperar  rimedi  nel  colmo  del 
furore,  imperocché  anche  la  lebbre  allora  li 
esal  la  e  si  accresce.  Quindi  non  altro  vuoi  farsi 
che  tenere  .■  freno  il  malato:  ma  subito  ohe 
lo  si. ito  del  male  il  permette,  si  convien  dai  di 
piglio  ai  rimedi.  asclepiade  diate  che  trar  san- 
irueai  frenetici  è  lo  slesso  ehe  spegnerli,  gui- 
dato «Iti  considerare  che  la  demenza  non  va 
uni  disgiunta  da  nolente  febbre,  e  che  il  san- 
gue ii< «il  si  può congruamente  liana-,  se  non 
in  ll.i  remissione.  In  vece  egli  itudiavasì  di 
conciliare  loro  il  sonno  con  lunghe  fregagioni  : 

ma  come    l.i    \iolcn/;i    della    lei. bri    impedisce 

il  doinii  re.  e  li   fregagione  convenevole  non  è 
ie  non  nella  dei  (inazioni  eoaii  dot  et  le  trascu- 
ri h.    questo  pi<  òdio.  <  !..    i.n «  .nluu- 


DELLA    MEDICINA 


oS 


bus,  etsi  non  remi  t  Ut,  non  lumen  crescit  :  esl- 
que  hoc,  ut  non  optimum,  sic  tamen  secun- 
duni  remediis  tempus.  Quod  si  vires  aegri  pa- 
tiuntur,  sanguis  quoque  mitti  debet.  Minus 
deliberari  potest,  aa  alvus  ducenda  sit.  Tum, 
interposito  die,  convenit  caput  ad  cutem  ton- 
dere  ;  deinde  aqua  fovere,  in  qua  verbenae 
aliquae  decoctae  sint  ex  reprimentibus  ;  aut 
prius  fovere,  deinde  tondere,  et  iterum  fove- 
re ;  ac  novissime  rosa  caput  naresque  imple- 
re  ;  offerre  etiam  naribus  rutam,  ex  aceto  con- 
tritara  ;  movere  sternu tamen ta  medicamentis 
in  id  efficacibus.  Quae  tamen  facienda  sunt  in 
iis,  quibus  vires  non  desunt.  Si  vero  imbecil- 
litas  est,  rosa  tantum  caput,  adjecto  serpyllo, 
similive  aliquo ,  madefaciendum  est.  Utiles 
etiam  in  quibuscunique  viribus  herbae  duae 
sunt,  solanum  et  muralis,  si  simul  ex  utraque 
succo  expresso  caput  impletur.  Cura  se  febris 
remiserit,  frictione  utendum  est  ;  parcius  ta- 
men in  iis,  qui  nimis  hilares,  quain  in  iis,  qui 
nimis  tristes  sunt.  Adversus  omnium  autem 
sic  insanientium  animos  gerere  se  prò  cujus- 
que  natura  necessarium  est.Quorumdam  enim 
vani  metus  levandi  sunt  ;  sicut  in  homine 
praedivite  famem  timente  incidit,  cui  subinde 
falsae  heredilates  nuntiabantur  :  quorumdam 
audacia  cocrcenda  est  ;  sicut  in  iis  fit,  in  qui- 
bus continendis  plagae  quoque  adhihentur  : 
quorumdam  eliam  intempeslivus  risus  objur- 
gatione  et  nimis  finiendus:  quorumdem  di- 
scutiendae  trisles  cogilationes  ;  ad  quod  sym- 
pboniae,  et  cymbala,  strepitusque  proficiunt. 
Saepius  tamen  assentiendum,  quam  repugnan- 
duju  est  ;  paulatimque,  et  non  evidenter,  ab 
iis,  quae  stulte  dicentur,  ad  meliora  mens  ad- 
durrmi.i.  Interdum  eliam  elicienda  ipsius  in- 
teotio  ;  ut  fit  in  hominibus  studiosis  littera- 
i-iiiu.  quibus  libcr  legitur,  aut  recte,  si  dele- 
ctantur,  aul  perperam,  si  id  ipsum  eos  ofifèn- 
dit  :  emendando  enim  convertere  auiaium  iu- 
cipinnt.  Quin  eliam  recitare,  si  qua  raemine- 
runt,  cogendi  sunt.  A.d  cibum  quoque  quos- 
dam  non  desiderantes  reduxerunt  ii,  qui  iu- 
ter  epulantes  eos  collocarunl. 


Omnibus  eero  sicaffectissomnusetdimcilis, 
<  i  praecipue  necessarius  est:  sub  hoc  enim  pie- 
none sanescunt.  Prodest  ad  id,  atque  etiam  ad 
uh  nicin  ipsam  componendam,  crociuum  un- 

Ceho. 


(iue  ?  Molte  cose  si  fanno  veracemente  a  propo- 
sito negasi  precipitosi,  che  altrimenti  fare  non 
si  dovrebbero.  La  febbre  continua  ha  pure  i 
suoi  tempi,  ne''  quali  sebben  non  rimetta,  non 
si  aumenta  però,  e  questo  è  il  tempo  se  uon  il 
migliore,  idoneo  almeno  all'amministrazione 
dei  rimedi.  Enel  caso  che  le  forze  dell1  infermo 
il  permettano,  devesi  anche  trar  sangue.  Man- 
co è  da  stare  perplessi,  se  debbasi  evacuare 
F  alvo  per  via  di  cristeri.  Dipoi  trascorso  un 
giorno  si  convien  radere  la  testa  fino  a  cute, 
indi  fomentarla  con  acqua,  entro  cui  siensi 
bollile  delle  verbene  di  facoltà  reprimente,  ov- 
vero prima  fomentare,  poscia  radere,  e  da 
capo  tornare  ali1  uso  delle  fornente,  e  ultima- 
mente la  testa  e  le  narici  ungere  d1  olio  ro- 
sato :  porgere  alle  nari  ruta  pestata  tfoll'atee- 
to,  ed  incitare  sternuti  con  argomenti  atti  a 
ciò,  le  quali  cose  nondimeno  far  devonsi  in 
coloro  che  non  si  trovano  esausti  di  forze.  Se 
poi  prevale  la  ^fiacchezza,  umettare  il  capo 
con  olio  rosato  soltanto,  unito  al  serpillo,  o  ad 
alcun'altra  simigliantecosa.  Giovative  sono  an- 
cora, comunque  si  ritrovino  le  forze,  due  pian- 
te, il  solano  e  la  parielaria,  quando  espressone 
il  sugo,  si  sparge  sul  capo.  Calando  la  febbre  si 
deve  mettere  in  uso  la  fregagione,ma  parcamen- 
te però  in  que1  che  sono  troppo  ilari,  anziché 
ne1  troppo  tristi.  Necessario  è  poi  governarsi 
verso  gli  animi  di  tutti  i  deliranti  di  questa 
specie  a  seconda  della  natura  di  ciascuno.  Im- 
perocché si  conviene  rimuovere  le  vane  te- 
menze di  certuni,  siccome  accadde  in  nomo 
ricchissimo  temente  la  fame,  al  quale  dì  tanto 
in  lauto  si  annunziavano  delle  false  eredi! à.  Di 
alcuni  mestiero  è  raffrenare  l'audacia,  siccome 
fassi  in  coloro  per  temperare  i  quali  si  adoppi- 
no persino  le  battiture:  di  certi  altri  si  vogliono 
rintuzzare  anco  le  intempestive  risa  coi  ripren- 
dimeli ti  e  colle  minacce:  dall'animo  diaìtri  d'uo- 
po è  cacciar  via  i  tetri  e  malanconici  pensieri,  al 
clic  mollo  son  confacevoli  i musicali  concenti  e 
il  suono  de1  cembali  e  i  susurri.  Deonsi  con- 
tuttociò  più  spesso  assecondare  che  non  con- 
trariare, ed  a  [loco  a  poco,  e  non  già  indiscre- 
tamente s1  ha  a  ricondurre  la  mente  dalla  stol- 
tezza alla  retta  ragione.  Qualche  volta  ezian- 
dio richiamar  giova  la  loro  attenzione  siccome 
si  fa  cogli  amatori  delle  lei  lete,  ai  quali  si  leg-^' 
gè  un  Mino  bene,  se  gli  diletta,  o  malamente 
se  lai  lezione  gli  disturba  ed  annoja.  percioc- 
ché coli1  emendare  corniciano  a  riflettere  é 
prestare  attenzione.  Di  più  si  sforzino  anche 
a  recitare  a  memoria,  se  mai  si  risovvengono 
di  alcuna  cosa.  Alcuni  ricusatiti  ogni  alimen- 
to, si  sono  infine  traili  a  mangiare  colPaverli 
(aiti  sedere  Ira    banchettanti  persone. 

I  pazienti  di  (-osi  Patta  infermità  quanto 
è  difficili;  che  dormano,  altrettanto  necessario 
e  loro  il  dormire  stante  che  sogliono  i  più  di 
essi  dormendo  sanare.  Giova  ad   invitare  ~A 


IoG  GELSO 

guentum  cum  irino  in  caput  datimi.  Si  nihilo- 
minus  vigila  nt,quidam  sommino  moliuntur  po- 
tili dand  )  aquam,  in  qua  papaver  aut  hyoscya- 
musdecocta  sii  :  aliimandragorae  mala  pul vi- 
no subjiciiml  :  alii  vel  amomum,  vel  sycamini 
lacrymara  fronti  inducant.  Hocnomen  apud 
me  licos  reperio;  sed  cum  Graeoì  morum  c-vv.ó.- 
i  ipellant,   mori   nulla   lacryma  est.  Sic 
atur  lacryroa   arboris  in  JEgypto 
.un  il>i  fxofOTuxov  appellane  Plu- 
rimi d  ;  iveris  corlicibus,  ex  ea  aqua 
caput  subinde  fovent.  àsclepiar 
supervacua  esse  dixil  ;  quoniam  in  le- 
11  saepe  converterent.  Praecepit  autem 
ni  primo  die,  a  cibo,  polione,  sonino  abstine- 
retur;  vesnere  ei  daretnr  potui  aqua;  tum 
frictio  admoveretur  tenia,  ut  ne  manum  qui- 
dem,  qui  perfricaret,  Tehementer  imprime- 
rei ;  postero  deinde  die,  iisdém  omnibus  fa- 
ci daretur  sorbitio  et  aqua,  rur- 
trictio  adbiberetur  :  per  liane  enim  nos 
rturos,  ul  somnus  acceda  t  Idinterdum 
!    »,  ut,  ilio  confitente,  nimia 
frictio  etiam  lethargi  periculum  afferà  t.  Scd  si 
anus  non  accessit,  tum  demum  illis  me- 
mdus  esl  :  babita  sedie  il  ea- 
1     atione,  quae  bic  quoque  necessaria 
ri    obdormire   volumus,  excitare 
tnus.  Conferì  etiara  aliquid 
iiiiiu  silanus  juxta  cadens  ;  vel  gesta  tio 
i  isl  cibum,  et  noctu  ;  maximeque  suspensi  le- 
i- ti  motus. 


.si  neque    languii 

neque    mena    constai,   do- 

ipitio  inciso  cucurbi- 

I  quae  quia  l«  \.it  naorbum, 

Mofleratio 

bo  quoque  adbibenda  esl  :  Dam 

■  ••  ' .  ne  intaniti  |  ne- 

qu<  jejunio  utique  vexandut,  ne  imbecillitale 

in  cardiacum  incida t.  Opus  est  i  il"1  infirmo, 

mai  imeque  !  ione  tquae  mulste, 

I ...  me  qua  ter  tettata 

.   •    nuod  ipa- 

ti'iii  I  •  re  sin  tebre  inci- 

pit, I'  •  ir.   ( Sonsittil 

Hi  .-.ii.i  conti  the- 


sonno,  ed  anche  a  racquietar  la  mente  V  un- 
guento di  croco  coli*  irino  applicato  alla  te- 
si.!. Se  a  malgrado  ciò  la  veglh  persiste,  al- 
cuni costumano  provocare  il  sonno,  dando  a 
bere  dell1  acqua  in  cui  sieno  bollili  papaveri 
o  jusquiarao:  altri  mettono  sotto  all'  origliere 
bacche  di  mandragora  :  altri  pongono  sulla 
fronte  amomo,  ovvero  gomma  di  sicamino. 
Io  riscontro  questo  nome  presso  gli  scrittori 
di  medicina,  ma  i  Greci  denominando  sicami- 
no il  moro,  esso  non  rende  lagrima  che  sia. 
Però  con  questo  nome  disegnala  viene  la  la- 
grima di  un  arbore  indigeno  dell'Egitto,  chia- 
mato colà  sicomoro.  Molti  coli1  acqua ,  in 
che  ha  bollito  la  corteccia  del  papavero,  van- 
no facendo  mercè  una  spugna  fornente  alla 
testa  e  sul  volto.  Àsclcpiade  sostenne  queste 
cose  essere  pericolose,  perciocché  spese  volte 
fanno  mutare  la  frenesia  in  letargo.  Insegnò 
quindi  che  il  primo  dì  dovesse  L'ammalalo 
astenersi  dal  bere,  dal  mangiare  e  dal  dormi- 
re :  che  alla  sera  se  gli  porgesse  acqua  a  be- 
ve :  indisi  sottomettesse  ad  una  fregagione 
soavissima  in  tanto  che  la  mano  stropicciati- 
le non  oprasse  che  una  piacevole  e  dolce  im- 
pressione  :  il  dì  susseguente  dipoi,  ripetute  que- 
ste medesime  cose,  se  gli  amministrasse  verso 
sera  brodo  e  acqua,  e  da  capo  si  tornasse  al- 
l'uso della  fregagione,  per  la  quale  noi  facil- 
mente conseguiremo  che  il  sonno  si  affacci.  Il 
(piale  alcuna  fiala  avviene,  e  sì  profondo,  che,  a 
detta  di  ksclepiade  medesimo,  può  il  troppo  uso 
•  Ielle  fregagioni  condurre  fino  anche  il  perico- 
lo di  letargia.  Ma  ove  pur  il  sonno  non  si 
presenti,  allora  finalmente  mestiero  è  incitar- 
lo coi   lucilie;, menti   dinanzi    proposti,  usando 

per  altro  la  medesima  moderanza  che  in  que- 
sto caso  è  necessariamente  richiesta,  per  tema 

non  si  possa  più  risvegliare  chi  solo  voleasi  far 

dormire.  Conferisce  ■  conciliare  il  sonno  an- 
che   un1    tcqna    cadente    preSSO    ti    malato;    e 

l'agitazione   andando  in  lettiga  dopo  il  cibo 

e  di  scia,  e  sopra  Ogn1  altra  cosa  I    oscillamen- 
to   di  wìì    1    I  lo  pensile. 

Né  e  fuor  di  proprositQ,  quando   non  siasi 

prima  cavato  sai  joe,  né  la  incute  serena,  ne 
il  sonno  comparso^  pori-cuna  coppetta  scari- 
ficata alla  \n\c.[.  la  quale  poiché  alleg 
il  male, pud  anche  procurare  il  sonno.  Vuoisi 
anco  rispetto  al  nut  riiuento  uarc  modi  razio- 
ne, imperocché  né  riempii'  devesi  il  malato, 
affinché  non  deliri,  né  col  digiuna  vessarlo, 
onde  pei  di  bolezzà  non  \en va  i  cadere  in  Ai- 
liqno,  Necessario  è  un  sottii  nutrimento,  e 
principalmente  I"  oso  dei  brodi  e   per   bibita 

dellt  inni  a.  di  che  e  a  siiffìeicn/a  darne  di  Vel- 
ilo tre  bicchieri  due  volte  <•  quattro  la  estate. 
l  ii  altro  genere  di  demenza  che  si  pro- 
trae più  lungo  tempo,  perno  bè  ordinariamen* 
te  incomincia  senza  febbre,  dipoi  incita  I.  frgie- 
ri  febbriciatole,  e  consiste  in  una  tristezza  che 


re.  In  hac  utilis  detractio  sanguinis  est  :  si 
quid  hanc  prohibet,  secunda,  per  album  ve- 
ra Iru.u  vomkumque  purgatio.  Post  utrumli- 
bet.  adhibenda  bis  die  iridio  est  ;  si  magis 
valet,  frequens  e  tiara  exercitalio  ;  in  jejuno 
vomitus  :  cibus,  sine  vino  dandus  ex  media 
matèria  est.  Quara  qtioties  posuero,  sotre  li- 
cet,  etiam  ex  infirmissima  dati  posse  ;  durane 
ea  sola  quisulatur  :  valentissima  tantummodo 
esse  removenda.  Praeter  baec,  servanda  al- 
vus  est  quam  tenerrima  ;  removendi  terrores, 
et  potius  bonas  spes  afferenda  ;  quaerendo  dc- 
lectatio  ex  fabulis  kulisque,  quibus  maxime 
capi  sanus  assueverat  ;  laudanda,  si.qua  sunt, 
ipsius  opera,  etante  oculos  ejus  ponenda  ;  le- 
viter  objurganda  vana  tristitia  ;  subinde  ad- 
monendus,  in  iis  ipsis  rebus,  quae  sollicilant, 
cur  potius  laetiliae,  quam  sollicitudinis  caus- 
sa  sit.  Si  febris  quoque  accessit,  sicut  aliae  fe- 
bres  curanda  est. 


Tertium  genus  insaniae  est  ex  bis  lon- 
gissimum  ;  adeo  ut  vitam  ipsam  non  impe- 
diat  :  quod  robusti  corporis  esse  consuevit. 
Hujus  autem  ipsius  species  duae  sunt.  Nani 
quidam  imaginibus  ,  non  mente  falluntur  ; 
quales  insanientem  Àjacera  vel  Orestem  per- 
cepisse poetae  ferunt  :  quidam  animo  desi- 
piunt.  Si  imagines  fallunt,  ante  omnia  vi- 
dendum  est,  tristes  an  bilares  sint.  In  tristi- 
lia,  nigrum  veratrum  dejectionis  caussa  ;  in 
h ilari  tate,  album,  ad  vomitum  excitandum, 
dari  debel  :  idqne,  si  in  potione  non  accipit, 
pani  adjiciemlum  e  t,  «pio  facilius  fallat.  Nani 
si  bene  se  purgaverit,  ex  magna  parte  mor- 
bum  levabit.  Èrgo  etiam  si  semel  datura  ve- 
ratrum parum  profecerit,  interposito  tempore 
iterum  dari  debet.  Ncque  ignorare  oportct, 
leviorum  esse  morbum  rum  risii,  quam  serio 
insanientium.  lllud  quoque  perpetuimi  est  in 
omnibus  morbis,  ubi  ab  inferiore  parte  pur- 
gandus  aliquis  est,  venlrcm  ejus  ante  solven- 
dum  esse  ;  ubi  a  superiore  comprimendum. 
Sisero  consilium  insanientem  fallii,  tormen- 
ta quibusdara  optime  curatur.  Ubi  perperam 
aliqnid  dixit,  ani  fecit:  fame,  vinculis,  pla- 
gts  coercendus  est.  Cogendus  est  et  attendere, 
ei  e'discere  aliquid,  et  meminisse  :  sic  enim 
liei,  ut  paulaiini  metti  cogatur  considerare, 
quid  factat.  Sul/ilo  etiam  terreri,  et  expave- 
leere,  in  hoc  morbo  (yrodesl  :  el  U'vv  quidquid 
aiiiiiiurri  rehemenler  perturbat.  Potest  enim 

quaedam  fieri  mula  I  io,  cum  ab  co  stalo  niens, 

in  quo  fnerai.  abducta  est.  Interest  etiam,  ia 
incesine  caussa  subinde  rideai,  au  moestui 
deroissnsque  sii  :  nam  demens  Kilaritas  terro- 
i'i)iis  iis.  de  quibus  sopra  dixi,  melius  cura- 


MEDICINA  io7 

sembra  procedere  dall1  atrabile.  In  quest'  affe- 
zione profittevole  è  la  missione  del  sangue.  Cbe 
se  alcuna  circostanza  vietasse  il  farla,  prima  ne- 
cessario è  l'astenersi,  dipoi  purgarsi  con  l'ellebo- 
ro bianco  e  col  vomito,  e  fatte  entrambe  queste 
cose  si  praticberà  due  volte  il  dì  la  fregagione:  se 
il  malato  è  forte  e  vigoroso,  utile  è  pure  un  fre- 
quente esercizio,  il  vomito  a  digiuno,  e  un  cibo 
senza  vino,  di  mezzana  hùtritura.  Ogni  volta 
eh'  io  ragionerò  degli  alimenti  di  questa  quali- 
tà, giova  sapere  cbe  si  possono  dare  anche  di 
debolissima  nutritimi. purché  non  si  usino  so- 
li, esclusi  soltanto  quelli  della  più  forte.  Oltra 
tutto  questo,  usar  si  vuole  ogni  studio  di  man- 
tenere lubrico  il  ventre,  fugare  dall'animo  del 
malato  ogni  timore,  anzi  suggerirgli  motivi  di 
buona  speranza  :  divertirlo  con  novelle  e  giuo- 
chi, de'  quali  soleva  dilettarsi  da  sano  ;  enco- 
miare le  opere  loro,  se  ne  hanno  qualcuna,  e 
mettergliele  dinanzi  agii  occhi  :  riprendere 
dolcemente  la*vana  loro  melanconia  ;  quindi 
far  loro  sentire  che  in  quelle  cose  istesse  per 
cui  si  affannano  non  è  motivo  di  afflizione, 
ma  d'  allegrezza.  Se  sopravviene  la  febbre,  si 
curerà  siccome   le  altre  febbri. 

Altra  razza  pur  avvi  di  pazzia  assai  più- 
durevole  in  tanto  cbe  non  reca  impedimento 
niuno  al  proprio  vivere.  E  questa  usa  cogliere 
i  temperamenti  robusti.  Due  ne  sono  le  specie. 
Altri  sono  illusi  da  vani  fantasmi  senza  essere 
alienali  della  mente,  tale  appunto  era  Y  insa- 
nia di  Ajace  e  d'  Oreste  siccome  riferiscono  i 
poeti  ;  altri  hanno  alienata  la  mente.  Se  sono 
ingannati  da  false  immagini,  prima  di  tutto  si 
vuol  osservare,  se  melanconici,  ovvero  allegri. 
Nella  melanconia  bisogna  amministrare  Pelle- 
boro  nero  a  provocare  le  egestioni  ;  nell1  ila- 
rità il  bianco  ad  incitare  il  vomito  :  e  se  l' in- 
fermo non  lo  vuol  prendere  in  bevanda,  si  u- 
nisce  al  pane,  onde  più  facilmente  ingannarlo. 
Che  se  ben  bene  si  purgherà,  la  malattia  ver- 
rà in  gran  parte  a  cessare.  Il  perchè  se  V  elle- 
boro dato  una  sola  volta  poco  giovò,  trascorso 
alcun  tempo  si  tornerà  a  reiterarne  1'  ammini- 
strazione. Rileva  sapere  essere  la  pazzia  alle- 
gra più  lieve  ehe  la  melanconica. E  regola  co- 
stante in  tutte  Le  malattie  ehe  se  vuoisi  purga- 
re qualcuno  per  di  so-ìto,  se  gli  deve  prima 
sciogliere  il  ventre;,  e  se  per  di  sopra,  devesi 
ristringere.  Se  poi  l'ammalato  vaneggia  per 
alienazione  di  mente,  ottimamente  si  cura  eoa 
certi  tormenti  :  e  ove  dira  o  faccia  fuori  di 
senno,  si  convien  raffrenarlo  eolla  fame,  coi 
lacci,  colle  percosse.  Si  deve  sforzare  a  stare 
al Icnlo,  ed  apparare  alcuna  cosa,  ed  a  rimem- 
brarsela :  così  avvina  che  appoco  appoco  te- 
mendo,   forzalo    sia   a    riflettere    a  ciò    che  fa. 

Giova  eziandio  in  questo  male  e  l1  improvviso 

terrore,  e  il  subitano  spavento,  in  una  parola 
tulio  ciò  cbe  perturba,  e  scuote  con  veemenza 
lo  spirilo.   Conciossiachè  si j>uò  così   operare 


CELSO 


tur:  si  nimia  tristilia  est,  prodesk  lenis,  seti 
inulta  bi*  die  iridio  ;  ilcni  per  capul  aqua 
frigida  infusa,  demissumque  corpus  in  aquam 
et   oleum. 


Illa  communi»  sunt  :  insanientes  vebe- 
menter  exerceri  deberì  :  multa  frictione  «ti; 
neque  pinguem  cameni,  neque  vinum  assu- 
mere :  «ibis  nii  post  purgationem,  ex  media 
materia,  quam  levissimis;  nonoportere  esse 
rei  solos,  rei  inter  ignotos,  rei  inter  eos,quoj 
aut  contemnant,  ani  negligant;  mutare  de- 
bere regiones,  el  ri  mens  redit,  annua  pere- 
grinatione  esse  jactandos. 

Baro,  sed  aliquando  tamen,  e\  metu  de- 
lirium nascitur.  Quod  genns  insanientium, 
specie  simile,  similique  victus  genere  curan- 
dum  «si  :  praeterquam   quod  in  hoc  insaniae 

.   n<  re  solo  recte  vinum  da  tur. 


Caf.  VX.  —  De  cardiacis. 

His  morbis  praedpue  contrarium  osi  id 
L'oiiii'..  quod  xapcT/wxoV  a  Graecis  nominnlur  ; 
quamvis  saepe  ad  eum  phrenetici  transeunl  : 
siquidem  meni  in  illis  labat,  in  hoc  constat. 
Td  autem  nihil  aliud  est,  quam  nimia  irabecil- 
Iitas  corporis,  quod,  stomaebo  languente,  im- 
modico sudore  digeritur.  Licetque  protinus 
scire  pi  «  ise,  obi  renarnm  exigui  imbecillique 
pulsus  sunl  :  sudor  autem  supra  consnetudi- 

■  i  modo,  el  tempore,  e\  toto  thorace, 
el  i  rvicibus,  atque  etiam  capite  prorumpit, 
pedihns  lantnramodo  el  cruribus  siccioribus, 
atque  frigentibus.  kcutique  morbi  genusest. 
(  mi. ilio  prima  est,  snpra  praecordia  imponere, 

primant,  cata plasmata  :  secunda,  sudo- 
rera  prohihere.  Id  praestal  acerbura  oleum, 
i,  rei  mei  imi  ni.  ani  myrteum  '•  quorum 
aliquo  corpus  leniter  perungendum.  ceratum- 
que  -  \  aliquo  horum  tum  imponendum  <•>!. 
Si  rador  vincit,  delinendus  homo  osi  rei  g] 
i  rei  <  iraolia  creta,  \<  I 

etiam  rabinde  horum   pulvere  respergendus. 
Idem  praestal  pulvis  ex  contritii  aridi  myrti 
i  ci  rubi  foli!  .  aul  ei  austeri  el  boni  \  ini  ari- 
lia  -uni.  «pi. ir  si  de- 
al dis  cs».  quilibel  ex  \  i.«  pulì  is  in- 
Super  haec  vero,  quo  noinui  corpus 
insudet.  lei  i  reste  deb(  I  li  »co 

1  i  tenti  bus,  si,-,  ni  per* 

fiatili  quoque  al iquii  acceda t.  Tertiura  atrxi- 
lium  est,  imbecillitati   |a<  entii  i  ibo  i  inoque 


cambiamento  tale,  per  cui  la  mente  sia  ritrat- 
ta da  quello  stato,  in  che  già  era.  Rileva  anco- 
ra se  l'ammalalo  a  quando  a  (piando  rida  sen- 
za cagione,  o  se  giacesi  avvilito  e  mesto  :  pe- 
rocché la  pazzia  allegra  vie  meglio  si  cura  per 
quelle  minacce  che  poco  additilo  io  ricorda- 
va :  e  se  v'ha  soverchia  tristezza,  fa  prò  una 
blanda,  ma  lungamente  continuata,  fregagio- 
ne reiterala  due  volte  il  giorno:  ed  ugual- 
mente il  versare  sul  capo  acqua  fredda,  e  il 
corpo  immergere  in  acqua  ed  olio. 

E  sono  regole  generali:  doversi  i demen- 
tì gagliardamente  esercitare,  usar  molto  le 
strofinazioni,  non  mangiare  carne  grassa,  uè 
bere  vino,  prendere  appresso  ia  purga  un  ali- 
mento de'  leggierissimi  della  mezzana  nutri- 
tura  :  non  lasciarli  mai  soli,  né  tra  ignote  per- 
sone, o  con  quelle,  cui  non  istimano,  o  tengo- 
no a  Vile  :  far  loro  spesso  cambiar  aria,  e  se  la 

mente  ritorna  serena  tenergli  ogn' anno  occu- 
pati e  distratti  in  un  ameno  viaggio. 

Raramente,  ma  pur  lai  fiala,  dalla  temen- 
za ne  nasce  il  delirio.  11  qual  genere  di  follia 
essendo  della  stessa  specie  de*  sovrammento- 
vatì,  curasi  col  medesimo  governo  di  vivere, 
con  questo  divario  che  in  questa  sola  maniera 

d"  insania  Ottimamente  si  ministra  il  vino. 
Cap.  xix.  —  Della  cardialgia. 
A  queste  affezioni  è  in  particolar  modo 

contraria   quella    specie   di   malattia,   che    \  i«'H 

chiamata  cardialgia  dai  Greci,  quantunque 
in  <ssi  soventi  volte  incorrano  i  frenetici;  pe- 
ne in  quella  la  mente  è  perturbata  e  scon- 
volta, in  onesta  a  rincontro  ferma  e  serena. 
Questo  male  in  nuli1  altro  consiste  che  in  una 
estrema  spossatezza  del  corpo,  il  quale,  lan- 
guidissimo essendo  lo  stomaco,  si  discioglie,  e 
stempera  per  soverchio  sudore.  A  uolsi  sapere 

prima  di  tulio  esservi  siffatto  malore,  allor- 
quando i  polsi  sono  piccioli  v  debolissimi,  il 

sudore  olirà  il  consueto,  e  pel  modo  e  pel 
tempo,    dal   tronco  e  dal  (olio  e   fin  dal  capo  si 

effonde,  asciutti  e  freddi  sono  i  piedi  e  le  ".nu- 
be. E  questo    male  è  degli  acuti.    La  cura  pri- 
ma   sia    nell"  applicare    sullo    stomaco  de' i  ..  li 
plasmi  riperciissivi  ;    dipoi  arrestare  il  sudore. 
\dii  ipie  a  CIÒ    V  (dio   acerbo,  od  il  rosalo,  o  il 

melino,  od  il  mirtino,  con  alcuno  de1  (piali 
ugnare  tlevesi  dolcemente  il  corpo  ;  indi  ip 

poi* VÌ  de!  cerotto  Composto  ("li  taluno  di  essi. 
S.'  il  sndoi-  persìste  (le tesi  spalmare  la  persona 

di  gesso,  o  ih  lìiargìrio,  o  di  iena  ciraolia,  od 

i  l.i  di  M"  una  o  dell1  ali  i.i  «li  que- 
ste cose  laii-  in  polvere.   Vale  egualmente  a 

qilcsl'uono    la     po]\nv     delle     fogli P     snelle  di 

mirto  o  di  rovo,  o  di  feccia  scia  tri  vino  an- 
noiente :   e   simiglienti   .dire   robe,   in 

i  delle  «piali  e  buona  ani  In-  qualsia  "-.dia 
polvere  de!!.,  strada  giltafavi  sopra.  Olire  a 


succurrere.  Gibus  non  multus  quidem ,  sed 
saepe  tamen  nocte  ac  die  dantlus  est,  ut  nu- 
triat,  neque  oneret.  Is  esse  debet  ex  infirmis- 
sima  materia,  et  stomacho  aptus.  Nisi  si  ne- 
cesse  est,  ad  vinum  festinare  non  oportet  :  si 
verendum  est,  ne  deficiat,  tum  et  intrita  ex 
hoc,  et  hoc  ipsum  austerum  quidem,  sed  ta- 
men tenue,  meraculum,  egelidum  subinde  et 
liberaliter  dandum  est;  adjecta  polenta,  si 
modo  is  aeger  parum  cibi  assumi t  ;  idque  vi- 
num esse  debet,  neque  nullarum  virium,  nc- 
que ingentium  ;  recteque  tota  die  ac  nocte, 
vel  tres  heminas  aeger  bibet*,  si  vastius  cor- 
pus est,  plus  etiam.  Si  cibum  non  accipit,  per- 
unctum  ante  perfundere  aqua  frigida  conve- 
nit,  et  tum  dare.  Quod  si  stomachus  resolu- 
tus  parum  continet,  et  ante  cibum,  et  post 
cura  sponte  vomere  oportet,  rursusque  post 
vomitimi  cibum  sumere.  Si  ne  id  quidem  man- 
scrit,  sorbere  vini  cyathum,  inlerposifaque 
hora  sumere  altcrum.  Si  id  quoque  stomachus 
reddiderit,  totum  corpus  bulbis  conlritis  su- 
perillinendum  est  :  qui,  ubi  inaruerunt,  effi- 
ciunt,  ut  vinum  irt  stomacho  conlineatur,  ex- 
que  eo  toti  corpori  calor,  venisque  vis  redeat. 
Ultimum  auxilium  est,  in  alvum  ptisanae  vel 
alicae  cremorem  ex  inferioribus  parlibus  in- 
dere  :  siquidem  id  quoque  vires  tuetur.  Ne- 
que alienum  est,  naribus  quoque  aestuantis 
admovere,  quod  reficiat  ;  id  est,  rosam  et  vi- 
num ;  et  si  qua  in  extremis  partibus  fri- 
gent,  unctis  et  calidis  manibus  fovere.  Per 
quae  si  consequi  potuimus,  ut  et  sudoris  im- 
petus  minuatur,  et.  vita  prorogetur,  incipit 
jam  tempus  ipsum  esse  praesidio.  Ubi  in  tuto 
esse  videtur,  verendum  tamen  est,  ne  in  eam- 
dem  imbecillitatem  cito  recida t  :  itaque,  vino 
tantum  remoto,  quolidie  validiorem  cibum 
debet  assumere,  donec  satis  virum  corpori  re- 
deat. 


medicina  109 

questa  affinchè  il  corpo  meno  sudi,  vuoisi  te- 
nerlo lievemente  coperto,  collocare  il  malato 
in  luogo  non  caldo  con  finestre  aperte,  onde 
vi  spiri  e  penetri  pur  alcun  soffio  d'  aria.  In 
terzo  luogo  si  deve  provvedere  alla  spossatez- 
za dell'infermo  con  nutrimento  e  vino.  Por- 
ger cibo  non  molto,  ma  spesso  così  la  notte 
come  il  dì,  acciocché  ristori  e  non  aggravi. 
Esso  si  conviene  di  sostanze  leggerissime  e 
confacevoli  allo  stomaco.  Se  necessità  non  ci 
stringe,  non  si  deve  troppo  presto  sommini- 
strare il  vino  :  se  si  teme  non  le  forze  venga- 
no a  mancare,  mestiero  è  dare  ad  ogni  poco  o 
del  pane  inzuppato  nel  vino,  o  lo  slesso  vino 
austero  però,  ma  leggiere,  piuttosto  puro,  tal- 
volta tiepido,  e  in  copia,  giuntavi,  se  l1  infer- 
mo prende  poco  alimento,  farina  di  grano  to- 
stato ;  e  questo  vino  non  deve  essere  né  trop- 
po, né  poco  potente  ;  e  l'infermo  ne  berrà  ot- 
timamente tra  la  notte  e  il  dì  tre  emine,  ed 
anche  di  più  se  è  di  vasta  corporatura.  Se  ri- 
fiuta il  cibo,  unto  innanzi  il  corpo,  si  deve  a- 
spergere  d'  acqua  fredda,  e  allora  gli  si  dà. 
Che  se  lo  stomaco  illanguidito  poco  ritiene,  si 
convien  che  avanti  o  dopo  il  mangiare,  spon- 
taneamente vomiti,  e  appresso  il  vomito  torni 
da  capo  a  prender  cibo.  E  se  neppur  questo 
sarà  ritenuto,  se  gli  farà  bere  un  bicchier  di 
vino,  e  trascorsa  un'  ora  ne  berrà  un  altro,  e 
se  anche  questo  verrà  rigettato,  si  deve  tutto 
il  corpo  ricoprire,  e  spalmare  di  cipolle  peste, 
le  quali,  essiccandovi  sopra,  adoperano  sì  che 
lo  stomaco  ritenga  il  vino,  e  così  ritorni  ih. 
tutto  il  corpo  il  calore,  e  nei  polsi  la  forza.  Ul- 
timo sovvenimento  sono  i  cristeri  di  decozio- 
ne d'orzo  o  di  spelta,  in  quanto  che  tai  cose 
valgono  a  sostenere  le  forze.  "Né  è  disutile  re- 
care al  naso  dello  avvampante  infermo  cose 
ristoranti  siccome  sarebbe  olio  rosato  e  vino, 
e  se  fredde  avesse  le  estreme  parti  si  convien 
fomentarle  colle  mani  riscaldate  e  unte.  Per 
le  quali  provvidenze  se  ottener  potremo  che 
si  menomi  il  sudore,  e  si  prolunghi  la  vita,  già 
il  tempo  che  si  è  guadagnalo  comincia  esse 
stesso  ad  essere  un  rimedio.  Allorché  e'  sem- 
bra fuori  di  pericolo,  si  deve  tuttavia  temere 
che  non  ricada  ad  un  Ira  Ito  nella  medesima 
spossatezza,  perlochè  lasciato  soltanto  il  vino, 
prenderà  ogni  dì  un  nutrimento  più  sostan- 
zioso, infino  a  che  il  corpo  non  abbia  ripreso 
sufficienti  forze. 


Caput,  xx.  —  De  lethargicìs. 

Alter  quoque  morbus  est,  aliter  phrene- 
tico  contrarius.  In  eo  diffieilior  somnus,  prom- 
])i;i  adornnem  audaciam  mena  est;  in  hoc  mar- 
cor,  et  inexpugnabilis  pene  dormienti  neces- 
sit.is.  AtiOapyov  Graeci  nominant.  Aique  id 
quoque  genus  acutum  est,  et  nisi  snecurritur, 
celeriter  jogulat.  llos  aegroa  quidam  subinde 


Cap.  xx.  —  Della  letargia. 

Avvi  un'  altra  malattia  altrimenti  con- 
trari,! alla  frenesia.  In  questa  molto  «Ufficile  ; 
il  sonno,  l'animo  presto  ad  ogni  audacia  :  il 
quella  v'  ha  languore  ed  abbattimento,  ed  u- 
na  (piasi  insuperabile  tendenza  al  sonno:! 
Greci  la  dicono  letargia.  Essa  è  questa  puffi 
una  specie  diurnale  acuto,  e  che  uccide  in  pc~ 


elei  tare  nitunlur,  admotis  iis,  per  qnae  ster- 
nutaraenta  evocantur,  et  iis,  quae  odore  foedo 
movent  ;  qualis  est  pix  cruda,  lana  succida, 
piper,  vera  tram,  castoreum,  acetum,  album, 
i  epa.  Juxta  etiam  galbanum  incendunt,  ani  pi- 
los,  aut  conni  cervinum  :  .si  id  non  est,  quodli- 
bel  aliud.  Uaec  enini  cimi  comburuntur,  odo- 
rem  tbeduni  movenl.  Tharrias  vero  quidam, 
accessionis  id  malum  esse  di\it,levarique,  cura 
«  \  decessi!  :  itaqae  eos,  qui  subinde  excitant, 
sine  usu  male  habere.  Interest  antera,  in  de- 
pergiscatur  aeger,  an,  cimi  febris 
non  levetnr,  ani  levata  quoque  ea  somnus  ur- 
geat.  Nani  ri  expergiscitur,  adhibere ei,  ut  so- 
pito, supefvacuum  esl  :  i.e.uie  enim  vigilando 
inelio r  iit  ;  sed  per  se,  si  raclior  esl,  vigilai. 
Si  vero  conlinens  ei  somnns  est,  utique  pxci- 
landus  est  ;  sed  iis  temporibus,  quibus  febris 
levissima  est.  ut  ci  excernal  aliquid,  et  sumat. 
Rxcital  antera  validissime  repente  aqna  frigi- 
da infusa. Posi  remissionem  itaque,perunctuui 
òleo  inulto  corpus,  tribus  ani.  quatuor  ampho- 
ris  totum  per  caput  perfuudendum  est.  Sed 
hoc  utemur,  si  aequalis  aegfo  spiritus  erit,  si 
mollia  pi  a  ecordia  :  sin  ali  ter  haec  erunt,  ea 
poi  ima.  qnae  supra  compreliensa  sunt.  Et, 
quod  ad  soranum  qnidem  pertinet,  cornino- 
dissima  haec  ratio  est.  Medendi  antera  caussa, 
capai  radendum  ;  deinde  posca  fovenduni  est, 
in  qua  laurus,  aut  ruta  decocta  sii  :  altero  die 
imponéndum  castoreum,  aut  ruta  e\  aceto 
contrita,  aul  lauri  baocae,  aut  Inderà  cura  ro- 
tti el  aceto,  Praectpueqoe  proficit,  et  ad  exci- 
landuni  hominem,  naribus  admotum,  et  ad 
norbura  ipsum  depellendum,  capili  frantivi 
impositum  sinapi.  Gestatio  etiam  in  hoc  mor- 
bo prodesl  :  maxiraeque  opportune  cibos  fla- 
tus, i'l  est,  in  remissione,  «pianta  maxima  in* 
vinili  poterit.  Vptissiraa  aulem  sorbi  tio  est, 
d  morbus  decrescere  incipial  :  sie.  ni  si 

quo  lidie  gravis  accessio  est,  haec  <  j  i  •«>  i  i  »  !  i<-  de- 
tur  :  si  altera  is,  p  isl  graviorem,  sorbitio,  posi 
leviorem,  i  tulsa  aqua.  Vinum  quoque  cum 
tempestivo  cibo  datum  non  mediocri  ter  adju- 
\ai.  Quod  si  posi  longai  febres  ejnsmodi  tor- 
por  accessit,  cetera  aadera  serranda  sunt  sante 
Bccessionem  intem,tribusquatuorveboris,ca- 
i.  ti  venter  adsti  ictus  est,  mixtum  cum 
leammonia  ;  si  non  est,  per  se  ipsam  «uni  a- 
|ua  dandura  est  Si  pi  ai  cordia  mollia  sunt, 
ibis  utendum  est  plenioribns;  si  «Ima.  in 
isdì  mi  lorbitionibus  su  itinendura  ;  bnponen- 
lumque  praecordiif,  <pn.il  simul  et  reprima  1 
•i  craoUiat. 


L    S    O 

co  d'ora  se  non  si  corre  incontanente  al  ripa- 
ro. Alcuni  si  adoprano  ad  incitare  tratto  trat- 
to i  malati  con  sostanze  provocanti  la  starnu- 
tazione, e  di  quelle  che  muovono  colla  fetide/.  - 
za  del  loro  odore,  siccom'  è  la  pece  cruda,  la 
lana  sucida,  il  pepe,  T  elleboro,  il  castoro,  l'a- 
ceto, l1  aglio,  la  cipolla.  Abbruciano  anche 
presso  al  malato  galbano,  o  peli,  o  corno  di 
cervo  ;  e  in  disagio  dì  questi  qual  siasi  altra 
cosa,  che  come  loro  abbruciando  tramandino 
fetido  odore.  Vii  eerto  Tania  avvisò  la  letar- 
gia essere  un  accesso  di  febbre,  e  dileguarsi  al 
unir  di  quello  :  e  perciò  poco  esperti  essere 
coloro  che  si  studiano  di  riscuotere  di  tanto  in 
tanto  i  letargici.  Importa  assai  di  notare,  se 
r  ammalato  si  riscuota  dal  sonno,  al  terminar 
dell1  accesso,  o  se  continua  comeché  cessalo  a 
rimanerne  aggravato.  Imperocché  se  si  risve- 
glia è  inutile  curarlo  come  se  fosse  assopito, 
meni  re  che  non  istarà  meglio  tenendolo  sve- 
gliato, ma  se  sta  meglio,  si  desterà  da  sé.  Se 
poi  il  sonno  lo  occupa  continuamente,  allora  si 
che  vuoisi  desiare  ;  ma  ciò  tare  eoiiviensi  al 
tempo  in  che  la  l'ebbre  è  lievissima,  acciocché 
egli  il  ventre  Sgravi  e  prenda  cibo.  Desta  \  i- 
vamente  l'acqua  fredda  gittata  improvi  Isa- 
mente  addosso.  Dopo  la  declinazione  pertanto 
unto  ben  bene  il  corpo,  si  versano  sul  capo  tre 
o  quattro  anfore  di  aequa  fredda.  Ma  ciò  fare- 
mo, se  ha  L'infermo  eguale  il  respiro,  e  molli 
i  precordi  ;  che  se  altrimenti  più  appropriali 
saranno  i  rimedi  sposti  più  sopra.  K  perciò 
che  spella  al  sonno,  questo  è  il  più  utile  {:<)- 
Verno.     \d    Oggetto    DOI    di  curarlo,    si   rade  il 

capo.  Indi  si  fomenta  con  posca,  in  cui  sia  sia- 
to bolblo  del  lauro  0  della  lilla.  Nel  susse- 
guente di  \i  si  apporrà  del  Castoro  <>  «Iella  ru- 
ta pestata  cali' aceto,  ovvero  bacche  «li  lauro, 
ovvero  edera  con  olio  rosalo  ed  aceto,  e  special- 
mente vale  ed  a  riscuotere  «lai  sonno,  ed  a  \  ila- 
cere  la  malattia  is tessa  la  senape  retala  alle 
nari  e  posta  sul  capo  e  sulla  fronte,  incora  ri- 
traesi  giovamento  dalla   gestazione,  e  sopra 

Ogni  COSa  fa  bene  il  cibo  acconciamente  dalo 
cioè  (piando  la  febbri  è  nella  massima  remis- 
sione. Non  v'ha  e. .sa  più  atta  del  brodo  fino  a 
che  il  male  non  comincia  i  diminuire,  cosic- 
ché se  ogni  «li  l'  accesso  è  grave,  si  sommini- 
stra Ogni  «lì:  e  se  ai  inorili  alterni,  dopo  il  pili 

grave  il  brodo,  <•  dopo  il  più'lieve  L'acqua  me- 
lala. Lnche  il  vino  «I  ii"  i  suo  tempo  col  cibo 
presta  non  tenue  aiuto.  Se  la  letargia  venne  al 
segnilo  «li  lunghe  febbri,  si  dovranno  pratica- 
re l«-  altre  medesime  cose  :  li  devi  dare  tre  <> 
«piatirò  ore  innanzi  l'accesso,  se  il  venire  è 
costipato,  <  I  '1  castoro  mescolato  alla  scammo- 
i  e  questi  non  v '  è,  si  t\.\  di  per  sé  nell'a- 
«  qua.  s<-  i  pi i ■«  ordj  sono  molli,  si  deve  far  nso 
<li  alimenti  sostanziosi  ;  se  duri  si  stara  ai  soli 
brodi,  «•  si  ipplii  bei  à  ai  pi  «  eoi  dj  alcuna  cosa 
nolliente  insieme,  e  i  Ipen  tissivo. 


vullx  aiEmeoA 


GaplT  xxi.  —  De  hydropicis. 


Gap.  xx(.  —  Della  idropisia. 


Sed  hic  quidem  acutus  est  morbus.  Lon- 
gus  vero  fieri  potest,  eorum,  quos  aqua  in  ter 
cutem  male  habet  ;  nisi  primis  diebus  discus- 
sus  est  :  ò  fluirà  Graeci  vocant.  Atque  ejus 
tres  species  sunt.  Nam  modo,  ventre  vehe- 
menter  intento,  creber  intus  ex  motu  spiritus 
sonus  est  :  modo  corpus  inacquale  est,  tumo- 
ribus  aliter  aliterque  per  totum  id  orienlibus: 
modo  intus  in  uterum  aqua  contrahitui%  et 
moto  corpore  ita  movetur,  ut  impetus  ejus 
conspici  possit.  Primum  rv^iiravirtw.  secun- 
dum,  \Bvx.c$\£y{uaTiav  vel  otto  <?u%x.a\  tertium, 
dvxtTM  Giaeci  norninarunt.^  Communis  ta- 
men  omnium  est  humoris  nimia  abundantia  ; 
ob  quam  ne  ulcera  quidem  in  bis  aegii  facile 
sanescunt.  Saepe  vero  boc  malum  per  se  inci- 
pit :  saepe  alteri  vetusto  morbo,  maximeque 
quartanae,  supervenit.  Facilius  in  servis,  quam 
in  liberis  tollitur:  quia,  cum  dcsideret  famem, 
si  lini,  mille  alia  taedia,  longamque  patientiam, 
promptius  iis  succurritur,  qui  facile  coguntur, 
quam  quibus  inutilis  libertas  est.  Sed  ne  ii 
quidem,  qui  sub  alio  sunt,  si  ex  toto  sibi  tem- 
perare non  possunt,  ad  salutem  perducuntur. 
Id  coque  non  ignobilis  medicus,  Chrysippi  di- 
scipulus,  apud  Antigonum  regem ,  amicum 
quemdam  ejus,  notae  inlemperantiae,  medio- 
criler  eo  morbo  implicitum,  negavit  posse  sa- 
nari.  Cumque  alter  medicus  Epirotes  Philip- 
pus  se  sanaturum  polliceretur  ;  respondit,  il- 
luni ad  morbum  aegri  respicere  ;  se,  ad  ani- 
Diiim.  Neque  euro  res  fefellit.  Ille  enim  cum 
stimma  diligentia  non  medici  tanturamodo, 
sed  etiam  regis  custodi retur,  tamen  malag- 
mata  sua  devorando,  bibendoque  suam  uri- 
nara,  in  exitium  sese  praecipitavit.  Inter  ini- 
tia  tamen,  non  difficillima  curatio  est,  si  im- 
perata sunt  corpori  quies,  sitis,  inedia  :  at  si 
malum  invetera  vii,  non  nisi  magna  mole  discu- 
tilur.Melrodorum  tamen,  Epicuri  discipulum, 
ferunt,  cum  boc  morbo  lentaretur,  neque  ae- 
quo animo  necessariam  sitim  sustineret,  ubi 
din  abstinerat,  bibere  solitum,  deinde  evome- 
re. Quod  si  redditur,  quidquid  receptum  est, 
multum  taedio  demit  ;  si  a  slomacbo  retenlum 
est,  morbum  auget  :  ideoque  in  quolibet  ten- 
ta ndum  non  est. 


Sed  si  febris  quoque  est,  baco  in  pri- 
mi! submovcnda  est  per  eas.  raliones,  per 
quas    huic   succurri    posse   proposilum    est: 


Ma  questa  infermità  è  delle  acute.  Lunga 
però  può  farsi  quella  di  coloro  che  sono  infer- 
mi per  acqua  effusa  tra  cute,  se  non  vien  dis- 
sipala ai  primi  dì  :  i  Greci  la  chiamano  ìdrope. 
Di  questa  tre  sono  le  specie  :  talora  il  ventre 
fortemente  teso  fa  sentire  un  continuo  suono 
interno  per  V  agitamento  dell1  aria  ;  talora  il 
corpo  è  ineguale  per  intumescenze  nate  in 
ogni  parte  di  esso  di  varia  mole  e  figura  :  ta- 
lora l'acqua  si  raccoglie  nel  ventre,  e  si  muo- 
ve muovendo  il  corpo  in  tanto  che  si  può 
scorgerne  l1  ondulazione.  Pei  Greci  chiamasi 
timpanite  la  prima,  leucoflemmazia  od  ana- 
sarca  la  seconda,  ascite  la  terza.  Cagione  co- 
mune di  tutte  è  la  soverchia  ridondanza  degli 
umori,  per  cui  anche  le  piaghe  in  quest'infer- 
mi malagevolmente  risanano.  Questo  malore 
or  di  per  sé  comincia  ;  or  sopravviene  a  qual- 
che altra  vecchia  infermità,  in  ispecie  alla 
quartana.  Questa  malattia  si  toglie  più  age- 
volmente negli  schiavi  che  non  nei  liberi,  poi- 
ché la  medicatura  richiedendo  che  si  sopporti 
la  fame,  la  sete  e  mille  altri  fastidi,  e  una  diu- 
turna sofferenza,  più  spedilamente  si  presta 
ajuto  a  quelli  che  facilmente  si  sottomettono, 
anziché  a  coloro  che  godono  di  una  dannosa 
libertà.  Ma  neppure  si  risanano  quelli,  i  quali 
si  vivono  sotto  la  podestà  altrui,  ov1  essi  non 
sappiano  moderare  sé  stessi.  E  perciò  un  me- 
dico di  nobil  fama  discepolo  di  Crisippo  appo 
il  re  Antigono  asserì  non  potersi  risanare  un 
certo  personaggio  amico  di  questo  re,  medio- 
cremente occupato  da  questo  male,  siccome 
quegli  che  si  vivea  intemperantemente.  Ed  a- 
vendo  un  altro  medico  di  Epiro,  chiamato  Fi- 
lippo, promesso  di  risanarlo,  e1  prese  a  dirgli, 
voi  riguardate  alla  natura  del  male,  io  alla  di- 
sposizione dell'  infermo.  L'  esito  mostrò  real- 
mente che  non  si  era  ingannato  :  imperocché 
quantunque  custodito  fosse  con  estrema  caute- 
la non  pur  dal  medico,  ma  anche  dal  re,  non- 
dimeno col  divorare  i  suoi  impiastri,  e  col  be- 
re la  propria  orina,  precipilò  sé  stesso.  INel 
suo  principio  tuttavia,  non  è  di  cura  troppo 
scabrosa,  se  al  paziente  vicn  prescritto  riposo, 
sete,  inedia.  Ma  dacché  il  male  è  fatto  vecchio, 
e1  ci  vuol  tantissimo  a  domarlo.  Conluttoció  e1 
si  narra  che  Metrodoro,  discepolo  di  Epicuro, 
travagliato  essendo  da  questo  malanno,  e  non 
polendo  sopportare  la  necessaria  sete,  egli  do- 
po essersi  astenuto  lungo  tempo,  era  uso  bere, 
poi  vomitare.  Se  si  rigetta  tutto  quel  che  si  è 
preso,  mollo  tedio  si  toglie  :  ma  se  lo  stomaco 
alcuna  cosa  ritiene,  il  male  si  accresce  ed  im- 
pererò non  è  da  provare  indisi  in  (amente  in 
tutti. 

Ma  se  v'è  anche  la  febbre,  si  dovrà  prima 
d'ogn1  altra  cosa  rimuoverla  con  quei  mezzi 
che  si  son  delti  convenire  per  la  cura  di  essa  : 


C    E    1    S    O 


si  sinc  febre  aeger  est.  tum  demum  ad  ea  ve- 
niendum  est,  quae  ipsi  morbo  mederi  soleut. 
Alque  hic  qaoque  quaecuinque  species  est,  si 
nondum  nimis  occupavit,  iisdem  auxiliis  opus 
est:  multimi  ambulandum,  currendum  aliquid 
est  :  superiore» maxime  partes  sie  perfricandae, 
al  spiritimi  ipse  contineal  ;  evocandus  est  su- 
dor,  non  per  exercilalionem  tantum,  seil  etiain 
in  arena  calida,  \el  laconico,  vel  elibano,  simi- 
libusque  aliis  ;  maximeque  uliles  naturales, 
et  siccae  sudaliones  sunt,  quales  super  Baia* 
in  myrtis  habemus.  Balneum,  atque  omnfs  hu- 
mor  alicnus  est.  Jejuno  recte  calapolia  dan- 
tur,  facta  ex  absiutlui  duabus.  mvrrhae  terlia 
parte.  Cibus  esse  debet  ex  media  quidem  ma- 
teria, sed  tamen  generis  durioris  :  polio  non 
ultra  danda  est,  imam  ut  vitam  sustineal  ;  o-. 
plimaque  est  quae  urina  in  movet.  Sed  id  i- 
psura  tamen  molili  cibo,  quam  medicamento 
nielius  est.  Si  tamen  res  coget,  ex  iis  aliquid, 
qnae  id  praestant,  crit  decoquendum,  eaque 
aqua  potai  d.uida.  Vide n tur  autem  barn-  l'a- 
caltatem  babere  iris,  nardum,  crocimi,  cinna- 
momam,  amomum,  casia,  myrrha,  balsamum, 
galbanom,  ladanom,  oenanthe,  panaces,  car- 
damomum,  bebenus,  cnpressi  semen,  ava  ta- 
minia,  a-ru^iict  àypiuv  Graed  nominant,  a- 
brotonnm,  rosae  folia,  acorum,  amarae  nuces, 
tragoriganum,  styrax,  costura,  funci  quadrali 

et  rotondi  semen  :  illuni  xuirlifov  lume  vxoì- 

vov  Graed  vocanl  :  qaae  quoties  posuero,  non 
quae  hic  uascuntur,  sed,  qaae  inter  aromata 
afferuntar,  significabo.  Primo  tamen,  quae 
levjssima  ex  bis  sunt,  id  osi,  rosae  folia,  vel 
nardi  spica,  leni. nula  sunl.  Vimini  quoque  uti- 
le est  austerum,  sed  quam  tehuissimum.  Com- 
modum  esl  etiam,  lino  quotidie  ventrera  me- 
lili, et,  qna  oomprehendil  alvum,  noi. un  im- 
ponere  ;  posteroque  die  ridere,  plenius  corpus 
est,  au  extennetnr  :  id  enim,  quod  extenuatur 
medicinam  sentii.  Ncque  alienum  est,  metili 
e1  potionem  ejus,  el  urinano  :  nam  si  plus  hu- 
nioris  excemitur,  quam  assumitur,  ita  demum 
secundàe  valetudine  spes  est.  Asclepiades  in 
eo,  qui  ex  quartana  in  bydropa  deciderai,  se 
abstinentia  bidui,  el  frictione  usura;  tertio  die 

jam  'I   febfe  el  a  qua  liberalo,  ci  bum  el  \  imi  m 

dedisse!  memorile  prodidit. 


Hactenui  communiter  de  orani  specie 
praecipì  potasi:  si  vehementius  malum  est, 
didui  1  nda  ratio  1  ni  andi  est.  Ergo  si  inflatio, 
1  doloi  crebei  est,  ntilis  quotidianus, 
ani  altero  quoque  die  posi  cibom,  vomitai 
di  ut it  ùcci s  calidisque  utendura  est.  SI 
per  haec  dolor  non  uuitur,  ucci  lariaa  untai» 


al  contrario  se  l1  infermo  ne  è  senza,  si  passe- 
rà allora  ali1  uso  di  que'  rimedi,  die  son  usi 
guarire  V  idropisia.  E  qui  ancora  qualunque 
ne  sia  la  specie,  quando  non  abbia  presa  so- 
verebia  consistenza  sono  richiesti  i  medesimi 
ajuli  :  passeggiar  molto,  correre  alquanto, 
stroppicciare  le  parti  superiori  principalmen- 
te, e  in  questo  mezzo  deve  V  infermo  rat  tene- 
re il  nato,  provocare  il  sudore  non  solamente 
coli1  esercizio,  ma  sì  anche  col  bagno  di  calda 
arena,  o  della  stufa  o  del  forno,  e  con  altret- 
tali mezzi,  e  sovra! lutto  utili  sono  i  naturali  e 
secclii  sudatoj  che  noi  abbiamo  sopra Baja  nei 
mirteti.  Il  bagno  ed  ogni  umidità  sono  con- 
trari. Assai  giovano  dale  a  digiuno  pillole 
composte  di  due  parti  d1  assenzio  ed  una  di 
mirra.  L'alimento  esser  deve  di  mezzana  nu- 
tritore, però  consistente  e  duro:  a  bere  si  dà 
quanto  appena  basta  a  sostenere  la  vita  :  e  ot- 
timo è  ciò  che  muove  l1  orina.  Ma  la  secrezio- 
ne dell1  orina  meglio  favoriscasi  con  cibo  che 
con  medicina  :  tuttavia  se  la  circostanza  urge, 
si  fa  bollire  alcuna  sostanza  godente  di  cotai 
virtù,  e  si  porge  a  bere  di  quesl"  acqua.  Sem- 
brano avere  tal  facoltà  V  iride,  il  nardo,  lo 
zafferano,  il  cinnamomo,  T  amomo,  la  cassia, 
la  mirra,  il  balsamo,  il  galbano,  il  ladano,  re- 
nante, il  panare,  il  cardamomo,  l'ebano,  il  se- 
me del  cipresso,  l'uva  tamiuia,  della  greca- 
mente stqfisagria,  L'abrotano,  le  foglie  della 

rosa,   V  acaro,   le  mandorle  amare,   l'origano, 

lo  stirace,  il  costo,  i  semi  del  giunco  quadrata 

e  ritondo,  quello  dai  Greci  appellalo  cipero  e 
questo  sellino  :    delle  quali  due    sostanza-  Ogni 

qualvolta  farò  menzione  intenderò  non  quelle 

che  nascono  fra  noi,  ma  quelle  elicci  vengono 

recate  fra  gli  aromi.  Gontuttociò  da  principio 
cimentar  si  vogliono  quelle  che  sono  le  più 
piacevoli,  come  le  foglie  di   rosa,  ovvero  la 

spiga  nardo.  Il  miio  ancora  e  soave  e  auslcro 
fa  prode,  ma  parco  più  che  mai.   Egli  è  altresì 

ben  l'alio  misurare  ogni  dì  il  ventre  con  filo», 
e  contrassegnarne  la  grossezza  :  e  il  dì  susse- 
guente ritornare  a  vedere  sesia  più  pieno.  0 
.se  si  estenui  :  perocché  estenuandosi  vuol  dire 
che  i  rimedi  adoperano.  Ne  trascurar  devesì 
di  pur  misurare  il  beveraggio  e  l'orina  del 
malato,  poiché  se  quel  che  si  rende,  supera 
quel  che  si  piglia,  v1  è  allora  speranza  di  rua- 
rigione.    Riferisce    àsclepiadè  aver  cidi   tatto 

uso  in  uno  clic  dalla  quartana  eia  caduto  nel 

r  ìdrope,  per  due  di  dell'  astinenza  <■  della 

ione  :  al  terzo  liberata  e  dalla  (rebbi  e  e 

dall'acqua  avergli  accordato  alimento  e  vino 

I/e  sino  a  qui   sposle  cose  adattare  si  pò 
sono  ,-,,!  ogni  specie  d' idropisia  !  se  poi  il  ma 
le  è  gravissimo,  devisi  usare  in  ciascuna  una 
medicazione  particolare.  Se  imp  1  tanto  è  una 

ini esoenza  d'aria,  <•  che  per  essa  si  provino 

1 ,,  Minuti  doloi  1.  proficuo  e  il  vomitare  tutti 
i  di.  od  ogni  due  dietro  il  mangiare:  fot  l«» 


DELLA    MEDICINA 


ne  ferro  cuourbitulae  :  si  ne  per  has  quidam 
tormentum  tollitur,  incidenda  cutis  est,  et  tum 
his  utendum.  Ultimum  auxilium  est,  si  cu- 
curbitulae  nihil  profuerunt,  per  alvum  infon- 
dere copiosara  aquam  calidam,  eamque  reci- 
pere.  Quin  etiam  quotidie  ter  quaterve  opus 
est  uti  frictione  vehementi,  cum  oleo  et  qui- 
busdam  calefacientibus  :  sed  in  hac  frictione 
a  ventre  abstinendum  est .  Imponendum  vero 
in  euro  crebrius  sinapi,  donec  cu  lem  erodat; 
ferra mentisque  candenlibuspluribus  locis  ven- 
ter  exulcerandus  est,  et  serranda  ulcera  diu- 
tius.  Utiliter  etiam  seilla  cocta  delingitur.  Sed 
diu  post  has  inilationes  abstinendum  est  ab 
omnibus  intlantibus. 


Afc  si  id  vitium  est,  cui  Xzt/xo<p\iiJKxr i 'em 
nomen  est,  eas  partes,  quae  lumenl,  subjicere 
soli  oportet  ;  sed. non  nimium,  ne  febriculam 
incendat  :  si  is  vehemenlior  est,  caput  velan- 
dum  est  :  utendumque  frictionem,  madefaclis 
tantum  manibus  aqua,  cui  sai  et  nitrum  et 
olei  paulum  sit  adjectum  ;  sic,  ut  aut  pneriles 
aut  muliebres  manus  adhibeantur,  quo  mol- 
lior  earum  tactus  sit  :  idque  si  vires  patiunlur, 
ante  meridiem,  tota  hora  ;  post  mcridiem,  se- 
mibora  fieri  oportet.  Utilia  etiam  sunt  cata- 
plasrnata,  quae  reprimimi  ;  maximeque  si  cor- 
pora  tenerioia  sunt.  Incidendum  quoque  est 
super  taluni,  quatuor  fere  digitis,  ex  parte  in- 
teriore, qua  per  aliquot  dies  frequens  hurnor 
feratur  ;  atque  ipsos  tumores  incidere  altis 
plagis  oportet:  concutienduraque  multa  gesla- 
tione  corpus  est  ;  atque,  ubi  inductac  vulneri- 
bus  cicatrices  suift,  adjiciendum  et  exercita- 
tationibus  et  cibis,  donec  corpus  ad  pristinum 
habilum  revertalur.  Cilxis  valens  esse  debet, 
et  glutinosus,  maximeque  caro  :  vimini,  si  per 
stotnaclmm  licci.,  dnlcius  ;  sed  ita,  ut  invicem 
biduo  triduove,  modo  aqua,  modo  id  bibatur. 
Prodest  etiam  laetucae  marina  e,  quae  grandis 
juxla  miire  nasci  tur,  semen,  cum  aqua  potui 
dalum.  Si  valens  est,  qui  id  aceipil,  el  seilla 
cocta,  sicut  supvr.  dixi,  dilingitur.  Auctoresque 
rnulli  sunt  i  >  1  fi  ;  1 1  \  s  vesicis  pulsando  lumores 
esse.  Si  vero  id  morbi  genus  esl,  quo  in  ule- 
rum  multa  aqua,  contraili  tur,  ambulare,  sed 
magis  modiee  oportel  ;  malagrna,  quod  dise- 
rai, imp esilimi  habere,  id<me  ipsum  superim- 
posijo  triplici  panno,  fascia,  non  nimium  la- 
men  vehementer.  adstrìngere  :  qaod  a  Thar- 
ria  profectum,  servatum  cs^c  a  ploribus  TÌdeo. 
Si  jet  ur.  aut  liem-m  affrelum  t*>se.  manifestimi 
esl,  ficom  pioguem  cóntusam,  adjecto  melle, 
■uperponere.  Si  per  talia  auxilia  venter  non 
Hccatur,  sed  lumini-  nihilominus  abundat,  ce- 
leri«jri  via  succurrere,  ut  is  per  venlrcm  i- 
psuweniitlalur.  Ncque  ignoro,  Lrasistralo  dis- 
Celso. 


menli  caldi  e  secchi.  E  qualora  per  V  applica- 
zione di  essi,  il  dolor  non  venga  a  cedere  si 
deve  ricorrere  alle  coppette  incruenti  :  e  se 
nemmeno  esse  cessano  il  tormento,  d1  uopo  è 
allora  usarle  colle  scarificazioni.  Quando  le 
coppette  non  arrecano  sollievo,  ultimo  salu la- 
re ripiego  si  è  l1  introdurre  pel  ventre  molta 
acqua  calda,  e  ritenervela.  Similmente  uopo  è 
fare  gagliardi  fregamenti  tre  o  quattro  volte 
il  dì  con  olio  e  cose  calefattive,  ma  le  frega- 
gioni non  si  devono  fare  al  ventre  ;  bensì  sur 
esso  imporre  replica  lamento  della  senape,  in- 
fino a  che  roda  la  pelle  :  ed  esulcerare  in  più 
luoghi  il  ventre  medesimo  .con  ferri  roventi, 
e  le  ulcere  conservare  aperte  per  lungo  spazio 
di  tempo.  Con  assai  prò  spalmasi  anche  la  cu- 
te di  squilla  colla.  Ma  per  lunga  pezza  dopo 
cotali  enfiamenti  da  schifar  sono  tutte  le  so- 
stanze ventose. 

Ma  se  è  quel  vizio  che  dicesi  leucojlem- 
inazia^  bisogna  esporre  al  sole  le  parti  enfia- 
te :  ma  non  troppo,  onde  non  ne  insorga  qual- 
che moto  febbrile  :  se  il  sole  è  soverchiamente 
cocente,  ricoprire  la  tòsta,  e  fare  delle  frega- 
gioni servendosi  delle  mani  bagnate  soltanto 
neir  acqua,  a  cui  sia  giunto  del  sale,  o  del  ni- 
tro, ovvero  un  poco  d'olio:  a  meglio  sarà 
l1  adoperare  a  tale  uffizio  le  mani  eli  donne,  o 
di  fanciulli,  siccome  quelli  il  cui  talto  è  più 
molle  :  se  le  forze  il  sostengono  l'arassi  innan- 
zi il  meriggio  una  fregagióne  per  lo  spazio  di 
un''  ora,  e  dopo  se  ne  fa  un1  altra  per  mezz1  ora. 
Proficui  ancora  sogliono  essere  i  cataplasmi 
ripercussivi,  e  specialmente  se  dilicata  è  la 
persona.  Si  farà  pure  un  incisione  circa  a 
quadro  di  la  sopra  il  calcagno  nella  parte  in- 
terna, donde  sgorgherà  fuori  per  parecchi  dì 
di  moli1  umore  :  e  sulle  parti  slesse  tumefatte 
si  convien  fare  profonde  incisioni,  e  scuotere 
fortemenle  il  corpo  colla  gestazione,  e  subito- 
che  rammarginate  si  sono  le  falle  incisioni,  si 
accrescono  i  cibi  e  gli  esereilamenli  infinal- 
tanto  che  il  corpo  sia  ridotto  ali1  abito  di  pri- 
ma.. L' alimento  vuol  essere  glutinoso,  forte 
e  carneo  principalmente,  e  se  lo  stomaco  il 
può  patire,  datassi  vino  abboccalo  :  ma  sì 
adoperando  che  per  due  o  tre  dì  beva  ora 
dell'  acqua,  ora  di  quello  a  vicenda.  Anco- 
ra rende  giovamento  il  seme  della  lattuga 
marina,  che  alla  cresce  sulle  riviere  del  ma- 
re, dato  in  bevanda  eoli1  acqua.  Se  robusto 
è  colui  che  prese  il  seme,  spalmasi,  come  del- 
lo è  di  sopra,  di  squilla  colta.  Ivi  autori 
t'  ha  assai,  insegnanti  doversi  percuotere 
le  intumescenze  con  vcssiehc  ripiene  d1  a- 
ri.i.  Se  poi  è  cpiella  specie  d1  idropisia,  in 
cui  molt1  acqua  si  accoglie  nel  ventre,  si  de- 
ve passeggiare,  ma  con  più  moderazione  :  ap- 
pórre al  ventre  un  cataplasma  digestivo,  e 
sorposlovi  un  panno  a  tre  doppi  comprender- 
lo con  fascia,  non  però  troppo  stretta,  la  qual 

i5 


n4  c  E  L 

plicuisse  liane  curandi  viam  :  mòrbo  in  eniui 
hunc  joeinoris  pti ta vi t  :  ila  illuni  esse  sanan- 
duin  ;  Ir us tracj ne  aquam  emilli.  quae.  \itialo 
ilio,  subinde  nascatur.  Sci  prinium.  non  hu- 
jus  visceri*  ooios  hoc  vitium  est  :  nani  el  lieri* 
alicelo,  et  in  totius  corporis  malo  habitu  fit. 
Deinde,  ut  inde  coeperil.  lamcn  arpia  nifi  e- 
mittitur,  quae  conlra  naturani  ibi  substitit,  et 
jocinori,  ci  ccteris  interìoriboì  parlibus  noeet. 
Convenitene,  corpus  nihilorainus  esse  cura  n- 
dura.  Ncque  enim  sanat  emissus  humor.  sed 
medicinae  locum  facit,  quatti  iulus  inclusus 
impedit.  Ae  ne  illud  quidem  in  conlrovcrsiam 
venit,  gain  non  omnes  in  hoc  morbo  sic  cura- 
ri possint,  sed  juvenes  robusti,  qui  vel  ex  loto 
pareut  febre.  vel  certe  salis  liberale*  intermis- 
sione» habeut.  Nani  quorum  slomachus  cor- 
ruptOJ  est.  qui\c  ex  atra  bile  bue  decidcrunt, 
quive  raalum  cprporìs  habituiH  haben',  ido- 
nei buie  curationi  non  sunt.  Gibus  autem,  quo 
die  primuin  humor  emissus  est.  supervacuus 
est  nisi  si  vires  desuot  :  msequentthus  *I ifl >n ~^. 
ct  is,  el  vinum  meracius  qui  lem.  sed  non  ita 
multimi  dari  debet,  paulalimquc  cvoe.nidus 
aeger  est  ad  exercitation^s  frieliones,  solem, 
•udationes,  fatigatioues,  et  idoneos  cibos,  do- 
I  loto  c&rtVulescat.  Batn min  ramni  res 
amat  ;  frequenliorem  in  jejono  vnmitum.  Si 
aelas  est,  in  mari  n, ilare  ennmodum  est.  Obi 
convalidi  aiiquis.  din  (amen  alieniis  eì  veneri* 
lisus  est. 


cosa,  proposta  da  Tarria,  la  vedo  segni  «a  da 
buon  numero  di  medicanti.  Se  v'ha  mani- 
festi in<li/.i  ohe  il  fegato  e  la  milza  aleno  vizia- 
ti. \i  si  pongono  sopra  fichi  grossi  ammaccali, 
e  mescolali  al  mele.  Se  a  malgrado  questi  ri- 
medi il  ventre  non  si  prosciuga,  ma  pur  l'a- 
cqua abbonili. bisogna  soccorrervi  con  un  mez- 
zo più  spacciato  dando  uscita  ali1  acqua  per  lo 
ventre  medesimo,  lo  so  troppo  bene  che  que- 
sto governo  di  cura  non  andava  a  genio  di 
Erasislrato,  perocché  avvisava  questo  male 
provenire  dal  lei.', ilo:  or  doversi  queste  viscere 
sanare  :  che  inuiiincnte  ri  vuotano  le  acque, 
perocché  magagnato  che  sia  il  fegato,  esse 
poco  a  poco  ritornano.  Bla.  prima  di  tutto  que- 
sta malattia  non  è  di  questo  solo  visi  ere.  inge- 
nerandosi sovente  e  per  affezione  di  milza,  e 
per  mala  disposizione  di  tutto  il  corpo.  Dipoi 
benché  di  colà  abbia  preso  origine,  tuttavia, 
se  non  si  evacuano  le  acque  che  contro  natu- 
ra vi  stagnano,  nuocono  e  al  fegato  e  alle 
altre  interne  parti  :  nondimeno  necessario  è 
correggere  il  reo  abito  del  corpo.  Imperoc- 
ché non  é  1'  estrazione  delle  acque  che  risana, 
bensì  porge  luogo  ali1  operazione  dei  rimedi, 
cui  s'oppone  Tumore  raccoltovi.  E  né  qui 
pure  cade  vertenza  veruna,  che  non  lutti  si 
possano  curare  ad  un  modo  in  questa  malattia, 
ma  sì  i  giovani  robusti,  i  quali  siano  o  al  lutto 
privi  di  lebbre,  od  abbiano  delle  intermissioni 
discretamente  lunghe.  Gonciossiacbè  coloro  i 
quali  hanno  mal  affetto  lo  stomaco  ovvero 
quelli  elio  itali"  al  labile  caddero  idropici,  e 
quei  di  Irisl"  abito  del  corpo,  non  sono  abili  a 
questa  cura.  11  cibo  poi  é  inutile  in  quel  dì  in 
cui  si  sono  cavate  le  aeque  salvoehè  non  inan- 
ellino le  tor/.e  :  ne"  consecutivi  devesi  dare  e 
Cibo  e  vino  pretto  :  non  però  hi  soverchia  ru- 
pi;! ;    e    poco    a  poco  richiamar   1"  infermo  alle 

fregagioni,  agli  esercì  lamenti,  all'esposizione  al 

sole,  ai  sudori,  alle  navica/ioni  ed  agli  appro- 
priati nutrimenti,  infìtto  a  che  lo  n  recw  a 
sanità  perfetta.  Il  caso  vuole  raro  il  bagnarsi, 
frequente  il  vomitare  n  digiuno.  Se  è  «li  stato, 

è  ottimo  il  nuotare  in  mare.  ()\  ' al.'ro  siasi    ri 
stabilito  da  questa    malsania,   deve   pure  per 

gran  tempo  fuggire  i  diletti  venerei. 


Cap.  IVIt Di',   tnhr.   et  rjns  ÌBjtciebuS. 


<'\e.  wii.    Della  talic  sue  spezie  e  cure. 


Diutiua  laepe  el  perieulostm  labe 
raaJ<  babel  quo  invasi!,  itque  hujus  qu 
olun  ni.    I  uà  ,s\  imo  <  >rrm< 

V 


qiccies    mini,     i  uà  esi  qu< 
alitili",  ci  iialitialiltr    scinper    aliquiluis   d ■••  i 

dentibwv  nullfa  ver.,  in  eoram  Un  uno  iuJk  un 

III. un,  Mimma  mane,  oi'ilur  :    el.    uisi   .,.•<    n  |  , 

tur,  Louil    li  oc  Gì  aed  i  •■  ini-,  I  • 

duabns  feri  de  <  ni  ri    incida  re  eonsuevit.  ini 

«  m0i   ninno  liiiimr  alnpns  muuis.  ani  avidila- 
I'      ninna     plu   .     ipiain    di  1-    ;     I    minti       ili    \.  I. 


li  a  lun^o.  e  con  vie  maggior   pericolo 
i  mal  lei  mine  riduce  chi  ne  è  ooanpi  t 

piesla  pur  inoli,-   v,.,io    |c     specie.   I   DS  è 
pO     ii<  n  si    nodi  isee.    e  noli 


r 

i.i  i.ii.i 

so.  Di 

quella  m  cn 

subentrando  nuove  particelle  in  luogo  di  quel- 
teche  n  vanno  naturalmente  e  del  continuo 
disperdendo,  un'estrema  magrezza  ne  viene. 
ti  r  infermo  se  non  si  sussidia,  pei  isoe,  I  Greci 
li    dicono  atrofìa.  Proviene  d'ordinario  da 


di 


o  |"  i •  liè  altri  per  soverchia  lem.i 


DELLA    -MEDICINA 

quod  deest,  infirmai  ;  Tel,  quod  superat,  cor 
rumpitur. 


n5 


Altera  species  est,  quam  Graeci  x«- 
y^iav  appellant  :  ubi  malus  corporis  habitus 
est  ;  ideoque  omnia  alimenta  corrumpuntur. 
Qnod  fere  fìt,  cum  longo  morbo  vitiata  cor- 
pora,  etiamsi  ilio  vaeant,  refectionem  tamen 
non  accipìunt  ;  aut  cum  malis  medica  mentis 
corpus  affectum  est  ;  aut.  cum  diu  necessaria 
defuerunl  ;  aut  cum  inusilatos  et  inutiles  cit>os 
aliquis  assumpsit,  aliquidve  simile  incidi t.  Huic 
praeter  tabem,  illud  quoque  nonnumquam  ac- 
cidere  solet,  ut  per  assiduas  pustulas,  aut  ul- 
cera, summa  cutis  exasperetur,  vel  aliquae 
corporis  parles  intumescant. 

Tertia  est,  longeque  periculosissima  species, 
quam  Graeci  tpOia-tv  nominarunt .  Oritur  fere 
a  capite:  inde  in  pulmonem  destillat.  :  huic  e- 
xulceratio  accedit  ;  ex  bac  febricula  levis  fif, 
quae  etiam,  cum  quievit,  tamen  repetit  ;  fre- 
quens  tussis  est:  pus  exscreatur;  interdum 
cruentum  aliquid.  Quidquid  exscreatum  est, 
si  in  ignem  impositum  est,  mali  odoris  est  :  1- 
taque.  qui  de  morbo  dubitant,  bac  nota  utun- 
tur.  Cum  haec  genera  tabis  sint,  animadver- 
tere  primum  oportet,  quid  sit,  in  quo  labore- 
tur.  Deinde,  si  tantum  non  ali  corpus  appa- 
ret,  caussam  ejus  attendere  ;  et  si  cibi  minus 
aliquis,  quam  debet,  assumit,  adjicere  ,  sed 
paulatim  :  ne  si  corpus  insuetum  subita  mul- 
titudine  oneraverit,  concoctionem  impediaf. 
Si  vero  plus  justo  quis  assumere  solitus  est, 
abstinere  uno  die  ;  deinde  ab  exiguo  cibo  in- 
cipere  ;  quotidie  adjicere,  donec  ad  justum 
modum  perveniat.  Praeter  haec  convenil  am- 
bulare locis  quam  minime  frigidis,  sole  vita- 
to ;  per  manus  quoque  exerceri  :  si  infirmior 
est,  gestari,  ungi,  perfricari,  si  potest,  maxime 
per  se  ipsum,  saepius  eodem  die,  et  ante  ci- 
bum,  et  post  eum.  sic,  ut  inlerdum  oleo  quac- 
dam  adjiciantur  calefacenlia,  donec  insudet. 
Prodestque  jepino  prehendere  per  mullas  par- 
tes  cutem,  et  attrabere,  ut  relaxetur  ;  aut,  im- 
posita  resina  et  abducta,  subinde  idem  facere. 
Utile  est  etiam  iuterdum  balneum,  seti  po*t 
cibimi  cxiguum.  Alque  in  ipso  solio  recte  cibi 
aliquid  assumiteli*  ;  aut.  si  sinc  hoc  frictio  fuil, 
posi  eam  protinus.  Cibi 'vero  esse  debent  e* 
lis.  qui  facile  concoquuntur.  qui  maxime  a- 
lunt.  Ergo  vini  quoque,  sed  austeri,  necessa- 
rius  usus  est.  Movenda  urina. 


mangia  meno,  o  per  troppa  avidità  più  di  quel 
che  deve  ;  così  o  ciò  che  manca,  ne  infievoli- 
sce, o  ciò  che    sopravanza,corrompesi. 

L'  altra,  che  nel  favellar  de1  Greci  appel- 
lasi cachessìa,  si  è  quando  predomina  mal 
abito  del  corpo,  per  cui  tutti  gli  alimenti  si 
corrompono.  Il  che  suol  avvenire  allorché  vi- 
ziati i  corpi  per  lungo  malore,  ancorché  que- 
sto rimosso  sia,  non  si  nutricano  :  o  per  esser 
stati  usati  perniciosi  medicinali  ;  o  per  essere 
mancate  da  tempo  le  cose  necessarie;  o  per 
aver  altri  fall1  uso  di  cibi  insoliti  ed  insalubri, 
°K  qualsiasi  altra  causa  somigliante.  Si  con- 
giungono  talvolta  al  malo  abito  del  corpo,  ol- 
tre alTinlabesceriza,  spesse  ulcere  o  pustole  che 
la  pelle  difiormano,  ovvero  si  fanno  tumide 
certe  parti  del  corpo. 

La   terza    e    di    tutte  la  più  pericolosa   è 
quella  alla  quale  si  dà  appo  i  Greci  il  nome  di 
tisi.  E.^sa  ha  per  lo  più  cominciamento  dal  ca- 
po :  indi  si  gitta  sul  polmone.,  che  da    ulcera- 
mento è  assai  tosto  preso,  donde   leggièr  feb- 
bretta  cessante  sì,  ma  ritornante,  prolissa  tos- 
se, espettorazione  di  marcia,    talora    mista  di 
•sangue.  Quello  che  viene  espurgato,  se  si  butta 
sul    fuoco,    manda    malvagio    odore  :    quegli 
impertanto  che  dubitano  della  malattia,  ricor- 
rono a  questo  segno.   Essendo   queste  altret- 
tante maniere  d'intabescenza,  si  convien  prima 
di  tutto  esaminare  qual  sia  quella  ond'  altri  è 
colto.  Scorgendo    esservi    soltanto    difetto   di 
nutrizione,    bisogna    indagare    la    cagione,   e 
se  altri  piglia  meno    alimento   di    quel    che  è 
d'uopo,  aggiugnerne,  ma  bel  bello,  onde  non 
resti,  venendo  il  corpo  contro  suo  solilo  da  su- 
bila sovrabbondanza  aggravato,    impedita  la 
digestione.  Se  poi  altri  sia  usato  mangiare  più 
del  convenevole,  farlo  astenere  per  un  dì,  indi 
principiare  da  un  tenue  cibo, ed  ogni  dì  accre- 
scerlo   insino  a    che  si  giunga  ad  una  tempe- 
rata misura.  Oltre  a  lutto  questo  rileva  il  pas- 
seggiare in  luoghi  men  freddi  possibile,    schi- 
fando il  sole:  ancheesercilarsi  in  opere  di  ma- 
no,  e  se   debole  farsi   portare,   un'^ers1.  stro- 
picciarsi massime  di  per  so.  potendo,  più  vol- 
te lo   slesso   dì  sì  avanti  che  dopo  il   paslo^ 
a£ghi£Miendo  talora  sii* oliti  robe   riscaldati- 
vi  affimbè  si  sudi.  Ed  è  proficua  prova  il 
pigliare,  sendo  il  malato  ancor  dieiuno,  colle 
mani  la  pelle  in  diversi  luoghi,  e  tirarla  a  se, 
onde  la   si  rilasci;  ovvero  apporvi  della  re- 
sina, e  distaccamela,  ripetendo  ciò  di   tempo 
in   tempo.  Itile  è  ancora   in  certi  casi  il  ha- 
£  no  fatlo  però  dopo  un  tenue  pasto.  E  puos- 
si  Pel  bagno  islesso  prendere  alcun  alimen- 
to ;   o   se  falla   ria   fregagione  sne/a  mangia- 
re, ma n«iar  tosto  appresso.  1  cibi  si  convien 
che   sieuo  Hi   .-nuvole  roncuc  cimento,  nutriti- 
vi e  sostanziosi.  Il  perchè  necessario  è  anche 
1'  uso  de!  vino,  ma  austero,  e  devonsi  provo- 
care le  orine. 


CELSO 


At  si  malus  eorporis  habitus  est.  primam 

abstinendum  est;  delude  alvus  «Incenda,  tum 
pania  ti  m  cibi  «laudi.  adjeetis  exercitationibus, 
unctionibas,  frietionibus.  Utilius  his  frequens 
balneam  est.  sedjcjunis;  etiam  usque  sudo- 
ìvjn.  Cibis  vero  opus  est  copiosis,  variis,  boni 
succi,  quique  etiani  minus  facile  eorrumpan- 
lur,  vino  austero.  Si  nihil  reliqua  protìciunt, 
sanguis  mittendns  est;  sed  paulatim,  quoti- 
dieque  pluribus  diehus,  cum  co,  ut  cetera 
quoque  eodein  modo  serventur.  Quod  si  ma- 
li plus  est,  et  vera  phthisis  est  io  ter  inili.» 
protinus  occurrere  necessarium  est  :  »«que 
enini  tacile  is  morbus,  cum  inY»*t?raveril  , 
evinci  tur.  Opus  est,  si  vires  paduutur,  longa 
nagiratione ,  coeli  mufauone,  sic  ut  den- 
sius  quam  id  est.  ex  quo  discedi t  aeger,  pe ta- 
llir: ideoqae  apóssime  àlexaadriam  ex  Italia 
itili-.  Perequa  id  posse  inter  principia  corpus 
pali  debet,  (Mini  liic  morbus  aetate  lìrmissima 
maxime  oriatur.  id  est.  ab  anno  duodevicesi- 
rao  ad  annuin  quintino  et  triecsimum.  Si  id 
i .11 1 m  ,  illitas  non  sinit,  nave  tamen  non  longe 
pesta  ri  commodissimum  esl  :  si  navigationem 
aliqua  res  prohibet,  lectiea,  vcl  alio  modo  cor- 
pus movinliiii)  est  Toma  negotiis.abstinen- 
'limi  est,  omnibusque  rebus,  quae  sollicitare 
a  nini  ara  possimi  ;  somao  ìndnlgenduna  :  ca- 
vendae  destillationes,  ne.  si  quid  cura  levarli, 

c\aspciv  i!  :    el  Db  id    vitanda  erudi'as.  siinul- 

que  et  sol  el  frigna  :  os  obtegendum,  fauees 
velandae,  tussicula  suis  remediis  Bnieuda  :  ri, 
quamdiu  quidèra  febricula  incorsai,  baie  ìn- 
Lerdani  abslinentta,  interdum  etiam  tempesti- 
vis  cibis  medeudum  ;  eoque  tempore  bibeod  i 
aqua.  J.ac  quoque,  qnod  in  capitis  dolori  bus, 

et  in   aeulis   febribus,  et  per   eas   l'irla    nimia 

siti.  ac,  sivc  praecordia  tumeot,  aire  biliosa 

urina  est.  sive  aanguia  llu\it,  pio  veneno 
esl  :    in    |>lilbisi  I.iiim'ii.  sica!   in  omnibus  lon- 

gis  difncilibusqae  Gebriculis,  recto  dui  p<>- 
letL  Quod  si  febrii  ani  Dondura  incorsai,  nul 
i 'in  reroistt,  .1  ca  trend  uni  est  ad  mbdicaa 
exen  .1  iliones.  inaxiroeque  ambulaliooes  ;  item 
lenea  frictiones.  Baloeum  alienum  est.  Cibua 

♦•sic  diluì  primo  acer,  ut  .illiuui.  porram 
1!  )M  •  ip-uiil  .  \  .urto,  vii  CI  <ndrin  iiiluhus, 
«>    iniiiii.   I  1    luca  :  deinde  lenis.    ut  sorbiti.»  ex 

'    vcl  ex  >b(  .1.  \r\  ex  amylo,  [ade  adje- 
eto.  Idem    oryxa  quoque,  «•'.  si  taihil    alimi 
est,  fai  [>r  irsi  ii.  rum  invicela  modo  his  cibis. 
modo  ilbi  nlendura  esl  ;  adjiciendaqoe  quee 
dia  i\  media  materia,  praecipaeque  (  vcl  ex 

1     n  bell'ini.    \i  I    piscicnhis.    i  I    ! 

india.  Farina  1  ii  ira  1  tim  sevo  "villo  ceprinove 
mix  la,  deiode  incocta,  prò  medioameoto  est. 
Vìoum  usuali  debet  leve,  auateruJUi 


ila  se  il  niale  è  nel  reo  abito  del  corpo 
si  convicn  prima  di  tutto  astenersi,  dipoi 
sciogliere  co' cristGri  il  ventre,  indi  poeo 
i  poco  ministrare  il  mangiare,  associandovi 
le  unzioni,  i  frenamenti,  gli  esercizi.  Più  di 
queste  cose  sono  giovevoli  le  frequenti  ba- 
gnature, ma  a  digiuno  fino  al  sudore.  1  cibi 
uopo  è  ebe  sieno  copiosi,  variati,  di  buon 
succo,  e  di  pia*  ebe  men  facilmente  si  cor- 
rompano, e  il  vino  austero  Se  le  altre  cose 
nulla  giovano,  è  necessario  Irar  sangue,  ina 
poco  alla  volta  ;  ed  ogni  dì  per  più  giornk 
si  facciano  unitamente  al  salasso,  le  altre  co- 
se al  medesimo  modo.  Che  se  il  male  è  di 
maggiore  intensità,  ed  è  la  verace  tisi,  bi- 
sogna tosto  provvederci  alla  prima  :  peroc- 
ché non  è  di  agevole  sanamento  morbo  tale, 
allorché  sia  invecchiato.  Fa  d'uopo,  se  le 
forze  il  comportano,  di  lunga  navigazione,  di 
mutamento  d'aria  sì  che  l'  infermo  si  reehi 
in  parte,  ove  l'aere  sia  più  grosso  di  quello 
donde  si  dipartì  :  laonde  a  gran  prò  si  na- 
viga dall'Italia  in! Alessandria.  E  deve  per  lo 
più  poter  da  principio  reggere  ad  un  tal 
viaggio  nascendo  questa  malattia  general- 
mente nell'età  più  l'erma,  cioè  dall'anno  vige- 
simosecondo  al  trigesimoquinto.  Tuttavia  se 
la  debolezza  non  lo  permette,  gioverà  pur 
assai  farsi  recare  in  barca  per  pieciol  tratto  : 
e  se  alcuna  cosa  si  oppone  all'andar  per 
acqua,  vuoisi  muovere  ed  agitare  il  corpo  in 
lettiga,  o  in  altra  guisa  :  ultimamente  schi- 
fare devoosi  gli  a  Bari,  e  tuttocào  che  può  ce- 
giocare  ansiose  cure  d'animo:  dormire  a 
grand' agro:  evitare  le  infreddature,  onde 
non  si  perda  quel  vantaggio,  che  per  la  cu- 
ri si  fosse  ottenuto:  e- perciò  imporla  guar- 
darsi dall'indigestione  e  dal  sole  e  del  fred- 
do :  velare  la  bocci,  coprire  il  collo  ;  alla 
tossetta  por  termine  cngli  appropriati  rime- 
di :  e  per  lutto  il  tempo  che  dura  la  lenta 
febbre,  vi  si  presterà  soccorso  ora  col  l'asti- 
nènza, -ori   ambe  OOgli   alimenti   ministrali  a 

dibiio  tempo,  ed  in  quel  mezzo  bere  del- 
l'acqua. Il  latte  del  pari,  il  quale  si  tiene  per 
veleno  ne' dolori  di  testi  e  Delle  febbri  acute 
<•  nell'ardente  sete  incitata  per  esse,  ed  ogni 
qualvolta  sono  tumidi  b?I' ipocondri,  o  biliosa 
V orine,  •>  v'ha  (lusso  di  sangue,  pnossi  util- 
mente somministrare  nel  morbo   tisico  non 

allramcnti  che  in  tulle  le  lunghe  8  pertina- 
ci 1. diluvile.  Che  se  l<  febbre  0  non  compaja 
per  anche,  «>  già  declinò,  ai  convien  passare 
all'ilio  di  m  dei. ite  esercitazioni,  massima* 
mente  I  passeggi,  ed  agualmenta  alle  piace- 
voli fregagioni,  Il  bagno  discnnvicnc<  Il  cibo 

vuoisi  dapprima  acre,  siccome  l'aglio,  il  [tor- 
io e  questo  in  aceto;  ovvero  li  cicorea,  il 
basilico,  la  lattuga  in  esso;  blando  dappoi, 
•  ii .  orna  d  brodo  d'orzo,  o  d'elice,  0  di  ami- 
do   giuut  )    al   latte     11  liso  pure    e  sr  mn\ 


DELLA     MEDICINA  1 1  <) 

v'è  al  Irò,  il  farro  adopera  lo  stesso.  Indi  a 
vicenda  ora  di  questi  cibi,  ora  di  quelli  è 
da  usare:  unendovi  alcuna  cosa  della  classe 
mezzana,  e  della  prima  specialmente  il  cer- 
velletto, il  minuto  pesce  o  colali  altre  cose. 
Si  dà  eziandio  per  medicamento  la  iarina 
mischiata  col  sevo  di  pecora  o  di  capra,  poi 
cotta.  11  vino  deve  beversi  leggiero  ed  austero. 
Hactenus  non  magna  mole  pugnalur  ;  si  Fin  qui  la  lisicbe7za  si  oppugna  senza 

vehementior  noxa  est,  ac  neque  iebricula,  ne-  troppo  sforzo:  ma  se  l'affezione  è  molto  eonsi- 
que  tussi»  quiescit,  tennarique  corpus  appare!,  derubile,  e  che  né  la  febbre  lenta  cessi,  ne  la 
validioribus  auxiliis  opus  est.  Esulcerandoli]  tosse,  e  il  corpo  mostri  d1  estenuarsi,  mestie- 
est  ferrò  candenti,  unoloco  sub  mento,  altero  in  ro  è  aver  ricorso  a  dei  presidi  vieppiù  effi- 
gutture,  duobus  ad  mammam  utramque  ;  ilem  caci.  È  necessario  far  con  ferro  infuoca- 
sub  imis  ossibus  scapularum,  quas  ùfxo'n'kc.'rag  to  un'ulcera  sotto  il  mento,  un'altra  alla  gola, 
Graeci  vocant,  sic,  ne  sanescere  ulcera  sina-  due  all'una  e  all'  altra  man  niella,  ed  altret- 
mus,  nisi  tussi  finita  :  cui  per  se  quoque  me-  tante  al  basso  delle  ossa  delle  scapole,  dette 
dendum  esse,  inani festum  est.  lune  ter  qua-  grecamente  omopìata  ;  facendo  poi  in  ca- 
terve die  vehementer  txtremae  par  Ics  per-  mera  che  lali  ulcere  non  si  cicatrizzino  in- 
fricandae,  thorax  leTÌ  manu  pei  tractandus,  finattanto  che  guarita  non  sia  la  tosse,  con- 
post  cibum  intcrmiltenda  hora,  et  pei  frican-  tra  la  quale  è  chiaro  doversi  ministrare  una 
da  mira,  brachiaque:  interpositis  denis  die-     cura  particolare^  Allor  si  fanno  tre  o  quattro 


bus.  demittendus  est  aeger  in  solium,  in  quo 
sit  aqua  calida  et  oleum  :  celeris  dici  us  bi- 
benda  aqua;  tum  vimini,  si  tussis  non  est, 
potui  frigidum  dandum  ;  si  est,  egelidum. 
Utile  est  etiam  in  remissionibus,  quolidie  ei- 
bos  dari  :  frictiones  gestationesque  si»  Hi  Ver 
adbiberi  :  eadem  acria  quarto,  aul  quinto  die 
sumere:  interdum  herham  sangninalem  ex 
acelo,  vel  planlaginem  esse.  IVlcdicamentum 
est  etiam  vel  planlaginis  suceus  per  se*,  vel 
marrubii  rum  melle  inroclus  ;  ita  ut  illus 
cvatbus  sorhealur.  liujus  cochleare  plenum 
paulatim  delingatur  ;  voi  inter  se  mixta.  et 
incoela  resinae  terebinthinae  pars  dimidia, 
hutvri  et  roeilis  pars  altera.  Praecipua  tamen 
ex  bis  omnibus  sunt  rictus,  vehiculum,  et 
navis  ;  et  sorbi t io.  Alvus  cita  ulique  vitanda 
est.  "Voniitus  in  hoc  morbo  frequens,  perni- 
ciosus  est,  maximeque  sanguinis.  Qui  meliu- 
sculus  esse  coepit.  adjicere  debet  oxercilaho- 
nes,  fwctiones,  eibos  :  deinde  ipse  se,  sup- 
presso  spiritu,  perfricarc  ;  diu  abstinere  a  vi- 
no, balneo,  venere. 


capot  xxm.  —  De  comitìali  morlo. 


volte  il  dì  fregagioni  forti  e  gagliarde  sulle 
estremità  del  corpo  :  il  torace  con  mano  leg- 
giera trattare:  un'ora  dietro  il  pasto  stro- 
picciale le  gambe  e  le  braccia  .  Trascorsi 
dieci  dì  si  fa  discendere  l'infermo  in  un  ba- 
gno d'acqua  calda  e  d'olio:  ne' seguenti  dì 
non  bere  che  acqua:  poscia  se  non  v 'è  tos- 
se, vino  freddo,  altrimenti  tiepido.  Ancora 
giovevole  è  dar  mangiate  ogni  dì  negli  sce- 
mi della  febbre  :  e  similmente  praticar  le 
fregagioni  e  le  gesta/ioni,  e  prendere  al  quarto 
o  quinto  dì  le  cose  acri  già  dette:  e  man- 
giare di  lempo  in  t<mpo  erba  sanguinella, 
ovvero  piantaggine  infusa  in  aceto.  Ancora 
buon  rimedio  è. il  succo  di  piantaggine  di 
per  sé,  ovvero  quello  del  marrubio  collo  col 
mele  :  di  quello  se  ne  avvalla  un  bicchiere, 
di  "questo  se  ne  lambe  un  colmo  cucchiajo 
appoco  appoco,  e  questi  succhi  mischiati  in- 
sieme, e  crudi  si  uniscono  ad  una  mezza 
parte  di  resina  di  trementina,  ed  una  di  bu- 
tirro e  mele.  Contultociò  i  principali  sussidj 
fra  tutti  questi  sono  il  vit\o,  l'andare  in  coc- 
chio, il  navigare  ed  i  brodi  farinacei.  Si  deve 
schifare  con  ogni  cautèla  la  scioltezza  del 
ventre.  11  frequente  vomitare  in  questa  ma- 
lattia è  pernicioso,  e  massimamente  il  vomi- 
tar sangue.  Allorché  l'inférmo  comincia  a 
slare  un  podici  lo  meglio,  aumentar  deve  gli 
esercizi,  le  fregagioni,  gli  alimenti:  indi  rite- 
nendo il  fiato,  stropicciarsi  da  sé.  ed  astener- 
si per  lungo  spazio  di  tempo  dal  vino,  dal 
bagno  e   dalla  venere. 

cap.  xxni.  Bella  cura  del  malcailuco. 


Inter  notissimo!  morbosi  est  etiam  is,  qui  Ira  le  più  conosciute  malattie  evvi  quel* 

cornilialis,  vel  major  nominalur.  Homo  subito     la  che  diecsi  morbo  comiziale,  o   maggiore. 
concidit;  ex  ore  spumae  movenlurj  deinde     La  persona  impensatamente  cade:  sor^onglì 


I  l8  CELSO 

interposito  tempore  ad  se  redit,  et  per  se  ipse 
consurgit.  Id  genus  saepius  viros,  quam  fé  mi- 
nai, oeeupat.  Ac  solet  quidem  etiam  longum 
esse,  usque  ad  mortis  diem,  et  vitae  noti  pe- 
riculosura  ;  interdum  tamen  cuin  recens  est, 
hominem  consumit  :  et  s.iepe  eum,  si  reinedi.i 
noti  sustulerunt,  in  pueris  veneris.  in  puellis 
menstruorum  initium  tollit  Biodo  cam  disten- 
tione  nervorum  prolabitnr  aliquis,  modo  si  ne 
illa.  Quidam  hos  quoque  iisdem.  quibus  le- 
ihargicos,  excitare  conanlnr  :  quod  adniodum 
sapervacuum  est  ;  et  quia  ne  lethargicus  qui- 
dem his  sanatur  ;  et  quia,  cum  possi!  ille  num- 
<jiiam  expt  rgisci,  atipie  ita  fame  interire.  hic 
ad  se  utique  revertitur.  Ubi  conoidi!  aliquis, 
si  nulla  nervorum  distenlio  accessit,  utique 
sanguis  mitti  debet  :  si  accessit,  non  utique 
mittendus  est,  nisi  alia  quoque  hortantur.  iSe- 
ccssariuni  autein  est.  (lucere  alvum,  vel  nijro 
veratro  purgare,  vel  utrumque  lacere,  si  vires 
patiuntur  :  lune  caput  tender*,  oleoque  et  ace- 
to parungere,  cibum  post  diem  tertium,  si- 
niul  transiit  hora,  qua  ooncidit,  dare.  Neque 
sorbitiones  autem  his,  aliique  molles  et  faci- 
le» cibi,  neque  caro,  minimeque  suilla  coti- 
venit;  sed  tnediac  materiae:  nam  et  viribus 
opus  est,  et  cruditates  cavenlae  sunt.  Cum 
quibus  funere  oportet  solem.  halneum,  ignem, 
omoiaque  ealefaoientia,  item  frigus,  vilumi, 
vpnerem,  loci  praeeipitii  oonspeetam.  ornuium- 
que  terrenlium,  vomitare,  Ir  ssita  dine  m.  sol- 
iicitudines,  negotia  omnia.  Ubi  terlio  die  ci- 
bus  datus  est.  inlermittere  quartana,  et  invi- 
cem  alterum  quemque,  eadem  hora  cibi  ser- 
vata, donec  quatuordecim  dies  transeant.  Quos 
ulti  morbus  eveessit,  acuti  vim  deposuit  :  ac, 
si  manet,  curandai  jam  ut  lonejus  est  Qaod 
si,  non  quo  die  primum  id  inoidit.  mediani 
■OOessit,  se  l  is.  (|ui  cadere  consuevit.  ei  Ira* 
ditoi  est;  proti nus  eo  renare  vietai  habito, 
qui  supra  comprehensus  est.  exspeetandus  est 

dies,  qua  prolabatar;  atendumque  tum  vel 
sanguini*  mistione,  vel  daetione  alvi,  vel  ni- 

gro  veratro,   sicut  praceeptum    est  :  insequen- 

tilms  deinde  «  1  ì<- 1  >ws.  per,  eoe  <ilms  qnoa  pro- 
posni.  vitaiis  omnibus,  qoae  caveoda  dixi,  nu- 
triendua  est  Si  par  hsec  morbm  finitili  non 
fuerit,  oonfoaienduni  «-ri t  ed  album  teratrnmì 
■e  ter  quoque  sul  quater  eo  nteuduro,  non 

Ili    inultis  interpositis   diebus;    sic    tamen.   ne 

iterueo  unquani  iumat,nisi  ooneiderit.  Medili 
.-ni  i '-ni  diesili  virus  ejus  «inni  nutriendan;  qui- 
b N -diiii.  praatec  <•■<*<  quae  raprs  saripte  sunt, 
adjectis.  1  bi    mane   experrectus  est.    corpus 

ejttl  bniter   ex  oleo  volere,   cum   Capite  9XM* 

pio  \rn!r'\  pai  mulcc  (l  ur  :  tum  ambulatone 
quam  maxime  laflgl  Bl  reati  Statar  :  post 
ambiilalioncm  loro  lapido  vdiemeuler  et  diu, 
M   non    minili    ducenti»-*.   Disi   infunili»   erit, 

perfrteetan  dai  adi  par  caput  multa  iqut  fui* 

fidi  pei  fundatur  ;  pattinili  cibi  usiumut;  cou- 


bave  alla  bocca:  dipoi  trascorso  alcun  tem- 
po ritorna  in  sé,  e  di  per  sé  si  leva.  Questo 
male  occupa  più  spessamente  gli  uomini  che 
le  donne.  E  suole  anch'  essere  sì  lungo  da 
continuare  fino  alla  morte,  e  senza  nuocere 
alla  vita:  alcuna  volta  però  quamP  è  recen- 
te distrugge  P  uomo  :  e  talvolta  questa  ma- 
lattia, cui  non  valsero  a  domare  i  rimedi, 
è  tolta  dal  primo  giugo  ere  della  pubertà  nei 
fanciulli,  e  dal  comparire  de'meslroi  nelle  zit- 
telle. Altri  cade  ora  con  distendimento  di 
nervi,  ed  ora  senza  di  esso.  Alcuni  si  ado- 
perino ad  eccitare  questi  cogP  istessi  argo- 
menti, onde  si  sogliono  risvegliare  i  letargi- 
ci: lo  che  è  al  tutto  inutile,  a  perchè  con 
essi  non  si  risana  neppure  un  letargico,  e 
perchè  intervenir  potendo  eh1  esso  non  si  ri- 
desti più  e  così  perir  di  fame  ;  un  epile  ti 
tico  all'  incontro  ritorna  costantemente  in  sé. 
Quando  altri  cade  a  terra,  se  non  soprav- 
vengono convulsioni,  devesigli  cavar  sangue:  ; 
se  ne  sopravvengono,  non  si  deve,  salvo  che 
non  vi  sieno  altri  indicanti  .  Cosa  essen- 
ziale è  muovere  il  ventre  co1  erisleri  e  ool- 
l1  elleboro  nero  purgare,  ovvero  far  Timo 
e  Pallio  concedendolo  le  forze:  dipoi  ton- 
dere  il  capo,  ed  ungerlo  d1  olio  e  d'  aceto  : 
dar  mangiare  dopo  il  terzo  dì,  trascorsa  Né 
sia  Torà,  in  otti  suol  venire  P  insulto,  che 
dicavoli  sono  in  questa  infermità  la  sorbi 
zione,  od  altri  molli  e  facili  alimenti,  mia 
carne,  e  tanto  meno  la  porcina,  ma  si  richie- 
dono cibi  di   menano   nutricamento,  stante 

che  e  d*  un  lato  si  vogliono  fiancheggiar  le 
fona,  e  dal!"  altro  schifare  le  indigestioni. 
Con  infermi  sì  fatti  si  convieni  fuggire  il  so- 
le, il  bagno,  il  fuoco  e  le  cose  riscaldanti  : 
medesimamente  il  freddo,  il  vino,  il  coito, 
P  aspetto  di  un  precipizio,  e  d,oggetii  spa- 
ventevoli, il  vomito,  la  stanchezza,  le  ansio- 
se sollecitudini,  gli  ettari  tutti.  Allorcliè  al 
tarso  dì  è  stalo  dato  mangi  ire,  devesi  trala- 
sciare al  quarto,  <'d  B  vicenda  un  dì  sì  I  al- 
tro no.  e  sempre  alla  medesimi  ora,  tanto 
che  traiCOrrìnO  quattordici  dì.  Ove  la  malat- 
tia   abbia    trascorso    tal    termina,    ha     deposta 

la   forza  di  male  .culo,  e  se  persevera,  vuoisi 

allora  curare  come  mal  lungo.  Che  se  il  me- 
dio  non   accorse    il    dì.   in     cui    P  nonio    per 

la  primi  volti  cadde,  ma  fagli  affidato  chi 
■'ii  abitualmente  <•  oso  ci  lere,  prescritta  in- 
nanzi quella  miniera  di  ritto  da  noi  sorra- 

sposla.  vi  date  aspettare  quel  dì.  nel  quale  ca- 
drà, ed  allora  si  lisa  il  salasso,  i  crateri,  (» 
P  elleboro  nero,  siccome  è  prescritto:    indi  ai 

lutsecuenti  dì  si  deve  nutrirà  dì  quegli  eh- 
mentì  i  he  li  inno  proposti,  lasciate    al  tutto 

e  faffgita  quelle  <(»sc  clic  dissi  doversi  evita- 
re. Se  per  P  uso  di  qumta  il  mal  nuli  ceesa, 

si  dee  ricorrere  all'elleboro  Iunior)  :  ed  am- 
Bjiaislrarlo    anche    Uni  o  quattro    volte    non 


DELLA    MEDICINA 


quiescat  rursns  ante  noclera  ambulatione  uta- 
lur  :  iterum  vehementer  perfricetur,  sic  ut 
neque  venter,  neque  caput  contingalur:  post 
baec  coenei;  interpositisque  tribus  aut  qualuor 
diehus,  uno  aut  altero  acria  assumat.  Si  ne 
per  haec  quidem  fuerit  liberatus,  caput  radat  ; 
uniratur  oleo  vetere,  adjecto  aceto  et  nitro; 


frapponendo  troppi  dì  fra  l1  una  e  1'  altra,  in 
modo  però  che  non  ne  prenda  più,  se  pur 
non  ricadesse.  Nei  dì  intermedi  d'uopo  è 
rinvigorire  le  forze  del  malato  con  adattalo 
alimento,  al  quale  oltra  le  robe  superiormen- 
te proposte,  si  aggiunga  alcun1  altra  cosa.  La 
mattina  tosto  che  è  desto,  gli  si  spalma  soa- 


perfundatur  aqua  salsa  ;  bibat  jejumis  ex  aqua     veniente  il  corpo    d'olio  -vecchio,  compreso 


castoreum  ;  nulla  aqua,  nisi  decocta,  polionis 
crassa  utatur.  Quidam  iugulati  gladiatoris  ca- 
lido  sanguine  epoto  tali  morbo  se  liberarunt  : 
apud  quos  miserum  auxilitfm  tolerahile  mì- 
serius  maluin  fecit.  Quod  ad  medicuni  \ero 
pertinet,  ultimum  est,  juxta  talum,  ex  utro- 
que  crure  paulain  sangui  ni  s  mittere;  occipi- 
tjum  incidere,  et  cucurbitulas  admovere;  ler- 
ro  candenti  in  occipilio  quoque  et  infra  qua 
sumraa  vertebra  curri  capite  commillitur,  adu- 
rere  duobus  locis,  ut  per  ea  perniciosus  hu- 
mor  evadat.  Quibus  si  finitum  malum  non 
fuerit,  prope  est  ut  perpetuai m  sit.  Ad  levan- 
dum  id,  tanturnroodo  utenduni  erit  exerci- 
tatione  multa,  frictione,  cibisque  iis,  qui  su- 
pra  comprehensi  sunt  ;  praecipueque  vitanda 
omnia,  quae  ne  fierent,  excepimus. 


1  capo,  salvo  il  ventre:  ìndi  si  deve  fare  una 
lunghissima  passeggiata  e  diritta  :  dopo  il  pas- 
seggio si  freghi  in  luogo  tiepido  con  veemen- 
za, e  per  lungo  tratto,  e  non  meno  di  du- 
gento  volte,  tranne  che  non  sia  scemo  di  for- 
ze :  indi  si  sparga  in  gran  copia  acqua  fred- 
da sulla  testa:  prenda  un  poco  d'alimento; 
si  riposi:  e  innanzi  notte  passeggi  di  nuo- 
vo, e  torni  da  capo  a  strofinarsi  gagliarda- 
mente, eccettuato  il  capo  ed  il  ventre;  appres- 
so queste  cose  ceni  :  e  trappassati  tre  o  quat- 
tro dì  faccia  uso  di  cibi  acri  per  uno  o  due. 
E  se  neppure  ad  onta  di  lutto  questo  se  ne 
è  liberato,  si  tènda  il  capo,  si  unga  d'  olio 
vecchio  giuntovi  ;iceto  e  nitro  :  si  asperga 
d'acqua  salata;  beva  a  digiuno  del  castoro 
nell'acqua;  e  niun' acqua  se  non  cotta  usi 
a  bevanda.  Alcuni  si  liberarono  da  questa 
malattia  bevendo  il  sangue  caldo  di  un  ucciso 
gladiatore;  nei  quali  un  orrido  rimedio  ren- 
dè più  orrido  un  tollerabil  male.  Perciò  poi 
che  si  appartiene  al  medico,  ultimo  ripiego 
è  trarre  un  poco  di  sangue  presso  il  calca- 
gno d'  ambidue  i  piedi  :  fare  delle  incisio- 
ni alla  nuca,  ed  apporvi  delle  coppette:  con 
ferro  rovente  abbruciare  in  due  luoghi  l'oc- 
cipite, ed  anche  più  al  basso  là  dove  la  prima 
vertebra  si  unisre  al  capo,  onde  così  fuor 
esca  il  pernicioso  umore.  Co' quali  ajuti  se 
non  cessa,  si  può  riguardare  per  male  pres- 
soché insanabile.  Converrà  soltanto  a  fine  di 
palliarlo,  usare  l'esercizio,  molte  fregagioni, 
e  quegli  alimenti  che  si  sono  proposti  di  sopra, 
e  in  particolar  modo  scansar  quelle  cose  che 
ho,  siccome  nocevoli  e  da  non  farsi,  eccet- 
tuate. 


cip.  xxiv.  —  De 


regio  ìtior 


Lo. 


/Eque  nolus  est  morbus,  quem  interdum 
arquaturn,  interdum  regium  uominant.  Quera 
ilippocrates  ait  ,  si  post  septimum  diein  fe- 
luicilante  aegro  supervenit,  tatuai  esse,  mol- 
libus  tantumrnodo  praecordiis  substarilibus  : 
Diodt's,  ex  tato,  si  post  febrem  orilur,  etiam 
prodeste;  n  posinone  febris,  ecciéere. Co- 
lo* auteni  curi)  morituri»  detegìl  ,  maxime 
oculorurn,  in  quitta*  ,  quod  album  esse-  de- 
bet,  fit  Juctuni.  Soletuue  accedere  et  sitis  , 
et  dolor  capiti»,  et  freqoens  lingaita*  ,  et 
praecordioruii)  de* tra  parie  durities,  ci,  ubi 
copporis  vehemens  molus  est,  spiritus  diffì- 
cullas,  membrorumque  icsolutio  :  alque,  ubi 


cap.  xxiv.  Della  cura  àelV  itterìzia. 

Nolo  egualmente  è  quel  malore  che  ora 
itterico,  ora  regio  si  appella.  11  quale  Ippo- 
crate  dice  essere  senza  pericolo  ogni  qual- 
volta sopraggiugne  ad  un  febbricitante  dopo 
il  settimo  dì  ;  solamente  che  si  mantengano 
avelli  i  precordi.  Dìocle  ferinamente  avvisa 
clic  ;mzi  pur  giovi  nascendo  dietro  la  feb- 
bre :  e  che  uccida  te  la  febbre  vien  dopo. 
11  colore,  e  massimamente  quello  degli  occhi, 
nei  quali  quel  che  è  bianco  fasti  giallo,  pa- 
lesa questa  malattie.  E  suol  essere  accom- 
pagnata da  sete,  da  dolor  di  capo,  da  sin- 
ghiozzo frequcnle,  e  da  durezza  all'ipocon- 
drio destro,  e  quando  l'agitazione  del  cor- 


CELSO 


diutius  manet  morbus,  tolum  corpus  cuna 
pallore  quodara  inalbescit.  Pwmo  die  absli- 
nere  aegra m  oportet:  secando  ducere  al- 
vu-n  :  tum,  si  febris  esl,  eam  victus  genere 
discutere;  si  non  est,  seammoniam  potui  da- 
re ,  vel  cum  aqua  betam  albani  contri tarn  , 
vel  cu'ii  aqu  i  mulsa  nuces  amaras,  absinlhium, 
anisum,  sic  ut  pars  hujus  minima  si t.  Ascle- 
piades  aquam  quoque  salsam,  et  quidem  per 
biduum  .  purgationis  cnissa  bibere  cogebit  , 
iis,  quae  urinam  movent.  rejectis  Quidam, 
soperioribus  omissis,  per  haec,  et  per  eos  ci- 
bos,  qui  extenumt,  id;m  se  cjn<e  [ili  dieunt. 
Ego  ulique,  si  salis  viriu  n  est,  validiora;  si 
parum,  imbecUliora  auxili a  praefero.  Si  pur- 
galio  i'uit.  post  eam  triiluo  primo  modice  ci- 
bum  oportet  assumere  ex  inedia  materia,  et 
vinuni  bibere  graecum  salsura,  ut  resolutio 
venlris  maneat  :  tum  altero  triduo  validiores 
cibos,  et  carnis  quoque  aliquid  esse  ,  intra- 
que  aquam  manere  :  deinde  ad  superius  ge- 
nus  victus  referti,  cum  eo,  ut  magia  satie- 
tur  ;  omiss  >  graeco  vino  bibere  integrami 
auslerum  ;  atque  ita  per  haec  variare,  ut  in- 
terdum  acres  quoque  cibos  interponat,  inter- 
<lum  ad  salsam  vinum  redeat.  Per  omne  ve- 
ro tempo*  utendum  est  exercitatione,  friclio- 
ne;  si  hiems  est,  balneo  ;  si  aestas,  frigidis 
nalatimibus  ;  Iecto  etiara,  et  conclavi  cullio- 
](•.  Insù,  joco,  lu  lis,  lascivia,  per  quac  mens 
exhilaretur':  ob  quae  regius  morbus  dictus 
videtur.  Slalagma  quoque,  quod  digerat,  su- 
per praecordia  datam  prodesl;  vel  arida  ibi 
ficus  impjsita,  si  jeeur  aut  licuis  all'eclus  esl. 


r.KV.  xxv.  —   De  elephantin. 

Ignotal  aulem  piene  in  Italia,   frequen- 
ti limai  in  qoibusdara  regionibui  is  morbus 
est,  que, n  %y  ip'tvTi'tTtJ  Greeoi  rocanl  ;  itque 
lougij  adnumeritur.  Tptum  corpus  affi  situr 
ii  i    ni  osi  •  'pi  >que  ritieri  dicantur.  Summs 
p  n  i  e  >rp  »ria  crebrai  inactlai  crebroique  tu- 
i, ,:,  i  •  rub  ir  earnm  peulatini  in  alrona 
tur  :  Mirimi  •  ontii  inae  |u  i 
liter  crassa ,  tenuta,  dura  .  moltiaque  ,  quasi 
s<|iia:ni  i  quìboi  I  ira  ei  tip  «retar  :  oorpu  ieme< 
•,  ■  >.,  iacee,  p    lei  intumeseunt:  <•  1  »i  ve- 
lai ni. ri. iis  rst  ,  digiti  in  menibui  pedinati 
<|n<:  sul»  tumore  condaaaur,  febrw  ulti  oritur^ 
quae  tacile  tot  malis  obrulum  hominem  con- 


pò  è  grandissima  anche  de  difficolti  di  re~ 
spiro,  e  paralisia  delle  membra  :  e  qualora  il 
male  lunga  pezza  continui,  si  diffonde  su  tut- 
to il  corpo  un  pallido  gialloce.  Il  primo  dì 
deve  l1  infermo  astenersi,  nel  secondo  pren- 
dere nn  cristere  ;  indi  se  v1  è  febbre,  fugar- 
la coli' adeguala  norma  del  vivere:  se  non 
v1  è  dare  della  scatolaio nea  in  bibita,  ovvero 
bietola  bianca  trita  con  acqua,  ovvero  man- 
dorle amare,  assenzio,  anisi  nella  mulsa,  con 
questo  che  T  ultimo  ingrediente  ne  formi  la 
menoma  parte.  Aselepiade  forzava  i  suoi  am- 
malati ad  ingollar  anche  dell1  acqua  salata 
p.u*  du»  dì  affine  di  purgarli,  rigettalo  tutto 
ciò  che  provoca  le  orine  Alcuni,  lasciati  da 
banda  i  rimedi  proposti  di  sopra,  dicono  con- 
seguirsi il  medesimo  effetto  dai  diuretici  e  dai 
cibi  estenuanti.  In  quanto  a  me  preferisco, 
se  sufficienti  sono  le  forze,  sovvenimenli  più 
generosi  e  forti,  e  se  scarse  più  gentili  e  blan- 
di. Se  si  è  ministrala  una  purga,  si  convien 
dopo  di  essa  ai  primi  tre  dì  prendere  mo- 
dico cibo  di  mezzana  mi  tritura,  e  bere  vino 
greco  salalo  per* mantenere  le  scioltezza  del 
venire:  indi  ne1  susseguenti  Ire  cibarsi  di  ali- 
menti più  sostanziosi  e  con  essi  anche  delle 
carni,  e  Ira  essi  non  bere  che  acqua,  in  ap- 
presso riprendere  il  primiero  lenor  di  vita, 
nutrendosi  però  di  più:  e  dimesso  il  greco, 
bere  vino  schietto  austero  :  e  così  andar  va- 
riando con  queste  cose  sì  che  frammetta  an- 
che de' cibi  acri,  e  talora  ritorni  al  vino  sa- 
lalo. In  ogni  tempo  p  >i  si  vuol  usare  l'eser- 
cizio e  la  fregagione,  e  se  è  di  verno  il  bagno  : 
se  di  state  le  fredde  immersioni  :  di  più  col- 
locare lo  infermo  in  letto  e  in  camera  ele- 
gantemente adorni,  e  con  geuial  compagnia  ; 
e  con  sollazzi  o  giuochi  e  passatempi  e  diletti 
tener  lo  spirito  sempre  ga>o  e  allegro,  per  le 
quali  cose  e' sembra  «che  sia  derivato  il  nome 
di  morbo  regio.  Gi,ova  nuora  porre  un  im- 
pietro risolutivo  lugl'  ipocondri,  ovvero  dei 
fichi  secchi,  se  il  fegato  0  la  milza  si  ritrova- 
no effetti. 

cap.  xxv.    Dell<i   cura    delV  elefantiasi. 
Oliasi  sconosciuto  in  Italia,  frequenlissi  - 

mo  in  eerte  oonirede  è  quel  morbo  che  dei 
Greci  è  detto  eUfmntiasi;  e  questo  ti  aono- 
V(.,,,  fra  i  cronici.  Tutto  il  corpo  rimane  af- 
fetta   ifl    modo   she    le   osse,    a    (pianto     di' ■csi. 

,.,■•  restano  viziate.  La  superficie  del  corpo  si 
ricopre  di  m  icebie  e  di  lu  noci,  il  color  ros- 
10  delle  'pi  •!'  ipp  "■  >  appoco  cambiasi  >"  ne- 
ro •.  l«i  cute  inegu  ilmente  dente,  tenue,  dura  e 
molle  nudisi  in  e. rio  '|ii.l  modo  iquemmo- 
i  (  l  aspra  ;  il  corpo  dimagra,  le  faccia,  le 
sui  e  i  piedi  s'intumidiscono  ;  e  questo  ma- 
lore invecchiali  lo,  !<•  dite  oVpiedi  i  delle  ma- 
ni si  appiattano  sotto  le  inlumcscenzc,  e  ne 


sumit.  Frotinus  ergo  inler  inilia  sanguis  per 
biduum  mitli  debet,  aut  nigro  veratro  veu- 
ter  solvi  :  adhibenda  tam  ,  quanla  sustineri 
potest,  inedia  est:  paulura  deinde  vires  re- 
tìciendae,  et  ducenda  alvus  :  post  haec,  ubi 
corpus  levatura  est,  utendura  est  exercitatio- 
ne,  praecipueque  cursu  :  sudor  primum  la- 
bore ipsius  corporis,  deinde  etiaro  siccis  su- 
dationibus  evocandus  :  frictio  adhibenda:  mo- 
derandumque  inter  haec,  ut  vires  conserven- 
tur.  Balneurn  rarum  esse  debet  ;  cibus  sine 
pinguibus,  sine  glutinosis,  sine  inflantibus:  vi- 
num,  praeterquam  primis  diebus,  recte  datur. 
Corpus  contrita  plantago  et  illita  optime 
tueri  videtur. 


Cap.  xxvi.  —  De  attonitis. 

Altonitos  quoque  raro  videnuis,  quorum 
et  corpus  et  mens  sturpet.  F'rt  inlerdum  ictu 
fulminis,  interdum  morbo:  àironrXn^l av  hunc 
Graeci  appellarti.  His  sanguis  mittendus  est: 
veratro  quoque  albo,  vel  alvi  ductione  uten- 
dura. Tura  adhibendae  frictiones,  et  ex  me- 
dia materia  minime  pingues  cibi  ;  quidam 
etiam  acres;,et  a  vino  abstinendum. 

Gap.  xxvii.  —  De  resolutione  nervorum. 

i .  At  resolutio  nervorum  frequens  ubi- 
que  morbus  est  :  sed  interdum  tota  corpora, 
interdum  partes  infestat.  Veteres  auctores  illud 
à'rro'jrXti^iav  hoc  truqàXua-iv  nominaverual  : 
nunc  utrumque  ira^óXvaiv^  appellari  video. 
Solent  autera,  qui  per  omnia  membra  ve- 
hemenler  resoluli  sunt,  celeriter  rapi:  ac  si 
correpti  non  sunt,  diuìius  quidem  vivunt  ; 
sed  raro  tamen  ad  sanilatem  perveniunt,  et 
plerumque  miserum  spintóni  trahunt,  me- 
moria quoque  amissa.  In  partibus  vero  num- 
quam  acutus.  saepe  longus,  fere  sanabili*  mor- 
bus est.  Si  omnia  membra  vehemenler  reso- 
luta sunt,  sanguinis  detractio  vel  occidit,  vel 
liberat:  aliud  cuiationis  genus  vix  uncuarn 
sanitatem  restituit,  saepe  n)ortera  tantum  dif- 
ferì, vitam  interim  infestat.  Post  sanguiuis 
missionem,  si  non  redit  et  motus  et  mens  , 
nihil  spei  superest;  si  redit,  sanitas  quoque 
prospicitur.  At  ubi  pars  resoluta  est,  prò  vi 
et  malo  corporis,  vel  sanguis  mittendus,  vel 
alvus  ducenda.  Cetera  eadem  in  utroque  ca- 
su  facienda  sunt  :  siquidem  vitare  praecipue 
convenit  frigus  ;  paulatimque  ad  exercita- 
tiones  revertendum  est,  sic,  ut  ingrediatur 
ipse  protinus,  si  potest  :  si  id  crurum  imbe- 
cilli taa  prohibet,  vel  gestelur,  vel  molu  le- 
di concutiatur  :  tum  id  membrum,  quod  de- 
ficit, si  potest,  per  se  ;  sin  mirras,  per  alium 
movealur,  et  vi  quadam  ad  consuetudinem 
Celso, 


DELLA    MEDtCWA  121 

insorge  tal  febbricciatlola  che  di  leggieri  trae 
al  sepolcro  V  uomo  da  cotanti  mali  gravalo  e 
oppresso.  Devesi  tosto  da  principio  cavar  san- 
gue per  due  dì,  o  sciogliere  il  ventre  coll'el- 
leboro  nero,  indi  fare  astinenza  la  maggiore 
possibile,  poscia  un  poco  restaurar  le  forze, 
e  con  cristeri  muovere  il  ventre:  appresso 
queste  cose  reso  più  mite  il  male  gitlarsi  alle 
esercitazioni,  alla  corsa  specialmente  ;  provo- 
care dapprima  il  sudore  colla  fatica  del  pro- 
prio corpo,  dappoi  anche  colle  secche  stufe; 
usare  le  fregagioni  ;  e  in  mezzo  a  queste  cose 
temprarsi  sì  da  non  estenuar  le  forze.  Usar 
bagno  non  accade  che  di  rado  :  gli  alimenti 
non  grassi,  non  glutinosi,  non  ventosi.  11  vi- 
no, tranne  i  primi  dì  convenevolmente  si  dà: 
la  piantaggine  pesta  e  spalmala  sembra  otti- 
mamente correggere  e  curar  la  pelle. 

Cap.  xxvi.  Degli  istupiditi  e  loro  cura. 

Anche  gli  attoniti  si  vedono  di  rado, 
quelli  cioè  ai  épiali  s' istupidisce  il  corpo  e 
la  mente.  Fassi  ciò  talora  per  colpo  di  ful- 
mine, talora  per  malattia  denominata  greca- 
mente apoplessia.  A.  cotai  malati  deesi  cavar 
sangue,  dare  V  elleboro  nero,  o  lavativi  :  in 
appresso  strofinazioni,  e  porgere  alimenti  non 
grassi,  di  nutritura  mezzana  ;  alcuni  anche  di 
acre  qualità;  dal  vino  astenersi. 

Cap.  xxvii.  Della  paralisia. 

i.  Ma  la  risoluzione  dei  nervi  è  un  ac- 
ciacco frequente  in  ogni  luogo.  Essa  ora  per- 
vade il  corpo  tutto,  ora  certe  parti.  Gli  an- 
tichi autori  chiamarono  quella  apoplessia,  pa- 
ralisia questa.  Al  presente  vedo  entrambe 
esser  dette  paralisi.  Quelli  i  quali  vengono 
per  tutte  le  membra  fieramente  assaliti  da 
stupore,  sogliono  in  brievissimo  d'ora  mo- 
rirne :  ma  se  si  sottraggono  al  primiero  im- 
peto, vivono  lungamente  :  raro  è  però  che 
risanino  a  perfezione,  e  per  lo  più  menano 
vita  languida  e  stentata  con  perdimento  an- 
che della  memoria.  La  paralisi  parziale  non 
è  mai  acuta,  spesso  lunga,  quasi  sempre  in- 
sanabile. Se  tutte  le  membra  sono  cadute  in 
risolvimento,  la  cacciata  del  sangue  o  risana 
o  uccide  :  per  nuli1  altra  cura  puossi  forse  ri- 
vocare  a  sanità  V  infermo,  non  di  rado  si  dif- 
ferisce di  tanto  la  morte,  rimanendone  in  que- 
sto mozzo  offesa  la  vi'a.  Se  dietro  li  missio- 
ne del  sangue  non  fa  ritorno  sì  il  moto  co- 
me il  discernimento,  non  v1  è  nudla  a  spera- 
re ;  se  ritorna,  scorgesi  pure  probabile  il  ri- 
sanamento. Allorquando  si  ha  una  paralisi 
parziale,  vi  si  ripara  a  ragguaglio  della  for- 
za del  corpo  e  del  male  cacciando  sangue,  ed 
evacuando  co' cristeri  l1  alvo.  Si  devono  fare 
in  ambi  i  casi  le  altre  medesime  cose:  im- 
perocché bisogna  soprattutto  schifare  il  fred- 
do, e  appoco  aj  :o  ritornare  agli  esercizi 
16 


CELSO 


suam  redeit.  Prodest  eliara  torpentis  mem- 
bri summam  cutem  exasperasse  .  vel  urticis 
caesam,  vel  imposito  sinapi,  sic  ut,  ubi  ru- 
bere  coeperit  corpus,  haec  removeantur.  Scil- 
la quoque  contrita,  bulbique  contriti  cum 
tliure  recte  imponunlur.  Neque  alienimi  est, 
resina  cntem  terlio  quoque  tlie  diulius  vel- 
iere, pluribns  etiam  Jucis;  aliquando  sine  t'er- 
ro cucurbilulas  admovere.  Unclioni  ver  >  a- 
ptissimum  est  vetus  oleum,  vel  nitrum  aceto 
et  oleo  admixtum.  Quin  etiam  fovere  a  qua 
calida  marina,  vel,  si  ea  non  est,  tamen  sal- 
sa, magnopere  necessarium  est.  Ac  si  quo  lo- 
co vel  naturales,  vel  etiam  maini  factae  la- 
les  natationes  sunt,  iis  potissimum  utendum 
est;  praecipueque  in  his  agitanda  membri, 
quae  maxime  deficiuut:  si  id  non  est,  bal- 
neum  tamen  prodest.  Gibus  esse  debet  ex 
media  materia,  maximeque  ex  venatione  ;  po- 
lio, sine  vino,  aquae  calidae:  si  tamen  vetus 
morbus  est,  interponi  quarto  vel  quinto  die 
purgationis  caussa  vinum  graecum  salsum  po- 
lest.  Post  coeuam  utilis  vomitus  est. 


De  dolore  neryorum. 


cosicché  cammini  bentosto  se,  può,  da  per  se  ; 
se  la  fievolezza,  delle  gambe  ne  lo  impedisce, 
si  faccia  portare,  ovvero  scuotere  ed  agitare 
col  movimento  del  letto  :  indi  la  parte  stu- 
pefatta giova,  potendo,  muoverla  da  sé  ;  in 
caso  contrario  farnela  muovere  da  altrui:  e 
usarle  per  così  dire  violenza,  ond1  essa  alla 
consuetudine  sua  ritorni.  Ancora  fa  prò  ir- 
ritare la  cute  dello  intorpidito  membro,  sia 
battendolo  con  ortiche,  sia  apponendovi  della 
senape,  le  quali  poi  si  rimuovono  tosto  che 
la  pelle  principierà  a  rosseggiare.  E  anche 
ben  indicala  la  squilla  contusa  postavi  sopra, 
ed  i  bulbi  con  incenso  ammaccati.  Né  è  mal 
convenevole  stimolar  lungo  tempo  la  cute  ogni 
tre  dì  con  gomma,  anche  in  più  luoghi  :  ed 
una  tal  volta  imporre  le  coppette  secebe.  Per 
la  unzione  poi  proprissimo  fra  tutti  è  V  olio 
vecebio,  ovvero  nitro  mescolato  con  olio  ed 
aceto.  Anzi  è  sommamente  necessario  far  sul- 
le parti  delle  fomentazioni  d1  acqua  calda  ma- 
rina, e  in  difetto  di  questa,  d'acqua  salala. 
E  se  si  trovano  in  alcuna  parte  piscine  na- 
turali od  anche  artificiali  ili  tal  fatta,  di  que- 
ste si  convien  preferibilmente  usare,  e  in  essi 
le  membra  inferme  in  ispeeial  modo  agitare  ; 
e  se  noti  ve  n'  è  copia,  giova  tuttavia  il  ba- 
gno. Il  cibo  esser  dee  della  mezzana  classe 
principalmente  di  cacciagione:  la  bevanda  di 
acqua  calda  senza  vino  :  se  però  la  malattia 
è  acuta,  si  può  onde  rendere  libero  l1  alvo, 
interporre  ogni  quattro  o  cinque  dì  del  vino 
greco  salato.  Dopo  la  cena  è  utile  il  vomi- 
tare. 

Dolori  di  nervi. 


2.  Intcrduni  vero  etiam  nervorum  (Io- 
Imi-  miri  tolet.  In  hoc  CASO  non  vomere,  non 
medicamentis  uria. un  movere,  qoq  exercita- 
tionc  sudorem  ,  ut  quidam  praecipìuot  , 
expedit.    Bi benda  «qua   est  bis  die  :    in   le- 

<  lulo  leni  ter  saiis   dm  corpus   perfrteandura 

est,     'binde    r.l.nto     spiriti!  :    ali     ipsa     c\cr- 

citatione  potiui  superiora  partes  raoven- 
dae:  baloeoraro  utendum:  mutandum  iub< 
inde  peregrina  tionibus  coelum.  si  dolor  est, 
e.i  iosa  pars  une  ole,,,  nitro  ex  aqua  perun- 
reo  la  est  ;  deinde  intolvend  ..  el  lubjicien 
>\.t  prua  i  lems.  ei  siilplmr.  atque  Uà  id  suf. 
fumigandolo  ;  idqoe  aliquandiu  faciendum  . 
•ed  jejuno,  cum  bene  jtm  concoueriJ  Cueur- 
1, lini...-  quoque  laepe  dolenti  parti  adraoven 
ini.  pulsaodusque  leniter  inflatii  su   i- 

<  i-  bubolii  is  loi  ii.  est     i  lile  est  etiam  se- 
\  un.  miscere  i  uro  hyo  •<  .ami  .1  m  i,   , ••  ,    a 

Irilis     -e. mini, ii  .       ,,l     Q     m;,|Ml     Q  ii      Q 

'  ine  imponi  aqu  ..  m  qua  mi- 

pimi  aeco  lom  ut.  1  Iripuli  quoque  reute  im . 
ponnntur  aqa  i    i  riida  n  pi  Li,   ani    bitumen 

<  imi  hordetoea  farina  mixtum.  itqoe  io  ipso 

'imo  dolore,   uteodum  gesta  lionc  \. 


2.  Talvolta  insorge  anche  il  dolor  dei 
nervi.  In  questo  disconviene,  siccome  certi 
insegnano,  il  vomitare,  il  provocare  con  me- 
dicamenti P  orina,  coli' esercizio  il  sudore. 
Devesi   bere  acqua,  e  «lue  volte  il  di  stando 

in  letto  stropicciar  dolcemente  il  corpo  per 
un  tempo  diserei, imeni  e  1 1 m  ir ' »  :  dipoi  rite- 
nuto il  fiato,  Dello  stesso  esercitarsi,  muove- 
re  piuttosto  le  parti  superiori  :  fu-  uso  rara- 
mente del  bagno,  i-  spesso  mutai  viaggiando 

aria    e    paese.  >c   ii    fa    seni  ire    il    dolore.  biftOr 

gna  stropicciare  quella  parte  istessa  con  acqua 
ni  tra  la    senz'olio:  dappoi  s'involge,  t  vi  si 

soli, .incile  una  dolce  br  .ce.  Milh  quale  si  v;» 
i-iti. indo    dello    /olio,    on. le  ne  riceva    il    \apo- 

M-  i  si  continuane  queste  fumicazioni  i"'1 
alcun  tempo,  ni.  ;.  digiuno,  fatta  ebe  aia  già 
I.  digestione.  Qualche  tolta  anche  la 
prò  apporre  .11..  parte  dolente  delle  coppe t- 
ie.  e  percuoterla  dolcemente  con  vesciche  «li 
bue  ripiene  d'aria  I  t ile  pure  si  è  di  fare  un 
miscuglio  di  puh  eguali  di  sevo  a  di  semi 
pesti  di  jusquumo  e  d'ortica,  ed  applicarve* 

lo  :  Imiieiil.ii  l.i  con  acqua  in  cui  sia  bollilo 
dell,,    golfo,    Amie-    vi    si     pongono     laudi  \«d- 


hementi    est:  quod   in  aliis  doloribus  pessi- 
mum  est. 


De  tremore  nervorum. 

3.  Tremor  antem  nervorum  aeque  vomi- 
tu  medicamentisque  urinam  moventibus  in- 
tenditur.  Inimica  etiam  habet  balnea,  assas- 
que  sudationes.  Bibenda  aqua  est  :  acri  am- 
bulatitene utendum;  item  unctionibus,  fri- 
ctionibusque,  maxime  per  se  ipsura  :  pila, 
similibusque  snperiores  partes  dimovendae  ; 
cibo  quolibet  utendum,  dummodo  concoctioni 
utique  studeatur  ;  secundum  cibum,  curis 
abstinendum  ;  rarissima  venere  utendum  est. 
Si  quando  quis  in  eam  prolapsus  est,  tum 
oleo  leniter  diuque  in  lectulo  perfricari  ma- 
nibus  puerilibus  potius ,  quam  virilibus , 
debet. 


De  suppurationibus  internis. 

4.  Suppurationes  aulem,  quae  in  aliqua 
interiori  parte  oriuntur,  ubi  notae  fuerìnt, 
primum  id  agere  oportet  per  ea  cataplasma- 
ta,  quae  reprìmunt,  ne  coilus  inutilis  male- 
riae  fiat  ;  deinde,  si  haec  vieta  sunt,  per  ea 
malagmata,  quae  digerunt,  ut  dissipelur. 
Quod  si  consecuti  non  sumus,  sequitur,  ut 
evocetur:  deinde,  ut  maturescat.  Omnis  tum 
vomìcae  finis  est,  ut  rumpatur,  indiciumque 
est  pus  vel  alvo  vel  ore  redditum.  Sed'nihil 
facere  oportet,  quo  minus,  quidquid  est  pu- 
ris,  excedat.  Utendum  maxime  sorhilionibus 
est,  et  aqua  cali  da.  Ubi  pus  ferri  desiil, 
transeundum  ad  faciles  quidem,  sed  lamen 
validiores  et  frigidos  cibos,  frigidamque  a* 
quam,  sic  ut  ab  egelidis  tamen  inilium  fìat» 
Primoque  cum  melle  quaedam  edenda,  ut 
nuclei  pinei  ,  vel  graecae  nuces ,  vel  avel- 
lanae  :  postea  snbmovendum  id  ipsvim,  (juo 
ma  tarlai  induci  cicatrix  possi  t.  Medicamene 
tum  eo  tempore  ulceri  est,  succus  assumplus  vel 
porri,  marrubii,  et  omni  cibo  porram  ipsum 
adjcclum.  Opprtebil  autem  uti  in  iis  partibus, 
quae  non  afficiuntur,  frictionibus  ;  item  am- 
balationiboi  lenibas  :  viiandumque  erit.  né 
vel  lnctando,  vel  currendo,  vel  alia  ralione 
sanescentia  ulcera  exasperenlur.  In  boc  enim 
norbo  pernicioso^,  ideoque  omni  modo  ca- 
vendus  sauguinis  vomitai  est. 


DELLA    MEDICINA  123 

mente  degli  olricelli  ripieni  d'acqua  calda, 
ovvero  del  bitume  mescolato  a  farina  d'or- 
zo. Ma  egK  è  appunto  nell'  attualità  del  do- 
lore che  si  deve  usare  gagliarda  gestazione, 
la  quale  in  altre  generazioni  di  dolori  è  som- 
mamente contraria. 

Tremore  de"1  nervi. 

3.  Il  tremore  dei  nervi  si  esacerba  si- 
milmente col  vomito  e  00' medicamenti  pro- 
vocanti le  orine.  Avversi  eziandio  sono  ì 
bagni  e  le  stufe  secche  da  sudare.  Vuoisi 
bere  acqua,  passeggiar  molto  ed  ungersi  pu- 
re, e  stroppicciarsi  specialmente  da  se  :  tene- 
re in  molo  le  membra  superiori  col  giuoco 
della  palla,  ed  altri  somiglianti  esercizi:  far 
uso  di  qualsivoglia  alimento,  pnrche  s'in- 
tenda ad  ismaltirlo.  Dopo  il  pasto  darsi  al 
dolce  oblio  delle  cure  ;  assai  raramente  ab- 
bandonarsi ai  sensuali  dilettamenti.  E  se  al- 
tri ad  essi  si  dette  in  braccio,  allora  devesi, 
stante  in  lettof  fare  soavemente  e  lunga- 
mente strofìnature  con  olio,  preferendo  mani 
fanciullesche  alle  virili. 

Suppurazioni  interne. 

l\.  Le  suppurazioni3  che  nascono  in  al- 
cuna interna  parte,  dacché  ce  ne  rendiamo 
accorti,  fa  d'  uopo  imprima  con  impiastri  ri- 
percuzienti,  impedire  non  si  faccia  raunanza. 
di  nociva  materia  :  indi  se  questi  non  fanno 
effetto,  procurar  di  dissiparla  con  cataplasmi 
digerenti  :  che  se  non  sì  riesce  a  conseguire 
tal  cosa  non  rimane  altro  che  di  attraila 
ali1  esterno,  dipoi  farla  maturare  :  il  fine  dì 
ogni  vomica  allora  è  che  si  rompa  :  ne  fa 
indizio  la  marcia  che  si  rende  per  l1  ano  o 
per  la  bocca.  Si  eonvien  poi  non  far  cosa 
che  impedir  possa  la  libera  uscita  della  mar- 
cia. Devesi  usare  principalmente  di  brodi 
farinacei  e  d'acqua.  Allorché  la  marcia  cessi 
di  colare,  d'uopo  è  passare  all'uso  di  cibi 
agevoli  sì  a  digerire,  ma  nutritivi,  e  freddi; 
e  bere  similmente  acqua  fredda  in  modo 
però  che  si  cominci  da  cose  tiepide.  Si  deve 
ma ng'ure  dapprima  alcuna  cosa  con  mele, 
come  pinocchi  o  noci  greche,  o  nocciuole  : 
poscia  rimuovere  tutto  c?ò  che  indurre  po- 
tesse troppo  presto  la  oieà'frice.  Allora  rime- 
dio per  T  ulcera  è  il  sugo  del  porro  o  del 
marrubio,  e  giova  di  pur  mischiare  del  por- 
ro istcsso  agli  pimenti  lutti.  Sarà  altresì  op- 
portuno fare,  nelle  parli  che  non  sono  affet- 
te, piacevoli  fregagioni  :  c<?sì  parimente  andar 
soavemente  passeggiano1*:  e  si  dovrà  pren- 
der guardia  a  non  i-iciprignirc  le  rammar- 
ginanti  ulcere,  sia  eorrendo,  sia  lottando,  o 
per  qualsivoglia  vltra  guisa.  Che  in  questa 
malattia  il  vom/lo  di  sangue  è  pernicioso, 
ed  impennò  devesi  per  ogni  modo  schifare. 


A.  CORN.    CELSI 


DELLA  MEDICINA 


DE  MEDICINA 


DI  AULO  CORN.  CELSO 


LIBER   QUARTUS 


LIBRO    QUARTO. 


Cap 


L  —  De  Immani   c.orporis  interiori- 
bus  sedibus. 


Hactenus  reperiuntur  ea  genera  mor- 
borum,  quae  in  totis  corporibus  ita  sunt,  ut 
iis  certae  sedes  attignali  non  possint  ;  none 
de  iis  dicam,  quae  sunt  in  partibus.  Faci- 
lius  aatem  omnium  Interiornm  morbi  cura- 
tionesc|ue  in  notitiam  venient,  si  prius  Co- 
runa sedes  breviter  ostendero.  Caput  igitur 
eaqne,  quac  in  ore  sunt,  non  lingua  tanta  n  - 
modo  palaloque  tenuinantur  ;  sed  e  ti  a  no, 
anatema  oculis  noslris  cxposila  sunt.  In 
dextra  sinistraque  circa  gutlur  venae  gran- 
des  ;  quae  <r<pxyÌT(Jci  nominantur  ;  itemque 
arteriae,  quas  xa^urt  fas  vocant,  sursum  pro- 
cedente* ultra  aurei  feruntur.  At  in  ipsis 
cerricibes  glandnlae  positae  sunt,  quae  in- 
lerdum  com  dolore  fatarne  xml  Deindedao 
Minerà  indpinnt:  alierum,  asperam  arteriara 
nominanl  ;  alterna,  itomachnm.  Arteria  exte- 
rior  ad  reotrìculom  fertur;  ill.i  fpiritum,  li ic 
(ibiirii  reeipit.  Quibnfcnm  di  terme  viac  sint, 

noacoennt,    exlflfta     in    arteria     sub     ipsis 

uodbuf  lingua  eat  ;  quae,  cum  spiramus,  ai- 

tolltnr    ;    curri    dbcMi   potioncraqne    affami* 

miM,  arleriem  cljpdU.  Iosa  antem  arteria, 
''"' '■•    et   cartilaginosa      in    gattnre     attor- 

!•' ;  ,'''1, ''•"»  p  "  libai  reti  Hi.  Constai  <  \  cir- 
«iiiis  qoibm  li. ii,  compofitii  ad  imaginem 
••Minia  vertebrarnm,  qnae  in  ipiof  sunt:ita 

1  «nen,  <»t  «  \  ( CX|  >rtore  uptra  ;  »  inte- 

'■■  itomt<  I"  mado  berli  sii  :  eaque  de- 
al endeni  i  l  pi  le  orftia  cum  polmone    bora 


Cap.  I.  Delle  parti  interne  del  corpo. 


Insino  a  qui  si  trovano  quelle  atTe/ionì 
ebe  tutto  il  corpo  investono  ih  lanto  che  non 
si  può  loro  assegnare  una  determinata  sede: 
ora  dirò  di  quelle  che  sono  proprie  a  cia- 
scuna parte.  Ma  per  agevolare  il  conosci- 
mento delle  malattie  delle  interne  parli  e 
loro  cura,  giovami  esporre  in  pria  brieve- 
mente le  parti  in  cui  hanno  sede.  Il  capo 
adunane,  e  quelle  cose  che  sono  nella  borra 
non  finiscono  soltanto  alla  lingua  e  al  pala- 
to, ma  fin  là  dove  può  giugner  V  occhio. 
Sono  a  sinistra  ed  a  destra  lurido  il  collo 
grandi  vene* denominate  sfagitidi\  ed  arte- 
rie pure  che  si  chiamano  carotidi,  le  (piali 
in  alto  ascendendo  si  recano  oltre  alle  orec- 
chie. Som»  pure  nelle  fauci  alcune  ghiando- 
le, che  talvolta  s'  intumidiscono  e  dolgono  : 
in    appresso   due   canali     prendono     rominciu- 

inento,  chiamalo  P  uno  Binerà  arteria,  eio- 
fago  l'altro.  L'esperà  art-ria,  che  è  più  e- 
fterna,  si  reca  al  polmone;  l'efofago,  che  è 
più  interno,  al  ?enlricnJo:  quella  addoce  fa- 
ria,    qUCftO    il    riho.    Nfl    luOgQ  ove  questi  due 

canali  facenti  due  diverse  strade,  si  con  giun- 
gono, v'ha  nel!"  asper  i  arteria  entro  le  lan- 
ci una  linguetta,  la  quale  nel  respirare  si 
innalza,  e  nel  mangiare  <•  bere,  chiude  Pa« 

Spera  arteria.  <v>ues|a  poi  lilla  dura  e  carti- 
laginea, s'ingrossa  sul  davanti  della  golf", 
e  nelle  restanti  pai  ti  e  deprefsa.  Effa  Gon- 
fia   di    anelli     tatti    lilla  foggia    di    quelle    vrr- 


iiiittitur.  ti  ipongiofus,VJeoqoe spiritai  cape*,    teine,  che  nella  spini  sono:  con   qneeto  di- 
ti ■»  tergo  si, in  it  [pai  jufotof,  [a  dnai  nbraf, 
ungnl  i-  imiI.mI  .e  m  ido,  di  iditur.    Unir  cor 
ano  torneai,  natara  mufenJaeom,  in  necton 
tnb  ùnlfteriore  mamma  situai  ;  Juofqec  quasi 


vai  io    pero    «In-    nella    parte   anteriore    n- 

SCOntrafi     aspra    r     disuguale;    nella    postei  io- 
re,    OfC    fi    Unisce    alT  esofago,    levigata     e   li  — 

Mia     e   discendendo  al   petto   co'  polmoni 


rentriculos  habet.  At  sub  corde  atque  pul- 
raone,  transversum  ex  valida  membrana  se- 
ptum  eat,  quod  a  praecordiis  ulerum  diducit, 
idque  nervosum,  mullis  eliam  venis  per  id 
discurrentibus  a  superiore  parte,  non  solum 
intestina,  sed  jecur  quoque  lienemque  di  seter- 
nit Haec  viscera  proxime,  sed  infra  tamen 
posila,  dextra  sinistraque  sunt.  Jecur  a  dex- 
tra  parte  sub  praecordiis  ab  ipso  seplo  or- 
sura,  intrinsecus  cavum,  exlrinsecus  gibbuta 
est  :  quod  prominens  leviter  ventriculo  insi- 
det,  e  in  quatuor  fibras  dividitur.  Lx  infe- 
riore vero  parte  ei  fel  inhaeret.  At  iienis  si- 
nistra, non  eidem  septo,  sed  intestino  in- 
nexus  est,  natura  mollìs  et  rarus,  longiludi- 
nis  crassitudinisque  modicae;  isque  paulum 
a  costarum  regione  in  uterum  excedens,  ex 
maxima  parte  sub  his  conditur.  Atque  haec 
quidem  juncta  sunt.  fienes  vero  diversi; 
qui  1  uni  bis  sub  imis  costis  inhaerent,  a  parte 
earum  rotundi,  ab  altera  resini  ;  qui  et  ve- 
nosi sunt,  et  ventriculos  habent,  et  tunicis 
super  conteguntur.  Ac  viscerum  quidem  bae 
sedes  sunt.  Stomachus  vero,  qui  inlestino- 
rum  principium  est,  nervosus  a  septima  spi- 
nae  vertebra  incipit  ;  circa  praecordia  cum 
ventriculo  commitlitur.  Ventriculns  autem, 
qui  reeeptaculum  cibi  est,  consta t  ex  duo- 
bus  tergoribus  ;  isque  inter  lienem  et  jecur 
positus  est,  ulroque  ex  his  paulum  super  eum 
ingrediente.  Suntque  etiam  membranulae  le- 
nues,  per  quas  inter  se  tria  isla  connectun- 
tur,  jungunturque  ei  seplo,  quod  lrans\er- 
sum  esse,  supra  posui.  Inde  ima  ventricidi 
pars  paulum  in  dexteriorem  partem  conver- 
sa, in  summum  intestinura  eoa  retato  r.  Flanc 
juncturam  vruXcofo'v  Graeci  vocant,  quoniam 
porlae  modo  in  inferiores  parles  ea,  quae 
exereturi  sumus,  emittit.  Ab  ea  jejunum  in- 
teslinum  incipit,  non  ita  implicitum  :  cui  ta- 
le vocabulum  est,  quia  numquam,  quod  ac- 
cipit,  continet  ;  sed  piotinus  in  inferiores  par- 
tes  transmittit.  Inde  tenuius  inteslinum  est, 
in  sinus  vehementer  implicitum  :  orbes  vero 
ejus  per  memhranulas  singuli  cum  interiori- 
bns  connectuntur  ;  qui  in  dexteriorem  par- 
tem conversi,  et  e  regione  dexterioris  coxae 
finiti,  superiores  tamen  partes  magis  com- 
plent.  Deinde  id  intestinum  cum  crassiore 
altero  transverso  commitlitur,  quod  a  d  ex  tra 
parte  iucipiens,  in  sinisleriorern  pervium  et 
longum  est,  in  dexleriorem  non  est  ;  ideoque 
caecom  nominatiti'.  At  id,  quod  pervium  est, 
late  fusum  atque  sinualum,  minusque  quam 
superiora  intestina  nervosum,  ab  ulraque 
parte  huc  atque  illue  volutimi,  magis  tamen 
sinisteriores  infeiioresque  parles  tenens,  con- 
tineit  jecur  atque  ventriculum  :  deinde  cum 
quibusdam  membranulis  a  sinistro  rene  ve- 
nientibus  jungilnr;  atque  bilie  dextra  rHQT- 
valum  in  imo  diri^itur,  qua  extcrnil  j    ideo- 


DELLA    MEDICINA  125 

s'innesta.  Questo  viscere  ebe  è  spongioso,  e 
per  conseguente  capace  d'aria,  e  che  al  dor- 
so della  spina  aderisce,  si  diparte  in  due  lo- 
bi a  guisa  d'  un'  unghia    di  bue.  Al  polmo- 
ne sta  annesso  il  cuore  di  natura  muscoloso 
che  giace  nel  petto  sotto  alla  sinistra    mam- 
mella :  esso  ha  in  sé  due  seni,  o  diremo  due 
ventricoli.  Sotto  il  cuore  ed   i  polmoni    v'  è 
un  setto  trasverso  di  assai  forte  membrana, 
che  T  imo  ventre  divide  dal    petto  :    e    ner- 
voso com'è,  pur  discorrono  per  esso  di  mol- 
te vene:   esso  separa    dalla    parte    superiore 
non  solo  le  intestina,   ma  anche  il  fegato  e 
la  milza.  Queste  viscere  prossime  ad  esso,  ma 
però  al   di  sotto,    giacciono  a  destra  e  a  si- 
nistra. 11  fegato  che    è    alla    diritta    sotto    i 
precordi    a  contatto  del  diaframma,  è  nella 
faccia     inferiore    concavo,    siili' esterna    con- 
vesso :    la    sua    parte    prominente    s'appog- 
gia   lievemente    al    ventricolo,    e    in     quat- 
tro   lobi    si    divide .     Dalla    sua   parte     in- 
feriore   gli  sia    attaccato    il    fiele.    La    milza 
poi  alla  stanca  non  si  appoggia  al  medesimo 
setto,  ma  all'intestino  ;  floscia  e    poco  di  sua 
natura  compatta,  di  mezzana  lunghezza  e  gros- 
sezza :  essa  poco  discostandosi  dalla  regione 
delle  costole  entro  l'addomine,  sotto  di  quel- 
le si  asconde  in  gran  parte.  Tutte  queste  so- 
no fra  loro  unite.  I    reni  al  contrario  sono 
due,  e  separali  :  essi  poggiano  ai  lombi  sot- 
to l'ultime  coste:  dalla  banda  di  queste  sono 
ri  tondi,  dall'altra  curvi:  essi  son  vascolosi, 
ed    hanno  dei     ventricoli  :  e    superiormente 
vanno  ricoperti  da  membrane.  Questa  è  la  po- 
sizione delle  viscere.    L'esofago  poi  che  è  il 
principio    delle  intestina,  è    nervoso:  inco- 
mincia alla  settima  vertebia  della  spina,  im* 
bocca  il  ventricolo  attorno  i  precordi.  11  ven- 
tricolo che  è  il  ricettacolo  del  cibo,  è  com- 
posto di    due    tuniche  :  giace    fra    il    fegato 
e   la  milza  :  e   tutti  e  due  si  distendono  un 
poco    sopra     di  esso.  V  hanno  anche    delle 
tenui   membranelle,  onde  si  connettono  que- 
sti  tre  fra  di  loro,  e  si  congiungono  a  quel 
setto  trasverso  già   detto    di  sopra.  Dipoi  la 
parte  più   bassa  dello  stomaco  rivolta   un  po- 
co verso  la   destra,  rislringesi  nel  primo  in- 
testino. I    Greci  chiamano    questo  ristringi- 
mento piloro,  perocché  a  guisa  di   porta  tra- 
smette alle  parti  inferiori   quelle  materie  che 
evacuare  dobbiamo.  Da  esso  nasce  il  <1  i «in- 
no intestino,  non  così    circotif  oliato ,  e  che 
porta  questo  nume,  perchè  non  ritiene  le  ma- 
terie che  riceve,   ma   prestamente  le  trasmet- 
te alle    inferiori  parli.  Indi   prende    origine 
L'intestino  gracile   maravigliosamente  intrica- 
to   negli  anfratti  :    ciascuno  de'  suoi    giri  si 
connette  per  via  di   gentili  membrane  agl'in- 
feriori :  e  quésti  rivolti  verso  il  lato  destro, 
e  circoscritti  Halla   regione  dell'  anca  destra  , 
non  però  vie  margiormente  riempiono  Jc  par- 


120  CELSO 

que    id    ibi    rectum    intestinum   noininatur. 
Contegit  vero    universa    haec   omentum,    ex 
inferiore  parte  laeve  et  strictum,  ex  superio- 
re   mollius;    cui    a'ieps    quoque    innascitur  ; 
quae  sensu,  sicut  cerebrum    quoque    et   me- 
dulla,  caret.     At  a    renibus    lìngula  e    venae, 
colore  albae  ad    vcsicam  fcruntur  :  oJpwT>7faj 
Graeci  vocant,  quod     per    eas    inde    descen- 
deiitcrn  urinarti  in   vesicam  destillare    conci- 
piunt.   Vesiea  autem  in   ipso   sinu   nervosa  et 
duplex,  cervice  piena  at  que  carnosa,  jungitiiE 
per  venas  cimi  intestino,    eoque  osse,    quod 
pubi   subest  :   ipsa   soluta  atque    liberior  est  : 
alitcr  in   viris  atque  in   feminis  posita.     Nana 
in  viris  juxta  rectum  intestinum  est,    potius 
in  sinistrano  partein  inclinata;   in  feminis  su- 
per genitale  earum   sita  est,  supraque    lapsa, 
ab  ipsa  vulva  sustinetur.    Timi    in    masculis 
iter  urinae  spatiosius    et  compressius  a  cer- 
vice hujus  descendit  ad    colern  :    in     feminis 
brevius  et  plenius,  super  vnlvae  cervicem  se 
ostcndit.   Vulva  autem   in   virginibus  quidem 
a  Imoduni  exi^ua    est:    in  mulieribus    vero, 
nisi  ubi  gravidae    sunt.    non   multo    major, 
quam  ut  manu    comprebendatur.    Ea,    recta 
tenuataque  cervice,    quem    canaletti,    vocant, 
conlra  mediani  alvum  orsa,  inde  paolo QQ  ad 
dexleriorem  coxam  convertitili-;    deinde  su- 
per rectum  intestinum  pregressa,    illis  ferai- 
nae  latera    sua   innectit.  Ipsa  antera  ilia  inter 

COXas   et   pobem    imo    venire    posila     sunt.     A 

qnibns  ac  pnbe  abdoraen  sorsnm  versus    ad 
praecordu  pervenit  :  ab  ex  te  ri  or  e  parte,    e- 

videnti  cute,  ab  interiore  levi  membrana  in- 

clnsnm,  qnae   omento  jungitur;    nr-firóvuios 
autem  a  Graecis  nomiualur. 


Caput  n.  —  De  curationibus  morbofumt 
(/i/i  ntucuntut  'i  capite. 

i.  Ilis  vcluti  in  conspectnin  qneradam, 
1 1 ii  iicmis  idre  enrtoti  n<  i  esaarinm  i  it,  ad  lo 
■  media  sàngui  ii  um  libonotkun  partiom 


ti  superne.  Dipoi  questo  si  congiugne  all'al- 
tro più  ampio  intestino  posto  trasversalmen- 
te, il   quale  dal  diritto  lato  incominciando,  è 
aperto  e    lungo  dalla    banda  sinistra,    altri- 
menti nella  destra,  e  perciò  chiamasi  cieco. 
Il  lato  che  è  pervio,  è  assai  dilatato  e  sinuo- 
so, e  meno  nervoso  delle  superiori  intestina, 
e  dall'  una  parte  e  dall'altra  in   qua  e  in   là 
ripagato,  più  però  il  sinistro  lato  occupan- 
do che  non  il  destro,  va  a  conlatto   del  fe- 
gato e  del  ventricolo,  dipoi  si  congiunge  con 
diverse  membranette  provenienti  dal  sinistro 
rene;  e    quindi   ripiegato    a  destra    dirigesi 
verso  il  fondo,  donde  si  vola  :  e  perciò  dato 
è  a  questo  tratto  il  nome  di   retto  intestino. 
Tutte  queste  cose  le  ricopre  l'omento,   nella 
parte  inferiore  liscio  e  compatto,   umilissimo 
nella   superiore:  e«li  è  quivi  dove  s'ingene- 
ra   l'adipe,  il   (piale  egualmente  che  il  cer- 
vello e  la   midolla,  è  priva  di  senso.   Da  cia- 
scun rene  inoltre   parte    un  canale  di   color 
bianco,  che  va  alla  vesoica.  chiamalo  dai  Gre- 
ci  uretere,  perchè  si  avvisano  per  questi  ca- 
nali discendere  l'orina  in  vescica.  La  vescica 
poi,  nel  fondo  del  ventre,  di  natura   nervosa 
e  di  due  membrane  composta,  col  collo  den- 
so e  carneo  si  unisce   mediante  alcune   vene 
coli' intestino  e  con   quell'osso  che  soggiace 
al   pube:   essa  è  sciolta  e  llultuante   pel  ven- 
tre, e    diversamente  posta    negli   uomini  da 
quel  che  è  nelle  femmine.  Imperciocché  ap- 
po  (pulii    è  situala  lun^o   L'intestino   retto, 
inclinata  piuttosto  alla   sinistra  :  appo    queste 
giace  sopra  gli   organi  della  generazione,  e  di 
sopra     sciolta     è    sorretta     dall'utero    slesso. 
Inoltre  il  condotto    dell'  orina   più    lungo   e 
angusto   negli  uomini   disrende  dal   collo  del- 
la vescica   fino  all' apice   del  pene  ;   nelle  don- 
ne più  breve  e    più  ampio   si   fa   vedere   so- 
pra  il  collo   della    matrice.  La   matrice   nelle 
vergini  è  di  picoiolissima  mole  !  nelle  donne, 

in  fuor  di  (piando  son  gravide,  non  è  si  gros- 
sa da  non  potersi  capire  colla  mino,  Essa 
col    eolio    retto   e    prolungato,  cui    ilieoiio    c.i- 

ii. ile.  nata  verso  il  mezzo  del  ventre,  si  pie- 
ga, indi  alquanto  verso  l'anca  diritta,  e  pro- 
gredendo poscia  sull'intestino  u-llo,  connet- 
te i  suoi  lati  agl'ilei  della  donna.  La  situa- 
zione degl'ilei  e  nell'imo  ventre  fra  '  nan- 

clii  e  il  nube.  Dagl'ilei  e  dal  pube  estenden- 
doti l'adiloniiiie  all'  insù  perviene  ai  prce  ir- 
di:  all'esterno  e  ritenuto  e  compreso  dalla 
nelle,  siccome  si     offre    all'  occhio  :  all'interno 

<l.i  mia  .solili  membrana  ohe  si  congtaoge  allo 
orni  ilio,  dai  Greci  chiamata  peritoneo. 

C\r.  ii.  —  Delle  malattie  della  tenta  e. 
loro  e  tira. 


\.  Renate  ancate  oott  croati  dinanzi  agli 

occhi,  (pianto  basta  a  sapersi  da  ohi  deve  cura- 
re, dirò  de'iimcdi  delle  ij  Ugole   parli   viziate 


exsequar,  orsus  a  capite  :  sub  quo  nomine 
mine  significo  eara  partem,  quae  capillo  te- 
gitur:  nam  oculoruni,  aurium,  denlium  do- 
lor, et  si  quis  similis,  alias  erit  explicandus. 


De  capitis  dolore. 


MEDICINA  I  27 

e  inferme,  cominciando  dal  capo:  sotto  il 
qual  nome  intend'  ora  quella  che  è  ricoper- 
ta dai  capelli  :  giacché  il  dolor  degli  occhi, 
degli  orecchi,  de'denti  e  d'alcun  altro  simile, 
se  v'ha,  sarà  sposto  altrove. 


2.  In  capite  autem  interdum  acutus  et 
pestifer  morbus  est,  quam  ■x.c<pa\ai'av  Graeci 
yocant:  cnjus  notaesunt,  horror  validus,  ner- 
vorum  resolutio,  oculorum  caligo,  mentis 
alienatio,  vomitus,  sic,  ut  vox  supprimatur  ; 
vel  sanguinis  ex  naribus  cursus,  sic,  ut  cor- 
pus frigescat,  anima  deficial  :  praeter  haec, 
dolor  intolerabilis,  maxime  circa  tempora  vel 
occipitium.  Interdum  autera  in  capite  longa 
imbecillitas,  sed  neque  gravis,  neque  perieu- 
losa,  per  hominis  aetalem  est  :  interdum  gra- 
vior  dolor,  sed  brevis,  neque  tamen  morti- 
ferus  ;  qui  vel  vino,  vel  eruditale,  vel  frigo- 
re,  vel  igne,  aut  sole  contrahitur.  Hique  o- 
mnes  dolores,  modo  in  febre,  modo  sine  hac 
sunt;  modo  in  toto  capite,  modo  in  parte; 
interdum  sic,  ut  oris  quoque  proximam  par- 
tem  exerucient.  Praeler  haec  etiamnum  in- 
venitur  genus,  quod  potest  longum  esse;  ubi 
humor  cutem  inflat,  eaque  intumescit,  et  pre- 
menti digito  cedit  :  v$Qoxi<pa\ov  Graeci  ap- 
pellane Ex  bis  id,  quod  secundo  loco  posi- 
lum  est,  dum  leve  est,  qua  sit  ratione  cu- 
raudum,  dixi,  cum  persequerer  ea,  quae  sani 
homines  in  imbecillitate  partis  alicujus  facere 
deberent.  Quae  vero  auxilia  sint  capitis,  ubi 
cum  febre  dolor  est,  eo  loco  explicitum  est, 
quo  febrium  curatio  exposila  est.  INunc  de 
ceteris  dicendum  est.  Ex  quibus  id,  quod acu- 
tum  est,  et  id,  quod  supra  consuetudinem  in- 
tendilur,  idque,  quod  ex  subita  causa,  etsi 
non  pestiferum,  tamen  vehemens  est,  primam 
curationem  habet,  qua  sanguis  mittatur.  Sed 
id,  nisi  intolerabilis  dolor  est,  supervacuum 
est  :  satiusque  est  abstinere  a  cibo  :  si  fieri 
potest,  etiam  a  polione  ;  si  non  potest,  aquam 
Libere.  Si  postero  die  dolor  remanet,  alvum 
ducere,  sternuta  meni  a  evocare,  nihil  assume- 
re, nisi  aquam.  Saepe  enim  dies  unus  aut  al- 
ter totum  doloreni  hac  ratione  discutit;  uti- 
que  si  ex  vino  vel  eruditale  origo  est.  Si  ve- 
ro in  liis  auxilii  parum  est,  tonderi  oportet 
ad  cutem  :  deinde  considerandum  est,  quae 
caussa  dolorem  excitavit.'Si  calor,  aqua  frigida 
molla*  per  fondere  caput  expedit;  spongiam 
concava  m  imponere,  su  binde  in  aqua  frigida 
expressam  ;  ungere  rosa  et  aceto,  vel  polius 
liis  linciano  lanam  succidali!  importerei  aliave 
refrigerantia  calaplasmata.  Al  si  frigna  nocuit, 
capnl  oportel  perfundere  aqoa  calida  marina, 
vel  certa  lalla,  ini  io  qua  laurea  decocta  sii; 
inni  <a[  ut  vebementer  perfrìcare  :  deinde  ca- 
lido  oko    implere    et    veste    velare.  Quidam 


Cefalgia. 

2.  Nel  capo  insorge  tal  fiata  un  acuto  e 
pestifero  morbo,  che  i  Greci  nomano  cefalal- 
gia. I  segni  del  quale  sono  un  forte  brivido, 
un  rilasciamento  universale,  abbagliamento 
d'occhi ,  alienazione  della  mente  e  vomito  , 
tanto  che  si  perde  l'uso  della  favella  :  ovve- 
ro fassi  tal  getto  di  sangue  dalle  narici  che 
il  corpo  divien  freddo,  la  persona  cade  in  de- 
liquio :  a  questi  accidenti  si  aggiunge  un  in- 
tollerabil  dolore,  massimamente  alle  tempie 
ed  all'occipite.  Alle  volte  si  prova'  nel  capo 
una  lunga  debolezza,  ma  ne  grave  né  peri- 
colosa, e  che  dura  tutla  la  vita  :  talora  un 
dolor  più  grave*,  ma  breve  :  non  però  mor- 
tifero, accagionato  da  vino  o  da  indigestio- 
ne, o  da  freddo,  o  da  fuoco,  o  da  sole.  E 
questi  dolori  sono  ora  con  febbre,  ora  sen- 
za :  e  talvolta  in  modo  che  ne  sono  crucia- 
te anche  le  parli  propinque  alla  bocca.  01- 
tra  queste  se  ne  dà  un'  altra  specie  che  può 
esser  lunga  :  ed  è  quando  un  umore  fa  en- 
fiar la  cute,  la  quale  si  rende  tumida  e  cede- 
vole al  dito  premente:  chiamasi  dai  Greci 
idrocejalo.  Indicai  già  come  si  debba  cura- 
re la  seconda  specie  di  dolore ,  purché  sia 
leggiero,  colà  dove  divisai  queUo  che  si  deve 
fare  dalle  persone  sane  nella  debolezza  di 
quella  parte.  Quai  sussidi  poi  si  convengono 
al  dolor  di  capo  ,  allorché  è  con  febbre,  il 
dissi  là  dove  sposta  fu  la  cura  delle  febbri  : 
ora  devesi  dire  delle  restanti  specie.  Fra  que- 
ste quella  che  è  acuta,  e  quella  che  fuor  del- 
l'usato  si  fa  intensa,  e  quella  che  insorge 
per  una  subitanea  cagione,  tuttoché  non  mor- 
tifera, veemente  pur  essendo,  riconosce  nel- 
la cacciata  del  sangue  la  principale  medica* 
tara.  Ma  essa,  tranne  che  il  dolore  non  sia 
intollerabile,  è  superflua,  e  basta  astenersi  dal 
cibo  ;  e  se  si  può  anche  dalla  bevanda  ,  in 
caso  che  no,  non  bere  che  acqua.  Se  il  do- 
lore continua  al  susseguente  dì,  far  cristeri, 
provocare  sternuti  ,  non  pigliar  che  acqua. 
Imperciocché  spesso  interviene  che  con  que- 
sta norma  in  un  dì  o  due  si  sciolga  il  do- 
lore, massimamente  ov'e'sia  provenuto  da 
vino,  o  da  mala  digestione.  Che  se  piccolo 
giovamento  si  é  tratto  da  questi  provvedi- 
menti, fa  d'  uopo  radere  fino  a  pcUe  la  le- 
sta, poscia  indagare  qual  cagione  abbia  ge- 
nerato il  dolore.  Se  calore,  giova  spandere 
in  gran  copia  acqua  fredda  sul  capo  :  appor- 
vi una  spugna  concava ,  bagnata  ogni  poco 
in  acqua   fredda:  ungerlo  d'olio  rosalo  e  di 


120  CELSO 

etiam  id  devinciunt  ;  alii  cervicalibus  vesti- 
raentisque  onerai,  et  sic  levantur  ;  alios  ca- 
ltela cataplasmata  adjuvant.  Ergo  etiara,  ubi 
canata  incognita  est.  videre  oportet,  refrige- 
rantia  magis,  ari  calefacientia  leniant,  et  iis 
liti,  quae  experimenfum  approbarìt.  <U  si  pa- 
rurn  causa  discernitur,  perfundere  caput,  pri- 
mom  aqua  e  «li  da,  sicut  sopra  praeceplum  est, 
Tel  salsi,  vel  ex  lauro  decocta  ;  turn  frigidi 
■  >•.  a.  Illa  iu  omni  vetusta  capilis  dolore  com- 
muuia  sunt  :  sternutameola  excitare,  inferio- 
res  pirtc^  vehementer  perfricare  ,  gargariza- 
re  iis.  quae  salivam  inoveut,  cucurbitulas 
temporibus  et  o:cipitio  a  Imovere,  sanguinem 
ex  naribus  detrahere,  resina  subiude  tempora 
pervellere,  et  imposi!  >  sinapi  esulcerare  ea, 
quae  male  habeut  ant^  linleolo  subjecto,  ne 
eehemenJier  arrodat;  candentibus  fertamen- 
tis,  ubi  dolor  est,  'ulcera  excitare  ;  cibum 
petmodicum  cum  aqua  sumere  :  ubi  levatus 
est  d  dor.  in  balneum  ire,  ibi  multa  aqua, 
prius  calid»,  deiude  frigida  per  caput  por> 
fundi  ;  si  discusso!  ex  loto  dolor  est,  etiam 
ad  vinum  reverti  ;  sed  postea  semper,  ante- 
quarn  quid  juam  aliud,  aquam  bibere.  Dissi- 
mile est  i<l  genus,  quod  humorem  in  caput 
contrahit.  In  boc  tonderi  ail  cutem  neeessa- 
rium  est;  deinde  imponere  sinapi,  sic,  ut 
exnlceret:  si  i «  1  parami  profilili,  scalpello  uten- 
<lum  est.  Illa  cum  bvdr  >picis  coraniunia  suut, 
ut  exerceatur,  insudet,  veliemeuter  perfrice- 
tur,  eibis  potionibusque  utatur  uriuam  prae- 
cipue  raoventibus. 


Caput  ih.   De  morbo,  qui  circa  faciem 

nasci  tur. 

Circi    (adoni    vero    morbus    innascitnr , 

qu<  ui  *  ir  mei  x>jvixòv  rTioriiii'i'  itemlaint    ls 

CQOI     i    oli    feffl    libri   nntur:    os   rum    molu 

q  a  odano  perrertituri  ideeerae  ntJiil  alimi  est, 
quam  distootio  uri-,  tceedil  «iridi  colori  a 
in  naia  loloqne  corporei  mutino  ;  somnes 
in  fir< >nir»iii  est.  In  hoc  langeinern  mittore 
optimum  est:  si  noilum  ©o  malora  u«m  csi. 
ducere  itaui  ;  li  ne  i  le  quia*  •  a  disco  mmi 
■  !■  »   rojatro  roeailaai  movere.  Praeter 

hafe,  nercs^ariiim  est  vitarc  solem,   lassilndi- 
nem,  viuutn.  Si  discussili   lns  non  est,  uten- 


aceto,  o  meglio  ancora  imporvi  lana  sucida 
intrisa  di  essi,  ovvero  altri  impiastri  di  qua- 
lità rinfrescativa.  Ma  se  freddo,  si  conviene 
getlare  in  sul  capo  dell'acqua  di  mare  cal- 
da, od  almeno  salata,  ovvero  acqua  in  cui  sia- 
si cotti»  del  lauro  :  indi  fortemente  stropic- 
ciarlo, poi  ungerlo  d'olio  caldo,  e  ricoprir- 
lo. V1  ha  anche  taluni  che  stringono  con  un 
laccio  la  testa  :  altri  la  caricano  di  guancia- 
li e  di  panni  :  e  per  tal  modo  ne  rimango- 
no sollevati:  ad  altri  infine  apporta  giova- 
mento l'applicazione  di  caldi  impiastri.  Si  con- 
viene imperciò ,  allorquando  ignota  ne  è  la 
cagione,  sperimentare  se  più  giovino  i  riscal- 
danti, o  i  rinfrescanti,  e  di  quei  far  uso  che 
T  esperienza  approverà.  Ma  se  poco  si  ravvi- 
sa la  cagione,  si  deve,  com'è  prescritto  di  so- 
pra, versare  sul  capo  prima  dell'acqua  calda 
o  salata,  o  entrovi  bollito  del  lauro  :  dipoi 
della  fredda  posca.  In  ogni  inveterato  dolor  di 
capo  sono  comuni  le  seguenti  cose  :  eccitare 
sternuti,  stropicciar  forte  le  parti  inferiori  : 
gargarizzare  con  sostante  atte  a  muovere  la 
saliva,  porre  le  coppette  alle  tempie  ed  all'oc- 
cipite, trar  sangue  dalle  narici,  divellere  ad 
ogni  tratto  le  tempie  traendo  via  a  forza  i 
cerotti  adesivi  di  resina,  ed  esulcerare  le  par- 
ti dolenti  coll'applicazione  della  senape,  a  cui 
si  sottopone  innanzi  un  pannolino,  acciocché 
non  si  faccia  troppa  erosione:  fare  con  fer- 
ri roventi  delle  colture  ;  pigliare  modicissi- 
mo cibo,  bever  acqua  :  menomato  il  dolore 
andare  in  bagno,  ed  ivi  spargere  di  molai 
aequa  per  la  testa  dapprima  calda,  indi  fred- 
da :  se  il  dolore  è  disciolto  al  tutto,  ritor- 
nare anche  all'  uso  del  vino,  ma  in  appres- 
so bere  sempre  dell'  acqua  innanzi  ogu  altra 
cosa.  Diversa  è  quella  malattia  che  formasi 
dall'umore  nel  capo.  In  questa  e  necessario 
raderlo  lino  a  pelile,  dipoi  apporvi  della  se- 
nape sì  che  esulceri  :  esc  ciò  poeo  giova,  si 
deve  lai  uso  del  l'erro.  Rimedi  comuni  agli 
idropici  sono  1'  esercizio  .  il  sudore,  le  ga- 
gliarde fregagioni,  e  l'uso  dei  cibi  e  beveraggi 
in  particolar  ino  lo  provocanti  le  orini». 

Cap.  ih.  —  Di  una  infermità  nella  fascia. 

La   farcia  poi    va  soggetta  ad  un   male,  il 

<pnle  dai  Greci  chiamasi  spasmo  cinico.  Ra- 
tea  OSSO   Oliali    sempre    con    febbri   acuta.   La 

bocca  devìs  dal  suo  sesto  coti  no  earto  quel 

moto,  ed  inaper ciò  litro  non  è  ebe  ano  sti- 
ramento dell-  Labbra,  Il  calori  ili  rieo  e  di 
latta  il  corpo  si  cambia  sreqoantamante:  il 
malato  è  sempre  inchinalo  al  sonno.  I/emis- 
sione del  '-in.  or  e  in  quelli  melatili  l'otti- 
me dei  rimedi  :  se  non  cede  ad  essa,  <\  pas- 
si ai  ertiteli  :  <  se  neppM  eoo  ciò  si  dilegua, 
si  provoca  il  vomito  coll'elleboro  bianco.  01- 


DELIA    MEDICINA 


dnm  est  cursu  ;  frictione  in  eo,  quod  lae«um 
est,  leni  et  multa;  in  reliquis  partibus  bre- 
viore,  sed  veheraenti.  Prodest  etiam  muovere 
sternutamenta  ;  caput  radere  ;  idque  perfun- 
dere  aqua  calida,  vel  marina,  Tel  salsa,  sic  ut 
ei  sulphur  quoque  adjiciatur  ;  post  perfusio- 
nera  iterum  perfricari  ;  sinepi  manducare; 
eoderaque  tempore  affectis  oris  partibus  ce- 
ratum,  integris  idem  sinapi,  donec  arrodat, 
imponere.  Gibus  aptissimus  ex  media  male- 
ria  est. 


Caput  iv.  De  resolutione  lingua  e. 

At  si  lingua  resoluta  est,  quod  inter- 
dum  per  se,  interdum  ex  morbo  aliquo  fìt, 
sic,  ut  sermo  homiuis  non  explicetur  ;  opor- 
tet  gargarizare  ex  aqua,  in  qua  vel  thymum, 
vel  hyssopum,  vel  nepeta  decocta  sii  ;  aquam 
bibere  ;  caput,  et  eos,  et  e»,  quae  sub  men- 
to sunt,  et  cervicem  vehementer  perfricare  ; 
lasere  linguam  ipsam  linere  ;  manducare  , 
quae  sunt  acerrima,  id  est,  sinapi,  album,  ce- 
pam;  magna  vi  luctari,  ut  verba  expriman- 
tur  ;  exerceri  retento  spiritu  ;  caput  saepe 
aqua  frigida  perfundere;  nonnumquam  mul- 
tam  esse  radieulam,  deinde  vomere. 


129 

tre  a  quesle  cose  d'uopo  è  schifare  il  sole, 
la  stanchezza,  il  vino.  Se  con  tutti  questi  ar- 
gomenti non  è  vinto,  si  deve  usare  la  corsa:  la 
fregagione  dolce  ma  lunga  nella  parte  offesa: 
nelle  altre  parti  più  breve,  ma  gagliarda. 
Giova  pure  provocare  gli  sternuti,  radere  il 
capo,  ed  aspergerlo  d'acqua  calda  marina,  o 
salata  almeno,  a  cui  si  può  anche  unire  del- 
lo zolfo  :  dopo  l'aspersione  stropicciar  di  nuo- 
vo: mangiar  senape,  enei  medesimo  tempo 
porre  del  cerotto  sulle  parli  affètte  della 
bocca,  e  sulle  non  affette  della  senape,  in- 
finattanlo  che  esulceri.  Il  cibo  proprissimo 
si  è  quello  della  mezzana  classe. 

Cap.  iv.  Della  paralisi  della  lingua. 

Ma  se  la  lingua  è  fatta  paralitica,  acci- 
dente che  talora  vien  da  se,  talora  per  alcuna 
malattia,  in  guisa  che  l'uomo  non  può  arti- 
colare gli  accenti,  bisogna  gargarizzar  acqua, 
in  cui  sia  colte*  o  del  timo,  o  dell'issopo,  o 
della  niepita  :  bere  acqua  :  stropicciar  a  for- 
za il  capo  e  la  faccia,  e  quelle  parli  che  sono 
poste  sotto  il  mento  e  il  collo:  spalmare  la 
lingua  istessa  di  laserpizio  :  mangiar  sostan- 
ze acerrime,  quali  il  senape,  1'  aglio,  la  cipol- 
la ;  sforzarsi  quanto  più  si  può  di  accentua- 
re le  parole  :  esercitarsi  a  ritenuto  fiato  ;  spar- 
gere sovente  d'  acqua  fredda  il  capo  :  una  tal 
volta  mangiar  del  rafano  in  copia,  dipoi  vo- 
mitare. 


Cap.  v.  De  destillatione  ac  gravedine.        Cap.  v.  Del    catarro  e  del?  infreddatura. 


Destillat  autem  humor  de  capite  in- 
terdum in  nares,  quod  leve  est  ;  interdum  in 
fauces,  quod  pejus  est;  interdum  etiam  in 
pulmonem,  quod  pessimum  est.  Si  in  nares 
destilla  vi  t,  tennis  per  has  pituita  proflnit.  ca- 
put leviter  dolel,  gravitas  ej'us  sentilur,  fre- 
quenta sternutamenta  sunt.  Si  in  fauces,  has 
exasperat,  tussiculam  movet.  Si  in  pulmonem, 
praeter  sternutamenta,  et  tussim,  est  etram 
capitis  gravitas  lassitudo,  sitis,  aestus,  biliosa 
urina.  Aiiud  autem,  quamvis  non  multum 
distans,  malum,  travedo  est.  Haec  nares  clau- 
dit,  vw:em  obtuudit,  tussim  siccam  movet  : 
sub  eadem  salsa  est  saliva,  sonant  aures,  ve- 
nae  moventnr  in  capite,  torbida  urina  est. 
Haec  omnia  v.o?u%<us  llippocrates  nominai  : 
nunc  video  apud  Graecos  in  gravedine  hoc  : 
nomen  scrvari  ;  destillativnem,  x.rtraTrayuòi' 
appellare  Hnec  autem  et  brevia,  et,  si  ne- 
glecta  sunt.  longa  esse  consuerunt.  Nihil  pe- 
stifèrum  est,  nisi  quod  pulmonem  exnlcera- 
vit.  Ubi  aliquid  ejusmodi  sensimus,  protinus 
ahstinere  a  sole,  balneo,  vino,  venere  debe- 
mus  ;  inter  quae  anctione,  et  tssaeto  cibo  ni- 
hilominus  utilioet.  Ambulalione  tantum  acri, 
«ed  tecta  utendum  est,  et  post  cani,  caput 
Celso. 


Dal  capo  distilla  un  umore  quando  nelle 
nari,  il  che  è  lieve,  e  quando  nelle  fauci ,  il 
che  è  peggio,  e  quando  anche  ne'  polmoni  , 
cosa  pessima.  Se  nelle  nari  distilla,  scola  da 
esse  un  tenue  moccio,  il  capo  leggiermente 
duole,  vi  si  prova  senso  di  gravezza,  s'  hanno 
spessi  starnati.  9e  nelle  fauci,  le  inasprisce,  e 
destasi  picciola  tosse.  Se  nel  polmone  ,  oltre 
la  sfernutazione  e  la  tosse,  v'  è  anche  gravez- 
za di  capo,  lassezza,  sete,  calore,  orine  biliose. 
L'  infreddamene  di  testa  è  un  altro  male  , 
quantunque  non  guari  dissimile.  Questo  ser- 
ra il  naso  ,  rende  fioca  la  voce  ,  eccita  tosse 
secca  :  la  saliva  in  quest'  affezione  è  salata,  le 
orecchie  suonano,  le  arterie  del  capo  vibrano, 
l'orina  è  torbida.  Tutti  questi  accidenti  sono 
da  Ippociate  compresi  sotto  il  nome  di  coriz- 
za :  presentemente  veggo  conservarsi  presso 
i  Greci  questo  nome  nell'infreddatura  :  e  chia- 
marsi catastagmo  la  distillazione.  Queste  in- 
disposizioni sogliono  esser  brevi,  ma  se  tra- 
scurale, lunghe.  Niuna  però  è  mortifera,  tran- 
ne quella  che  esulcera  il  polmone.  Tostochèci 
accorgiamo  d' esser  colli  da  taluno  di  questi 
malanni,  dobbiamo  immantincnle  guardarci 
dal  sole,  dal  vino,  dal  bagno  e  dalla  venere  : 
'7 


CELSO 


atque  os  supra  quinquagies  perfrieandum.  Ka- 
roquc  tì't.  ut  si  biduo,  vel  certe  triduo  no- 
bis  lernperavimus  ,  id  vitine?  non  levetur. 
Quo  levalo,  si  in  deslillatione  crassa  facla  pi- 
tuita est,  vel  in  travedine  nares  magis  patent, 
balueo  ulendum  est,  multaqqe  aqua  prius  ca- 
lida,  post  egelida,  fovendutn  os  caputque; 
deinde  cum  cibo  pleniorem  vimini  bibendum. 
At  si  aeque  tenuis  quarto  die  pituita  est,  vel 
nares  ae(|ue  clausae  videnlur  assumendum  est 
vioum  aminaeum  austerum  ;  deinde  rursus 
biduo  aqua  ;  post  quae,  ad  balneuiu  et  ad 
consuetudinetn  reverlendum  est.  Nequc  ta- 
jnen  illis  ipsis  diebus,  quibus  aliqua  omitten- 
da  sunt,  expedit  tarnquatn  aegros  agere  ;  sed 
celerà  omnia  quasi  sanis  facienda  sunt,  prae- 
terqinm  si  diutius  aliquem,  et  vehementius 
ista  sollicilare  eonsuerunt:  huio  enim  quae- 
dim  curiosior  observalio  necessaria  est.'.Igi- 
tur  huic,  si  io  nares  vel  in  tan-cs  destilla- 
\il.  praeter  ea,  (|uac  sopra  reluli,  prolinus 
primis  diebus  mulino)  ambulandum  est;  per- 
fricandae  veliementer  inferiores  partes;  le- 
vior  Iridio  adhibenda  thoraci  erit,  levior  ca- 
pili ;  denienda  assueto  cibo  pars  dimidia;  su- 
ineud.i  ova,  am\lum,  similiaque,  quae  pilui- 
tam  t'aciunt  erassiorem  ;  siti  conila.  Ottani* 
maxima  sustineri  polest,  pugnandum.  Ubi  per 
haec  idoneus  aliquis  balneo  factus,  eoque  usus 
est,  adjiciendus  est  cibo  piseiculus  ani  caro, 
sic  tamen,  ne  prolinns  juslus  modus  cibi  su- 
nialnr  :  vino  meraco  copiosi 01  utendum  csl. 
Al  bi  io  pulmooem  quoque  destinai,  molto 
magi*  el  ambulatione  et  fridione  opus  est, 
eaderaqoe  adhibita  ratiooe  io  cibis,  si  non  ->a- 
tis  ìlli  proficiunt,  Bcrioriboi  u  tendono  est  ; 
magis  sonino  iudulgendum,  abstinenduraque 
i  ik_'oIììs  omnibus;  aliquando,  sed  scrius.  bal- 
neum  tcnlandnm.  In  travedine  aulcm.  pri- 
mo die  uoiesoere,  ncque  esse,  ncque  bibule. 
caput  velare,  faiices  lan.i  cinu  mlair:    postero 

•  li     turgore,  abstioere  a    polione,  «ut,  si  res 

ul.    non    ultra    Iknii iti.im    aquae   assume- 

re  :  t'Hn)  do-  pania  non  iti  umilimi  c\  parte 

interiore   cum  piseiculo,  vel    levi    carne    lume* 

re.  .1  < | ti .1  mi  bibeie:  si  cpiis  mI>ì  temperate  uo:i 

j. 'il  uciit,    quo    minus    plcuiore    virtù     iiLiliic, 

vomere:  obi  io  balneuiu  veniam  est,  molta 

«  all'I  i    iqu  i  Cepttl  et  u*  Inveir-  iisqiie  :id   siido- 

rem,;  Uun  ad   vinato   ridire.  Post  quae  vis 

lini  potisi,  ut  idea  incommodum  inuir.it: 

ul'-nluiii    rnl   .ibis    frigidi», 

.il  pili.  levibus,  bumore  qaem  mioimo1  ser- 

In.  Uouiltiis     .    vi-rril.ilioiiibuvqur  ,    qu  li- 
ni 'mini  tuli    |euefe   reletauliaù   necessarjac 

Milli. 


tra  cui  si  può  nulla-di  meno  usare  l'unzione  ed 
il  consueto  cibo.  Soltanto  passeggiar  torte  , 
ina  al  coperto:  e  dopo  il  passeggio  lare  più 
ili  cinquanta  perfricazioni  al  capo  e  alla  fac- 
cia. E  raro  avviene  che  governandoci  noi  tem- 
peratamente per  due  o  tre  dì  al  più  ,  nou 
resti  questo  mal  sollevalo.  11  che  avvenuto, 
se  nella  distillazione  la  mucosità  è  divenuta 
densa,  o  nell1  infreddatura  intasate  le  nari  , 
devesi  far  uso  del  bagno,  e  con  moli1  acqua 
prima  calda,  poi  tiepida  fomentare  la  faccia 
e  la  testa  :  dopo  di  che  si  può  bever  vino 
con  un  più  largo  alimento.  Ma  se  il  moccio 
al  quarto  giorno  è  tenue  sì  come  prima,  o 
le  nari  alla  stessa  guisa  intasate,  si  deve  pren- 
dere del  vino  aniineo  austero,  dipoi  per  due 
dì  bere  nuovamente  dell'acqua:  dopo  le 
quali  cose  ritornare  all'uso  del  bagno,  ed  al 
consueto  tenore.  Né  dittavi»  bisogno  è  in 
quei  medesimi  dì  ne'  quali  si  devono  trala- 
sciare alcune  cose  ,  di  regolarsi  intorno  al 
modo  di  vivere  come  ammalali  :  ma  fare  le 
altre  cose  tulle  quasi  si  fosse  in  sanità,  salvo 
ebe  tali  incomodi  per  lungo  tempo,  e  con 
veemenza  non  sieno  usi  d'imperversare:  im- 
perciocché in  questo  caso  è  necessaria  una 
più  esatta  e  scrupolosa  osservanza.  Per  la 
qual  cosa,  oltre  a  quello  che  ho  riferito  di 
sopra,  deve  il  malato,  se  ha  la  distillazione 
nel  naso  o  nelle  fauci,  incontanente  ai  primi 
dì  passeggiar  molto;  fare  gagliarde  fregagio- 
ni alle  parti  inferiori  ;  più  leggiere  al  petto  , 
alla  faccia  e  al  capo  :  ridurre  alla  metà  il  con- 
sueto alimento  :  prendere  delle  uova,  dell'  B- 
mido  e  simigliatili  cose  che  più  crassa  renda- 
no la  pi  lui  la  :  e  tollerar  la  sete  (pianto  più  può. 
Allorché  taluno  per  questi  mezzi  si  sia  messo 
in  grado  di  prendere  il  bagno  ,  e  lo  abbia  già 
preso,  deve  arrogere  all'  usato  cibo  \in  pc- 
vrtto,  o  della  carne  osservando  però  di  non 
trascendere  tosto  la  debita  misura  dell'  ali- 
mento: e  usare  più  Illusamente  del  vino  pu- 
nì.   Mi  m:    distilla    mirili'  nel   polmone,    drvc.si 

a  più  forte  ragione  ricorrere  e  li  passeggi  e 
.illr  fregagioni  :  ed  osservate  in  quanto  ai  cibi 
l«-  medesime  regole,  se  attesti  bastantemente 

non  giovano,  .se  ne  usano  di  più  seri  :  dor- 
mir si  deve  di  più.  ed  astenersi  degli  aflari 
d1  ogni  ipeoic  :  alcuna  volta,  ma  più  lai  di  , 
provare     il    bagno.     Neil    infreddilura     poi    al 

primo  di  riposarsi,  non  magiare  oc  bere, 
ricoprirsi  il  capo.  a  ciucerei  il  collo  dì  le- 
ne: il  Musegoeote  di  levarsi;  eeieoerei  detta 
bevanda:    <■  se    l«  s' ite    ilryigeaà,  noe  bere 

più  'I  un'  emina  d'  acqua  J  al  lei /o  di  man- 
giare ima  non  grossa  quantità  di  midolla  di 
pane  con  un  pesi  mimo.  ,>  oon  carne  dilica- 
ia  e  tenera,  e  bere  aeqna  :  se  allri  non  so- 
pra astenersi  dall' usare  un  meo  copioso  ali- 

melilo.     COU VÌeil    rln-      \omiti:    r     disceso    nel 

l.ij-no.    fomentare  con  mullaiqua  laida  il  <  a- 


Caput  vi.  De  cervicìs  rnorbis. 

A  capite  transitus  ad  cervicem  est  ;  quae 
gravibus  admodum  morbis  obnoxia  est.  Ne- 
que  tamen  alius  importunior  acutiorque  mor- 
bus est,  quam  is,  qui  quodara  rigore  nervo- 
rum ,  modo    caput    scapulis,   modo    menlum 
pectori  innectit,  modo  rectam  et  immobilem 
cervicem  intendi t.    Priorem    Graeci  Òtt:<7$c- 
tovov    insequcntem     H^nr^orOórovìv    ultimum 
Tc'ravov  appellant  :  quamvis  minus  subtiliter 
quidam  indiscretis  bis  nominibns  ulunlur.  Ea 
saepe  intra  quartum    diem   tollunt  :   si   hunc 
cvaserunt,  sine  peri  culo  sunt.  Eadem  omnia 
ratione  cnrantur;  idque  convenit.  Sed  Ascle- 
piades  utique  mittendum  sanguiuem  credidtit  : 
quod  quidam  utique  vitandum  esse  dixerunt, 
eo  quod  maxime  tum  corpus  calore  egeret  ; 
isque  esset  in  sanguine.  Veroni  boc  quidem 
falsum  est.  Neque  enim  natura  sanguinis  est, 
ut  utique  caleat  ;  sed  ex  iis,  quae  in  bomine 
sunt,  bic  celerrime  velcalescit,  vel  refrigescit. 
Milti  vero  necne  debeat,  ex  iis  inlelligi  potest, 
quae  de   sanguinis  missione  praecepla    sunt. 
Utique  autem  recte  datar  castoreum,  et  cum 
boc  piper,  vel  laser  :  deinde  opus  est  fomento 
humido  et  calido  :  itaque  plerique  aqua  ('ali- 
da multa  cervices   subinde    pcrfundunt.  Id  in 
praesentia   levat  ;    sed   opportuniores    nervos 
frigori   reddit  :    quod    utique  vitandum    est. 
Utilius  igilur  est,  cerato  liquido  primum  cer- 
vicem  perungere:    deinde  admovere    vesicas 
bubulas  vel  utriculos  oleo  «alido  repletos,  vel 
ex  farina  calidum  cataplasma,  vel  piper  ro- 
tundum  cum  fìcu  contusum.  Ulilissimum  ta- 
men est,  humido  sale  fovere:  quomodo  fìe- 
ret,  jarn  ostendi.  Ubi  eprum  ali  quid  factum 
est,  admovere  ad  ignem,  vel   si   aestas  est,  in 
sole  aegrum  oportet  :  maxinieque  oleo  vele- 
re;   si   id   non  est,   syriaco  ;   si   ne  id  quidem 
est,  adipe  quam  vetustissima  cervicem.  et  sra- 
pulas,  et  spinam  perfricare.  Friclio  rum  omni- 
bus  in    homine   vertebris   utilis    sit.    tum   iis 
praccipue.  quae  in  collo  sunt.  Ergo  die  nocle- 
quc.   interpositis  tamen  quibusdam   tempori- 
bus  boc  remedio  utcndnrn   est  :  dnm  inter- 
millitnr.  imponenduiti    malagma    aliquod  ex 
èilefacientibas.  Cavendom  vero  precipue  fri* 
gus  :   idcoque  in   co  conclavi,  in  quo  cubabil 
•  ejrer,   ignis  continuo  3,  esse  debebit,  rnaxime- 
que  tempore  antelucano,  quo  praccipue  fri- 


DELLA    MEDICINA  j  <$  t 

po  e  la  faccia  fino  ad  eecilare  il  sudore  : 
poscia  rimettersi  ali1  uso  del  vino.  Appresso 
queste  cose  appena  è  possibile  ebe  tal  inco- 
modo perseveri:  ma  ove  pur  si  mantenga, 
converrà  usare  alimenti  freddi,  asciutti,  leg- 
gieri, di  pochissima  umidità,  bere  men  che 
fia  possibile:  e  non  tralasciare  gli  esercizi 
eie  fregagioni,  le  quali  in  ciascuna  di  queste 
malattie  sono  indispensabili. 

Cap.     vi. —  Delle  infermità  del  collo. 


Dalla  testa  si  fa  passaggio  al  collo,  il 
quale  è  sottoposto  a  gravissime  infermità. 
Niun'altra  però  ve  n'ha  più  molesta  ed  acu- 
ta di  quella  che  con  certa  rigidezza  di  ner- 
vi ora  inflette  il  capo  alle  scapole  ,  ora  il 
mento  al  petto,  ed  or  ne  distende  il  collo 
diritto  ed  immobile.  La  prima  specie  diconla 
i  Greci  opistotono,  la  seconda  emprostoto- 
no,  la  terza  telano',  benché  taluni  meno 
scrupolosi  si  servono  indistintamente  di  que- 
ste denominazioni.  Questi  mali  spesse  volte 
entro  quattro  giorni  tolgono  di  vita  :  se  tra- 
passano questo  termine  sono  scevri  di  peri- 
colo, lutti  questi  si  curano  allo  stesso  mo- 
do, e  di  ciò  si  è  d'accordo.  Asclepiade  però 
fu  d'avviso  doversi  necessariamente  cavar 
sangue  :  lo  che  per  molli  sostiensi  non  do- 
versi fare  per  la  ragione  che  in  questo  ac- 
cidente principalmente  ha  il  corpo  bisogno 
di  calore,  e  che  questo  stia  nel  sangue.  Il 
che  è  falso  al  tutto  :  imperocché  non  è  il 
sangue  di  natura  tale  ch'esso  sia  caldo,  ma  da 
quelle  cose  che  sono  nell'uomo,  esso  o  si 
riscalda  o  si  raffredda  in  un  tratto.  Se  con- 
venga poi  cacciar  sangue  o  no,  si  può  rile- 
vare da  quel  che  si  è  prescritto  intorno  al 
salasso.  Certo  sì  convenevolmente  si  sommi- 
nistra il  castoro,  e  con  esso  il  pepe  e  il  la- 
serpizio  :  dipoi  necessario  è  un  caldo  e  te- 
nue fomento:  per  lo  che  la  maggior  parie 
dei  medici  sparge  per  lo  collo  ad  intervalli 
moltissima  acqua  calda.  TI  che  sollievo  arre- 
da sull'istante  medesimo,  ma  dispone  i  nervi 
a  risentir  di  più  l'azione  /lei  freddo,  che 
devesi  certamente  fuggire.  E  più  utile,  dun- 
que, ungere  dapprima  il  collo  con  liquido  ce- 
rotto, poscia  apporvi  delle  vesciche  bovine, 
o  degli  otricelli  pieni  d'  olio  caldo,  ovvero 
un  caldo  impiastro  di  farina,  ovvero  dei  fi- 
chi con  pepe  ritondo  pesto.  Conliillociò  nul- 
la cosa  v1  ha  di  più  giovevole  delle  fornen- 
te d'  umido  sale,  le  quali  come  far  debban- 
si,  già  il  mostrai.  Fatta  alcuna  di  queste  co- 
se, d'uopo  è  esporre  P  infermo  al  fuoco,  e 
se  è  di  state,  al  sole,  e  soprattutto  largii 
fregagioni  e  al  rullo,  e  alle  scapole  e  alla  spi- 
na con  olio  vecchio,  ed  in  sua  mancanza  di 
olio  di  Siria,  e  se  anche  di  questo  non  ve  ifè 
copia,  con   grasso  vecchissimo.  Come  la  fru- 


j32  CELSO 

pus  inlenditar.  Neque  inutile  cr\\^  caput  at- 

tOMom  haberc.  idque  irino  vel  cyprino  ealido 
madefaeere,  et  superimposito  pileo  velare; 
nouDumquain  etiam  in  calidom  oleum  totum 
descendere,  vel  in  aquam  calidam,  in  qua 
foenum  graecum  decocluira  sit,  et  adjecta  olei 
pars  terlia.  Alvus  quoque  dacia  saepe  supe- 
riores  partes  resolvit.  Si  veroeliam  vchemen- 
tius  dolor  crevit,  admovendae  cervicibus  cu- 
curbitulae  sunt,  sic,  ut  cutis  incid.itur  :  ca  lem 
aut  ferramenti!  aut  sinapi  adurenda.  Ubi  le- 
vatos  est  dolor,  moverique  cervix  coepit,  sci- 
re  licet,  cedere  remediis  m orbano.  Scd  din 
^  ìtaadus  cibus,  quisquis  maadendus  est.  Sor- 
bitionibus  ulendum,  itemque  ovis  sorbilibus, 
aal  mollibus;  jus  al'ujuod  assumendum.  Id  si 
bene  processerit,  jamque  ex  toto  recte  se  ha- 
bere  cervices  videbuntur,  incipiendum  erit  a 
pulticula,  vel  intrita  bene  madida.  Celerius 
lamen  etiam  panis  mandendus,  quam  vinum 
gustandum  :  siquidem  lmjus  usus  praecipue 
pei  iculosus  ;  ideoque  in  longius  tempus  dif- 
fercndus  est. 


<     MI  T   \  li. 


-  /)<•  fata -inni  morbis.   et  pri 

mum  de  angina. 


gagione  è  utile  a  tutte  le  vertebre  nell'uomo, 
così  in  ispecial  modo  a  quelle  che  sono  nel 
collo.  11  perchè  e  di  dì  e  di  notte,  a  «erti  in- 
tervalli per  altro,  devesi  mettere  in  uso  cotal 
presidio  ;  e  nel  tempo  che  non  si  adopera  , 
porvi  un  qualche  malamma  composto  di  so- 
stanze riscaldative.  Principalmente  poi  evitar 
bisogna  il  freddo,  ed  imperciò  in  quella  ca- 
mera in  cui  giacer«à  il  malato,  convien  che  vi 
sia  continuo  fuoco,  e  particolarmente  sul  far 
del  giorno,  quando  il  freddo  è  più  intenso. 
Non  sarà  pur  inutile  tondere  il  capo  ed  un- 
gerlo d'  olio  caldo,  d' iride,  o  di  cipro,  e  co- 
prirlo quindi  con  berretto  :  alcuna  volta  an- 
cora calare  in  un  bagno  d1  olio  caldo,  ovvero 
da  decozione  di  fieno  greco  aggiuntavi  una 
terza  parte  d1  olio.  Anche  muovere  il  ventre 
co'  crisleri  vale  spesse  volle  a  sciogliere  le 
parli  superiori.  Se  poi  il  dolore  crebbe  anche 
a  più  veemenza,  si  applicheranno  al  collo  cop- 
pette scarificate,  e  la  pelle  dello  stesso  si  ab- 
brucerà o  con  ferri  roventi  o  con  senape.  Su- 
bito che  il  dolore  si  allevi,  e  che  la  cervice 
cominci  a  muoversi ,  si  può  arguire  «he  il 
male  sia  per  cedere  ai  rimedi.  Ma  per  lunga 
pezza  schifar  devesi  il  cibo,  che  richiede  ma- 
sticazione. Si  convien  far  uso  di  brodi,  e  co- 
sì pure  d'uova  sorbibili,  e  d'altre  simigliatili 
cose  :  e  prendere  qualche  sugo.  Quando  sotto 
questo  tenore  le  cose  vadano  prosperevol- 
menlc,  e  che  già  si  scorga  essere  il  collo  ri- 
dotto in  buono  stato,  si  dovrà  cominciare  da 
una  minestrina,  o  zuppa  ben  brodosa.  Si  po- 
trà però  ritornare  più  presto  a  masticare  il 
pane  che  a  gustare  il  vino  :  perciocché  l1  uso 
di  questo  è  singolarmente  più  pericoloso,  ed 
imperciò  bisogna  astenersene  j>er  lungo 
tempo. 


Ci 


Delle   in  fermi  tu   delie  fauci 
prima    JeW  andina. 


Di  hoc  totem  morbi  genus  circa  totano 

r  ci  \  h  cm  .  sii  ,ilt<M  uni.  atipie  pesi  i  le  in  in  acu- 
lumque,  in  fancibns  esse  eonsiir vii .  Nostri  an- 
simili vocent :  apud  Gracco i  nomea,  proat 
speri.  -,  est.  Interdum  enin     aeque   rabor  , 

ne. pie  Iunior  iillns  appaici  ;  sci  corpus  .iri- 
dimi <  >l  ,  VÌI  s|,iriliis  tialiitnr  ,  un  mina 
so|\  niitiir:  id  vuvciyw  VOCant  Inlei  diini  lin- 

i  lucesquc  cum  ruborc  intumescunl  , 
\.,\  niliil  significai,  oonli  vertuntùr,  tacici 
pallet,  singultusque  est  :  id  tuvéyx*  'ocalur. 
Illa  oommunia  sunt:  aeger  non  cibiim  deve 
rare,  non  podonem  poteat \  > | > i i  ì t •  i s  ejus  io- 
lercluditar.  Levius  est,  ubi  tumor  lantum- 
modo  ci  ruboi  i  it,  <  atti  «  non  icquantai  :  ni 
T*faat/véyXm>  appcllant.  Quidquid  est,  »i  vi- 
ro» patiuntur,  languii  miUeodai  est,  li  non 
ubandat;  leeundun  est,  ducere  al  tubi.  Cu- 
curbitula   quoque    reck  lub  mento,  et  circa 


dome  questa  infermità  attacca  tutto  il 

collo,  così  altra  tonalmente  funesta  ed  acuta 
sigile  inveslirc  le  fauci.  I  nostri  la  chiamano 
angina,  appo  i  Greci  ha  nome  dalla  specie. 
Imperocché  talora  non  apparisce  uè  rossore 
né  tumore  alcuno,  ma  il  corpo  è  arido,  appe- 
na si    può  trarre    il  fiato,    le  membra    si  rilas- 

itooj  questa  essi  la  dicono  finanche;  talora 
la  lingua  t  le  i  iucì  si  enfiano  con  rossore,  la 

Mire  e    mancliev  ole .  c|j  ocelli    si  stravolgono, 

il  viso  impallidisce,  e  v'ha  linghioaxo  :  questa 

«  In. oliasi  ii nani  he.  (Questi  sono  i  segni  co- 
muni ;  T  ammalalo  non  può  trancino!  t  ire  ne 
(ilo    in     bevanda,  e    se  ili  serra    il  respiro.  Il 

m. de  e  più  lieve,  allorché  \  é  soltanto  l'efta- 

1*1  nIo   e   il   rossole,     e   non   gli  litri    mentovili 

lenti:  i  questa  la  dicono  parasinancha. 

Di  qualunque  ragione  sia  I1  enfine,  se  le  for- 
ze il  sostengono,   si  COfifien  Urti   sangue,  di- 


DELLA    MEDICINA  l33 

poi  muovere  co1  crisi  eri  l'alvo.  Si  appone  ot- 
timamente attorno  alle  fauci  ,  e  sotto  il  men- 
to una  coppetta  ,  onde  tragga  in  fuora  ciò 
che  cagiona  lo  strozzamento.  Uopo  è  dipoi 
lare  umide  fomentazioni,  perocché  le  secche 
gravano  il  respiro.  Mestieri  è  dunque  sorpor- 
vi  delle  spugne,  che  tratto  tratto  s'  immergo- 
no preferibilmente  in  olio  caldo,  anzi  che  in 
acqua  calda  :  di  grandissima  utilità  qui  pure 
è  il  caldo  vapor  del  sale.  Ultimamente  è  gio- 
vativo  il  gargarizzare  con  mulsa,  in  cui  siasi 
cotto  dell1  issopo,  o  della  niepitella,  o  del  ti- 
mo, o  dell1  assenzio  od  anco  della  crusca,  ov- 
vero dei  fichi  secchi  :  appresso  queste  cose 
ungere  il  palato  o  di  fiele  di  toro,  ovvero  di 
quel  farmaco  che  è  composto  di  more.  Si  può 
anche  utilmente  aspergere  le  fauci  di  sottilis- 
sima polvere  di  pepe.  Se  con  tai  cose  si  viene 
a  guadagnar  poco,  ultimo  rimedio  è  fare  in- 
cisioni discretamente  profonde  sul  collo,  sotto 
Je  mascelle,  e  nel  palato  presso  all'  ugola,  ov- 
vero incidere  quelle  vene  che  stanno  sotto  la 
lingua,  acciocché  per  queste  ferite  vengasi  a 
dare  esito  al  male.  Ove  per  colali  prove  ì'in- 
fermo  non  resti  sollevato,  possiamo  arguire 
doverne  rimanere  oppresso.  Se  poi  per  essi 
si  riduce  a  miglior  condizione,  e  le  fauci  co- 
minciano a  ricevere  sì  l'aria  che  il  cibo, 
egli  è  facile  il  ritorno  a  piena  sanità.  E  tal- 
volta anche  la  natura  ne  porge  ajuto  ,  se 
il  male  trapassa  da  un'augusta  ad  un'ampia 
sede  :  giova  imperiatilo  sapere  che  insorgen- 
do rossore  e  tumidezza  agl'ipocondri,  le 
fauci  rimangono  libere.  Per  quantunque  mez- 
zo poi  sollevate  vengano  queste  patti,  si  de- 
ve cominciare  da  cose  umide,  e  in  ispecie 
dalla  mulsa  cotta  :  dappoi  prendere  cibi  mol- 
li, non  acri  infino  a  che  le  fauci  non  sien 
tornate  al  pristino  loro  stato.  Odo  dire  vol- 
garmente che  chi  mangia  un  rondino  di  ni- 
do va  esente  dall'angina  per  tutto  l'anno: 
e  questo  conservato  nel  sale,  allorché  ne  as- 
sale questa  malattia,  abbrostolirsi,  e  il  car- 
bone di  lui  stemperare  nella  mulsa,  che  si 
dà  per  bevanda  e  aver  giovalo.  Avvegnaché 
i  medici  non  facciano  menzione  di  questo 
rimedio  nei  volumi  loro,  io  tutlavolla  giu- 
dicai bene  inserirlo  nella  presente  mia  ope- 
ra, e  perchè  ninn  danno  puole  dall'uso  suo 
avvenirne,  e  perché  il  trovo  preconizzalo 
tra   il  popolo  da  persone  meritevoli  di  fede. 

Caput  viii.  —  De  ilifficultate  tpirandi.       Cap.  viii.    —  Della  difficoltà  del  respiro. 


fauces  admovelur,  ut  id,  quod  strangulat, 
evocet.  Opus  est  deinde  fomenlis  humidis  ; 
nam  sicca  spiritum  elidunt.  Ergo  admovere 
spongias  oportet,  quae  melius  in  calidum 
oleum,  quam  in  calidam  aquam  subinde  de- 
mittuntur  :  efficacissimi usque  est  hic  quoque, 
salis  calidus  succus.  Tum  commodum  est , 
hyssopum,  vel  nepetam ,  vel  thymum ,  vel 
absinthium  ;  vel  etiam  furfures,  aut  ficus  ari- 
das,  cum  mulsa  aqua  decoquere,  eaque  gar- 
gariz-are:  post  baec,  palatura  ungere  vel  Ielle 
taurino,  vel  eo  medicamento,  quod  ex  moris 
est.  Polline  etiam  piperis  id  recte  respergitur. 
Si  per  heac  parum  proficitur,  ultimimi  est, 
incidere  satis  altis  plagis  sub  ipsis  maxillis 
supra  collimi ,  et  in  palato  circa  uvam ,  vel 
eas  venas,  quae  sub  lingua  sunt  ;  ut  per  ea 
vulnera  morbus  erumpat.  Quibus  si  non  \\ie- 
rit  aeger  adjutus,  scire  licet,  malo  victum  es- 
se. Si  vero  his  morbus  levatus  est,  jamque 
fauces  et  cibum  et  spiritum  capiunt,  facilis  ad 
bonam  valetudinem  recursus  est.  Atque  in- 
terdum  natura  quoque  adjuvat,  si  ex  angu- 
stiore  sede  vitium  transit  in  latiorem  :  ilaque 
rubore  et  tumore  in  praecordiis  orto,  scire 
licet  fauces  liberari.  Quidquid  autem  eas  le- 
varli, incipiendum  est  ab  humidis,  maximc- 
que  aqua  mulsa  deceda  :  deinde  assumendo 
molleset  non  acres  cibi  sunt,  donec  fauces  ad 
pristinum  habilum  revertantur.  Vulgo  audio, 
si  quis  pullum  hirundinis  ederit,  angina  loto 
anno  non  periolitari  ;  servalumque  eum  ex 
sale,  cum  is  morbus  urget.  comburi  earbonem- 
que  ejus  conlrilum  in  aquam  mulsam,  quae 
potui  datur,  infriari  et  prodesse .  Jd  cum 
idoneos  auotores  ex  popolo  habeat ,  n^que 
habere  quidquam  pericoli  possi t,  quamvis  in 
monumentis  medicorum  non  legerim,  tamen 
inserendum  buie  operi  meo  credidi. 


Est  eliam  circa  fauces  malum  ,  quod 
apud  Graecos  ■tiod  alindque  romen  babet, 
proni  se  in  tendi  t.  Omnc  in  difficoltate  spi- 

ramli  consisti!  :  sed  bare  diim  modica  est, 
ncque  ex  tolo  strangolai,  èvanrvoia  appella- 
tur:  cum  vchemciilior  est,  ut  spirare  aeger 
sine  sono  et  anhelalione,  non  possi»,  àcrCpa; 


Insorge  pure  intorno  alle  fauci  un  altro 
male,  al  quale  i  Greci  danno  ora  un  nome, 
ora  un  allro,  secondo  la  varia  sua  intensi- 
tà .  Esso  consisle  Bill1  ambascia  del  respi- 
ro: allorché  essa  é  modica,  e  non  minaccia 
totale  soffocazione,  appellasi  dispnea:  ma 
quando  è  sì    veemente  the  l'infermo  respi- 


l3^  CELSO 

rum  accessit  id  quoque,  ne  nisi  resta  cervi- 
ce spiri tus  trahatur,  ò^Oótrvoiit.  lix  quibus  id, 
quod  primum  est,  potest  distrai  trahi  ;  duo 
insequentia  acuta  esse  consuerunt.  His  com- 
muni «    sunt  :    quod   propter    auguslias,    per 
quas  spiritus  evadit,  sibilimi    edit,  dolor  in 
pectore  praecordiisque  est,  interdirai    etiam 
in  scapulis,  isque  modo  decedit,  modo  rever- 
titur  ;  ad  haec  tussicula  accedit.  Auxilium  est, 
nisi  ahquid  prohibet,  in   sanguini*  detractio- 
ne.  Ncque  id  satis  est,  sed  lacte  quo  pie  ven- 
ter  solvendo!  est.  Liqaaaida  alvus,  in  ter  da  ni 
etimi  dacenda;  quibus    extenaatnm  corpus 
incipit  spiritsa  trattare    commodius.  Caput 
rateai  in  lecto  sublime  babendara  est:  Ura- 
ni fomentis,  cataplasm atisque  calidisaut  sie- 
cis  ,  aut   etiam    humidis  a  djuvandus    est;    et 
postea  vel  malagma  snperirapoaendom,  vel  ce- 
ratimi ex  cyprino,  vel  irino  ungento.  Samen- 
da  deinde  jejuno  potui  mal  sa  aqua,  cum  qua 
vel   hjatopos  od a,   rei  contrita  capparis  ra- 
dix  sii.  Delingilur    cliam  uliliter  autem   ni- 
trum,  aut  nasturtium  al  barn  frictum,  deinde 
contritum  et  cum   melle    mixtum:  simulque 
coquuntur  mei,  galbanum.  resina   terebinthi- 
na,  et   ubi  coierunt,  ex  his,   quod   febee  ma- 
gnitudinem  babet,  quotidie  sub  lingua  liqua- 
tur:  aut  sulphuris  ignem  non  experli  scrupu- 
li  partem  sextam  abrotoni  scrupulum  in  vini 
cyatbo  terunlur,   idque  tepefactum   sorhetur. 
list  etiam  non  vana  opini*,   vulpinum  jecur, 
ubi  siccurn   et    aridum  factum  est,   eoa  tondi 
oportere,   polentamque  ex  eo  potioni  asper- 
gi ;  vel  ejusdem  polmoneni   quani  reeentissi- 
munì  assum,  sed  sine»  ferro  coctnni,  edendum 
esse1.  Praeter  liacc,  ■orbitiooibas  et  leaibai 
cibis  iitendum  est;  interdum   vino  tenui  au- 
stero ;  nonnumqiiain  vornitu.    Prosimi    etiam 
quacumque  Drittata  moretti  :  sed  nibil  ma- 

"«s.  quam  amhiilatio  lenla  pene  usque  ad 
lassiludinem  ;  friclio  limila,  praeeipue  infe- 
norimi  parlium,  vel  in  sole,  vel  ad  ignem, 
rt  per  se  ipsum,  et  per  alios,  usque  ad  su- 
dorciu. 


rar  non    possa  senza    sibilo,  e    senza  anda- 
mento chiamasi  asma  :  e  quando  si  aggiun- 
ge   questo    ancora ,    cioè  che    non  si    possa 
trarre  il  respiro  se  non  a  collo  eretto,  orto- 
pnea.  La   prima   di  queste  può   durar  lungo 
tempo  ;    le  due    susseguenti  sogliono    essere 
acute,  liceo  ciò  che   v1  ha  di  comune  in  esse: 
per  le  angustie  onde  vien  fuora    il  fiato,  il 
respiro  manda  un  sibilo:  avvi  dolore  al  pet- 
to   ed  ai   precordi  :  alruna   volta  anche    agli 
omeri:    e  questo  ora  dipartesi,  ora  ritorna  : 
a     tutto  ciò   si    aggiunge    della     tosse  .    Nella 
cacciata    del   sangu.*,   se   non    v'  è   indicazione 
contraria,  sta  il   soccorso.  Ma   non   basta  :   si 
deve    anche    sciogliere    il  ventre    col  latte  , 
muoverlo  talvolta  anco    coi  eri  steri  :   per   le 
quali   Cose  estenuato   il  corpo   comincia   a  più 
agiatamente    respirare.    Il    capo     poi    anche 
stando  in  letto,  si  vuol  tenere  elevato  :  il  pet- 
to confortare  con   fomenti  e  cataplasmi  cal- 
di, secchi  od  anche  umidi  :  e   dopo  apporvi 
0   un   malamma,  od  almeno  un  empiastro  di 
unguento  ciprino  o  d1  iride.  Dipoi   prendere 
per    bevanda  a    digiuno  della    mulsa  .  colla 
(piale   siasi  cotto  dell'  issopo,   o   la   radice  pe- 
sta  di  capperi.    Si   lambe  pure  con     profitto 
o  nitro,  ovvero  nasturzio  bianco  fritto,  indi 
pesto  e  mestato  con    mele  :  e  similmente  si 
fanno  cuocere   mele,  galbano.  resina  di   tere- 
binto, e  dacché  queste  sostanze  si  sono  be- 
ne incorporale,  si    prende  di  questa  mesco- 
lanza   ognidì  la    grossezza  di   una     fava,  che 
si    fa   disciogliere    sotto   la     lingua  :   oppur  si 
pestano  di   zolfo  ver  fi  OC  il  sesto   di   un  dena- 
ro, e  di   abrotano  un  denaro  e  in    un  bicchier 
di    vino   reso   poi   tiepido  si    sorbisce    Egli   è 
anche  opinione  non  vana,  che  il  fegato  di  vol- 
pe secco  ed  arido  cbVsso  sia,  si  debba  pestare, 
e    Spargente    col    beveraggio  fatto    di    esso    la 
polenta:  ovvero  mangiare  il  polmone  freschis- 
simo dello  stesso    animale  arrostilo,    ina  colto 

sema  Ferro.  Oltre  queste  con  si  nsaoo  mine- 
strine, ed  alimenti  tenui  ;  talvolta  vino  leggie- 
ri austero;  e  alcuna  lilla  li  romiti.  Attenni 
giovano  latte  quelle  cose  clic  provocano  le 
orine,  ma  nulla  meglio  d*  una  dolce  cammi- 
nai '  quasi  finn  a  slanchez/.i  :  e  le  molte  fre- 
gagioni singolarmente  «He  parli  inferiori  fat- 
te .1.1  sé.  o  ad  litri,  stando  il  sole  osi  fuoco, 

fino  al  sudore. 


Cavi  e  i\. —  De  faueium  txulctrutiom 


Caf.  iv 


Deir  ulcerazione  delle  lanci. 


In  interiore  viro  faaciora  parte  ioterdnm 
exttlcatatso  case  eoaaaevit.  In  hta  plerique  ex- 
trinsecas  cataptatmatis  c»IMis,  romentianoe 
hnmidis  olnntur:  volani  etiara  vaporerò  on* 
lidum  ore  recipi  :  per  noae  roolliorei  alii  par- 


Nclla  interna  parte  delle  lanci  suol  tal- 
volta formerai  un  eeolcefamento.  li  questo 
i    più    adoperano    esteriormente    cataplasmi 

Baldi   ed   umidi   fomenti.    Prescrivono    ittOttfl 
di    respirare   vapori   e, il. li,   per     le   (piali    cose 


tei   «  Il    lieri    dieiiril,    nppnrtuniorrsque    vilio      altri    dicono    farti    più     molli    quelle     parli,    e 

i  ho  hirrniti.  Sed  a]  bene  vlteri  frigni  potetti    più  disposte  al  gii  inerente  male,  mi  sr    s| 

lui.-»  Hit  pracsidia  I  fi  melin  ejus  est,  supcrva-     pttd  Bttfl   tutta  certezza   scansare  il   freddo,  i 


DELLA    MEDICINA  l35 

cua  suol.  Utique  aulem  perfricare  fauces  pe-     detti  rimedi  sodo  sicuri  ;  e  se  si  teme,  sono 

disutili.  Egli  è  senza  dubbio  cosa  pericolosa 
stropicciar  le  fauci,  perocché  ciò  fa  esulce- 
rare. Né  utili  sono  quelle  sostanze  che  pro- 
vocano le  orine,  perchè  possono,  uscendo 
fuori  del  corpo,  estenuare  anche  quivi  la  mu- 
cosità che  è  meglio  di  conservare.  Asclepia- 
de,  autore  esimio  di  assai  cose  che  noi  stes- 

ulla  noxa  comprimi  ulcera.  Sed  id  supprime-     si  abbiamo  seguile,  dice  doversi  sorbire  ace 


riculosum  est:  exuleerat  enim.  Neque  ulilia 
sunt,  quae  urinae  movendae  sunt;  quia  pos- 
sunt,  dum  transeunt,  ibi  quoque  pituitam 
exleDuare,  quam  supprimi  melius  est.  Asele- 
piades  inullarum  rerum,  quas  ipsi  quoque  se- 
cuti  sumus,  auctor  bonus,  acetum  ait  quam 
acerrimum  esse  sorbendum  :  hoc  enim    sine 


re  sanguinem  potest;  ulcera  ipsa  sanare  non 
potest.  Melius  huic  rei  1)  cium  est  ;  quod  idem 
quoque  aeque  probat  :  vel  porri,  vel  marru- 
bii  succus,  vel  nuces  graecae  cum  tragacanlho 
contritae  et  cum  passo  mixtae,  vel  lini  semen 
contritum  et  cum  dulci  vino  mixtum.  Exer- 
citatio  quoque  ambulandi  currendique  neces- 
saria est:  friclio  a  pectore  vehemens  toti  in- 
feriori parti  adhibenda.  Cibi  veio  esse  debent 
neque  nimium  acres,  neque  asperi;  mei,  len- 
ticula ,    tragum,   lac,   ptisana,    pinguis    caro , 


lo  fortissimo,  perchè  con  esso,  senza  danno 
nessuno,  si  ripercuotono  le  ulcere.  Ma  l'a- 
ceto può  sì  stagnare  il  sangue,  non  già  sa- 
nare le  ulcere.  A  quest1  uopo  più  acconcio  è  il 
licio,  che  pure  lo  stesso  Asclepiade  commen- 
da :  ovvero  il  sugo  del  porro  o  del  marru- 
bio, o  le  noci  greche  trite  con  adraganti,  o 
mischiale  coli1  uva  passa,  o  il  linseme  am- 
maccalo ed  impastato  con  vino  dolce.  Ne- 
cessaria è  altresì  1' esercitazione  del  passeg- 
giare e  del  correre  ;  e  le  fregagioni  gagliar- 


praecipueque  porrum,   et  quidquid  cum  hoc     de  fatte  dal  petto  a  tutta  la  parte  inferiore. 


mixtum  est.  Potionis  quam  minimum  esse 
convenit.  Aqua  dari  potest,  vel  pura,  vel  in 
qua  malum  cotoneum,  palmulaeve  decoctae 
sunt.  Gargarizationes  quoque  lenes  :  sin  hae 
parum  proficiunt,  reprimentes  utiles  sunt. 
Hoc  genus  neque  acntum  est,  et  potest  esse 


Gli  alimenti  poi  non  deAono  essere  né  trop- 
po acri  né  aspVi  :  il  mele,  le  lenticchie,  il 
trago,  il  latte,  l'orzala,  le  carni  grasse,  sin- 
golarmente i  porri,  e  che  che  sia  preparalo 
con  essi.  Si  convien  bere  manco  che  sia  pos- 
sibile. Si  può  bere  acqua  pura,  o  veramente 


non  longum  :  curationem  tamen  maturali),  ne     quella  in  cui  siensi    cotte    mele    cotogne,    o 
vehemeiiler  et  diu  laedat,  desiderat.  dei  datteri.  Giovano  altresì  gargarismi  blan- 

di, ma  se  essi  poco  giovano,  si  rifugge  con 
prò  agli  astringenti.  Questa  specie  di  male 
non  è  acuto,  e  puote  essere  non  lungo  :  non- 
dimeno ricerca,  e  vuole  una  sollecita  medi- 
calura,  onde  né  troppo,  né  per  lungo  tem- 
po affligga. 


Cai-et  x.  —  De  tlissi. 


Cap.  x.  Della  tosse. 


Tussis  vero  fere  propter  faucium  exul- 
ceratiouem  molesta  est;  quae  multis  modis 
contrahilur.  Itaque,  illis  restitutis,ipsa  finitur. 
Solel  tamen  interdum  per  se  quoque  male  ha- 
bere  ;  et  vix,  cum  velus  facta  est,  eliditur.  Ac 
modo  arida  est.  modo  pituitam  citai.  Oportet 
h\ssopum  altero  quoque  die  bibere  ;  spiritu 
relenlo  currere,  sed  minime  in  pulvere;  ac 
lcctione  uli  vehementi,  quae  primo  impedi- 
tur  a  tussi  post  eamvincit:  tum  ambulare: 
deinde  per  manus  quoque  exerceri,  et  peclus 
din  perfricare:  post  haec.  quam  pinguissimae 
ficus  uncias  tres  ;  super  prunam  incoclas,  es- 
se. I'raeter  huec,  si  humida  est,  prosunt  fri- 
ctiones  validae.  cum  (juibusdam  calefacienti- 
bus,  sic,  ut  caput  quoque  simul  vehenienler 
perii  icetur  :  ikrii  cucurbitulae  pectori  admo- 
lae  ;  sinapi  ex  parte  exleriore  faucibus  impo- 
si! uni.  donec  lev  iter  exuleerel  ;  polio  ex  meni- 
tha,  DBcibusque  praecit  el  amylo  ;  primoque 
usainpUis  pania  aridus,  deinde  stliquis  cibus 
hni.s.  Ai  si  tìcca  lussis  est,  cua  ee  vehemen- 
liv>inie  urgel,  adjuvat   vini  austeri  c)alus  as- 


La  tosse  è,  per  lo  più,  molesta  per  l'ul- 
ceramento delle  fauci:  e  questa  conlraesi  in 
più  maniere.  Iinpertanto  sanate  quelle,  essa 
cessa.  Suole  non  però  anche  assai  volte  per 
sé  travagliare,  ed  allorché  è  fatta  antica,  a 
slento  si  toglie.  E  desa  ora  è  secca,  ora 
provocante  spurghi.  Fa  d'  uopo  bere  un  dì 
sì,  e  un  dì  no  decozione  d'isopo;  correre 
rilenendo  il  fiato,  ma  lungi  dalla  polvere  : 
leggere  ad  alta  voce,  nel  quale  esercizio  in 
sulle  prime  ne  fa  impedimento  la  tosse,  ma 
in  seguito  la  vince:  quindi  passeggiare,  po- 
scia esercitarsi  eziandio  in  opere  di  mano,  e 
lungamente  stropicciare  il  petto;  appresso  le 
(piali  cose  si  devono  mangiare  Ire  once  di 
fichi  grassissimi  alquanto  cotti  sulla  brace . 
Olirà  tutto  questo,  se  la  tosse  è  umida,  fanno 
prò  le  veementi  fregagioni  con  sostanze  ri- 
scaldative:  e  queste  estese  nell'egual  mo- 
do anche  fino  al  capo:  {stessamente  le  cop- 
pette al  petto:  la  senape  imposta  alla  parte 
esterna  delle  fauci  in.sino  a  che  lievemente 
esulceri:  una  bibita   fatta   di    menta,  di  no- 


l3G  CELSO 

snmptus;  Jum  ne  amplili*  id,  interposito  tem- 
pore alijuo,  qaam  ter  aut  quater  fìal:item 
laseris  quam  optimi  paulum  decorare  opus 
est  ;  porri  vel  marrubii  succum  assumere  ; 
scillam  «Mingere;  acetum  ex  ea,  vel  certe 
acre  sorbere,  aut  cum  spica  alili  contriti  duos 
vini  cvathos.  Utilis  etiam  in  ornai  tussi  est 
percgrinatio,  navigalio  longa,  loca  maritima, 
natalioiies  :  cibus  itcrdum  mollis,  ut  malva, 
ut  artica;  ioterdum  acer,  ut  lac  cum  allio 
coctura  :  sorbitiones,  quibus  laser  sit  ailjeclum, 
ani  io  quibus  porrum  iucoclum  labuerit:  o- 
vum  sorbite,  sulphurc  adjecto:  potui  prirnum 
equa  calida,  deiade  iuvicem  aliisdiebus  haec, 
aliis  viuum. 


ci  greche  •  d1  amido  :  e  dapprima  mangia- 
re pine  asciutto:  dipoi  alcun  cibo  ammol- 
liente. Ma  qoaodo  la  tosse  è  secca,  nel  tem- 
po de'  suoi  più  violenti  accessi  ,  giova  un 
bicchiere  di  vino  austero,  purché  noi  si  pigli 
più  di  tre  o  quattro  volte,  e  con  qualche  in- 
tervallo di  tempo  :  d'  uopo  è  parimenti  tran- 
gugiare un  po'  di  laserpizio  del  più  squisi- 
to :  prendere  sugo  di  porro,  o  di  marrubio, 
masticare  della  scilla,  sorbire  aceto  scillino, 
od  almeno  qualche  cosa  di  acre  :  ovvero  due 
bicchieri  di  vino  con  uno  spicchio  d'aglio 
pesto.  Ancora  è  utile  io  ogni  tosse  il  viag- 
giare: il  molto  navigare,  l'abitare  alla  ma- 
rina, il  nuotare  ;  i  cibi  talora  umettativi 
siccome  la  malva,  l'ortica;  talora  acri  come 
il  latte  colto  con  aglio,  i  brodi  a  cui  sia 
giunto  il  laserpizio,  o  ne'  quali  il  porro  cot- 
to siavisi  disfatto:  le  uova  tresche  giuntovi 
dello  zolfo;  a  beveraggio  prima  dell'acqua 
calda;  indi  a  vicenda  altri  dì  questa,  altri  dì 
vino. 


Caro?  11.  —  De  sanguini*  sputo. 

Hkfagis  terrori  pò  test  aliqnis.  cum  san- 
guinem  exspnit  :  sed  id  modo  minus,  modo 
plus  pericoli  habet.  Kxil  modo  ex  gengivis, 
modo  ex  ore:  et  quidem  ex  hoc.  interdilli) 
etiam  copiose,  sei  bine  lussi,  sine  ulcere,  si- 
ile gingivarum  ullo  vitio  :  ita  ut  nihil  exseree- 
ttir  :    veruni    ul  e\    iiarihus  aliquando,   sic  ex 

ore  prorumpit.  Ytque  ìaterdam  saagais  pro- 
fluit,  ìaterdam  simile  aqaae  qaiddam,  in  qua 

caro  receas  Iota  est.  Nonnumquam  aulem  is 
a  summis  (àucibus  feri  tir,  modo  exulcerata 
«•a  pule,  modo  non  esulcerala  ;  sed  autore 
xcw.in  alicujus  adaperto,  ani  tabercalis  qui* 
basdam  oatis,  exque  bis  sangaioe  erum pente. 

Quod  ubi  ineidil,  ncque  lae  lil  polio  ant  ci- 
bus, ne  pie  qaidquam,  ul  ex  ulcere,  exsorea- 
t'ii .  \h  |'i  11!»  vero,  gutture  el  arteriU  exul- 
ceratis,  frequeos  lussls  laaguiaem  quoque 
extundit:  interdum  etiam  fieri  solet,  al  aut 

'■V  pillinone,  ani  c\  pectore,  ani  c\  I  ilere.  ani 

ei  jociaore  feratar:  saepe  feminae,  quibus 
sanguii  per  meastrus  oon  respaadet,  baac 
exspaunt  suctoresque  medici  sunt,  velexesi 
parte  atiqua  saagaiaem  esire,  vel  rapta.  rei 

"re    iliciiju.  venie  pilefacl  ».  Primani  cT/a.3^'.»- 

in  I  imi  (wi>i/,i.nii  mi  »va?ófAOTU>  ippel 

I  "ii.  l  Itimi i ■  nocel  ;  prìra  i  gravissime. 

I       lepe  auidera  evenit,  ali  sanguinea)  pu  - 

pi  l'oc   interdam   autem,   qui   saagaiaem 

il   \  iletndinera  prò- 

fuit.  Sed     i      ■     i    ■     |  |       ni.   si  pus,  si   In  >os 

est,  proal  sedei  ipsa  esj    >'  *  \  iri  i  el  p  iriculo- 
tera    aorb  m  a  n   laat.   s'  i  er  i  languii 

■  il  ni.  expe  litiui  •  i  rem    Lium  el  iims 

est.  Ne  pi  i  ign  •  ■  t iì  op  i  |'iil»  i i  (lue 

t§  i       -!-:.  i  ii   |  ùb  il  spia  i  i  ilet,  co- 


Cap.  xi.  —   Dello  sputo  di  sangue. 

Più  motivo  di  spaventarsi  ha  ehi  sputa 
sangue:  ma  quest'  accidente  porta  seco  ora 
maggiore,  ora  minor  pericolo.  Proviene  esso 
quando  dalle  gengie,  quando  dalla  bocca  ;  e 
da  questa  anche  in  copia,  ma  senza  tosse, 
seoza  ulcere,  senza  rixio  di  sorte  alcuna  al- 
le gengive,  sicché  nnlla  si  espelle,  ma  (.une 
viene  il  sangue  dal  naso,  così  alle  volte  dal- 
la bocca.  E  talora  (luisce  sangue,  talora  co- 
lai sangue  simile  all'  acqua,  in  cui  siasi  la- 
vala della  fresca  carne.  Ma  non  di  rado  pro- 
viene dall'ime  fauci,  ora  ulcerata,  ora  non 
ulcerala  cotal  parte  ;  ma  o  da  un'  aperta  boc- 
cuccia di  alcuna  vena,  ovvero  da  {tubercoli 
forma  ti  visi,  sboceìaati  sangue.  Il  che  avve- 
nendo né  il  mangiar  nuoce,  né  il  bere  ;  nò 
gli  spurghi  rassomigliaoo  ■  (pici  d'  un'  ul- 
cera. Alle  volte  poi  anche  un  tossir  frequen- 
te, esulcerata  la  gola  e  qualche  arteria,  treg- 
ge fuora  il  sangue:  si  danno  anche  dei  e.isi, 

in  mi  si  derivi  0  dal  polmone,  o  dal  petto, 
0  dal  lato,  <»  dal  legato  :  spessii  lì  ite  le  fem- 
mine, cui  non  corrisponde  il  sangue  pei  me- 
strui, il  rigettano  per  gli  spuli.  E  v'  ba  scrit- 
tori   medici    i    quali    die  ino    uscire    il     sangue, 

o  da  uni  parte  corrosa,  ovvero  rotta,  o  del- 
l'apertesi   boccaccia    di    alcuna    vena.    La    |>n 
mi    ,hiìif,ì\:.    li    leCOnda    riti,    la    lena  aua- 

s farnesi  la  chiamano.    1/  ultima    è    al    lutto 

ni  lOCUa  :    infestissima  la  primi.   Addiviene  .is 
su    sovente    poi    che     il   langUS  semiti   la    mn 

,    I    talora    iufricient«mente    open'»     i    prò 
della  silnie  ohi  il  sangue    istesso    soppresse. 

Mi  |e  si, -ii  .  susseguite  ulcere,  se  ipuli  pu- 
rulenti, se  tosse,  '"■  vengono,  seoondoche  è 
li  sede  in-,  \..nc  e  pericolata  infermità.  S<* 


xaeve,  aut  post  cursum  Yehemerotem  vel  am- 
inilalionem,  dum  febris  absit,  non  esse  inu- 
tile sanguinis    mediocre    profluvium:    idque 
per  urinam  redditura  ipsam  quoque  lassitudi- 
nera  solvere:  ac  ne  in  eo  quidera  terribile 
esse^  qui  ex  superiere  loco  dec'«'i:*  •  sl  tamen 
in  ejus  urina  nihil  n<— * *".:  neque  vomi.tum 
hujn<:  afl^e  penculum,  etiam cum  repetit,  si 
ante   confirmare  et  implere  corpus  licuit  ;  at 
ex  toto  nullum  nocere,  qui  in  corpore  robu- 
sto, neque  nimius  est  neque  tussim  aut  calorem 
movet.  Haec  pertinet  ad  universum  :  nunc  ad 
ea  loca,  quae  proposui,  veniam.  Si  ex  gingivis 
exit,  porlulacam   manducasse  satis  est.  Si  ex 
ore,  continuisse  eo  merum  vinum  :  si  id  parum 
proficit,  acelum.  Si  inter  haec  quoque  gravi- 
ter  erumpit,  quia  consumere  hominem  potest, 
commodissimum  est,  impetum  ejus,  admota 
occipitio   cucurbitula,  sic,    ut    cutis    quoque 
incidatur,  avertere.  Si  id  mulieri,  cui   men- 
strua  non  feruntur,  evenit,  eamdem  cucurbi- 
tulam,  incisis  inguinibns  ejus,  admovere.  At 
si  ex  faucibus,  interioribusve  partibus  proces- 
sit,  et  metus  major  est,  et  cura  major  adhi- 
benda.  Sanguis  mittendus  est;  et  si  nihilo- 
minus  ex  ore  processit,  iterum  tertioque,  et 
quotidie  paulum  aliquid  :  protinus  autem  de- 
bet  sorbere  vel  acetum,  vel  cum  thure  plan- 
taginis    aut   porri    succum  ;    imponendaque 
extrinsecus  supra  id,  quod  dolet,  lana  succida 
ex  aceto  est,  et  id  spongia  subinde  refrige- 
randum.  Erasistratus   horum    crura  quoque 
et  femora  brachiaque  pluribus  locis   deliga- 
bat.  Id  Asclepiades,  adeo  non  prodesse,  etiara 
iniraicura  esse  proposuit.  Sed  id  saepe  com- 
mode respondere  experimenta  testantur.  Ne- 
que tamen  pluribus  locis  deligari  necesse  est: 
sed  sat  est  infra  inguina,  et  super  talos,  sum- 
mosque  humeros,  etiam  brachia.  Tum,  si  fe- 
bris urget,  danda  est  sorbi tio,  et  potui  aqua, 
in  qua  aliquid  ex  iis,  quae  alvuni  adstringunt, 
decoctum  sit:  at.  si  abest  febris,  vel  elota  all- 
ea, vel  panis  ex  aqua  frigida,  et  molle  quoque 
ovum  dari  potest,  potui,  vel  idem,  quod  su- 
pra scriptum  est,  vel  vinum  dulce,  vel  aqua 
frigida.   Sed  sic  bibendum   erit,  ut  sciamus, 
buie  morbo  siiim   prodesse.  Praeter  haec,  ne- 
cessaria sunt  quies,  securitas,  si  lenii  um.  Ca- 
put hujus  quoque  cubantis  sublime  esse  de- 
bet;  recleque  tondetur.  Fa  ci  e  saepe  aqua   fri- 
gida fovenda  est.  At  inimica  sunt  vinum,  baf- 
neum,    venus,  in    cibo    oleum,  acria    omnia, 
item  nalida  fomenta,  conclave,  calidum  et  in- 
clusimi, multa  veslimenta  cor  pori  injecta,  e- 
tiam  frictiones.  Ubi  bene  sanguis  cotiquievit, 
tum  vero  incipiendum  csi  a  brarbiis,  cruri- 
busque  ;  a  thorace  abstincndum.  Jti  hoc  casu 
per  liiemem,  locis  maritimis;  per  aeslatem, 
mediterraneis  opus  est. 


Celso 


DELLA  MEDICINA  187 

poi  non  viene  che  sangue,  più  spedito   è    il 
rimedio  ed  il  risanamento.  Né  si  vuol  igno- 
rare che  un  moderato  uscimento  di  sangue^ 
purché  non  siavi  febbre,  suol  essere  di  gio- 
vamento a  quei  che  usi    son    perderlo,  o    a 
quelli  cui  duole  la  spina,  o  i  fianchi,  o  do- 
po una  veemente  corsa,  o  passeggiata  :  e  che 
il  sangue  renduto  per  orina    scioglie    anche 
la  stanchezza  medesima  :  né  è  pur  da  temer 
gran  fatto  in  chi  cadde  da  un1  altura,  salvo 
se  nell'  orina  non  sppaja  alcun  altro  seigno  : 
né  adduce  pericolo  il  vomito  di  esso,  ancor- 
ché si  vada  ripetendo,  tuttavolta  che  il  cor- 
po abbia  innanzi  tempo  di  ristorarsi,  e  rin- 
terrar le    forze  :  od  è  a  pezza  esente  da  pe- 
ricolo, se  dato  che  robusto  sia  il  corpo,  non 
è  strabocchevole,    né  muove    tosse  o  calore. 
Queste  cose  partengono  al  generale  :  ora  ver- 
rò a  quei  luoghi  che  ho  divisati.  Se  il  san- 
gue esce  dalle  gengive,  basta  il  mangiar  del- 
la portulacca.  Se  dalla  bocca,    tener  in  essa 
del  vino  puro  ;  se  il  vino  fa  poco,  deir  ace- 
to. Se,  a  malgrado  queste  cose,  il  sangue  con- 
tinua a    largamente    sgorgare,    potendo    ciò 
ridurre  all'estremo  l'infermo,    ottimo  espe- 
diente sarà  di  divertirne  l1  impeto  col  porre 
una  coppetta  scarificata   alla  nuca.  Se  interi 
vien  questo  a  donna,  cui  siensi    soppressi  - 
mestrui,    si  convien  porne  pur    una  tagliata 
alle  anguinaja.  Ma  se  deriva  dalle  più  inter- 
ne parti    come    maggiore  è  il  pericolo,    così 
maggiore  vuoisi  la  cura.  Si    deve  trar    san- 
gue,   e  se  nnlladimeno  continua  il  sangue  a 
sgorgare,  d'uopo  è  il  dì  seguente  e  il  terzo, 
ed  ogni  dì  ripetere  inpicciola  quantità  il  sa- 
lasso :   deve  poi   tantosto  sorbire  o  dell'aceto 
o  succo  di  piantaggine  ovvero  del  porro  con 
incenso  :  ed  esternamente  sorporre  sulla  par- 
te    dolente    lana    sucida    intrisa    d'aceto,    la 
quale  vuoisi  a  volta  a  volta    rinfrescare   con 
ispugna.   Erasistrato  allacciava  inoltre  in   pa- 
recchi   luoghi  le  gambe,  le  coscie  e  le  brac- 
cia.  Asolepiade  sostenne  che  ciò  oltre  al  non 
giovare,  riesce  anche  dannoso.  Ma   i   fatti  at- 
testano che  tal  cosa  reca  spesse  fiate  ottimo 
effetto.    Non  è  necessario  però  dì   fare  que- 
ste allacciature  in  molti  luoghi  :    basta  sotto 
alle  anguinaja,  e  sopra  i  calcagni,  agi»  omeri, 
ed   anco  alle  braccia.  Quindi    se  la   febbre  è 
violenta,  devesi  somministrare  «lei  brodo,    e 
bere  dell'  acqua,  nella   quale  siasi  bollita  al- 
cuna  di  quelle   sostanze,    che    ristringono    il 
ventre:  ma  se  febbre  non    v1  ha,   si   può  mi- 
nistrare o  spelta  bollita,    o    pane    inzuppato 
in  acqua   fredda,  od  anche  un  uovo  tenero  : 
per  beveraggio  o  quelto  che  è  notato  di  so- 
pra, o  vino  dolce,  od  acqua  fredda.  Ma  co- 
sì si  dovrà  bere  che  non  ci  scordiamo  esse- 
re la  sete  giovevo/e  in  questa  infermità.  Ol- 
tre a   tutto  questo  s>  richiede  quiete,    fidan- 
za, silenzio.  L'infermo  stando  in  Ietto    deve 

18 


i38 


CELSO 


Cap.  xii.  —  De  stomachi  morbis. 

Faucibns  subest  stomachus;  in  quo  plnra 
Innga  vitia  incidere  consuerunt.  Nani  modo 
ingens  calor,  modo  inflatio,  hune,  modo  iu- 
tlaramatio,  modo  exulceratio  afficit  :  inter- 
duin  pituita,  interdum  bilis  oritur  :  frequen- 
tissimumque  ejus  raalum  est,  quo  resolvitur; 
neque  ulla  re  magis  aut  afficitur,  aut  cor- 
pus afficit.  Diversa  autem,  ut  vilia  ejus,  sic 
ctiam  remedia  sunt.  Ubi  exaestuat,  aceto  cum 
rosa  extrinsecus  subinde  fovendus  est  :  im- 
ponendusque  pulvis  cum  oleo  :  et  ea  cata- 
plasmata,  quae  simul  et  reprimunt  et  emol- 
liunt.  Potui,  oisi  quid  obstat,  egelida  aqua 
praestanda.  Si  ioflatio  esl,  prosuut  admotao 
<  ueurbitulac  ;  ncque  incidere  cutem  Decesse 
est:  prosunt  sicca  et  calida  fomenti,  sed  nop 
\  flMinrnli.s-.ima.  Interponeuda  abstinculia  est. 
I  lilis  in  jejuno  polio  est  absinlliii,  aut  livs- 
-supi,  aut  ratae.  bxercitatio  primo  lenis,  de- 
iode  major  adhibeDda  est  ;  maximeque,  quae 
superiore*;  paries,  moveal  :  c| u  »1  genus  in 
omnibus  stomachi  vitiis  aptissiroam  est.  l'o^t 
exercitationera  opus  est  unctiooe,  frictione; 
bai aea  quoque  DoaoDmqoam;  sed  rarius;  in- 
I-  l'Inni    ii\i    dactione ;    «ibis    deinde   calidis 

neque  ioflantibus ;    eod< ine    modo    oli<lis 

potionibaa,    plinto  aquie,    post,    ubi  resedil 

inllatio,    vini    austeri.    Illml    quoque    in    onnii  - 

l.us  itomtchi  \itii«  praecipiendum  est,  ul 
q'«.»  modo  le  quisque  aeger  refecerit,  eo  sa- 
nus  'ii.iinr  :  ii  mi  redit  baie  irabecillitas  sua, 
nisi  livi.u,  defeoditur  bona  valetodo,  qui  bua 
•  ■  .l.l.i.i  eet  \  i  si  inil  immatio  aliqua  esl . 
qoam  fere  lumov  1 t  -lo!  ir  lequitur,  prima 
•uni    quies    el    ibstinentii,    lana    solphuratn 

I  I  •'  •     I    juno  ..l.Miilliium.    Si  ,r  I  .,•    -  0 
in .11  lumi    ni  g    I.    iceto    .un    rovi     siihiude    fo- 

veodui  esl  dei  \ò*  ,  ibis  qoidera  utendum 
est  modi*  i  ■  ira  pò  u  u.| ,  N ,  , ,,  <>\\  rtntecus 
Duae  11,11:1  .1  repi  inajnl  •(  emolliunl  :  dein- 
«A   hi  ut.   |  Uim   calidii  CU   buina 

«  itapUsoi  'li-.  '|'i  !■•  rc)iq«iai  digeranl  :   ini   i 

•bini    >i\  n    d  t  snd  i      i  ki1 | ,   ,.v,  rcil  itio. 

«  I  «  'bus    pleoior.    \i  ,Uo    sforni' 

'  bum  mie  lai    ■'  '.  in  i, ,,    faci   .    |  ,  Mlll;      |lll( 


anche  tener  la  Usla  elevata,  ed  è  ben  fatto 
di  raderla.  La  faccia  vuoisi  sovente  spruz- 
zare di  acqua  fredda.  Il  vino,  il  bagno,  il 
coito,  gli  alimenti  conditi  ad  olio*  le  sostan- 
za,  «„,.;.  aoche  i  caldi  fomenti,  una  camera 
calda,  e  tm^.  ~hjusa^  |K  soverchie  vesti  o 
coperte  ed  anche  le  f.«0-,cipni  sono  contra- 
rie. Quando  Io  sputo  sanguinoso  aie  «»n^to 
del  tutto,  allora  poi  s1  incoraincieranno  te 
fregagioni  alle  braccia  ed  alle  gambe,  scansato 
il  petto.  In  quest'infermità  fa  prò,  e  conferi- 
sce il  tempo  estiviale,  il  soggiornare  entro 
terra,  e  di  verno  alla  marina. 

Cap.  xii.  Della  infermità  dello  stomaco. 

Alle  fauci  soggiace  lo  stomaco,  nel  quale 
sogliono  aver  sede  molti  malanni  e  lunghi. 
Attesoché  ora  è  affetto  da  immenso  calore, 
ora  da  ventosità,  ora  da  infiamraamento,  ora 
da  ulcerazione  :  talora  ne  lo  ingombra  la  pi- 
tuita, talor  !a  bile  :  e  il  malor  suo  più  fre- 
quente quello  è  di  rilasciarsi  ;  e  niuno  avve- 
ne  che  più  di  questo  travagli  lo  stomaco,  od 
alteri  il  corpo.  Come  poi  diverse  sono  tra 
loro  queste  malattie,  così  richiedono  cure 
diversi?.  Allorché  lo  stomaco  è  preso  da  ar- 
dore, si  deve  spesse  volte  fomentare  per  di 
fuori  di  aceto  rosato,  ed  apporvi  polvere  di 
rose  con  olio,  e  sovrapporvi  degl1  impiastri 
di  facoltà  mollitiva  e  ripentissi  va  insieme 
Per  bevanda  porgere,  se  nulla  vi  osta,  acqua 
gelata.  Se  avvi  ventosità  giovano  le  coppella 
che  non  importa  tagliare,  e  giovano  i  caldi 
e  secchi  fomenti  ma  non  soverchio  forti.  Fra 
queste  cose  conviene  interporre  l'astinenza. 
Giovevole  è  una  bevuta  d1  infusione  d1  assen- 
zio, o  d1  isopo,  ovvero  di  ruta  a  digiuno.  Si 
vuol  praticare  dolce  esercizio  in  prima,  indi 
più  forte,  e  massimamente  tale  che  metta  in 
moto   le    parli  superiori  ;  la  qual    ragion    d1  < - 

sercizio  e  convenévolissima  in  lutto  le  iodi- 
sposizioni  di  stomaco,  appresso  I* esercizio 
«r  uopo    è  ungersi,   e    stropicciarsi,   prender 

anche  uni  lai    volti    il  bagno,  ma  raramente: 

tentare  «li  tinto  in  tadto  l'alvo  co"  (-risieri  : 
dipoi  far  oso  di  cibi,  non  ventosi,  e  nel  me- 
desimo modo  usar  calde  pozioni,  primi  d'a1- 

Cqua,  menomata  poi  1,  ventosità,  di  vino  an- 
atro.   Quello   ebe    vuoisi   inoltre    inculcale    in 

tulle  le  passioni  dello  stomaco,  si  è  ebe  quel 
governo  onde  il  malata  si  ristabilì,  si  prose- 
gua   <la    lui    fitto    sino  :    perocché     il    male    ili 

lieve  ritorna,  quando  la  ristabilita  sanità  non 
si  difenda  con  quei  medesimi  presuli  ondr es- 
sa ricuperata  tu.  Mi  se  v'è  innammaiione,  a 
<  ni  per  ils  ito  sussiegnoQo  gonfiamento  e 
dolore,  !>■  prime  cose  da  imporsi  sono  la 
quiele  <  |» astinenza;  l<>  involgere  lo  stomaco 
<b  lana  solforata,  l' isseaaia  ;■  dìgitiao.  Se  lo 

Stomaco  è  tormentalo  da  ardore,  dv.vc.si  ."I  in 


DELLA    MEDICINA  jg 

in  faucibus  ex  ulcera  tis  praecepta  sunt.  Exer-     tervalli  fomentare  di  aceto  rosato:  dipoi  far 
citatio,     frictio  inferio.rum  partium  adhiben-     uso  di  un  modicissimo  alimento:  applicarvi 

di  fuori  sostanze,  che  insiememente  ristrin- 
gano ed  ammolliscano  :  poscia  rimosse  via 
queste,  adoperare  de' cataplasmi  caldi  di  fari- 
na, che  dileguino  le  reliquie  del  male  :  ogni 
tanto  incitare  l'alvo  co1  «risteri  :  fare  esercizio 
e  mangiare  di  più.  Nel  caso  p0i  che  un'ul- 
cera infesti  lo  stomaco,  si  devono €qre  presso- 
ché le  medesime  cose,  che  prescritte  c;  sono 
nelle  fauci  ulcerate.  Usar  si  vuole  1  esercizio, 
e  la  fregatura  delle  parti  inferiori  :  mangiar 
£Ìbi  glutinosi  e  molli,  ma  entro  i  termini 
della  sobrietà  :  tutte  le  acide  ed  irritative  so- 
stanze iscbifare  :  bere,  se  non  v' è  febbre,  vi- 
no dolce,  e    se  questo    genera  flati,    almeno 


da  ;  adhibendi  lenes  et  glutinosi  cibi,  sed  ri- 
trai satietateni  :  omnia  acria  atque  acida  re- 
movenda  ;  vino,  si  febris  non  est,  dulci,  aut, 
si  id  inflat,  certe  leni  utendum;  sed  neque 
praefrigido,  neque  nimis  calido.  Si  vero  pi- 
tuita stomachus  impletur,  necessarius  modo 
jejuno,  modo  post  cibum  vomitusest:  utilis 
exercitatio,  gestatio,  navigatio,  frictio  ;  nihil 
edendum,  bibendumque,  nisi  calidum  ;  vita- 
tis  tantum  iis,  quae  pituitam  contrahere  con- 
suerunt.  Molestius  est,  si  stomachus  bile  vi- 
tiòsus  est.  Solent  autem  ii.  qui  sic  tenlatur; 
interpositis  quibusdam  diebus,  liane,  et  qui- 
dem,  quod  pessimum  est,  atram  vomere.  His 
recte  alvus    ducitur  :    potiones    ex    absinlhio     del  vino  delicato  ed  accostante,  ma  non  trop- 


dantur:  necessaria  gestatio,  navigatio  est;  si 
fieri  potest,  ex  nausea  vomitus  :  vitanda  cru- 
ditas  :  sumendi  cibi  facile»  et  stomacho  non 
alieni,  vinum  austerum.  Vulgatissimum  vero 
pessimumque  stomachi  vitium  est.  resolutio, 
id  est,  cum  cibi  non  tenax  est,  solelque  de- 
sumere ali  corpus,  ac  sic  tabe  consumi.  Huic 
generi  inutilissimum  balneum  est  ;  lectiones, 
exercitationesque  superioris  partis  necessariae; 
item  unctiones,  frictionesque.  His  perfundi 
frigida,  atque  in  eadem  natare;  canalibus 
ejusdem  subjicere  etiam  stomachum  ipsum,  et 


scap 


ali 


con  tra   sto- 


magis  etiam 

machum  est;  consistere  in  frigidis,  medie 
tisque  fontibus,  quales  Culiliarum  Sumbrui- 
narumque  sunt,  salutare  est.  Cibi  quoque  as- 
sumerli sunt  frigidi,  qui  polius  difficulter 
coquuntur,  quam  facile  vitianlur.  Ergo  ple- 
rique,  qui  nihil  aliud  concoquere  possunt, 
bubulam  coquunt.  Ex  quo  colligi  potest,  ne- 
que avem,  neque  venationem,  neque  piscein 
«lari  debere,  nisi  generis  duriosi.  Potili  qui- 
dem  aptissimum  est  vinum  frigidum.  vel  «  er- 
te bene  calidum,  meracum.  polissirnuni  rhe- 
ticum,vel  allobrogieurn. aliud  ve. (jiiod  etausle- 
rum  et  resina  conditimi  est;  si  id  non  esf.quam 
asperrimum,  maximeque  signinum.  Si  cibus 
non  continetur,  danda  aqua,  et  elicieudus 
plenior  vomitus  est,  iterumque  dandus  cibus; 
et  tum  admovendae  duobus  infra  stomachimi 
digitis  cucurbilulae.  ibique  duabus  aul  Iri- 
biis  horis  continendae  sunt.  Si  simul  et  vo- 
mitus et  dolor  est.  imprenda  supra  stornai 
churn  est  lana  succida,  vel  spongia  ex  aceto, 
vel  cataplasma,  quod  refrigeret  :  perfricanda 
vero  non  din.  sed  vehernenter  brachia  et 
crura  et  calefacienda.  Si  plus  doloris  est, 
infra  praecordia  quatuor  diijilis  cucurbitnla 
utendum  esl  :  el  protinus  dandus  panis  ex 
pofea  frigida:  si  non  continuil,  posi  vomi- 
Imiii  leve  aliquìd  ex  iis.  quae  non  aliena  sto- 
maeho  sinl:  si  ne  id  quidem  lenuit,  singoli 
cvailii  vini,  singulis  interpositis  horis,  douec 
stomachus    consista l.    Voleua    etiam    uicdica- 


po  freddo,  ne  troppo  caldo.  Se  poi  lo  stoma- 
co si  riempie  di  pituita,  necessario  è  quando 
a  digiuno?  e  quando  appresso  il  pasto,  vo- 
mitare :  profìcua  l'esercitazione,  la  gestazio- 
ne, la  navigazione,  la  fregagione:  nulla  man- 
giare, nulla  bere  se  non  caldo  :  schivare  sol- 
tanto qualle  cose  che  sogliono  generar  pitui- 
ta. Più  d'assai  funesto  è  quando  lo  stomaco 
patisce  congestione  di  bile.  Quegli  che  da  que- 
st'  incomodo  sono  molestati,  sogliono  a  capo 
di  alquanti  giorni  recere  bile,  e,  quel  che  è 
peggio  d'assai,  atrabile.  A  questi  mollo  con- 
gruamente  si  fanno  de'  cristeri  :  si  dà  a  bere 
un'  infusione  d'  assenzio  :  necessaria  è  la  ge- 
stazione, Ja  navigazione,  ed  il  vomitare,  se 
riesce  in  forza  della  nausea  :  evitare  l' indi- 
gestione :  prender  cibi  facili  a  digerire,  e  con- 
faceli ti  allo  stomaco,  e  vino  austero.  Ma  il  più 
comune  e  il  più  funesto  vizio  dello  stomaco 
è  la  rilassatezza,  vale  a  dire  quando  esso  non 
rattiene  gli  alimenti,  cessa  di  nutrirsi,  e  cosi 
precipita  nella   tabe.  A  questa  razza  «li   male 


.P.  . 
è  mimicissimo    i!   bagno  :    utile  il   leggere,  e 

V  esercitare  le  parli  superiori  :  'stessamente 
le  unzioni  e  le  freghe:  a  quest'infermi  rie- 
sce salutifero  l'essere  spruzzali  d'acqua  fred- 
da, e  il  notare  in  essa:  e  l' istesso  st'  m»co 
soggettare  alle  docce  della  medesima  aequa, 
e  più  ancora  il  far  piombare  la  doccia  fra  le 
scapole  dicontro  allo  stomaco:  il  fare  immer- 
sioni in  sorgenti  fredde  e  medicate,  quali 
quelle  di  Cutilio  e  di  Sumbi;uina.  Eziandio 
gli  alimenti  si  convien  prenderli  freddi,  e  piut- 
tosto tali  che  con  difficoltà  si  smaltiscano, 
anzi  che  di  troppo  agevole  coi  rompimeli!»'. 
Il  perchè  la  più  parte  di  quei  che  nuli' altro 
possono  digerire,  digeriscono  la  carne  di  bue. 
Dal  che  si  può  inferire  non  doversi  né  uccel- 
lo, io-  salvalìcina,  né  pesce  dare,  a  meno  che 
non  sia  di  qualità  molto  dura.  Per  bevanda 
copvenienlissimo  è  il  vino  freddo,  od  almeno 
il  vino  ben  ealdo  puro,  in  ispeeie  quello  del- 
la K</.ia  o  dell' Allobrogc,  od  altro  qualsiasi 
austero  e  r  esiliato  :  qualora  non  se  ne  abbi'» 


,/Jo  CELSO 

mentum  est,  radiculae  succus  :  valentius,  aci- 
di punici  mali,  cimi  pari  modo  succi,  qui  ex 
dulci  punico  maV>  est,  adjeclo  etiam  intubi 
succo,  et  menthae,  sed  hujus  minima  parte; 
quibus  taotumdem,  quantum  >n  bis  omni- 
bus est,  aquae  frigidae  quam  oplime  misce- 
tur.  Id  enim  più*  quam  vinum  ad  compri- 
mendum  stomaclium  potest.  Supprimendus 
autem  ?o*nitus  est,  qui  per  se  venit,  etsi 
nausea  est.  Sed  si  coacuit  intus  cibus,  aut 
computruit,  quorum  utrumlibet  ructus  osten- 
dit,  ejiciendus  est;  protinusque,  cibis  as- 
sumptis  iisdem,  quos  proxime  posui,  stoma- 
chus  restiluendus.  Ubi  sublatus  est  praesens 
metus,  ad  ea  redeunduni  est,  quae  supra 
praecepta  sunt. 


Cap.  xiii. 


De  luterum  doìoribus. 


Siom  i. -li ii ^  lateribui  cingi  tur;  aiquc  in 

bis  quoque   vchrinciili  s   dolorCS  CSSC   consue- 
runt.   VA   iiiiliunt   vel  ex   (rigore,  vcl  c\   ictO, 

nlmio  (iiisu,  rei  ci  morbo  <,v>t  :  sed 
intcrdnm  id  mainai  intra  dolorem  est,  isqne 
moda  in  l'-.  mòdo  e  Ieri  ter  solvitar;  intèr- 
dam  ad  perniciera  qaoqae  procedit,  oritur- 

atus  ni. .il. iis,  qui  tXìupitixòì  b  Grae- 
«  i%  nominatai .  rfoic  dolori  lateris,  febrii  el 
toatii  iccedit;  el  per  haoc  exsereatur,  *>i  to- 
lerabilii  iiM.rl.ii,  csi,  pituita;  li  grafia,  lan- 
ini u  Interdum  etiam  no  i  tossii  i  it,  qu  te 
nihil  emolitnr:  idqoe  primo  titio  gra?ius, 
sei  andò  I  ilei  ibiliai  i  •  K.  m<  dinm  vi 
"'  igni  ii  i  ecentii  dolorii,  mngnii  misiai . 
Ai,  live  lettor,  uve  veluitior  earai  est,  vel 
wpertacoom,    vcl   pernm   id   auxiliom   est: 


di  tal  sorte,  si  prende  del  più  aspro,  e  mas- 
simamente il  vino  di  Signa.  Se  il  cibo  non 
è  ritenuto,  si  dà  dell'acqua,  e  si  provoca  co- 
pioso il  vomito,  e  di  nuovo  gli  si  ministra 
da  mangiare  :  dipoi  si  pongono  le  coppette 
due  dita  sotto  lo  stomaco,  le  quali  vi  si  de- 
vono ritenere  per  due  o  tre  ore.  Se  avvi 
vomito  insieme  e  dolore,  necessario  è  porre 
sopra  lo  stomaco  della  lana  ancor  sucida,  ov- 
vero una  spugna  imbevuta  d'aceto,  o  un  im- 
piastro di  qualità  rinfrescativa  :  si  vogliono 
inoltre  stropicciar  non  lungo  spazio  di  tem- 
po, ma  sì  con  forza  le  braccia  e  le  gambe, 
e  riscaldarle.  Se  il  dolor  si  fa  più  gagliardo, 
si  attacca  una  coppetta  quattro  dita  sotto  Io 
stomaco,  e  si  porge  tosto  ali1  ammalato  del 
pane  inzuppato  in  fredda  posca.  Se  lo  riget- 
ta, se  gli  darà  in  appresso  alcun  cibo  de'  di- 
licati  e  leggieri  ebe  si  confanno  allo  stoma- 
co :  se  neppur  questo  fia  ebe  il  ritenga,  si 
farà  bere  ogni  ora  un  bicchier  di  vino,  infino 
a  ebe  il  vomito  non  sia  cessalo.  Valoroso  me- 
dicamento si  è  pure  il  sugo  di  rafano  :  più 
valoroso  ancora  il  sugo  della  melagrana  aci- 
da, mischiato  a  dose  eguale  coti  quello  della 
melagrana  dolce,  giuntovi  anche  quello  di  ci- 
corea  e  di  menta,  ma  di  questo  la  minima 
parte:  a  queste  cose  si  può  ottimamente  ag- 
giungere tant1  acqua  fredda,  quant'  è  il  peso 
di  ciascuno  degl1  ingredienti.  Imperocché  esso 
più  che  non  il  vino,  può  rassodare  lo  stoma- 
co. Il  vomito  poi  che  insorge  spontaneo,  date- 
si sopprimere  :  ma  se  v'è  nausea,  e  se  P ali- 
mento si  è  inaci. lilo.  o  corrotto,  1'  uno  e  l'al- 
tro dei  quali  casi  cel  fanno  riconoscere  i  rutti, 
si  deve  trar  fuori  col  vomito,  e  tosto  con  quei 
medesimi  cibi  clic  ho  dianzi  proposti,  rista- 
bilire lo  stomaco.  Rimosso  il  momentaneo 
pericolo  mestiero  è  rimettere  senza  più  il 
malato  a  quelle  cose  che  sono  stale  ingiunte 
di  sopra. 

Cap.  xiii.  Dei  dolori  del  petto. 

T,o  stomaco  è  circondalo  dalle  coste  ;  e 

quivi      incora    sogliono    desiarsi    (ieri    dolori. 

nascono  questi  o  per  freddura,  o  per  colpo, 
o  per  violenti  riiis.i.  ..  .1.1  malattia:  ma  tal- 
volta    tutto   il    male    ristrignesi     al   dolore,   e 

qneslo  ora  tardi,   or  tostamente  si  scioglie  : 

alcuna    fi. ila    si    av.in/i    .i    mortifera    gravezza, 

e  ne  insorge  quell'acuto  malore  detto  pl*u~ 
risia  dai  Greci.   I  questo  dolor  <!i  costa  si 

congiunge   tri. lue  e  tosse:  e  per  questo,   sé 

il    male    e  l li, ciclo,    si  Sporga    «lilla    mUCOSÌU  ; 

se  grave  del  sangue,  alcuna  volta  la  tosse  & 
secca,  e  nulla  si  purga:  e  questo  caso  è  pio 
grate  <lol  primo,  pia  tollerabile  del  secondo. 
i        iodati    del  sangue  è  il  rimèdio   di  no 

lori'-  e  recente  dolore.  Ma  se  è  lieve  molto, 
od  invetrialo,  L.otal  soccorso  od  o    superfluo 


DELLA     MEDICINA 


confugiendumque  ad  eucurhitulas  est,  ante 
summa  cute  incisa.  Recte  etiam  sinapi  ex  a- 
ceto.'super  pectus  imponitur,  donec  ulcera 
pustulasque  excitet;  et  tum  meilicatnentum, 
quod  humorem  illuc  citet.  Praeter  haec,  cir- 
cumdare  primum  opportet  lafus  hapso  l;mae 
sulphuratae  :  deinde,  cum  paulum  infl;imma- 
tio  se  remisit,  siccis  et  calidis  fbmentis  u ti. 
Ab  his  transilus  ad  malagmata  est.  Si  vetu- 
stior  dolor  remanet,  novissime  resina  ini  po- 
si ta  discutitur.  Utendum  cibis  potionibus- 
qne  calidis;  vitandum  frigus  :  inter  baec 
tamen  non  alienum  est  extremas  partes  oleo 
et  sulpbure  perfricare.  Si  levata  tussis  est, 
leni  lectione  liti  ;  jamque  et  acres  cibos,  et 
vinum  meracius  assumere.  Quae  a  medicis 
praecip'iuntur,  ut  tamen  sine  his  rusticos  no- 
stros  epota  ex  aqua  berba  trixago  salis  ad- 
juvet.  Haec  in  omni  lateris  dolore  com mu- 
li ia  sunt  :  plus  negotii  est,  si  acutus  quoque 
morbus  is  faclus  est.  In  hoc,  praeter  ea,  quae 
supra  posita  sunt,  haec  animadvertenda  sunt: 
ut  cibus  sit  quam  maxime  tenuis  et  lenis, 
praecipueque  sorbitio,  eaque  ex  ptisana  po- 
tissimum,  aul  jus  in  quo  porrus  cum  pullo 
gallinaceo  coctus  sit  ;  idque  non  nisi  tertio 
quoque  die  detur,  si  tamen  per  vires  licebit: 
potui  vero  acjiia  rpulsa,  in  qua  hvssopum, 
aut  ruta  decocla  sit.  Quae  quibus  tempori- 
bus danda  sint,  ex  ratione  vel  adauctae,  vel 
levatae  febris  apparebit,  sic.  ut  in  remissio- 
ne quam  maxima  denlur:  cum  eo  tamen,  ut 
seiamus,  non  esse  ejus  generis  tussi  aridas 
fauces  commitlendas  :  saepe  enim,  ubi  nihil 
est.  quod  exscreetur,  conlinuatnr,  et  stran- 
gulat.  Oh  quam  caussam,  dixi  etiam  pejus  id 
genus  esse  tussis,  quod  nihil,  quam  quod 
pihjilam  moveret.  Sed  hic  vinum  sorbere,  ut 
supra  praecepimus,  morbus  ipse  non  palifur: 
in  vicem  ejus,  ere m or  ptisanae  sumendus  esl. 
Ut  his  aulem  in  ipso  morbi  fervore  sustinen- 
dus  aeger  est,  sic,  ubi  paulum  is  se  remisit, 
alimenta  pleniora,  et  vini  quoque  aliquid  da- 
ri  potest  ;  dum  nihi!  detur,  quod  aut  refri- 
geret  corpus,  aut  fauces  asperet.  Si  in  re- 
f'-olione  quoque  manserit  tussis,  intermi  ttere 
oportebil  uno  die  ;  posteroque,  cum  cibo  vi- 
ni paulo  plus  assumere.  Atque  incipiente  quo- 
nue  tussi,  tum  non  erit  alienum,  ut  supra 
quoque  positura  est,  vini  cyathos  sorbere  ;  sed 
in  hoc  ggaere  valetudinis,  dulco,  vel  certe  le- 
ne rorrimodius  est.  Si  malum  inveteravit,  a- 
ihlcliro  vichi  corpus  firmandum  est. 


o  tardo  :  e  sì  convien  rifuggire  alle  coppette 
tagliate.  Congniamente  pure  si  applica  della 
senape  sul  petto  digerita  in  aceto,  che  vi  si 
lascia  perfino  a  che  abbia  esulcerato,  e  fatto 
vescica:  indi  ci  si  appone  un  medicamento  che 
tragga  a  sé  della  materia.  Oltre  a  questo  devon- 
si  prima  circondare  i  lati  con  fascia  di  lana 
solforata:  dipoi  attutatasi  alquanto  l'infiam- 
mazione fare  calde  ed  asciutte  fomentazioni: 
e  da  queste  passare  all'uso  degl'inipiaslri  mol- 
litiivi.  Se  il  dolore  inveterando  perseveri,  sì 
dissipa  ultimamente  con  porvi  sopra  della  re- 
sina. Far  uso  di  cibi  e  beveraggi  caldi,  e  schi- 
fare il  freddo:  in  mezzo  a  queste  cose  non 
è  fuor  di  luogo  fregare  le  estreme  parti  con 
olio  e  zolfo.  Alleviata  la  tosse,  esercitarsi  8d 
una  soave  lettura,  e  cominciare  a  prendere 
cibi  agri  e  vino  puro.  Queste  regole  vengo- 
no prescritte  dai  medici:  i  nostri  villici  però 
senza  di  queste  ritraggono  sufficiente  sollie- 
vo dal  prendere  la  decozione  dell'erba  tris- 
saggine.  Questi  è  la  norma  comune  in  tutte 
le  doglie  di  fianco  :  ma  più  malagevole  ne  è 
la  cura,  ove  pur  esso  siasi  fatto  malattia  acu- 
1a.  In  questa  olire  le  predette  cose  convien 
servar  le  seguenti  :  che  gli  alimenti  sieno  te- 
nui, e  gentili  il  più  possibile,  e  che  si  faccia 
uso  di  decozioni  farinacee,  e  singolarmente 
d'  orzo,  ovvero  sugo  di  pollo  entro  bollitovi 
del  porro  :  e  questo  anche  non  diasi  se  non 
al  terzo  dì,  ove  per  altro  attese  le  forze,  sia 
ciò  permesso  :  per  bevanda  poi  della  roulsa, 
in  che  sia  decollo  dell' isopo,  o  della  ruta. 
In  quali  tempi  dar  si  convengano  queste  ro- 
be, apparirà  dall'ordine  delle  esacerbazioni 
e  delle  diminuzioni  febbrili,  avvertendo  di 
som  ministrai  le  al  tempo  della  massioa  re- 
missione: con  questo  però  che  si  ponga  men- 
te non  doversi  in  questa  condizione  di  tosse, 
lasciar  che  s' inaridiscano  le  fauci  :  imperoc- 
ché spesso  addiviene  che  la  tosse  perseveri, 
e  minacci  anche  soffogazione,  avvegnaché  nul- 
la siavi  da  spurgare.  Per  lo  che  io  dissi  es- 
sere più  rea  quella  razza  di  tosse,  in  cui  nien- 
te si  spula,  di  quella  che  è  accompagnata  da 
sputi  pituitosi.  Ma  questa  malattia  non  so- 
stiene che  si  beva  vino,  come  si  è  prescritto 
nel  semplice  dolor  de'  lati  :  in  sua  vece  pren- 
dere si  deve  del  cremor  d'orzo.  Siccome  poi 
nella  massima  violenza  del  male  devesi  so- 
stentar P  infermo  con  queste  cose,  così  riràes- 
so  che  siasi  il  male  alquanto,  se  gli  può  ac- 
cordare un  più  nutritivo  alimento,  ed  ambe 
un  tantin  di  vino,  purché  inni  se  gli  dia  cosa 
che  raffreddi  il  corpo,  ed  inasprisca  le  fauci. 
Se  la  tosse  sussiste  anche  nella  convalescenza 
converrà  astenersi  per  un  dì.  ed  il  seguente 
prendere  col  cibo  un  po'  di  vino.  Ma  ina- 
sprendosi la  tosse  da  rapo,  non  sarà  mal  pro- 
prio fai  bere  qualche  bicchier  di  vino,  come 
»i  è  pur  fermo  di  sopra  :  ma  in  questa  qua- 


C    ■    L    S    O 


lità  di  male,  è  più  laudabile  il  vino  dolce,  o 
delicato  almeno.  Se  la  lossc  si  è  l'atta  vieta, 
devesi  rinfrancare  il  corpo  col  modo  di  vive- 
re desìi  atleti. 


Cap.  xiv.  —  De  viscerum  morbi* 
de  pillinone. 


et  pruno, 


A  compagine  corporis  ad  viscera  trans- 
cundum  est,  et  in  primis  ad  pulmonem  ve- 
niendum  ;  ex  quo  vehemens  et  acutus  morbus 
oritur,  quem  nrcpnrvzuuoviv.òv  Graeci  vocant. 
Ejus  haec  conditio  est:  pulmo  totus  afficitur: 
hunc  casum  ejus  subseqaitur  lussis,  bilem  vel 
pus  trahens,  praecordionim  totiusqae  peclo- 
ris  gravitai,  spiritus  diffi  calta*,  magnae  fe- 
bres,  continua  vigilia,  cibi  fastidiarli,  tabes. 
Id  genus  morbi  plus  pericali,  quaoa  doloris, 
habet.  Opportct,  si  satis  validae  vire«  suul, 
sanguinem  mittere:  sin  rainores,  cueurbitulas 
sine  ferro  praecordiis  ad  move  re.  Tura,  si  sa- 
tis  valet,  gestando  aegrum.  digerere  :  si  pa- 
rura,  intra  domum  tamen  dimovere.  Polionem 
autera  hyssopi  dare,  cum  quo  ficus  arida  si t 
incocla  ;  aut  aquam  malsani,  in  qua  vel  hys- 
sopum  vel  ruta  decocta  sii;  frictione  uli  diu- 
tissime  in  seapulis,  ppoxime  ab  his  in  hraehiis  et 
etpedibnseteruribus,lenitercontrapulnionem; 
idque  bis  quotidie  facere.  Qnodad  cibura  vero 
pcrtinet,  huic  nec  salsi*  opus  est,  ncque  acribus 
ncque  amaris,  neque  alvum  acUtrin  genti  bus, 
aed  paulo  lenioribus.  Ergo  primis  diebus  dan- 
<1a  esl  snrbUio  ptisanae,  ve!  alicae,  vel  oryzae, 
cara  qua  recens  adeps  coda  si t  :  cum  bue,  sor- 
bile  ovrnn.  nuclei  pinci  ex  molle,  panii  vel  do- 
ta alica  ex  aqua  molai  :  potui  deinde  non  so- 
limi para  aqua,  sed  etiara  malsa  egelida,  aut, 
si    aeslas  esl,  eliam   frigida  ;  nisi  quid    obstat. 

Baco  antera  altero  quoque  die,  increscente 
morbo,  dar..-  iatii  esl  :  ubi  in  incremeoto  con- 
stiti!, quantum  res   patii  nr.  ab  omnibus    ahsti- 

nendum  est,  praeterquara  aqua  egelida.  Si  vi- 
re<  desunt,  adjavandae  inni  aqua  raulsa,  Pro- 
snntqne  ad  versus  dolores  imposi  la  .alida  fo- 
menta, vel  est,  quac  simul  e!  reprimimi  et  6- 
molliunt  :  prodejl  impositui  saper  pectus  sai 
bene  contri tns.  cnm  cerato  mixtus;  quia  levi- 

t.-r  .ni. in    crodit.    coque    imn.-lum    material-  , 

quo  pulmo  ventar,  evocai.  Olile  ttiam  ali- 
qnod  mahgma  ,.S|  ,.x  -,js  q0ae  ,,,  ,i, .,•;.,,„  tra- 
buni.  Neqne  attenuai  est,  dura  premil  mor- 
bus, claoiii  fenestris  aegrura  oontinerc  :  obi 
paulum  levatui  est,  ter  ani  qaatet  die,  fene- 
stris aiiqaantaftn  spertis,  parvum  serem  ra  i- 
;  Dein  le  in  refei  tione  pluribui  di. 'bus  a 
ilxtinere;  resi  itione.  frictione  uti;  sor- 
bitionibos  el  priorìbaj  cibisadjii  ere,  es  oleri- 

bm  p  orrum.  <\  <  u  ne  QOgulaS,  <•!  siimm  i  1  ri  i  ri  - 

<  nioriiru.  itque  pisci,  ni,,,  liq  ,,i  dia  inliil  ai- 
si  molle  i  t  li  bc  mattai 


Cap.  xiv.  Delle  infermità  de\isceri,  e  pri- 
ma del  polmone. 

Dal  connesso  del  corpo  si  vuol  far  tra- 
passo ai  visceri,  e  in  primo  luogo  venirne  ai 
polmoni,  donde  nasce  un  acuto  e  gagliardo 
male  «he  i  Greci  chiamano  peripneumonia^ 
del  quale  questa  è  la  condizione.  Tutto  il  pol- 
mone è  affetto  :  a  quest1  accidente  tien  dietro 
la  tosse,  per  la  quale  si  manda  fuori  o  bile, 
o  materie  marciose:  v'ha  senso  di  peso  ai 
precordi  e  al  petto:  ambascia  di  respiro,  feb- 
bre intensissima,  veglia  continua,  avversione 
al  cibo  e  per  ultimo  la  tabe.  Questo  malanno 
trae  seco  più  pericolo  che  dolore.  Egli  è  di 
uopo  se  le  forze  sono  sostenute,  cavar  san- 
gue, e  se  depresse,  porre  sopra  i  precordi  [e 
coppelle  secche.  Poscia  se  l1  infermo  trovasi 
discretamente  in  forze,  risolvere  la  malattia 
colla  gestazione;  se  lìacco  muoverlo  per  casa. 
Se  gli  fa  bere  una  decozione  d1  isopo  e  «li 
fichi  spechi,  ovvero  acqua  mulsa,  nella  quale 
siasi  fatto  bollire  isopo,  o  ruta.  Giova  per 
lunghissimo  spazio  di  tempo  fare  delle  fre- 
gagioni al!.»  spalle,  poi  da  queste  alle  braccia, 
ai  piedi,  alle  gambe,  e  soffregare  anche  pia- 
namente il  [ietto,  e  questi  frega  menti  ripe- 
terli .lue  volte  al  di.  Per  ciò  che  spetta  alla 
dieta,  non  convengono  né  alimenti  salati,  ne 
acri,  ne  amari,  né  costrettivi  il  mentre,  ma 
un  poebetto  dolci  ed  umettanti  11  perché  ai 
primi  dì  voglipnsi  dare  brodi  d'orso,  odi 
spelta,  0  «li  riso,  entro  cui  sìa  colf.»  del  grasso 
fresco.  Con  questi  un  uovo  a  bere,  de'  pignoli 
Col  mele,  del  pane  ovvero  dell1  aliea  lavata  in 
acqua  mulsa  :  dipoi  per  bevanda  non  pur  del  - 
T  acqua  pura,  ma  anche  della  raulsa  tiepida,  e 

se  è  di  slate  anche  fredda,  purché  nulla  vi 
osti.  Queste  COSe  SÌ  possono  dare  un  di  si.  e 
uno  no    neir  incremento  del  male:  (piando    la 

malattia  risia  nel  suo  colmo,  conviene,  pe* 
quanto  la  cosa  il  <•  importa,  aatenersi  <]■*  ogni 
alimento,  eccettuata   l'acqua    tiepida     Se   le 

forza     decadono,    si    vo-limo    sostenere    colla 

inulsa.  Ed  arrecano  sollievo  i   fomenti  ealdi 

posti  sulla    parie  .1  .lente.    0  che   ehe   altro  che 

ripercustìvo  sia.  ed  ,m illiente  ad  un  tempo». 

Gi. .va    il    mie  soldi. mute     trito,     e  posto  unito 

al  cerotto  sui  petto,  perocché  leggermente  in- 
fiammi la  ente,   e  cola  ehiami    V  impelo  della 

materia,  ohe  opprime  il  petto  Proficuo  è  pure 
alcun  malemma  confetto  di  robe  che  attrag- 
gono materia.  E  mentre  il  male  fortemente 

incalza,  non  è  fuor  di  proposilo  tenere  I1  in- 
terino a  finestre  chiuse,  ma  quando  già  e  al- 
quanto declinalo,  ì'a  prò,  tenendole  socchiuse, 


DELLA   MEDICINA  l43 

accogliere  aria  pura  Ire  o  quattro  volte  al 
giorno.  Ultimamente  nella  convalescenza  bi- 
sogna astenenersi  per  più  dì  dal  vino  :  mette- 
re in  uso  le  fregagioni  e  la  gestazione:  ai 
brodi  ed  ai  primi  cibi  aggiugnere  fra  gli  er- 
baggi il  porro,  e  tra  le  carni  i  piedi,  e  le  parti 
lendinose,  e  dei  pesciolini,  sicché  per  lunga 
pezza  non  si  prenda  cibo  che  non  sia  molle 
e  lenitivo. 

Cap.  xv.  Del  mal  di  fegato. 

Ancora  un  male  di  un  altro  viscere,  cioè 
del  fegato  ugualmente  ora  è  lungo,  ora  acu- 
to :  i  Greci  1'  appellano  epatico.  V  è  un  do- 
parle sub  praecordiis  vehemens  dolor  est  ;  lore  forte  sotto  i  precordi  dalla  parte  destra, 
idemque  ad  lalus  dexlrum,  et  ad  jugulum,  il  quale  si  distende  al  lato  deslro,  e  al  giugo- 
humerumque  partis  ejusdem  pervenit  :  non-  lo,  e  ali1  omero  della  medesima  banda  :  noli 
numquam  manus  quoque  dextra  torquetur  :  dirado  s'intorpidisce  la  mano  destra  e  visi 
horror  validus  est  :  ubi  male  est,  bilis  evomi-  congiunge  un  intenso  ribrezzo.  Quando  è  gra- 
tur  :  interdum  singultus  prope  strangolai.  Et  ve,  si  vomita  della  bile  :  alle  volte  il  singhioz- 
haeo  quidem  acuti  morbi  sunt.  Longioris  ve-     zo  ne  minaccia^  strangolamento.  Questi  acci- 


CArtrr  xv.   —  De  Jiepatitide. 

Alterius  quoque  visceris  morbus,  id  est, 
jocinoris,  aeque  modo  longus,  modo  acutus 
esse  consuevit;  *r7raT/xoVGraeci  vocant.Dextra 


ro,  ubi  suppuralo  in  jocinore  est;  dolorque 
modo  finitur,  modo  inlenditur  ;  dextra  parte 
praecordia  dura  sunt,  et  tument;  post  cibum 
major  spiritus  difficultas  est  ;  accedit  maxil- 
larum  quaedam  resolutio.  Ubi  inveteravit  ma- 
lum,  venter  et  crura  pedesque  intumescunt; 
pectus  atque  bumeri,  circaque  jugulum  u- 
trurnque  extenuatur.  Initio  sanguinem  mitte- 
re  optimum  est  :  tum  venter  solvendus  est, 
si  non  potest  al  iter,  per  nigrum  veralrum  : 
imponenda  extrinsecus  cataplasmata,  prjmum 
quae  reprimant,  deinde  calida,  quae  didu- 
cant;  quibus  recte  iris  vel  absinthium  adjici- 
tur  :  post  haec,  malagma.  Dandae  vero  sorbi- 
tiones  sunt,  omnesque  cibi,  et  calidi,  et  qui 
non  mudlum  alunt,  et  fere  qui  pulmonis  quo- 
que dolori  conveniunt  ;  praeterque  eos,  qui 
urinam  movent,  polionesque  ad  id  efficaces. 
L  tilia  in  hoc  morbo  sunt  ihymum,  satureia, 
hvssopum,  nepela,  amylum,  sesamum,  lauri 
baccae  :  pini  flos,  hcrba  sanguinalis.  mentha, 
ex  malo  cotuneo  medium,  columbae  jecur  re- 
cens  et  crudurn  :  ex  quibus  quaedam  per  se 
esse,  quaedam  adjicere  vel  sorbitioni  vel  po- 
lloni licei;  sic  tarnen,  ut  parce  assumanlur. 
N'eque  alienum  est,  absinthium  contrilum  ex 
nielle  et  pipcre,  ejusque  catapotium  quotidie 
decorare.  Abstiuendum  Ulique  est  ab  omni- 
bus frigidi*  :  ncque  enim  res  ulla  magis  jccur 
laedit.  Frictionibus  ulendum  in  extremis  par- 
tibus:  vitandus  omnis  labor,  omnis  vebemen- 
lior  inoiu*:  rie  spiritus  quidem  diutius  con- 
rinendus  est  Ira,  trepidatio,  pondus ,  ictus, 
cursus,  inimica  sunt.  Perfusio  eorporis  mulla 
prodest  ex  aqua,  si  lii.  ma  est,  calida  ;  si  aestas, 
lepida  :  item  liber*Hì  unclio,  et  in  balneo  su- 
<lor.  Si  vriD  jecur  vomica  laboral.  eadem  Pa- 
cienda  sunt,  quae  in  ceteris  inlerioribus  sup- 
piirationibus.  Quidam  eliam  contra  id  scal- 
pello aperiunl,  ci  ipsaiD  vomicam  adurunl. 


denti  sono  indizi  di  male  acuto.  Di  lungo  poi 
alloichè  siavi  nel  fegato  imi  ascesso,  e  il  do- 
lere ora  cala,  ora  cresce:  1'  ipocondrio  destro 
è  duro  ed  enfiato:  appresso  il  cibo  T  amba- 
scia del  respiro  è  maggiore:  si  arroge  a  que- 
sto una  certa  floscezza  delle  guance.  Resosi 
inveteralo  il  male,  il  ventre,  le  gambe,  i  piedi 
s'intumidiscono,  intanto  che  il  petto  e  le 
spalle  e  i  contorni  del  giugolo  si  vanno  dima- 
grando. Sul  principio  convenienlissima  è  la 
missione  del  sangue,  indi  si  deve  solvere  il 
ventre  :  se  non  si  può  altrimenti,  coli' ellebo- 
ro nero:  porre  all'esterno  impiaslri  prima 
ripercussivi,  dipoi  caldi  di  virtù  dissolutiva, 
ai  quali  ottimamente  si  unisce  dell1  iride  o 
dell'assenzio:  dopo  di  che  un  malamma.  Si 
vogliono  poi  dare  dei  brodi,  e  gli  alimenti 
tutti  e  caldi  e  di  "tenue  nutrilura,  e  per  la 
massima  parte  di  quei  che  convengono  altresì 
al  dolor  polmonare:  ed  oltre  questi  quei  che 
provocano  le  orine,  e  beveraggi  ancora  a  ciò 
efficaci.  Utili  in  questa  malattia  sono  il  timo, 
e  la  santoreggia,  l' isopo,  la  iwepita,  l'erba 
sanguinale,  la  menta,  la  parte  di  mezzo  della 
melagrana,  il  fegato  di  colomba  fresco  e  cru- 
do :  di  queste  robe  allre  si  prendono  da  sé, 
altre  giova  unirle  al  brodo  o  alla  bevanda, 
con  questo  però  che  se  ne  prenda  in  piccola 
quantità.  Né  disutile  é  d'ingojare  ogni  dì 
una  pillola  d'assenzio  pestato,  e  misto  al  me- 
le e  al  pepe.  Si  deve  l'uomo  astenere  dalle 
cose  fredde,  perchè  ninna  cosa  v'  ha  che  più 
offenda  il  fegato.  Si  vogliono  fare  fregagioni 
alle  estremità  :  schivar  la  fatica  d'ogni  ma- 
niera, ogni  violento  moto,  né  ritener  troppo 
a  lungo  il  respiro.  La  collera,  lo  spavento, 
il  portar  pesi,  i  colpi,  la  corsa  sono  contra- 
Giovamente  arreca  V  aspergete    il  corpo 


d  acqua,  se  è  «li  verno  caldi 
pidl  :  né  mcn  giovativi  è  I. 


1  IMI 


di  stale  lie- 
ga  unzione 


H 


CELSO 


e  il  sudare  nel  bagno.  Nel  caso  poi  che  nel 
fegato  si  abbia  una  vomica,  mestiero  è  fare 
quelle  istesse  cose  che  in  allre  interne  sup- 
purazioni si  fanno.  Taluni  oltracciò  aprono 
colla  lancetta  Jicontro  alla  vomica,  indi  ab- 
bruciano. 


Caput  xvi.  —  De  lìcnosis. 

At  lienis  ubi  iffèctui  est,  inlumescit,  si- 
mulque  cimi  co  pars  sinistra  ;  eaque  dura  est, 
el  prementi  renitilur  :  venter  iutenlus  est; 
aliquis  eliatn  cruribus  tamorest:  ulcera  aut 
omiiino  udii  sanescunt,  aut  certe  cicatrice  ni 
\i\  reciptuul  :  in  intenta  a  mbul  iiioue  cur- 
suque  dolor  et  quaedam  difficullas  est.  Hoc 
vii  uni  quies  auget:  ilaque  exeivilalione  et  la- 
bore opus  est  ;  Inbila  tanien  ratione,  ne  fe- 
brem  ista,  si  nimium  processerint,  excilent. 
I  octiones,  frictionesque,  et  sudores  necessa- 
ri! sunt.  Dulcia  omnia  inimica sunt  ;  item  lac 
ci  caseus  :  acida  autem  maxime  conveniuut. 
Ergo  acetoni  acre  per  se  sorberc,  et  magis 
etum,  <pi  )  1  scili»  couditn.-n  est,  expedi  t. 
Kdenda  suol  salsameiita,  vel  oleae  ex  muria 
dura  ;  tinclae  iu  aceto  fiducie,  intubique  ex 
eodem,  bette  ex  sioipi,  asparago!,'  armoni- 
ci;), pastinaca,  augnile,  rostra,  aves  macrae, 
ejui  lera   generis  renatio,  l'otui  vero  jejnno 

nari  debet  ahsinlhium  incoctum  :  at  post 
cibimi,  equi  a  terrario  fabro,  in  (pia  candens 
ferrimi   suliiride    tinclimi   sii:   baec   cui  ni    vel 

praecipoe  lieuem  coércet.  Quod  animadrer- 

su  il    est   in  iis  ani  in alibus,   quae  «pud    hos  h- 

broi  educata  exignos  lienes  babent.   Potest 

ctiam  ilari  viiium  tenue,  austcruin;  oinuiaque 
in  ciliis  et  p  ili onibus.    quae  urinae  niovendae 

su n i .  Praecipueerae  ad  id  vaici  rei  trifolii  se- 
ni-n,  rei  «  ti  min  u  ni .  rei  ipktm,  rei  lerpyllum, 
vel  cytisus.  rei  portulaca.,  vel  nepete,  tei 

tlivinimi.    rei    livssipum,   vel   satureia:    baec 

caini  inde  commodissirae  ridetur  liumorcm 

'■ducere.    Lienis  quoque    bubulus   utililer  esili 

da  tur;  praecipueque  eruca  el  nssluctium  lie- 
uem extenuaut.  Imponendo  quoque  extrinse- 

CUS  SUIlt,  rpi  le  levili,  l'il  ev  il  n  _•  ueil  I  <  »  ci  p  li- 
moli»,   quod    fWfoflÓXmof   diacci    rocant  \    &t 

ex  lini  ei  oasturiii  temine,   quo  vinum  et 

oleum  adiieilur:  ti t  ex  dipresso  viridi,  el  ari- 

d.i  ii>  ii  :  tìi  e\  naapi,  cui  ieri  htretoj  i  reni- 
boi  qua  ili  p  irs  p  ni  leris  ad  j  ieitur,  leritiirque 

in  sole.  .-I  protinni  imponitor.  Nfultii  lue  mo- 

dis  lune  rei  eappari  api est  :  nini   el   ipsuui 

CDQ1  Cibo    IN  in    i  '•.  <-|    ni  ii  ri  a  m  ej  us  clini   acelo 

•orberà  con  a  i  lira  est  Qaia  eii.un  extrinse- 
cut  radice  a  conti  itam1  \  el  i  orticeaa  ejai  eoa 

furuiribus,  io!  iptu  a  i  ippari  cu  D  Ile  coo- 

tritum  impanare  exp  lit,  Iftalagmiti  quoque 

Iiuw    rei   api  ailllir. 


Cap.  xvi.  —  Degli  intaccati  nella  milza. 

Mala  milza  quand'  è  affetta,  s"  ingrossa, 
e  insiem  con  essa  la  parie  sinistra-,  e  questa 
è  dura  e  renitente  al  latto:  il  veutre  <»  teso 
e  i  piedi  alquanto  enfiati:  e  le  piaghe  o  no» 
risanano,  od  almeno  appena  si  riducono  a  ci- 
catrice :  correndo,  o  Fortemente  passeggian- 
do si  prova  dolore  ed  una  certa  difficoltà.  Il 
riposo  aumenta  questo  malanno:  il  perchè 
giova  esercitarsi  e  faticare,  usando  non  però 
sì  fatta  moderazione,  acciocché  per  essi  non 
si  desti  febbre.  Necessarie  sono  le  unzioni,  le 
fregagioni,  i  sudori.  Tutte  le  sostanze  dolci 
pregiudicevoli  :  egualmente  il  latte  ed  il  for- 
maggio :  le  acide  sono  appmprialissime.  La- 
onde è  espediente  Iranghiollire  aceto  forte 
puro,  o  meglio  ancora  quello  che  è  confetto 
coli  i  scilla  :  mangiar  salumi,  olive  addolcite 
in  salamoili  carica,  della  lattuga  e  della  cico- 
rea  macerate  ni  aceto,  della  biela  condita  col- 
la senape,  degli  sparagi,  degli  armoracci.  delle 
pastinache:  rispetto  alle  sostanze  animali, 
mangiare  i  piedi,  e  le  ganasce,  gli  uccelli  ma- 
gri, e  il  salvaggiume  della  medesima  qualità. 
Per  bevanda  si  dà  a  digiuno  una  decozione 
d'assenzio:  ma  dopo  il  pasto  dell'acqua  di 
fabbro,  entro  cui  sia  stalo  più  volle  estinto 
un  ferro  rovente  :  imperocché  questa  più  di 
qualunque  altro  rimedio  ristringe  la  milza, 
essendosi  osservato  esilissima  averla  quegli 
animali   che   si   vivono   presso   dei   fabbri.    Si 

può  anche  somministrare  «lei  vino  tenue  au- 
stero, e  si  per  cibo  come  per  beveraggio, 
cose  che  innovino  le  orine:  ed  in  particola!" 
modo  cospirano  a  questo  scopo  i  semi  del 
trifoglio,  O  il  cornino,  o  l'appio,  0  il  serpil- 
lo, o  il   citiso,   o   la    porlulacca,  0   la   niepila, 

o  il  timo,  o  Pisopo,  o  li  santoreggia:  pe- 
rocché e1  pare  che  queste  ottimamente  es- 
pellino  per  quella    via   l'  u  noie.    Si   da   pure 

,i  mangiare  utilmente  uni  milza  di  Ime.  ma 
in    precipuo  mi  In    solrono  il  tnmor    della 

Blilzi  la  nichel  la  ed  il  crescione.  Si  voglio- 
no aiiclie  porri-  al  ili  fuori  de'  dissolventi  : 
se  ne  compone  uno  d*  UnguentQj  e  »!i  d.il- 
teri    clic    dai   Greci    diresi    i/ìi'i  ahoUlllO^    o\  ve 

io  ili  seme  di  lino  e  di  ci  i  cui  *i 

aggiunge    vino  ed    olio:    ed    alti  ose    ne    la    di 

i     e  di  fichi  secchi  :  e  si  fi  pn« 
.  i  ien  ipc  .    alia  quale,    si  mescoli    una 

,|n  ni  .     pai  le    ,|    I     p  s>   di    sevo   dei     reni   di 

bacco,  e  ii  pesta  il  sol.-,  e  tostamente  si  ap- 
pone    1.1  i  capperi  il  posiono  adoperare  a 


DEALA    MEDICINA  ì^S 

quest1  effetto  :  e  in  molte  guise>  perocché  non 
solo  è  utile  mangiarne  insieme  al  cibo-,  ma 
sorbirne  la  salamoja  coli1  aceto.  Che  anzi  pur 
giova  l' impiastrarvi  esternamente  la  radice 
pesta,  o  la  corteccia  di  essa  colla  crusca,  ov- 
vero il  cappero  medesimo  ammaccato  col 
mele.  Si  manipolano  anco  dei  malagmi  con- 
facevoli  a  quest'affezione. 


Caput  x\ui.  ■—  De  renum  morbis. 

Àt  renes  ubi  affecti  sunt,  diu  male  hn- 
bent.  Pejus  est,  si  frequens  biliosus  vomitus 
accedit.  Oportet  conquiescere  :  cubare  mol- 
liter:  solvere  alvum  ;  si  aliter  non  respondet, 
atiam  ducere  :  saepe  desidere  in  aqua  calida  : 
neque  oibum,  neque  potionem  frigidam  assu- 
mere :  abstinere  ab  omnibus  salsis,  acribus, 
acidis,  pomis:  bibere  liberaliter  :  adjicere  mo- 
do cibo,  modo  potioni  piper,  porrum,  feru- 
lam,  album  papa  ver,  quae  maxime  inde  uri- 
nam  movere  consuerunt.  Auxilio  quoque  his 
exulcera tis  sunt,  si  adhuc  ulcera  purganda 
sunt,  cucumeris  semina  detractis  corticibus 
sexaginta,  nuclei  ex  pimi  silvestri  duodecim, 
anisi  quod  tribus  digitis  sumi  possit,  croci 
paulum,  contrita  et  in  duas  mulsi  potiones 
divisa.  Si  vero  dolor  tantum  levandus  est, 
ejusdera  cucumeris  semina  triginta,  iidem 
nuclei  viginti,  nuces  graecae  quinque,  croci 
paululum,  contrita  et  cum  lacte  potui  data. 
Ac  super  quoque  recte  quaedam  malagma- 
ta  injiciuntur;  maximeque  ea,  quae  humori 
extrahendo  sunt. 


Caput  xviii.  —  De  intestinorum  morbis  : 
et  primo  cholera. 

A  visceribus  ad  intestina  veniendum  est, 
quae  sunt  et  acutis  et  longis  morbis  obnoxia. 
Primoque  faoienda  mentio  est  cholerae  ;  quìa 
coramune  id  stomachi  atque  intestinorum  vi- 
tium  videri  potest.  Nam  simul  et  dejeclio  et 
vomitas  est:  praeterque  baec  inflatio  est,  in- 
testina torquentur,  bilis  suprainfraque  erum- 
pit,  primum  aquae  similis,  Jeinde  ut  in  ea 
recens  caro  Iota  esse  videatur,  interdum  alba, 
nonnumquam  nigra,  vel  varia.  Ergo  eo  no- 
mine morbum  hunc  ^oXg'pa»/  Graeei  'nomina- 
runt.  Praeterea  vero,  quae  supra  comprehen- 
sa  sunt,  saepe  ctiam  crina  rnanusque  con- 
trahuntur,  urget  silis,  anima  deficit:  quibus 
ooncurrentibus.  non  mirtini  est,  si  subito  quis 
morilur.  Neque  (amen  ulli  morbo  minori  mo- 
mento succurritur.  Protinus  ergo,  ubi  ista 
eoeperunt,  aquae  tepidae  quam  plurimuin  bi- 
bere oportet,  et  vomere.  Vix  unquam  sic  non 
vomitus  seqnitur;  sed  eliamsi  non  incidit, 
Celso. 


Cap.  xvii.  Dei  morbi  alle  reni. 

Le  reni  poi  una  volta  che  sono  affette, 
lungo  tempo  soffrono.  Peggio  è  se  vi  si  ar- 
roge  frequente  vomito  bilioso.  Bisogna  ripo- 
sare^  coricarsi  su  molle  Ietto  :  sciogliere  Tal 
vo:  se  ciò  non  corrisponde  all'intento  ricorrere 
anche  ai  cristeri  :  spesso  immergersi  in  a- 
cqua  calda  :  non  prendere  ne  cibo,  ne  bevan- 
da fredda  :  astenersi  da  tutte  robe  salate, 
aspre,  acide  e  dai  frutti  :  bere  largamente, 
unire  quando  al  mangiare,  quando  al  bere, 
del  pepe,  del  pprro,  della  ferula,  del  papa- 
vero bianco  ,  cose  tutte  usate  a  provocare 
principalmente  le  orine.  Ancora  fanno  prò  al- 
le reni  ulcerate,  le  cui  ulcere  non  siano  per 
anco  deterse  ,  sessanta  semi  di  cocomero 
scorzati  ,  dodici  pinocchi  di  pino  salvatico, 
d'  anisi  quanti  se  ne  può  prendere  con  tre 
dita,  e  un  poco  di  zafferanno,  pestato  il  tut- 
to, e  di  viso  in  due  bevute  di  mulso.  Se  poi 
accade  di  mitigare  soltanto  il  dolore,  si  pe- 
stano trenta  semi  del  medesimo  cocomero, 
venti  de1  medesimi  pinocchi,  cinque  noci 
greche,  un  pò1  di  zafferanno,  e  «i  danno  a 
bere  col  latte.  Ma  giovano  ancora  cert' im- 
piastri postivi  sopra,  specialmente  quei  che 
hanno  efficacia  di  attrarre  gli  umori. 

Cap.  xviii.  Delle  infermità  delle  intestina, 
e  prima  della  colera. 

Dai  visceri  si  passa  alle  intestine,  le 
quali  sono  esposte  sì  ai  lunghi  come  agli  a- 
culi  morbi.  E  in  prima  si  deve  far  menzio- 
ne della  colera  ,  perchè  si  può  riguardarla 
per  un  male  così  comune  allo  stomaco,  come 
alle  intestine.  Imperocché  evvi  insieme  e  vo- 
mito e  degestione,  ed  oltracciò  gonfiamento,  e 
tormini  :  si  getta  bile  per  di  sopra  e  per  disot- 
to, prima  somigliante  all'acqua,  dipoi  rassem- 
bra  a  lavatura  di  fresca  carne,  alcuna  fiata 
bianca,  alle  volte  nera,  o  di  vario  colore. 
Per  lo  che  i  Greci  danno  a  questa  malattia 
il  nome  di  colera.  Oltre  agli  indienti  acci- 
denti spesso  ancora  le  gambe  ed  i  piedi  pa- 
tiscono stiramento:  una  sete  intensa  ne  preme 
e  ;thv;»;  sopravvengono  deliqui  d'animo; 
alla  cospirazione  de'  quali  non  è  a  maravi- 
gliare, se  altri  subitamente  muore.  E  con- 
tutlociò  a  nuli'  altro  malore  si  «occorre,  e 
si  ripara  con  minoro  apparalo.  Tosto  duu-r 
*9 


l46  C   E   L 

miscuisse  tamen  novam  materiara  corruptae 
prodest  ;  parsque  sani  tatis  esl,  Tornitura  esse 
supprcssurn.  Si  id  incidit,  protinus  ab  o;uni 
potione  abstinendum  est.  Si  vero  tonnina 
sunt,  oportet  frigidis  et  humidis  foruenlis  sto- 
niachurn  fovere  ;  vel,  si  veuter  dolet,  iisdera 
egelidis,  sic,  ut  venter  ipse  mediocriter  calen- 
tibus  juvetur.  Quod  si  vehementer  et  vomi- 
lus,  et  dejectio,  et  sitis  vexant,  et  adirne  sub- 
cruda  mot,  quae  Tornuutur,  nondum  vino 
maturum  terapus  est:  aqua,  neqne  ea,  ìpsa 
frigida,  sed  polius  egelid.i  dandaest:  adino- 
Tenduraque  naribus  est  pulegiuni  ex  aceto, 
Tel  polenta  vino  aspersa,  vel  mentha  secun- 
dura  naturara  est.  At  cura  discussa  cruditas 
est,  tura  magis  verendum  est,  ne  anima  defi- 
ciat.  Ergo  tura  confugiendura  est  ad  vinum. 
ld  esse  oportet  tenue,  odoratimi,  cura  aqua 
frigida  niixtura;  vel  polenta  adjecta,  vel  mei- 
le  quoque  assumere  expedit:  quotiesque  all- 
eluiti aut  stomachus,  aut  venter  effudit,  toties 
per  haec  vires  restituere.  Erasistratus  primo 
tribus  vini  guttis,  aut  quinis  aspergeudara  po- 
lionera  esse  dixit  ;  deinde  paulatim  merum 
adjiciendura.  Is,  si  et  ab  initio  vinum  dedit, 
et  raelura  cruditatis  secutus  est,  non  sine 
caussa  fecit;  si  veheraentera  infìrmitatem  adjn- 
Tari  posse  tribus  gutlis  puta\il,  erri  vii.  At  si 
iuanis  est  homo,  et  crura  ejus  contrahuntur, 
interponenda  polio  absiulhii  est.  Si  extremae 
partes  corporis  frigeut,  ungcndae  sunt  calido 
oleo,  cui  cerae  pattinai  sii  adjectum,  caKdisque 
foruentis  nutriend  ie.  Si  ne  sul)  bis  quidem 
qaies  facte  esi,  extrinaecns  conti.»  rentricalum 
ipsan  eucurbitula  admovenda  est,  aut  siuapi 
snpt  rimponenduin.  Lbi  is  constitit,  dormire 
oportet  :  postero  die  utique  a  potione  abeti- 
nere:  die  tertio  in  batneum  ire:  paolatimse 
cib  •  refìoere  :  ibmno  quisquis  facile  adqaie- 

scil;   itemqm  lassitudine  et   innovo.   Si   poti 

•nppreseam  cholcram  rebrìcola  m  mei,  alvum 
duci  necetsarinm  est:  tnm  cibii  rinoqoe  uten- 
dum  cai. 


s  o 

que  che  questi  acciìlcnli  si  affacciano,  biso- 
gna bere  acqua  tiepida  in  grandissima  quan- 
tità, e  recere.  Non  interviene  quasi  mai  che 
non  ne    seguiti  di  tal  modo  il  vomito:    uà 
comeehè  non  avvenga,  giova  nulladimeno  il 
mischiamento  di  novella  materia  alla  corrot- 
ta:   ed  è  parte  di  sanità  l'essersi  soppresso 
il  vomito.  Se  poi  sopravviene,  d1  uopo  è  as- 
tenersi   incontinente      da    ogni    beveraggio. 
Quando    vi    sono    tormini,  giovano  allo  sto- 
maco fomenti  umidi  e  freddi  ;  ovvero  tiepi- 
di in  caso  che  il  ventre  dolga  sì  che  il  ven- 
tre istesso  risenta  sollievo  da  cose  mezzana- 
mente calde.  Nel  caso  che  imperversino  fie- 
ramente e  il  vomito  e  le  degestioni  e  la  se- 
te, e  che  le  materie  che  si  vomitano    siano 
tuttavia  crudette  ,    non  è  per    anche  giunto 
il  tempo  pel  vino:  si  deve  apprestare  acqua 
non  fredda,  ma  sì  calduccia  :  recare  alle  na- 
ri del  puleggio  macerato  in  aceto,  o  polen- 
ta aspersa  di  vino,  ovvero  della  menta  così 
com'è  naturalmente.   Ma   rimossa  la  crudità, 
allora    è  a   temere    vieppiù    non   sopravven- 
ga un  deliquio.    Gonvicn  irnperciò  ricorrere 
tostamente  al  vino,  il  quale  importa  che  sia 
odorifero,  e  leggiero,  e  annacquato  d*  acqua 
freddai    coi   li  addice    lodevolmente    aggiu- 
gnervi    o  della    farina  d1  orzo    abbrustolita, 
ovvero    pigliarlo    col  mele:    ed    ogni    volta 
che  o  per  lo  stomaco,  o  per  lo  ventre  alcuna 
cosa  si  evacua,  confortale,  e  ristorare  le  for- 
ce con  qucs'i  mezzi.  Erasishalo  disse  doversi 
prima  aspergere  1j  bevanda   di  tre  gocetc  o 
cinque    di   vino,  indi    poco  a    poco  aumen- 
tar la  dose.   Egli  se  in   sul  principio  ha  dato 
il  vino  in   piccola   quantità   temendone  in  li- 
gestione,   saviamente   adoperò  :  ma   se  si  av- 
visò  potersi  sovvenire  ad  una  estrema  debo- 
lezza  con    tre  gocciole  di   vino,   a   gran   pez- 
za   errò.   Ma  se   la   persona    è    esausta,    e  le 

gambe  di  essa  si  contraggono,  dereai  inter- 
porre una  pozione  iV  assenzio.  Se  le  parti 
estreme  del  corpo  sono  fredde,  si  vogliono 
ungere  d' olio  caldo,  misto  ad  un  poco  «li 
cera,  e  il  calor  mantenervi  QOfl  cable  fomen- 
ta/ioni. Se  neppvr  per  queste  cose  non  fa  ri- 
torno  la  calma,   si   deve    pene   una  coppetta 

alla  regione  iiteeta  del  ventricolo.  o  torporvi 

della  senape.  Allorché  il  vomito  e  cessalo,  si 
COQTÌen  dormire,  astenersi  il  susseguente  dì 
dal  bere,  il  ter/o  andare  in  bagno  «  restau- 
rare MpOCO  appoco  coli"  alimento  le   forze,  e 

col  tonno  chi  pnote  agevolmente  dormire  ■. 
oltracciò'  schisa  ra    la  ilancbezsa  ■  il  freddo. 

Soppressa  la  colera,  ae  persiste  piccola  ich- 
hivti.i.  neceaairia  è  sgombrare  il  ventre  coi 
criitcri,  indi  mangiare  e  Iure  vino. 


DELLA     MEDICINA 


l47 


Cap.  xix. —  De  caeliaco  ventriculi 
morbo. 


Cap.  xix.  Del  morbo  celiaco  dtl  ventricolo. 


Sed  hic  quidem   morbus  et  acutus  est,  et 
inter  intestina  stomachumque  versatur  sic,  ut, 
cujus  potissimum  partis  sit,  non  facile  dici  pos- 
sit.  In  ipsius  vero  ventriculi  porta  consistit  is, 
qui  et  Iongus  esse  consuevit:  x.oi\iaxò$  a  Grae- 
cis  nominatur.  Sub  hoc  venter  indurescit,  do- 
lorque  ejus  est:  alvus  nihil  reddit,  ac  ne  spi- 
ritual quidera  transmittit  :  extreraae  partes  fri 
gescunt  :  difficulter  spiritus  redditur.  Commo- 
dissimum  est  inter    initia  calida  cataplasmata 
toti  ventri    imponere,    ut    dolorem    leniant: 
post  cibura  vomere,  atque    ita  ventrem  exi- 
nanire  :  proximis  deinde  diebus  cucurbitulas 
sine  ferro    ventri  et    coxis    adraovere  :    ven- 
trem ipsum  liquare  dato  lacte,  et  vino   salso, 
frigido  ;  si  tempus  anni  patitur,  eliam  viri- 
dibus  ficis  ;  sic    tamen,    ne    quis    aut    cibus, 
aut  humor    universus    detur,    sed    paulatira. 
Ergo  per  intervalla  temporis  sat  est   cyathos 
binos  ternosve  sumere,    et  cibum    prò    por- 
tione    bujus  ;  commodeque    facit    cyatho    la- 
ctis  cyathus  aquae  mixtus,  et  sic  datus  :  cibi- 
que  inflantes  et  acres    utiliores    sunt;    adeo 
ut  lacti  quoque  recte  contritura    alium  adji- 
ciatur.    Procedente  vero  tempore,   opus    est 
gestari  ;  raaximeque  navigare  ;  perfricari    ter 
aut   quater  die,"sic,  ut  nilrum    oleo    adjicia- 
tur  ;  perfundi  aqua  calida  post  cibum  ;    de- 
inde sinapi    imponere    per    omnia    membra, 
excepto  capite,  donec    arrodatur    et  rubeat  ; 
maximeque  si  corpus    durum  et    virile   est  ; 
paulatim   deinde  faciendus  est  transitus  ad  ea, 
quae  ventrem  comprimunl.    Assa  caro    dan- 
da,  valens,  et  quae  non    facile  corrurnpalur  ; 
potui  vero,  pluvialis  aqua   decocta,  sed  quae 
per  binos  ternosve  cyathos  bibatur.  Si   velus 
vitiura  est,  oportet  laser  quam   optimum   ad 
piperis  magniludinem  devorare  :  altero   quo- 
que die  vinum   vel  acjuam   bibere  :  interdum 
interposito  cibo,  singulos  vini  cyathos  sorbe- 
re  :  ex  inferiori   parte  io  fondere  pluviatilem 
egelidam  aqoam,  maximeque,  si  dolor  in   i- 
rnis  partibus  remanet. 


Cap.  xx.  —  De  tenuioris  intestini 
morbo. 


Ma  quest'infermità  è  ed  acuta  certamen- 
te, ed  ha  sua  sede  fra  le  intestine  e  lo  sto- 
maco, sì  che  non  è  lieve  cosa  l1  affermare  a 
qual  parte  precipuamente  appartenga.  Sul- 
l'ingresso del  ventricolo  poi  stanzia  quel  ma- 
lore, che  suole  esser  lungo,  e  che  presso  i 
Greci  ottiene  il  nome  di  celiaco.  In  questo 
il  ventre  s'  indurisce  e  duole  :  l1  alvo  è  costi- 
palo affatto,  e  neppur  V  aria  espelle  :  le  estre- 
me parti  intirizziscono:  con  difìcoltà  si  respi- 
ra. Utilissimo  riesce  in  sul  principio  porre 
caldi  impiastri  su  tutto  il  ventre,  onde  cal- 
mino il  dolore:  dopo  il  cibo  vomitare;  e 
così  sgombrare  il  ventre;  ai  dì  consecutivi 
apporre  al  ventre  ed  alle  cosce  delle  coppet- 
te incruenti  :  solvere  l1  alvo  medesimo  mini- 
strando del  latte,  o  del  vino  salso  freddo;  e 
se  la  stagionerò  dà,  anche  dei  fichi  freschi 
con  questo  però  che  né  il  mangiare,  né  il 
bere  si  dia  lutto  in  una  volta  ;  ma  appoco 
appoco.  Egli  è  pertanto  a  sufficienza  pren- 
dere ad  intervalli  due  o  tre  bicchieri  di  be- 
vanda, e  T  alimento  a  ragguaglio  di  essa:  ed 
opera  utilmente  un  ciato  d'acqua  mescolato 
ad  uno  di  latte,  e  dato  a  bere  :  ed  assai  gio- 
vevoli sono  gli  alimenti  ventosi  ed  acri,  onde 
che  si  dà  con  profìlto  anche  Taglio  pesto 
unito  al  latte.  Di  lì  ad  alcun  tempo  è  neces- 
saria la  gestazione  :  e  principalmente  il  na- 
vigare ;  fare  fregagioni  con  olio  e  nitro  tre 
o  quattro  volte  il  dì  ;  spargere  d' acqua  cal- 
da il  corpo  dopo  aver  mangialo  :  poscia  su 
tutte  le  membra,  tranne  il  capo,  mettere  del- 
la senape  perfino  a  che  intacchi,  ed  infiammi; 
massimamente  se  il  corpo  è  duro  e  virile: 
indi  si  passa  bel  bello  ali  uso  di  ciò  che  vale 
a  costringere  il  ventre.  Si  dia  carne  arrostita 
e  sostanziosa  e  forte,  che  non  sia  facile  a  cor- 
rompersi :  per  bevanda  poi  acqua  piovana 
cotta,  ma  che  si  beva  a  tre  o  quattro  ciati 
alla  volta.  Se  vieto  è  il  malanno,  giova  tran- 
ghiottire  del  laserpizio  molto  ottimo  alla 
grossezza  di  u-n  grano  di  pepe  :  ogni  due 
giorni  bevcr  vino,  ed  acqua  ;  talora  fra  il  pa- 
sto sorbire  un  bicchier  di  vino  per  volta: 
introdurre  per  la  palle  d abasso  acqua  pio- 
vana tiepida,  e  massimamente  se  rimane  nel- 
le ime  parti   alcun  dolore. 

Cap.  xx.  —  Malattia  de  IT  intestino 
tenue. 


Tnter  ipsa  vero  intestina  consistimi  duo  Entro  le  slesse  intestine  poi  hanno  se- 
morbi  ;  quorum  alter  in  lenuiore,  alter  in  de  due  malattie,  delle  quali  una  Del  tenue, 
plcniore  est.  l'rior  aeulusest;  insequens  es-  l'altra  nel  crasso.  La  prima  è  acuta,  la  se- 
se  lonc/us  potest.  Dioeles  Caryslius  tenuioris  tonda  può  esser  lunga.  Dioele  Carislio  chia- 
intettioi   morbum  p^cTa-joy,  plenioris  éiXidv  mò  il  mal    doli1  intestino   gracile    cordapso, 


l'jB  CELIO 

nominavi*.  A  plerisque  video  mine  illuni 
priorem  é/XìoV,  hunc  xoXtxóv  nominari.  Sed 
prior  modo  supra  umbilicum,  modo  sub  um- 
bilico  dolorem  movet.  Fit  alterutro  loco  in- 
flammatio  :  nec  alvus  nec  spìritus  infra  trans- 
mittilur:  si  superior  pars  aflecta  est,  cibus, 
si  inferior,  stercus  per  os  redditur;  si  utrura- 
libet,  ve»us  est.  Adjicit  pcriculo  vomitus  bilio- 
sus,  mali  odoris,  aut  varius,  aut  niger.  Rerae- 
dium  est,  saogatnem  mittere;  vel  cucurbi- 
tulas  pluribus  locis  admoverc,  non  ubiquo 
cute  incisa  :  id  enim  duobus  aut  tribus  lo- 
cis salis  est  :  ex  ceteris  spiritum  evocare  a- 
bun  le  est.  Turn  animadvertere  oportet,  quo 
loco  malum  sit  :  solet  enim  contra  id  turae- 
re.  Kt  si  supra  umbilicum  est,  alvi  ductio 
utilis  nou  est  :  si  infra  est,  alvum  ducere,  ut 
Erasistrato  placai t,  optimum  est;  et  saepe 
id  auxilii  satis  est.  Ducitur  autem  percolato 
ptisune  cremore,  cum  oleo  et  raelle,  sic,  ut 
praeterea  nihil  aidjiciatnr.  Si  nihil  tumet, 
duas  maiius  inponere  oportet  supra  summurn 
ventrem,  paulatimque  deducere:  invenietur 
enim  mali  locus,  qui  necesse  est  renitatur  ; 
et  ex  eo  deliberar!  poterit,  ducend.i,  necne, 
alvus  sit.  Illa  communia  sunt:  calida  cala- 
plasmata  admovore.  eaque  imponere  a  mam- 
mis  usque  ad  inquina  et  spinano,  ac  saepe 
mutare:  brachia  cruraque  perfrirare  :  demit- 
tere  tolum  hominem  in  calidum  oleum:  si 
dolor  non  quiescit,  ctiam  in  alvum  ex  parte 
inferiore  tres  aut  quatuor  cyalhos  calidi  o- 
lei  dire  I  !ii  per  haec  eooteoati  sumus,  ut 
jam  ex  inferiore  parte  spiritus  transmitlalur, 
offerre  potui  niulsum  tepidum  non  multimi: 
rum  ante  magna  cura  vitandum  est,  no  quid 
hibaf.  Si  id  commode  cessit,  adjicere  sorbi- 
tionem.  Ubi  dolor  et  fcbricnla  quicrunf,  tum 
dtmom  uti  cibo  pleniore  ;  sed  ncque  influite, 
rff  m  •  doro,  ncque  valido,  ne  intestina  ad- 
irne imbecilla  1  ■icdantur".  Potui  vero  nihil, 
praeter  qn.joi  parrai  iqaraL  Nani  sive  qaid 
rinolenftnm  tire  acidam  est,  i<l  buie  morbo 
elieoam  est.  Ac  pottea  auoaue  sitare  opor* 
tei  liiln'Mnn,  ambulationem,  gestationem,  ee- 
te  corporìi  motns<  Nano  Cicale  i<l  ma- 
lora redtrc  consoevil  ;  «i  stoe  cum  frigni 
viliit.  aite  aliqaa  jàm  jactatio,  n i si  bene  jam 
tonfimi  iti^  intestinis,  rerertitnr. 


del  crasso  ileo.  Vedo  ora  dai  più  denomi- 
narsi ileo  quel  primo,  colico  questo.  Ma  la 
prima  risveglia  dei  dolori  quando  sopra,  quan- 
do sotto  r  ombilico.  Si  'accende  in  arabidue  i 
luoghi  infiammazione  :  non  si  rendono  per  in 
basso  ne  materie  fecali,  né  ventosità  :  se  è  af- 
fetta la  parte  superiore  si  rimette  per  bocca  il 
mangiare;  se  la  inferiore,  gli  escrementi: 
se  da  ambe  parti,  lungo  è  il  male.  Accresce 
il  pericolo  il  vomito  bilioso,  di  mal  odore, 
o  di  color  vario,  o  nero.  Il  rimedio  è  ripo- 
sto nella  missione  del  sangue,  o  veramente 
nel  porre  ventose  in  più  luoghi,  senza  però 
tagliarle  in  ogni  parte,  bastando  ciò  in  due 
o  tre  luoghi  :  negli  altri  di  soverchio  è  at- 
trarre lo  spirito  .  Dipoi  si'  deve  por  mente 
in  qual  luogo  risieda  il  male;  imperocché  ivi 
dicontro  suole  enfiare  :  e  se  giace  sopra  il 
bellico,  non  fa  alcun  prò  l1  uso  dei  cristeri  ; 
se  sotto,  prestantissima  medicina  è  siccome 
avvisò  Erasitrato,  e  dessa  è  sovente  di  un 
bastevole  a j irto.  I  cristeri  poi  si  fanno  di  de- 
cozione d1  orzo  colata  con  olio  e  mele,  e 
nulla  più.  Se  non  compare  tumore,  convien- 
si  recar  le  due  mani  sulla  parte  superiore 
del  ventre  e  adagio  adagio  scorrere  al  bas- 
so, che  si  troverà  il  luogo  del  male,  il  qua- 
le per  necessità  si  sentirà  renitente,  e  da  ciò 
si  potrà  far  giudizio,  se  devesi  o  no  solve- 
re co' cristeri  l1  alvo.  Generali  cose  sono  que- 
ste: porre  impiastri  caldi  dal  pelto  fino  al- 
le anguinaja  ed  alla  spina,  e  cambiarli  spes- 
so :  stropicciare  le  braccia  e  le  gambe,  met- 
tere l'infermo  in  un  bagno  d'olio  caldo: 
qualora  il  dolore  non  si  lenisca,  s1  introdur- 
ranno anche  nel  ventre  per  la  parte  inferio- 
re tre  0  quattro  eiati  del  medesimo  olio 
Quando  la  mercè  di  queste  cose  conseguito 
siasi  che  dal  podice  lì  mandi  fuori  dell'aria, 
si  porga  a  bere  del  mulso  tiepido  in  modi- 
ca quantità,  pereiocehè  prima  dì  tutto  de- 
visi far  si  COBI  Ogni  sfolto  che  nulla  beva. 
Che   se   questo   felicemente   avviene,     si    pass» 

ali1  uso  della  lorbixione.  Toaloehè  il  do- 
lore  e  la  febbricciatola  cessarono,  allora 
poi  mangiare  pia  largamente,  ma  non  cote 
rentose,  ni  dure,  né  forti  acciocché  te  inte- 
stine per  meo  debill  e  fiacche  non  ne  ri- 
mangano  offése.  Per  bevanda  poi  noli' altro 
< she  acqna  pura.  Concionitene  quel  ehi*  é  \i- 
ooso  ed  acino  ■  qneita  malsania  è  inconve- 
nevole. Oltredtcbé  conrien  pare  attenerti  dal 

bagno,  dalla  corsa,  dalla  gesta/iene  «•  da 
Ogn1  altro  movimento  del  corpo,  atteso  ehc 
questo  male  suol  leggermente  recidiv  art)  !  I 
se  non  sono  bene  riconfortati  gì1  intestini, 
esiO  i  itomi  per  pnCO  che  altri  si  esponga  al 
freddo  od   a   qualche  agitazione 


DBLLA    MEDICINA 


149 


Caput.  **'•  —  De  morbo  intestini plenioris.     Gap.  xxj.  —  Malattia  dell'intestino  crasso. 


Is  autem  morbus,  qui  in  intestino  ple- 
niore  est,  in  ea  maxime  parte  est,  quara  cae- 
cam  esse  proposui.  Vehemens  fìt  inflatio,  ve- 
hementes  dolores,  dextra  magis  parte  :  inte- 
stinum,  quod  verti  videtur,  prope  spiritura 
elidit.  In  plerisque  post  frigora  cruditatesque 
oritur,  deinde  quiescit;  et  per  aetatem  saepe 
repetens  sic  cruciat,  ut  vitae  spatio  nihil  de- 
mat.  Ubi  is  dolor  coepit,  admovere  sicca  et 
calida  fomenta  oportet;  sed  primo  lenta,  de- 
inde validiora  ;  simulque  frictione  ad  extre- 
mas  partes,  id  est,  crura  brachiaque  materiam 
evocare  :  si  discussus  non  est,  qua  dolet  cu- 
curbitulas  sine  ferro  defigere.  Est  etiam  me- 
dicamentum  ejus  rei  caussa  comparatum,quod 
y.o\ixòv  nominatur.  Id  se  reperisse  Cassius 
gloriabatur.  Magis  prodest  potui  datum  :  sed 
impositum  quoque  exlrinsecus,  digerendo 
spiritum,  dolorem  levat.  Nisi  finito  vero  tor- 
mento, recte  neque  cibus  neque  potio  assu- 
mitur.  Quo  victu  sit  utendum  iis,  qui  hoc 
genere  tentantur,  jam  mihi  dictum  est.  Con- 
fectio  medicamenti,  quod  xoXixòv  nominatur, 
ex  bis  constat.  Costi,  anisi,  castorei,  singu- 
lorum  p.*  in.  petroselini  den.  in.  piperis  lon- 
gi,  et  rotundi,  singulorura  p.  *  n.  papaveris 
ìacryraae,  junci  rotundi,  myrrbae.  nardi,  sin- 
gulorum  p.*  vi,  quae  melle  excipiuntur.  Id 
autem  et  devorari  potest,  et  ex  aqua  calida 
siimi. 


Caput  xxn.  —  De  torminilus. 

Proxima  bis  inter  inleslinorum  mala  tor- 
mina  esse  consueverunt  :  ivazvn^ia  Graece 
■vocatur.  Intus  intestina  exulcerantur  ;  ex  bis 
cruor  manel;  isque  modo  cum  stercore  ali- 
quo  semper  liquido,  modo  rum  quibusdam 
quasi  mucosis  excernitur  :  interdum  simnl 
quaedam  carnosa  descendunt  :  frequens  deji- 
ciendi  cupiditas,  dolorque  in  ano  est:  cum 
eodem  dolore  exiguum  aliqnid  emitlitur  ;  at- 
que  eo  quoque  tormenlum  intcndiltir;  i<l<jiic 
j)ost  tempus  aliquod  levalur  ;  exiguaque  re- 
quies  est:  somnus  inlerpellalur :  fcbricula 
orifnr  :  longoque  tempore  id  malum,  cum 
inveteravi!,  rat  t  olii  L  hominem,  aut  etiam  si 
fìnitur,  excruoiat.  Oporlot  in  primis  conquie- 
scere  ;  siquidem  omnii  agitatio  exulcerat  : 
deinde  jejunum  sorbere  vini  cyalhum,  cui 
contrita  radix  quinque  folii  sit  adjccla  :  im- 
ponere  cataplasmata  super  ventrem,  quae  re- 
primunt  ;  quod  in  suporiorihus  vcnlris  mor- 
bis  non  expedit  :  quotiesque  desidil.  sublue*- 
re  aqua  calida,  in  qua  decoctae  vcrbcnac  sint  ; 


Questa  infermità  poi  che  è  propria  del- 
l'intestino  crasso,  risiede  specialmente  in 
quella  parte  che  notai  esser  cieca.  Ne  segui- 
ta un  considerabile  enfiamento,  dolori  atro- 
ci, e  più  dal  lato  destro  :  l'intestino  che  sem- 
bra contorcersi,  quasi  ne  toglie  il  fiato.  ISei 
più  vien  dietro  a  freddi  presi,  ed  a  indige- 
stioni :  indi  si  calma,  e  ripetendosi  tratto 
tratto  nel  corso  della  vita  ne  crucia  sì,  ma 
da  non  abbreviare  di  nulla  i  propri  giorni. 
Tosto  che  questo  dolore  insorge,  la  d'uopo 
porvi  ealdi  e  secchi  fomenti  :  miti  dappri- 
ma, forti  dappoi,  e  nel  medesimo  tempo  per 
mezzo  delle  fregagioni  rivocare  la  materia 
alle  estreme  parti,  vale  dire  alle  gambe  ed 
alle  braccia  :  se  il  dolore  non  si  è  dissipato, 
giova  là  dove  si  sente,  attaccare  delle  cop- 
pette secche.  "V'è  anche  un  medicamento  im- 
maginato per  questo  male,  del  quale  Cassio 
gloriavasi  d'esserne  l'inventore.  Desso  è  più 
giovativo  dato  in  beveraggio,  ma  anche  po- 
sto all'  esterno  mitiga  il  dolore  rimovendo 
le  ventosità.  I^on  si  può  né  cibo,  o  bevanda 
lodevolmente  prendere  se  cessalo  non  è  il 
crucio  .  Di  qual  cibo  debbano  usare  quelli 
che  vanno  soggetti  a  questa  sorta  di  male, 
fu  da  me  già  dichiarato.  11  medicamento  co- 
licon  si  compone  con  costo,  anisi,  castorio, 
ciascuno  denari  3  ;  prezzemolo,  denari  j  ; 
pepe  lungo  e  rotondo  di  ciascuno  den.  2; 
lagrime  di  papavero,  giunco  rotondo,  mirra, 
nardo,  di  ciascuno  den.  6;  il  tutto  da  pren- 
dersi col  mele,  o  neh"  aqua  calda. 

Cap.  xxij.  —  Della  dissenteria. 

I  tormini  fra  le  malattie  degl'  intestini 
si  avvicinano  di  più  ai  predetti  :  sono  chiama- 
ti in  greco  dìsenteria.  Si  ulcerano  per  en- 
tro le  intestine,  donde  ne  proviene  del  san- 
gue :  e  questo  si  rende  ora  con  poche  fecce 
sempre  disciolte,  ora  misto  a  delle  mucosità: 
qualche  volta  discendono  insieme  come  dei 
pezzetti  di  carne  :  avvi  voglia  continua  di 
andar  del  corpo,  e  dolore  all'ano:  e  col  do- 
lore medesimo  si  evacua  qualche  cosuccia,  e 
per  esso  si  fa  anche  più  intenso  il  tormento, 
il  quale  dopo  alcun  tratto  si  mitiga,  ma  per 
brieve  ora  :  il  sonno  è  interrotto,  nasce  lcg- 
gier  febbricciattola  ;  e  ques/a  malattia  lunga 
pezza  continuando  o  term/na  colla  morte,  o 
avvegnaché  si  sciolga  ,  prosieguo  a  cruciar 
la  persona.  Bisogna  prima  di  lutto  slare  in 
riposo,  perciocché  qualunque  movimento  e- 
sulcera  :  avallare  dipoi  a  digiuno  un  bicchier 
di  vino,  in  cui  giunla  sia  radico  Ai  cinque 
foglie  polverizzata  :  appone  impiastri  riper- 
cusiivi  sul  ventre,  il  che  è  illaudevok  «clic 


IOO 


CELSO 


portulacam  vel  coctam,  Tel  ex  dura  maria 
edisse  ;  cibos  potionesque  eas,  quae  adslrin- 
gunt  ;ilvum.  Si  vetustior  morbus  est,  ex  in- 
ierioribus  pnrtibus  tepidum  intendere  vcl 
plisanae  cremorem,  vel  Iae,  vel  adipem  liqua- 
tam,  fd  ruedullam  cervinam,  vel  oleum,  vel 
cum  rosa  butyrum,  vel  cum  eadem  album 
crudum  ex  ovis,  vel  aquam,  in  qua  lini  se- 
men  decoctum  sit;  vel,  si  somnus  non  acce- 
di t,  vitellos  cum  aqua,  in  qua  rosae  fiorii 
folia  coda  sint.  Levant  euiin  dolorem  baec, 
et  mitiora  ulcera  efficiunt  ;  maximeque  utilia 
sunt,  si  cibi  quoque  secutum  fastidium  est. 
Themison  muria  dura  quam  asperrima  sic 
titendum  memoriate  prodidit.  Cibi  vero  esse 
debent,  qui  lenite*  ventrem  adslringant.  At 
ca,  quie  urinam  movent,  si  idcoasecuta  suut, 
in  aliarli  partem  bumorem  avellendo,  pro- 
sunt;  si  non  sunt  consecuta,  noxam  augent : 
itaque  nisi  in  quibus  proni  pie  id  Tacere  eon- 
suerunt,  non  sunl  adbi benda  Polui,  si  febri- 
cula,  esl,  aqua  pura  Gelida,  vel  ea,  quae  ipsa 
quoque  adslringat,  dari  debet  :  si  non  esl, 
vioum  leve,  austerum.  Si  pluribus  diebus  ni- 
hil  remedia  alia  juverunt,  velusque  jam  vi- 
tium  est,  aquae  bene  frigidae  polio  assumpta 
ulcera  adstringit,  et  inilium  sceundae  vale- 
tu  linis  facit.  Sci  ubi  venlcr  suppressus  est, 
protintn  ad  calidam  polionem  reverlendum 
•St.  Solet  autein  interdum  etiam  pulris  sa- 
ries,  pessiiniqne  odori*  deseeoaerc  :  solet  pa- 
ni languii  profluere,  Si  superbis  vitiam  est, 
aivns  equa  melsa  duci  debet;  tona  deinde 
eadem  infondi,  quaesupra  comprchensa  sunt. 
\  tlensqne  est  etiam  adversus  rancerem  inte- 
stiimrum.  minii  ^Irba  cum  salis  beniina  con- 
triti, ri  muta  bis  aqua  in  alvum  datar.  At 
h  languii  profloit,  cibi  polinnoaquc  esse  de- 
bent, quae  adstringint, 


snmmentovate  malattie  di  quella  regione:  ed 
ogni  qualvolta   ai  va    del    corpo  lavarsi  con 
calda  decozione  di  verbena  :  mangiare    della 
portulacca    cotta,    o    confettata    in    salamoja 
forte:  usar  cibi  e  beveraggi    costrettivi.    Se 
il   male  è  antico,    intromettere    per  le    parti 
inferiori  o  tisana  tiepida  d' orzo,  ovvero  del 
latte,  o   grasso  liquefatto,  o  midolla    di  cer- 
vo, o  dell'olio,  o  del  butirro  con  olio  rosa- 
to, oppur    con    questo    l'albume    dell'uovo 
crudo,  ovvero  decotto  di  linseme  :    o    vera- 
mente se  il    malato    non    donne,    de'   tuorli 
sbattuti  Dell'acqua,     in  cui    abbiano    bollito 
foglie  del  fior  della  rosa.  Imperocché  queste 
cose  alleviano  il   dolore    e  rendono    più     be- 
nigne le  ulcere;  e  soprattutto  riescono  pro- 
iìcue  qualora  vi  si  congiunga  anebe  l'avversio- 
ne   al  cibo.    Temisone    insegnò    doversi  usa- 
re  in  questo  caso  «Iella     salamoja    dura    for- 
tissima. Gli  alimenti  voglionsi  di    qualità  clic 
costringano    dolcemente    il  ventre .    Ma  quei 
sì    che  muovono    le    orine,    se    ciò    effettua- 
no   col    divertire    in    altra    parte    V   umore, 
fanno    prò,    altrimenti    accrescono  la    noce- 
vole    cagione  :    per    lo  che  non  sono    da  u- 
sare   se  non  in  quelli,  presso  i  quali  soglio- 
no   operar    ciò    prontamente.    Per    bevanda, 
vuoisi,  se  v'  ha     picciola  febbre,  dare    acqua 
pura  calla,  oppure    di  sorta    che    anch'essa, 
ristagni  il  ventre:    se  non   v'ha,  si   ministra 
del   vino  leggiero,  austero.   Se  in  capo  a  più 
dì  non  abbiano   giovato   questi   rimedi,    e   se 
il   vizio  è  già  inveteralo,    una     bevuta   d'  a- 
cqua  ben  fredda  riserra  le    ulcere,  il    che  è 
principio  di  risanamento.  M»  tostochè  il  ven- 
tre è  costipato,   devesi   ritornare   incontanen- 
te all'uso    dell'acqua    calla.    Qualche    volta 
ancora   si  rende  della   sanie  corrotta  e   letcn- 
tissima  :  e  talvolta  ne  fluisce  schietto  sangue. 
Nel    primo    caso    vuoisi     muovere    il    ventre 
colla   mulsa  ;  allora   poi  infondere  le  cose  me- 
desime  poste  di   sopra.   l\d   anelie  un  pezzet- 
to di   minio  pesto  con  un'  emina   di  sale,    se 
si    dà    sciolto    ncir  acqua    per  eristere,    vile  an- 
sai    conta*    le    ulcere    dògi1  intestini,     àia    se 
fluisce    sangue,    i    cibi    B    le    bevande    vogliono 

essere  di   virtù  costrittiva. 


Caput  xxi.i.  _  J)e  \eK>itatv.   intrstinnrum. 

M     t'inivnihiis    inlerdum    inlestinorum 
''•vita,    nrilur      qua    coni  i  nere    nihil    possimi 

et  qoidquid  assi.,,, timi  est,  imperfeetoni  pro- 
Unas  redduat  b.  iaterdura  ■egras  trthit,  in- 
lr  "biro  preci  ipita..  In  boc  ntiqoa  sdbibcre 
coorte!  eomprlmcntts  :  quo  fteilios  tanna  li 

;'    l'pll-l     irilr>-vtil)is     vis    SI».      Erg*     (t      Slipei       |,..- 

■Im  pon  ii  ur  sm  .pi  :  ennlceratequc  sale,  mi- 

>.  quod  humorem  pvneeti  et  <\  verbo 

•os  decoeta  ■  stree  desidat ;  et  cibos  potio- 

», minai     quae  .ihiiui  «lstrin-uut  ;  et 


Cap.  x\nr 


D  Ila  li  e  nte  ria. 


Dei  tornarti  ne  nesce  ben  sovente  Is  lu- 
bricità degl1  intestini  :  in  cai  non  possono 
ritener   nulla,    6    immantinente   rendono     mal 

digerito  tatto  ebe  è  preso.    Questo  malanno 

talora    itresoim   di    InngO    i    malati;     talora    a 

precipitose  morte  <;ii  tregge.  In  questo  bi- 
logna  lente   pio    adoperare    gli  astringenti  « 

onde    ridonare    agi* intestini   l'or/a    di    ritenere 

■gevolraente  alcune  cose.  PereM  si  pone  sul 
petto  delle  senape,  ed  escoriets  Is  pelle  vi 
m   appone   ou  malamma  che  a  se  tiri  V  inno- 


DELLA    MEDICTWA 


i5r 


frigidis  utatar  perfusionibns.  Oportet  tamen 
prospicere,  ne  simul  his  oranibus  admotis, 
vilium  contrarium  per  immodicas  inflationes 
oriatur.  Paulatiru  ergo  firmari  intestina  de- 
bebuflt,  aliquibus  quotidie  adjectis.  Et  cum  in 
ornai  fluore  ventris,  tum  in  hoc  praecipue 
necessarium  est,  non  quoties  libet  desidere, 
sed  quoties  necesse  est  ;  ut  haec  ipsa  mora  in 
consueludinem  ferendi  oneris  intestina  de- 
ducat.  Alterino  quoque,  quod  aeque  ad  omnes 
similes  affectus  pertinet,  in  hoc  maxime  ser- 
vandum  est  ;  ut,  cum  pleraque  utilia  insua- 
via  sunt,  qualis  est  plantago,  et  rubi,  et  quid- 
quid  malicorio  mixtum  est,  ea  potissimum 
ex  his  dentur,  quae  maxime  aeger  volet  : 
deinde,  si  omnia  ista  fastidiet,  ad  excitandam 
cibi  cupiditatem,  interponatur  aliquid  minus 
utile,  sed  magis  gratum.  Exercitationes  et  fri- 
ctiones  buie  quoque  morbo  necessariae  sunt  ; 
et  cum  bis  sol,  ignis,  balneum,  vomitus,  ut 
Hippocrati  visum  est,  etiam  albo  veratro,  si 
celerà  parum  profìcient,  evocatus. 


re:  e  il  malato  sieda  in  acqua  cotta  di  ver- 
bena, e  prenda  cibi  e  beveraggi  costipativi 
l'alvo,  ed  usi  fredde  aspersioni.  Fa  d'uopo 
per  altro  avere  attenzione,  che  adoprati  tut- 
ti ad  un  tempo  questi  presidi  non  ne  nasca 
per  enorme  enfiamento  vizio  contrario.  Per 
lo  che  si  vorranno  poco  a  poco  rinforzar 
le  budella  colla  giornaliera  aggiunta  di^qual- 
ebe  rimedio.  E  come  in  qualsivoglia  pro- 
fluvio del  ventre,  così  in  questo  principal- 
mente d'uopo  è  andare  al  cesso  non  quante 
volte  ne  vien  voglia,  ma  sol  quante  la  ne- 
cessità ne  sforza,  acciocché  questo  indugiar 
medesimo  ritragga  le  intestine  ali1  abitudine 
di  ritenerne  il  peso.  Un'  altra  attenzione  che 
pur  si  appartiene  di  egual  diritto  a  tutte  le 
affezioni  consimili,  in  questa  sovrattutto  si 
deve  avere ,  che  essendo  per  lo  più  pro- 
ficue le  cose  spiacevoli  al  gusto,  come  la 
piantaggine  e  le  more  salvatiche,  e  tutto  ciò 
in  cui  entra  la  scorza  del  granato,  quelle  tra 
queste  a  preferenza  si  esibiscano,  le  quali 
l'infermo  aggradirà  maggiormente:  poscia 
se  tutte  queste  il  nauseeranno,  ad  oggetto  dì 
riconfortargli  l'appetito,  s' interponga  alcuna 
cosa  men  profìcua,  ma  sì  più  grata.  Le  eser- 
citazioni e  le  freghe  sono  anch'  esse  neces- 
sarie in  questa  malattia,  e  con  esse  il  sole  > 
il  fuoco,  il  bagno,  il  vomito  siccome  parve 
ad  Ippocrate,  provocalo  anche  coli'  elleboro 
bianco,  ove  dagli  altri  vomitivi  non  siasi 
ottenuto  sufficiente  effetto. 


Caput  xxiv.  De  lumbricis  alvum 
occupantibus. 

Nonnumquam  autem  lurabrici  quoque 
occupant  alvum  ;  bique  modo  ex  inferioribus 
parlibus,  modo  foedius  ore  redduntur  :  atque 
interdum  latos  eos,  qui  pejores  sunt,  inter- 
dum  teretes  videmus.  Si  Iati  sunt,  aqua  po- 
tili dari  dobet,  in  qua  Iupinum,  aut  corlex 
mori  decoctus  sit  ;  aut.  cui  adjectum  si t  con- 
trilum  vel  hyssopum,  vel  piperis  acetabulum, 
vel  scammoniae  paulum.  Vel  eliara  pridie, 
cum  mullum  album  ederit,  vomat  :  postero- 
que  die  mali  punici  tenues  radiculas  colli- 
gat,  quantum  manti  coraprehendet  ;  eas con- 
lusas  in  aquae  tribus  sextariis  decoquat,  do- 
nec  tartia  pars  supersit;  huc  adjiciat  nitri 
paulum,  et  jejunus  hibat.  Inlerposilis  dein- 
de tribus  borì*,  doas  potiones  sumat,  aut  a- 
quae,  vel  muriac  durae  sit  adjecta  ;  tum  de- 
sidat,  snbjecta  calida  aqua  in  polve.  Si  vero 
teretes  sunt,  qui  pueros  maxime  exercent,  et 
eadem  «lari  possunt.  et  qnaedum  leviorajut 
contrituro  seroen  urticae,  aut  brassicac,  aut 
cumini  (uni  aqua,  vel  inculila  rum  cadcrn, 
v»1!  abstnthiurn  decoct.um,  tèi  hyasopnra  ei 
«'qua  mulsa.  vel  naslurlii  scmen  cum  accio 
Coniatalo.  Edisse  etiam  et    Iupinum,    et  al- 


Cap.  xxiv.  —  Dei  lombrici  dimoranti 
nelle  intestina. 

Alcuna  volta  anche  albergano  dei  lom- 
brici  nel  ventre  ;  e  questi  talora  si  gettano 
fuori  per  le  parli  inferiori,  e  talora  più  lai- 
damente per  la,  bocca  :  e  ne  abbiamo  veduti 
ora  dei  piani,  che  sono  più  malvagi  ;  ed  ora 
dei  ritondi.  Se  sono  piani,  si  deve  prescri- 
vere acqua  in  cui  sien  colli  dei  lupini ,  o 
della  scorza  di  moro:  ed  a  cui  sia  aggiunto 
dell' isopo  ammaccato,  o  un  accetlabulo  di 
pepe  ,  od  un  poco  di  scamonea.  Ovvero  la 
persona,  mangialo  il  dì  innanzi  molt*  aglio, 
vomiti  :  e  il  seguente  prenda  un  manipolo 
di  minute  radichete  del  pomo  granato  ,  e 
infrante  si  fanno  bollire  in  tre  sesterzi  di 
acqua  fino  a  che  ne  rimanga  la  terza  par- 
te :  vi  si  aggiunge  un  poco  di  nitro  ,  e  la 
beva  a  digiuno.  Valicale  poi  tre  ore  prenda 
due  bevute  d'acqua,  a  cui  sia  aggiunto  del 
sale  ,  o  una  terza  parte  di  salamoja  forte  : 
indi  si  sieda  In  un  bacino  pieno  d'  acqua 
calda.  Se  poi  sono  di  quei  rilondi,  dai  quali 
son  principalmente  molestali  i  fanciulli ,  si 
[tossono  ministrare  e  le  medesime  cose,  e 
delle  più  blande  siccome  il  seme  d'  ortica 
pestalo,  o  del  cavolo,  o  del  cornino  ncll'  a- 


l52 

liuiu  prodesl 
dedisse. 


e  r  r.  5  r> 


vcl  ia    alvum    oleum    subter 


Cap.  xxv.  —  De  tenesmo. 

Est  autem  aliud  Ievius  omnibus  proxi- 
mis,  da  quibus  anpra  dictam  est,  quod  m- 
vìtuÒv  Gricci  vocant.  id  neque  aeutis  ncque 
longis  morbU  adnumeraei  debci,  cum  et  fa- 
cile tollatur,  neque  unquam  per  se  jugulet. 
In  hoc  neque  alque  in  tonninibus  frequens 
desidendi  cupidità*  est;  aeque  dolor,  ubi  a- 
liqaid  excernitur.  Descendunt  autein  pilui- 
tae  mucisque  sirailia,  interdum  etiam  leviler 
subcruenta:  sed  his  interponunlur  ponnum- 
qnaaa  ex  cibo  quoque  recte  coacta.  Desidere 
oportet  in  aqua  calida  ;  saej)iusque  ipsum  a- 
num  nutrire  ;  cui  plura  medicamento  idonea 
sunt  :  butyrum  cum  rosa;  acacia  ex  aceto  li- 
onata! emplastrnm  id,  quoti  r-r^apotouay.ov 
Graeci  vocant,  rosa,  liqnatum;  alumen  lana 
circum  latum,  et  ila  appositum  ;  eademque 
ex  inferiore  parte  indila,  quae  torminum  au- 
xilia  sunt  ;  caedera  verbenae  decoctae,  ut  in- 
feriores  partes  foveantur.  AUcrnis  vero  die- 
Jms  eque,  alterni*  leve  et  austerum  viuuru 
bibendum  est.  Polio  e^se  debet  egelida  vi 
frigidae  propior;  ratio  victus  talis,  quale m 
ad  tonnina  supra  praccepiraus. 


Cap. 


--  D 


e  ventri*  fin  tu. 


Lettor  fti.iiii,  dnoo  reeent1  dejectio  est, 
obi  el  li'i'ii'li  il viis  ;  et  aaepiut,  quarti  et 
'  i  line,  ferine  :  atqne  interdnm  teiera- 
bilia  dolor  est,  interdnm  gravissimus;  ìdqne 
p  ia  eat.  Sed  nno  die  Sa  are  <1\  ara  i  lepe 
prò  v  iletadine  est  ;  atqne  eli  un  pluribus, 
doni  fobrii  absit,  el  intra  itptimnm  dieoa 
il  eon  |niei  it.  Purgetnv  entra  corpne,  el  , 
qnod  infoi  laesnrum  erat,  ntiliter  effundilur. 
Veruna  ipatium  periculotnra  eal  :  ìnterdam 
enini  t <»r  ii» i r ii  te  febrionlai  exeitat,  vireeque 
consuaait,  Primo  die  qnieaeere  sin.  tati  nc- 
que imp  in  a  veni 1 1  ■  probibere.  Si  | 
di  iit  1) line  >  nii.  pnalnm  albi  oapei 
in  msit,  ebetin  -i  e  Boa  iole  n  n  ciba  id 
[iam  e  potioae  Po  taro  die,  ti  nihilominui 
1 1 > | ' il 1 1 1  1 1 1 1 1 - 

igentti  <il»i  inni         I 
balneom  ire  :  rebemenler  ora  i  i  i»i  lei  i  ri  o- 
trera  p  ■    lumbos,    scapu- 

1  I     |  M    I  1     .   -       •  riois   nli      M  I   veni  n-  n   |  oli 

trahcnlilms ,    vino    non    multi,    meri 


equa,  o  della  menta  parimente  nell'acqua,  od 
asseniio  cotto,  o  dell1  isopo  nella  roulsa,  o 
semenza  di  crescione  trita  in  aceto.  Giova 
ancora  mangiare  dell'aglio,  e  dei  lupini, 
ovvero  introdurre  dell'olio  pel  ventre. 

Cap.  xxv.  —  Del  tenesmo. 

Avvi  un'altra  malattia  più  lieve  di  tut- 
te le  ultime  suddescritte,  la  quale  dai  Greci 
si  chiama  tenesmo.  Questa  non  deve  né  alle 
acute,  né  alle  lunghe  annoverarsi ,  coucios- 
siachè  e  leggiermente  rimuovesi,  e  non  mai 
per  sé  ne  uccide.  In  questa  non  altrimenti 
che  nella  dissenteria  f1  è  una  continua  voglia 
di  scaricarsi,  e  similmente  dolore  ogni  qual- 
volta si  scarica  il  ventre.  Poi  ne  vengono 
per  imbasso  robe  simili  alla  pituita,  e  al 
moccio,  talvolta  anche  materie  sanguinose  : 
ma  tra  queste  tratto  a  tratto  s'  interpon- 
gono anche  delle  fecce  ottimamente  confi- 
gurate. Giova  sedersi  in  acqua  calda,  e  più 
spesso  medicare  Pano  medesimo,  a  cui  mol- 
te v'ha  di  convenevoli  medicine:  il  butirro 
coli' olio  rosato,  l'acacia  stemperala  io  acelo, 
e  quell'impiastro  che  pe' Greci  è  detto  te- 
trafarnitico,  liquefatto  in  aceto:  l'allume 
disteso  sulla  lana,  e  così  posto:  e  le  mede- 
sime cose  valevoli  per  la  dissenteria  iniet- 
tate per  di  sotto  :  e  la  decozione  medesima 
di  verbena  a  fomentare  le  parti  inferiori. 
Vuoisi  poi  bere  a  vicenda  un  dì  acqua  e  un 
dì  vino  leggiero  e  austero.  La  bevanda  es- 
ser dove  tiepida,  e  quasi  fredda  :  il  modo 
del  vivere  quale  il  prescrissi  nella  dissen- 
teria. 

Cap.  xxvi.  —  Del  flusso  di  ventre. 

Ancora  più  lieve,  finché  recenlc  si  è  il 
flusso:  allorché  e  liquido  è  l'alvo,  e  le  usci-  * 

te  più  spesse  che  non  sogliono,  e  1'  eOCOIO* 
pagna  quando  no  dolor  tollerabile,  quando 
un  gravissima;  e.  ciò  e  peggio.  ^1>  IVO  re 
sciolto  il  ventre  per  un  «lì  solo  è  talfiaaa 
salutevole:  anche  per  più,  purché'  non  *ia- 
\i  febbre,  e  che  dentro  il  iettino  cessi.  Im- 
perecchè  il  corpo  riessi  i  purgare,  ibarae- 
sandosi  utilmente  'lì  ciò  che  rimanendo  en« 
ini,   ne  avrehb  ne    durando  lunga 

pesta  è  pericolo  >  ,  peco  che  tali  "li  i  inetta 
«li  isentei  ia  e  febbri  i  le  forte  i  ontuma.  Il 
pi  mio  -li    basta  il  ripoi  n  • ,  e  non    proni 

le  uscite  'li  «  »rpo,  Oi  •  di far 

nso  del  bagno,  prendere  un  poco  d1  ali 
melilo  m  e  i  listono  non  pare  isti  tersi  dal 
io  ni  ■in  e,  m  i  'o  ;''  'I  'I  bere.  Nel  seguente 
giorno  pei  •  randa  1 1  •■><■<  orrenu  .  dei esi 
parimenti  itare  in  riposo,  e  prendere  ^m 
pò1  d'alimenta  <li  qualità  oostrettiva.  Alter- 
zi  di   lodare   ìa   ba^no,  stropicciare  gtfUtrf 


postero  quoque  «Ne  fluet,  plus  edisse,  sed  vo- 
mere etiam.  Ex  tote,  donec  conquiescat,  con- 
tra  sili,  fame,  vomilu  niti.  Vix  enim  fieri 
polest,  ut,  post  hanc  animadversionera,  al- 
tus  non  contrahatur.  Alia  via  est,  ubi  ve- 
lis  suppriraere  :  coenare,  deinde  vomere  :  po- 
stero die  in  lecto  conquiescere  ;  vespere  un- 
gi, sed  leniter  :  deinde  panis  cicca  selibram 
ex  vino  amineo  mero  sumere;  tum  assum 
aliquid,  maximeque  avem  ;  et  postea  vinum 
idem  bibere  aqua  pluviali  raixtum  :  idque 
«sque  quintura  diem  facere,  iterumque  vo- 
mere. Frigidam  autem  assidue  potionera  es- 
se debere,  conlra  priores  auctores  Asclepia- 
des  affirmavit,  et  quidem  quam  frigidissi- 
roam.  Fgo  experimentis  quemque  in  se  cre- 
dere debere  existimo,  calida  potius,  an  fri- 
gida utalur.  Interdum  autem  evenit,  ut  id 
pluribus  diebus  neglectum,  curari  difficilius 
possit.  A.  vomilu  oportet  incipere  :  deinde  po- 
stero die  vespere  tepido  loco  ungi  :  cibum 
modicum  assumere,  vinum  meracum  quam 
asperriraum  ;  impositam  super  ventrem  ha- 
bere  cum  cerato  rutam.  In  hoc  autem  afife- 
ctu  corporis  neque  ambulalione,  neque  fri- 
elione  opus  est  :  vehiculo  sedisse,  vel  rnagis 
etiam  equo,  prodest  :  neque  enim  ulla  res 
magis  intestina  confirmat.  Si  vero  etiam  me- 
dicamenti* utendura  est,  aptissimum  est  id, 
quod  ex  pomis  fit.  Vindemiae  tempore  in 
grande  vas  conjicienda  sunt  pira  atque  mala 
silvestria  :  si  ea  non  sunt,  pira  tarentina  vi- 
ridia,  vel  signina,  mala  scandiana,  vel  ame- 
rina,  myrapia  ;  hisque  adjicienda  sunt  coto- 
nea,  et  cum  ipsis  corticibus  suis  punica,  sor- 
ba, et,  quibus  magis  utimur,  etiam  tormina- 
lia,  sic,  ut  haec  tertiam  ollae  partem  teneant  : 
tum  deinde  ea  musto  implenda  est  :  coquen- 
dumque  id,  donec  omnia,  quae  indila  sunt, 
liquata,  in  unitatera  quamdam  coeant.  Id  gu- 
stui  non  insuave  est  ;  et  quandocumque  opus 
est,  assumptum  leniter,  sine  ulla  stomachi  no- 
ia, ventrem  tenet.  Duo  aut  tria  cochlearia 
uno  die  snmpisse,  salis  est.  Alterum  valentius 
genus  :  myrtì  baccas  legere,  ex  his  vinum 
exprimere,  id  decoquere,  ut  decima  pars  re- 
maneat,  ejusque  cyathum  sorbere.  Tertium, 
quod  rpiandocurnque  fieri  polest:  malum  pu- 
DÌcam  excavare,  exemptisque  omnibus  semi- 
nibus,  ra<#mbranas,  quae  inter  ea  fuerunt, 
iterum  conjicere  :  tum  infundere  cruda  ova, 
rudiculaque  misccre  :  deinde  malum  ipsum 
super  prunaio  imponcre;  quod,  dum  humor 
ini us  est,  non  adurilur  :  ubi  siccum  esse  coe- 
pit,  removere  oportet,  exlraclumquc  cochlea- 
ri,  quod  intus  est,  edisse.  Aliquibus  adje- 
ctis,  majus  momentum  habet  :  itaque  eliain 
in  pi  pera  tum  ccjftjicitor,  misccturque  cura 
sale  et  pipere.  est  quid  r\  bis  edeudura  est. 
Pulticala  etiara,  cum  qua  pantana  ex  favo 
teiere  coctum  sii,  et  Icuticula  cum  walico- 
Celio, 


DELLA    MEDICINA  l53 

damente  tutte  le  parti  salvo  il  ventre:  av- 
vicinare al  fuoco  le  reni  e  le  spalle  :  man- 
giare sì  ma  cose  costringenti  il  ventre  ,  e 
bere  vino  non  in  troppa  quantità,  ma  puro. 
Se  il  dì  susseguente  seguita  ancora  la  diar- 
rea, mangiare  di  più,  ma  oltracciò  vomita- 
re. Egli  è  appena  possibile  che  dopo  tanto 
conflitto,  il  ventre  non  si  ristringa.  Ve  una 
altra  via,  ove  tu  voglia  sopprimere  il  flusso  : 
questue  di  cenare,  dappoi  vomitare:  il  se- 
guente dì  guardare  il  letto,  in  sulla  sera 
ungersi,  ma  dolcemente  :  indi  poi  prendere 
circa  mezza  libbra  di  pane  inzuppato  in  vi- 
no amineo  puro  :  quindi  qualche  arrosto,  a 
preferenza  un  uccello,  e  poscia  bere  del 
medesimo  vino  annacquato  con  acqua  pio- 
vana :  e  far  ciò  fino  al  quinto  dì,  e  rivo- 
milare.  Asclepiade  ,  contra  il  parere  degli 
antichi  autori,  sostenne  doversi  mai  sempre 
usare  bevande  fredde,  e  fredde  al  maggior 
segno  possibile,  lo  son  d'avviso  che  ciascu- 
no debba  in  le  provare,  se  fredda  o  non 
piuttosto  calda  sia  da  usare.  Ma  incontra  talo- 
ra che  questo  male  per  più  dì  trascurato  si 
possa  più  difficilmente  guarire.  Fa  d'uopo 
cominciar  dal  vomito  :  dipoi  alla  dimane 
sulla  sera  ungersi  in  luogo  tiepido:  mangiar 
parcamente  :  bere  vino  pretto  del  più  aspro: 
tener  in  sul  ventre  della  ruta  con  del  cerot- 
to. In  quest**  affezione  né  i  passeggi  conven- 
gono, né  le  fregagioni;  giova  il  moto  in  ca- 
lesse ;  e  più  ancora  il  moto  a  cavallo  :  nul- 
T  altra  cosa  essendovi ,  che  più  di  questo 
doni  forza  agl'intestini.  Se  poi  occorre  di 
usare  anche  dei  medicamenti,  convenientissi- 
mi  son  que1  fatti  di  frutta.  Nel  tempo  della 
vendemmia  si  pongono  in  un  gran  vaso  pere 
e  mele  salvaliche  :  in  disagio  di  queste  delle 
pere  tarantine  acerbe,  o  signine,  e  delle  mele 
scandiane,  o  amerine  e  delle  mirapie  :  a  que- 
ste si  aggiungono  mele  cotogne ,  e  melagrane 
colla  lor  buccia,  delle  sorbe,  e  ancora  delle 
torrainali,  di  cui  facciamo  più  uso,  sì  che  que- 
ste occupino  la  terza  parte  del  recipiente:  al- 
lor  si  empie  di  mosto  ,  e  si  fa  bollire  finailan- 
to  che  disfatte  le  cose  tutte  poste  là  entro,  sia- 
no una  massa  uniforme.  Questa  non  è  spiace- 
vole al  gusto,  e  ogni  qualvolta  ne  vien  biso- 
gno, presane  una  piccola  quantità  stagna  il 
ventre  senza  alcun  nocumento  dello  stomaco. 
Bastano  due  o  tre  cucchiaj  per  giorno.  Altro 
medicamento  più  forte  :  si  raccolgono  bacche 
di  mirto,  e  da  queste  se  ne  spreme  il  vino  che 
si  cuoce  fino  a  residuo  della  decima  parte,  e 
di  questo  se  ne  beve  un  ciato.  Un  altro  che  in 
qualsivoglia  tempo  può  farsi,  si  è  di  sventrare 
una  melagrana,  e  tratti  fuora  tutti  i  semi  ri- 
mettervi di  nuovo  le  membrane  che  fra  quel- 
li stavano  :  indi  vi  si  pongono  uova  crude,  e 
si  agitano  con  ispatola  :  ciò  fatto  collocasi  la 
melagrana  islessa  sopra  le  biage,  la  quale  iu- 

20 


,54 

rio  cocta,  escomiai  rubique  in  aqua  decada, 

et  ex  oleo  atque  aceto  assuiupta,  efficacia  sani 
atque  ea  aqua,  io  qua  vel  palmulae,  vel  ma- 
lum  cotoneutu,  vel  arida  sorba,  vel  rubi  de- 
cocti  sunt,  potata:  quod  genus  sifilitico,  quo- 
lies  potionem  dandam  esse  dico,  quae  ad- 
stringat.  TiìIìgì  quoque  hemiua  iu  vino  a- 
luiueo  austero  decoquitur  ;  idque  trilicum 
jejuno  ac  silienli  datar;  superque  id.  vi- 
num  id  sorbetur  :  quod  jure  valentissimi* 
medicamentis  adnuinerari  potest.  Atque  etiaiu 
potui  datar  viuuin  siguinum,  vel  rcsiuatuin 
austerum,  vel  quodlibet  austeruin.  Contun- 
di tur  que  cum  eortieibus,  seminibusque  suis 
punicuru  malum,  vinoque  tali  miscelili-  :  il- 
que  vel  meruru  sorbet  aliquis,  vel  bibil  mix- 
tum.  Sed  medicamenti:»  uti  ,  nisi  in  vehe- 
luentibus  inalis,  supervacuutn  est. 


e  e  l  »  o 


Caput  xxvii.  —  De  vulvae   morbo. 


fina t tanto  che  v1  è  dentro  dell1  umore,  non  si 
abbrucia:  allorché  comincia  ad  essere  secca 
convien  ri  tea  roda;  e  con  oucchiajo  estratto  ciò 
che  v' è  dentro  si  mangi».  Colla  giunta  di  al- 
cuna cosa  ha  maggior  efficacia  :  il  perchè  an- 
che s'  immerge  in  una  salsa  di  pepe,  e  si  me- 
scola con  sale  e  pepe,  e  si  avvalla  così.  Anche 
una  pastiglia,  con  cui  sia  bollito  un  pochetto 
di  vecchio  favo,  e  lenticchie  cotte  colla  scor- 
za della  melagrana  ,  e  le  cime  del  rovo  decot- 
te nell'acqua,  e  manicate  con  olio  ed  aceto  , 
sono  di  grande  virtù  :  e  bevuta  quell'acqua 
io  cui  sicn  cotti  o  dattili,  o  mele  cotogne,  o 
sorbe  secche,  o  rovo  :  la  quale  confezione  in- 
tendo ogni  qualvolta  dico  doversi  dare  una 
pozione  costreltiva.  Ancora  si  cuoce  una  emi- 
na di  grano  nel  vino  amineo  austero,  e  a  di- 
giuno ed  a  chi  ha  sete  si  dà  questo  grano,  e 
con  esso  si  beve  il  vino:  questo  si  può  a  ragio- 
ne annoverare  fra  i  più  valorosi  medicamenti. 
Si  porge  anche  del  vino  di  Segni,  ovvero  del 
vino  resinato  austero,  od  austero  qualunque. 
L  si  pesta  eolla  sua  scorza  e  co1  suoi  semi  una 
melagrana,  e  si  mescola  a  tal  vino,  e  1'  uomo 
il  beve  puro,  Oppure  misto.  Ma  far  uso  di  me- 
dicamenti, salvocliè  nei  mali  fortissimi,  è  cosa 
superflua. 

Cap.   xxvii.   Del  mal  della  matrice. 


1.  Lx  vulva  quoque  feminis  vehemens 
malum  nascilur  :  pro\imeque  ab  gtomacho, 
vel  affiatar  hacc,  vel  corpus  affici t.  Interdum 
etiam  sic  exaniinat,  ut  tainqu  ini  corniti. di  mor- 
bo prosternai.  Distai  (amen  hic  casus,  eo  quod 
ncque  orlili  \<  rluntur,  neespumae  prolluunt, 
in  .:  ih  i  \i  dUteodootur  -.  sopor  tantum,  est  Id- 
que quibusdam  remioii  crebro  revertena  per- 
ii '  unni  est.  l'I.i  incidi  I,  si  salis  vi  riunì  est,  san  - 
■Mih  iiihMh  i  ljuv.it  :  si  p§l  u  in  est.  cucili  bit  u  la  e 

i. uni  ii  dengendac  sunt  in  inguintbus.  Si  diu- 
ii  alioqui    jacere    consuevit, 
.nlinov  ■ poetet  naribui  exsujoctara  ex  lu- 
cerna linnmeiitniiK  vel  aliud    <\    il-,   quie  Ine- 

diorii  esse  odorii  retuli,  quod  mulierem  ex- 
eitet.  Ldemqoe  aqoae  quoque  frig  dae  perfu- 
sio  effieit.  àdjavatqne  i  al  i  contrita  cum  me\- 

l' .  rei  e\  .  \|»uiii>  ceratum,  rei  qaocUibel  ca- 
lidiiiu  et   ti u n j 1 1 1 ti  ni  cataplasma,    nataralibu* 
pube  teiuis  iui[. usituiii.  Inter  baec  etiam,  pei 
.  mi  is  et  poplitei  oportel   I  binde,  ubi 

•I  •    !i  »     |  i|  •  unii  iileuduiii     viniuii    est    in 

l'.luiu   animili,  eli  ohm    <   |fO|  idem   000   ic\.-i 

tiiur:  tiniioiir  quotidic  utenduno  lotioi  qui* 

ih- In   i  1)1  'BOI  iv    |> pUC   \  I  I  0     I  '  "I I  'il,    il    pO- 

pliluro :  abate!  media  materia  dandu 

apei  iuiiim  veni  i  em  tei  lio  quoque  ani 
quarto  dia  imponi  aduni,  dooe<  i  01  pus  ru- 
i         ìi  durities  m  inai    rn  »llire  i  oraroode  ri 

im  ni  l  \>  demi  ■•>■■■    deind 
trituui  ;  et  cera   alba  atque  i^  bilia  i  ei  \  ina 


i.  Anche  dalla  matrice  nasce  alle  femmine 
un  forte  male:  e  dopo  lo  stomaco  la  prima  od 
essa  patisce,  ovvero  essa  stessa  disordina  ,  e 
commuove  il  corpo.  Talora  anche  toglie  i  sen- 
si così  che  stramazza  la  donna  (ione  nel  mal 
caduco.  Differisce  però  colai  accidente  in  (io 
che  uè  gli  «.echi  si  stravolgano,  uè  la  bocca  fa 

schiume,  né  v"  ha  distendimento  di  nervi  :  so- 
lo v1  è  il  sopore.  Questo  malanno  ad  alcuno 
femmine  spesso  ritornando,  dura  per  tutta  la 
vita.  Allorché  Sopraggiugne,  se  le  forze  noi» 
sono  deficienti,  la  cacciata  del  sangue  vale  as- 
sai :  in  caso  contrario  si  pongono  le  coppello 
Igl1  inguini.  Se  o  per  lungo  spazio  di  tempo 
gi  i  e  assopita,  (J  se  per  altro  fu  solita  giacer- 
vi, fa  d1  uopo  recare  alle  nari  un  lucignolo 
estinto  di  un  lume  .  Of fero  alcun-1  altra  cosa. 
che  mandi  fetido  odore,  onde  riscuola  la  don- 
na. Il  medesimo  fa  pure  l'acqui  fredda  spruavi 

/.;itale  in  volle  I   lile  è    altresì  la  rutfa  amiiiae- 

cata  col  nule,  od  il  (ciotto  ciprino.  |o  qualsivo- 
glia altro  Cataplasma  umido  e  (aldo  posto  al- 
le parli  naturali  lino  al    pube.  In  questo  me/ 

/.,  si  i  on viene  incora  stropicciar  le  cosce  «■  le 
ai  nocchie.  Dipoi  dacché  in  se  rinvenne,  biso- 
gne Melarle  il  vino  per  un  anno.  aACOTchc  il 
mo  insulto  non  le  ritorni  più  :  si  soglio- 
no usare  le  fregagioni  i  tatto  il  corpo,  in  po- 
ti, oi.u  modo  al  ventre  ed  ai  poplilti  i  dure  ali- 
menti della  (lasse  me/./.ana  :  v  o^'iii  Ire  0  qual 
Irò  di  porre  della  M  DAfU    in  sul  vcutic  lino  a 


cani  irino,  aut  sevum  taurinum  vel  caprium 
cura  rosa  mixtum.  Dandum  otiam  potui  vel 
castoreum  est,  vel  gith,  vel  anethum.  Si  pa- 
rum  pura  est,  pungetur  junco  quadrato.  Si 
vero  vulva  exulcerata  est,  ceratura  ex  rosa 
fìat,  et  recens  suilla  adeps,  et  ex  ovis  album 
roisceatur,  idque  apponatur;  vel  album  ex 
ovo  cura  rosa  mixtum,  adjeclo,  quo  facilius 
consistat,  contritae  rosae  pulvere.  Dolens  ve- 
ro ea  sulphure  suffumigari  debet.  At  si  pur- 
galo nimia  m  uberi  nocet,  remedio  sunt  cu- 
furbitulae,  cute  incisa,  inguinibus  vel  etiam 
«ub  mammis  admotae.  Si    maligna  purgatio 

est,  subjicienda  sunt coeunlia. 

Id  faciunt  etiam  albae  olivae,  et  nigrum  pa- 
paver  cura  melle  assurnptum,  et  gurami  cura 
trito  semine  apii  liquatum,  et  cum  cyatho 
passi  datum.  Praeter  haec,  in  omnibus  vesi- 
cae  doloribus  idoneae  poliones  sunt,  quae  ex 
odoribus  fiunt,  id  est,  spica  nardi,  croco,  cin- 
riamo,  casia,  similibusque  :  ideraque  etiam  dc- 
cocta  lentiscus  praeslat.  Si  tamen  intolerabi- 
lis  dolor  est,  et  sanguis  profluit,  e  tiara  san- 
guinis  detractio  apta  est  ;  aut.  certe  coxis  ad- 
motae cucurbitulae  cute  incisa. 


BELLA    MEDICINA  1  55 

che  la  parie  si  faccia  rossa.  Se  rimane  della 
durezza,  sembra  che  ottimamente  mollifichi  il 
solano  infuso  nel  latte,  e  quinci  ammaccato  e 
mescolato  a  cera  bianca,  a  midolla  di  cervo  e 
pomata  d1  iride  :  oppur  sevo  taurino  o  capri- 
no con  olio  rosato.  Dassi  altresì  a  bere  deco- 
zione di  castoro,  o  di  nigella  o  d'aneto.  Se  la 
donna  ha  delle  impurità  ,  si  purga  col  giunco 
quadrato.  Se  poi  esulcerata  è  la  matrice,  si 
compone  un  r cerotto  d'olio  di  rose,  e  si  me- 
scola insieme  fresco  adipe  porcino,  ed  albumi 
d'uovo,  e  si  applica  :  ovvero  albume  d  uovo 
mescolato  con  olio  rosato  giuntavi ,  perchè 
prenda  più  facilmente  consistenza,  polvere  di 
fiori  di  rose.  Se  la  matrice  duole,  devonsi  fa- 
re fumigazioni  di  zolfo.  Ma  se  nuoce  alla  don- 
na la  soverchia  purgazione,  vi  si  ripara  attac- 
cando delle  coppette  incise  alle  anguinaja,  od 
anche  sotto  le  poppe.  Se  il  purgamento  è  di 
rea  natura,  fa  mestieri  mettere  nelle  parti  ge- 
nitali de' coagulativi  (i).  Producono  questo 
anco  le  olive  bianche, ed  il  papavero  nero  pre- 
so col  mele,  la  gomma  stemperata  col  seme 
pesto  doppio,  e  dato  in  un  bicchier  di  passo. 
Olirà  questi  rimedi  sono  in  tutti  i  dolori  del- 
la vescica  acconcie  le  bevande  fatte  di  sostan- 
ze odorifere,  come  sarebbe  la  spicanardi,  il 
croco,  il  cinnamomo,'!»  cassia  e  smaglianti  :  la 
medesima  virtù  la  gode  anche  la  decozione  di 
lentisco.  Se  però  il  dolore  è  intollerabile,  e  i 
sangui  fluiscono,  convenevole  è  anche  la  mis- 
sione del  sangue,  od  almeno  le  coppette  scari- 
ficate alle  cosce. 


De  urinae  nimia  profusione. 

2.  At  cum  urina  super  potionum  rnodum 
etiam  sine  dolore  profluens  maciem  et  peri- 
culum  facit,  si  tenuis  est,  opus  est  exercita- 
tione  et  frictione,  maximeque  in  sole,  vel  ad 
isnem  :  balneum  rarum  esse  debet,  ncque 
longa  in  eo  mora  :  cibus  comprimens  :  vimini 
austerum  meracum,  per  aestatem,  frigidari), 
per  hiemem,  egelidurn  ;  sed  tantum,  quantum 
minimum  sit.  Infima  alvus  quoque  vel  du- 
cenda,  vel  lacte  purganda  est.  Si  crassa  uri- 
na est,  vehementior  esse  debet  et.  exercita- 
tio,  et  frictio  :  longior  in  balneo  mora  :  ('ibis 
opus  est  teneris  :  vinum  idem.  In  ulroque 
morbo  vitanda  omnia  sunt,  quae  urinam  mo- 
vere consuerunt. 


Della  soverchia  profusione  delV  orina. 

2.  Ma  l'orina  fluendo  oltre  la  misura  della 
bevanda  ancorché  senza  dolore,  cagiona  maci- 
lenza e  nocumento  ;  se  dessa  è  tenue  convie- 
ne esercitarsi,  e  fare  delle  fregagioni  massima- 
mente al  sole  od  al  fuoco:  prendere  di  rado  il 
bagno,  e  non  farvi  lunga  dimora:  cibi  costri- 
gnenli  ,  vino  austero  puro  ,  freddo  di  slate, 
tiepido  di  verno,  ma  solo  nella  menoma  <m..ii- 
tità  possibile.  Vuoisi  inoltre  sgombrar  1  alvo 
co1  cristeri,  o  purgarlo  col  latte.  Se  l1  orina  è 
crassa,  più  gagliarda  si  conviene  l'esercitazione 
e  la  fregagione  :  più  lunga  fa  permanenza  nel 
bagno  :  i  cibi  vogliono  esser  tenui,  il  vino  lo 
stesso.  In  entrambi  i  casi  schifar  si  deve  tutto 
che  è  usato  provocar  le  orine. 


(i)   Qui   v'ha  nel    testo  una   lacuna,  in     Jallic 
cui   si   doveva  comprendere  la   line  delle  ma-     della 


della  matrice,  ed  il   principio  di   quelle 
>  eteica. 


i5G 


CELSO 


Caput  xxviii.  —  De  semini 's  nirnia  ex         Cap.  xxviu.  —  Del  profluvio  eccessivo 
naturalibus  profusione.  del  seme  dalle  parti  naturali. 


Est  etiani  eirca  naturalia  vitiura,  nimia 
profasio  serainis,  quod  sine  venere,  sine  no- 
cturnis  imaginibus  sic  fertur,  ut,  interposto 
spatio,  tabe  hominem  consumai.  In  hoc  af- 
fectu  salutare  sunt  vehementes  frictiones, 
perfusiones,  n:\fationesque  quam  frigi  di  ssi- 
mae  :  neque  cibi,  nec  polio,  nisi  frigidi  as- 
sumpla.  Vitare  antera,  oportet  cruditates,  et 
omnia  influiti»  :  nihil  ex  iis  assumere,  quae 
contrari  ere  sejmen  videntur  ;  qaalia  sunt,  si- 
Iigo,  limila,  ova,  allea,  amvlum,  omnis  caro 
glutinosa,  piper,  eruca,  bulbi,  nuclei  pinci. 
Nequc  alienum  est,  foverc  inferiores  partes 
aqoa  tfeoocta  ex  verbenis  comprimentibus  ; 
exiisdem  aliqaa  cataplastnata  imo  ventri  in- 
guinibusqoe  circamuare ;  praecipueque  ex 
aceto  rata m  :  vitare  et  ne  supinus  obdormiat. 


Le  parti  naturali  ancora  vanno  soggette 
ad  un  vizio  che  è  la  soverchia  profusione  del 
seme,  il  quale  senza  venereo  diletto  e  senza 
notturne  immagini  per  guisa  fluisce,  che  a 
capo  di  alcun  tempo  ne  fa  perir  di  labe.  In 
quesl'  affezione  sono  salutifere  le  fortissime 
fregagioni,  Io  spargersi,  e  il  nuotare  in  acque 
freddissime  ;  e  nuovo  alimento  e  niun  beve- 
raggio pigliare  che  freddo  non  sia.  Mestieroò 
inoltre  fuggire  \c.  indigestioni,  e  tutte  le  so- 
stanze ventose:  e  non  prender  ninna  di  quel- 
le che  sembrano  poter  accrescere  la  copia  del 
seme  :  quali  la  siligine,  il  fior  di  farina,  le  uo- 
va, la  spelte,  V  amido,  ogni  carne  glutinosa, 
il  pepe,  la  ruchetta,  i  bulbi,  i  pinocchi.  E  non 
è  illaudabile  fomentare  le  parti  d'abbasso  con 
decozioni  d'erbe  costrettile,  e  impiastri  fatti 
di  esse  erbe  apporre  agi1  inguini  ed  all'  imo 
ventre  :  e  singolarmente  la  ruta  infusa  in  ace- 
to, e  guardarsi  bene  a  non  dormir  supino. 


Cam  r  xxiw  —   De  coxarum  morbi s.         Cap    xxix.  —  Delle  mal  itlie  delle  cosce. 


Supercst,  ut  ad  extremas  partes  corpo  - 
ris  veniam,  quae  articulis  inter  se  conseruu- 
tur.  Inilium  a  coxis  faciam.  Harum  ingens 
dolor  esse  consuevit  :  isque  hominem  saepe 
debilitai,  et  qoosdam  non  dimittit.  Eoque  i«l 
genns  dimcilliraecuratnr,  qnod  fere  posi  lon- 
gos  morbos  vis  pestifera  huc  se  inclinai  :  quae 
"t  alias  parte!  liberat,  sic  hanc  ipsam  quo- 
qae  afXeelam  prehendit.  Fovendum  primum 
aqna  ealida  esi  ;  deinde  atendum  calidis  c<\- 
taplasmalit.  Maxime  prodesse  videi nr,  aut 
«•uni  hordeacea  farina,  aut  eum  ficu  ei  aqua 
i  raixtus  capparis  cortex  concisus  ;  vcl 
l"lii    farina    ex     vino    dilulo   corta,   et    mixta 

«'um  aridi  (".•••<-  •  :  qnae  quia  refrigescuut,  ira- 
ponere  noeta  mafagmata  eommodius  est.  Ina- 
lae  qnoqne  radii  contata,  et  postea  ex  vino 
austero'  corta,  et  late  saper  coxa  ni  imposi  ta, 
inter  valentissima  auxilìa  est.  Si  ist.i  non  i  .1- 
verunt,  sale  calida  et  bamido  aieuduai  est. 
5i  nec  sin  quiden  lìnitus  dolor  est.  .mi  iu- 
nior ei  eeeedit,  incisi  ente  admovendae  sunt 
csjcnrbitnlae  ;  movends  orina,  alvns,  li  coio- 
i  est,  dacen ds  Diti  unni  est,  et  in  ve- 
I  eri  hai  qa  >qa  m  irhii  ,  ni  icissimam,  tribus 
"il  <  |  m  tino  |  . ,.,,,,.  catera   caa- 

dentinai    I  pi  imeni  i  i   esuli  et  ire.    Fri  l   

quo  iac  al  radura  est,  ai  ixime  in  sole.  .  i  <•  . 
nera  die     eptns  ;  quo  I  u  iliui  •  i.  quei 
ondo  no    lernnl   digeranlnr:   eaqoe.  li  nulla 

1 1 :  on  q.sis  coxis:  si  esl 
teris  partihus  adhibenda  est    Cerni   vero  sae- 
i  '  r  indura  can  lenti  feri  ami  n  - 

at  m  '  ria  inaltlli  evocetur,  illud  km  r- 


Resla  ora  che  ragionisi  fier  me  delle  estre- 
me parli  del  corpo,  le  quali  si  enunci  Inno  Ira 
sé  per  via  d1  articoli.  E  mi  farò  dalle  cosce.  In 
queste  suole  insorgere  un  veement issimo  do- 
lore, che  spesso  storpia  il  malato,  e  in  certuni 
dura  per  sempre.  E  quest'ai  ciacco  malagevol- 
mente  si  cura,  perciocché  per  1"  più  dopo  diu- 
turni morbi  la  infetta  malizia  quivi  fa  impeto, 
e  si  ratina  :  la  quale  come  delibera  le  altre 
parli,  cosi  assale  quesf  Messa  tutta  Via  affètta. 
Devesi  sulle  prime  far  fomenti  d'acqua  calda, 
passar  poscia  all'uso  di  caldi  impiastri  I".  sem- 
bra sopra  ogni  rosa  far  pio  la  scorza  dei  cap- 
peri sminuzzala,  ed  intrisa  o  con  farina  d'or/o, 
o  eon  fichi  colli  in  acqua  :  oppa  re  la  farina 
del  loglio  cotta  oel  vino  annacquato,  e  mesco- 
lala con  fecali  secca,  i  quali  malanimi  poi- 
ché li  raffreddano,  toma  più  utile  porli  di 

uniti».     V'ha    puri-     infra    i    più     valenti    aiuti 

la  radice  d1  inula  trita,  a  poscia  in  xino  Bo- 
llerò cotta,  ed  impiastrala  su  tutta  la  coscia. 
Se  tutti  questi  rimedi  non  giungono  a  ri- 
muovere    il    dolore,    devesi    f»r    uso     del    s  de 

amido  e  cai  I"  E  se  ne  neppnr  cosi  viene 
il  dolore  :|  i  ■  in  i  che  ri  si  aggiunga  lo 
eoli  inolilo  ii  mei  tei  .omo  le  ventose  i  la  - 
gì  io  :  si  provocheranno  le  orine;  i  se  Palvo 
è  costipato,  li  muoverà  co'crUteri  Estremo 
rimedio  .d  anche  ne1  vecchi  malanni  eini  i 
cìssimo,  e  r  addustare  eoo    ferri  roventi  in 

Ire  0  «pillilo  luo-lii  l.i  coscia.  Vuoisi  anco- 
ri fu  l.'  freghe,  massimamente  al  sole,  e 
pio  volte  lo  slesso  di.  acciocché  più  facil- 
mente  ài   sciolgano   quegli   amori   <l>c   per 


DELLA    MEDICINA 


petuum  est,  non,  ut  primum  fieri  polest,  hu- 
j^is  generis  ulcera  sanare  :  seti  ea  trabere,  do- 
nec  id  vitium,  cui  per  haec  opitulamur,  con- 
quiescat. 


Caput  xxx.  —  De  genuum  dolore. 

Coxis  proxima  genua  sunt  ;  in  quibus 
ipsis  nonnumquam  dolor  esse  consuevit.  In 
iisdem  autem  calaplasmatis  cucurbitulisque 
praesidium  est  :  sicul  eliam,  cimi  in  humeris, 
aliisve  commissuris  dolor  aliquis  exortns  est. 
Equi  tare  fi,  cui  gcnua  dolent.  inimicissimum 
est.  Omnes  autem  ejusipodi  dolorcs.  uhi  in- 
veteraverunr,  vix  citra  uslioiiem  hniunlur. 


Caput  xxxi.  -f-  De  manuum  et  pedi/m 
artici/lo  ruma  uè  vitiis. 

In  manihus  pedibusque  arliculoium  vi- 
tia  frequcntiora  lon»:ioraque  soni  ;  quae  in 
podagris  ohiragrisve  esse  consuei  uni.  La  raro 
Tel  castratos,  Tel  pueros  ante  feminae  coitimi, 
Tel  rnulieres,  nisi  quibus  menstrua  suppressa 
sunt,  tenlant.  Ubi  sentiri  coepcrunt,  sanguis 
miltendus  est  :  id  enim  inler  initia  statini 
factum,  saepe  annuam,  nonnurrquam  perpe- 
tualo valetudinem  bonam  praestat.  Quidam 
eliam,  cum  asinino  lacte  epolo  sese  eluissent, 
in  perpetuum  boc  malum  evaserunt.  Quidam, 
cum  loto  anno  a  vino,mulso,  venere  sibi  tem- 
porasscnt,  securitatem  totius  vitae  conseculi 
sunt.  Idque  utique  post  primum  dolorcm  ser- 
Tandum  est,  eliamsi  quievit.  Quod  si  jam 
consueludo  ejus  facta  est,  polest  quidem  ali- 
<iuis  esse  securior  iis  temporibus,  quibus  do- 
lor se  remisit  :  majorem  Tero  curarci  adhibe- 
re  debet  iis,  quibus  id  revertilur;  quod  fere 
vere  autumnove  fieri  solet.  Cum  vero  dolor 
urget,  mane  geslari  di  bel  ;  deinde  ferri,  inam- 
bulatione  leni  se  dimovere,  et.  si  podagra  est, 
interposilis  temporibus  exiguis,  imiccm  mo- 
liti s(  d<  re,  inodo  ingredi  ;  tum,  anlequam  ci- 
bum  capiat,  sine  balnco,  loco  ealido  leniler 
perfricari,  rodare,  perfundi  aqua  egelida,  de- 
inde cibimi  sumere  ex  media  maleria,  inler- 
positis  rebcM  ut  inani  movenlibus;  quoliesque 
plenior  est,  evomere.  Ubi  dolor  vehemens 
urgel,  interest,  «'ne  I umore  is  sii,  an  (amor 
cum  calore,  an  Iunior  jam  eliam  obealluerit. 
Nam  si  iunior  nnlliM  esl  ,  calidii  fomenlis 
opus  esl.  Aquam  marinaro,  vel  muriam  du- 
ram  fervefaecre  oportel  ,  deinde  in  pelvcm 
conjicere,  ef,  (imi  jam  homo  pali   polest.  pe- 


157 

lo  ispissimenlo  dettero  occasione  al  male:  e 
queste  se  non  vi  sono  esulcerazioni,  si  pra- 
ticheranno anche  sulle  cosce  islesse,  e  se  vi 
sono  sulle  rimanenti  parli.  Egli  è  generale 
avvertenza  dovendosi  più  volte  con  ferro  ro- 
vente incendere  alcuna  parie  ,  onde  trarne 
la  nociva  maleria,  di  non  sanare  quesle  ul- 
cere sì  tosto  come  potrebbesi,  ma  mante- 
nerle aperte  persino  a  che  vinto  resti  quel 
male,  a  cui   si  va  riparando  con  esse. 

Cap.  xxx.    —  Del  dolore  delle  ginocchia. 

Alle  cosce  prossime  sono  le  ginocchia, 
nelle  quali  pure  suole  non  rade  volle  de- 
siarsi dolore.  Ne1  medesimi  impiastri,  e  nelle 
coppelle  si  raggira  la  cura  ;  siccome  è  pure 
dei  dolori  delle  spalle,  o  (Fallre  arlicolazio- 
ni.  11  cavalcare  per  quei  che  hanno  doglie  ai 
ginocchi,  è  nimicissimo.  lutti  i  dolori  poi 
di  questa  falla  invecchiali  che  siano  ,  non 
cessano  quasi*  mai  senza  il  fuoco. 

Cap.    xxxi  —  Delle    malattie    delle  mani, 
dei  piedi  e  delle  giunture. 

le  mani  ed  i  piedi  vanno  soggetti  a 
malallie  articolari,  e  più  frequenti  e  più  diu- 
turne: queste  si  riferiscono  per  lo  più  alla 
podagra  od  alla  chiragra.  Esse  rado  infesta- 
no gli  eunuchi,  od  i  fanciulli  innanzi  la  pu- 
bertà o  le  donne,  eccetto  quelle  cui  si  so- 
no soppressi  i  mestrui.  Subito  che  comin- 
ciano a  farsi  sentire  ,.  devesi  Irar  sangue  : 
quest'operazione  falla  tosto  in  sul  principio 
ne  preserva  ben  sovente  per  un  anno,  e  tal- 
volta per  sempre.  Alcuni  coli' essersi  ben 
purgati  col  latte  d'asina,  scansarono  in  per- 
pcluo  questa  malaltia.  Altri  coli' essersi  a- 
stenuti  per  un  anno  intero  dal  vino,  dal 
mulso  e  dalla  venere,  si  assicurarono  dagli 
insilili  di  essa  per  lui  la  la  vita.  IVI  a  conviene 
assolutamente  mettere  in  esecuzione  tal  co- 
sa dopo  il  primo  ai  lacco,  ancoraché  sia  pas- 
salo. Che  se  poi  questi  mali  si  se»  o  fatti 
abituali,  può  altri  invero  esser  più  sicuro 
in  que'lempi,  ne'quali  sogliono  calmarsi,  ma 
bisogna  usare  maggior  avvertenza  in  quelli, 
ne1  quali  hanno  per  usanza  di  ritornare  :  il 
che  intervenir  suole  in  primavera,  od  in  au- 
tunno. Quando  poi  il  dolore  incalza,  devesi 
di  mallina  farsi  portare  in  lettiga,  od  usa- 
re altra  maniera  di  gestazione;  dipoi  fallo- 
si trasferire  al  luogo  del  passeggio,  ivi  muo- 
versi a  lento  passo;  e  se  è  podagra  ha  pic- 
cioli intervalli  di  tempo,  a  vicenda  ora  se- 
dersi, ora  camminare;  indi  prima  che  pren- 
da alimcn lo,  e  senza  fare  il  bagno  pian  pia- 
no stropicciarsi  in  luogo  caldo,  sudare,  gil- 
tarsi  addosso  dell'acqua  tiepida  :  poscia  man- 
giare rose  di  mezzana  nudrilura  interpolati- 


Ì38  CELSO 

des  demittere,  superque  pallam  dare,  et  vesti- 
mento legere  ;  paulatim  deinde  juxla  labrum 
ipsum  ex  eadem  aqua  leniter  infonderò,  ne 
calor  intus  destituat;  ac  deinde  noctu  cata- 
plasmata  calefacientia  iinponere,  maximeque 
hibisci  radicem  ex  vino  coctam.  Si  vero  Iunior 
calorque  est,  utiliora  sunt  refrigerantia,  recte- 
qae  in  aqua  quam  frigidissima  articuli  conti- 
nentur  ;  sed  neque  quotidie,  neque  diu,  ne 
nervi  lae  1  antur.  Imponendnm  vero  est  cata- 
plasma, quod  refrigeret  :  neque  tamen  in  hoc 
ipso  diu  permanenlum  ;  sed  ad  ea  traineun- 
dum  ,  quae  sic  reprimunt ,  ut  eraolliant.  Si 
major  est  dolor,  papaveris  cortices  in  vino 
coquendi,  miscendique  cimi  cenilo  sunt,  quod 
ex  rosa  factum  si t  :  vel  cerae  et  adipis  suillae 
tantumdem  una  liquandum,  deinde  bis  vinum 
miscendum.  atipie  ubi.  quod  ex  eo  imposi- 
tum  est,  incallii t,  deti'HÌiendum,  et  subinde 
aliud  imponendnm  est.  Si  vero  tumores  e  tiara 
obc.illuerunt,  et  dolent.  levat  spongia  impo- 
sita,  quae  subinde  ex  oleo,  et  aceto,  vel  aqua 
frigida  exprimitur;  aut  pari  portione  inter 
se  mixta  pix,  cera,  alumen.  Sunt  etiam  plura 
idonea  manibus  pedibusqne  malagmata.  Quod 
si  nihil  superimponi  dolor  patitili-,  id,  qood 
sine  tumore  est,  fovere  oportet  spongia,  quae 
io  aquam  calidam  demillatur.  in  qua  rei  pa- 
paveris  cortices,  vel  cucumeris  sii vestris  radix 
decocta  si t  ;  tum  inducere  art iculis  eroeum 
min  succo  p  ipaveris  et  ovillo  lacte.  Al  si  iu- 
nior est,  foveri  qaidem  debet  aqua  egelida,  in 
qua  Icntiscus,  aliare  verbena  ex  reprimenti hus 
deeocta  si  t  :  induci  vero  medica  montoni  ex 
nueibus  amarli  cara  aceto  tritìs:aut  ex  ce- 
russa, cui  con  trita  e  herbae  maraHi  succus  si  t 
adjectus.  Lapis  etiam,  qui  cameni  etédit, 
«picm  7ay<oz>rxyov  Groeci   rOCant,  eXClSUS,  sic, 

ut  pedei  capiat,  demissoi  eos,  cerni  dolent,  re- 
lentoi  [ne  ibi  levare  consuevìt  Earqoo  in  Asia 

lapidi  a  sin  gratis  est.  Ubi  dolor  et  in  Hai  nmal  io 

s-'  remisernnt  (qood  intra  dics  quadraginta 
tii.  nisi  \  ii  in  in  hominis  accessi i  )  modicii  exer- 
«  ii  etionibns,  abetinenri  »,  unctionibua  lenibos 
ntendam  est.  sic,  ut  etiara  scopo,  vel  liquido 
cerato  eyprino  articoli  perfricenlnr.  Eqoitare 
p  .  I  igricii  qooqoe  sllennra  est.  Qnibni  vero 
artico  lontra  dolor  eertii  temporibus  reverti- 
tur,  li os  .iiiie  el  curioso  vieta  estere  oportet, 
ne  inotilii  materia  corpori  so  persi  t,  el  ore- 
briore  vomita;  et.  si  quii  es  corpore  reetas 
est,  vel  alvi  doctione  uti,  vel  lacte  porgeri. 
Qoo  l  Brasistratus  in  podagricii  ex  polii  •  ne 
i.i  ini  '■  s  i  H  iijs  i  srsm  pedes  reple- 

ret  :  l'imi  evidens  sii.  ninni  pnrgatione  non 
superiora  lantani  modo,  led  elitra  inferiora 

eiin  miri. 


do  r  uso  di  cibi  provocativi  V  orina,  e  yo- 
mitaro  ogni  volta  sentesi  ripieno.  Allorché 
il  dolore  vivamente  ne  crucia,  egli  monta 
di  esaminare  se  è  #>nza  tumore,  e  se  il  tu- 
more è  accompagnalo  da  calore,  e  se  il  tu- 
more istesso  si  è  già  fatto  calloso.  Concios- 
siachè  se  non  v'ha  tumore  nessuno,  d'uopo 
è  di  caldi  fomenti.  Bisogna  far  iscaldare  del- 
l'1 acqua  di  mare,  ovvero  della  salame)) a,  poi 
versarla  in  un  catino,  e  subito  che  l'amma- 
lato la  può  comportare  ,  vi  deve  mettere  i 
piedi,  e  sopra  stendervi  una  coperta,  e  co- 
prir la  persona  cogli  abiti  :  vuoisi  dipoi 
poco  à  poco  versare  pianamente  presso  al- 
l' orlo  del  vaso  della  medesima  acqua  ,  ac- 
ciocché il  calore  vi  si  mantenga  costante- 
mente :  e  poscia  porvi  alla  notte  impiastri 
calefattivi,  e  specialmente  la  radico  dV ibisco 
cotta  nel  vino.  Nel  caso  che  v'  abbia  enfia- 
gione e  calore,  sono  preferibili  gì1  impiastri 
rinfrescativi,  e  con  assai  profitto  s'immer- 
gono le  giunture  nell'acqua  freddissima  ;  ma 
ciò  né  fare  si  vuol'*  ogni  dì,  né  per  lungo 
tempo,  onde  non  s'induriscano  le  nervatu- 
re. Conviensi  poi  porre  un  impiastro  rin- 
fresrativo,  né  in  questo  pur  si  deve  per  lun- 
go tempo  perseverare,  ma  vuoisi  passare  ;il- 
I'  aro  di  quelli  che  sono  ripercossivi  insie- 
me ed  ammollienti.  Se  il  dolore  è  l'orto 
molto,  si  fanno  cuocere  le  scorze  del  papa- 
vero noi  vino  .  e  si  mescolano  con  cerato 
fatto  d'olio  rosato:  ovvero  si  fa  liquefare 
insieme  cera  e  grasso  di  porco  a  parli  egu  •- 
li,  indi  si  mesce  a  queste  del  vino,  e  subi- 
to che  si  è  riscaldalo  quello  che  vi  si  era 
pOStO  di  questo  preparato,  si  toglie  via.  e 
ve  se  ne  appone  un  altro.  Se  le  enfiai  uro 
sono  ancora  callose  e  dolenti  ,  reca  sollievo 
1'  imporri  una  spunga  inzuppala  0  d"  olio, 
o  d'aceto,  ovvero  d'  acqua  fredda,  e  rinno- 
vala di  tanto  in  tanto  :  ovvero  una  mesco- 
lanza di  pece,  cera  ed  allume  ;i  quantità  c- 
ifiiale.  Più  altri  inainomi  si  trovano  KnOttl 
per    l.i    gotta    de'piedi     e    delle    mini.    Che    se 

il  dolore  non  può  tollerare  stenna  cosa,  quel- 
li parte  che  è    sente  gonfiamento,   bisogna 

fonieiil. ir    con    ispOgOS  ,    la    quale     l'immerge 

in  acqua  calda,  in  eui  si.i  bollila  corteccia 
ili  papavero,  ,,  radice  di  pocomero  selvati- 
co i  dipoi  ricoprire  le  articolazioni  di  zaffe- 
rano misto  ;il  sugo  di  pena  vero,  ed  al  latte 
•li  pecora.  Ma  se  s'hs  enfiagione,  vuoisi  al- 
lori fomentar  d'acqui  calduccia,  nella  qua- 
li- sii  collo  del  leulisco  (il  altra  cnslringeti- 
\,-  \  ri  li. mi. i  j  si  copre  poi  il  tumore  con  im- 
pi estro   di    mandorle    amare   peste  in   ardo  : 

o  veramente  di  cerussa,  i  cui  giunto  si.»  il 

silici,    ili    pai  ii  In  ia.    Anche    quelli    piclri    rlic 

mangia  le  carni,  e  che  i  Greci  chiamano 
tarcofagOi  scavata  In  guisa  che  dei  piedi 
m.  capevole,  allorché  questi  presi  da  dolori 


DE*LÀ    MEDICINA  l50y 

vi  si  pongono,  e  vi  si  ritengono,  suole  re- 
car sollievo;  e  perocché  si  trova  nell'Asia 
chiamala  è  pietra  asio.  Allorquando  il  dolo- 
re e  T  infiammazione  si  sono  calmati,  il  che 
accade  fra  quaranta  dì  (  se  non  vi  è  slato 
errore  per  parte  del  malato)  si  vuol  fare 
modiche  esercitazioni ,  astinenza  e  blande 
unzioni  sì  che  si  stropiccino  le  giunture  co» 
acopo,  o  con  ceralo  liquido  di  cipro.  Il  mo- 
to a  cavallo  è  ugualmente  contrario  ai  po- 
dagrosi.  Quei  che  sono  abituati  a  soffrire  a 
certi  determinati  tempi  il  dolor  degli  arti, 
devono  prima  di  questi  tempi  con  esattissima 
norma  di  vivere,  e  con  frequente  vomitare 
far  sì  che  non  venga  a  formarsi  nel  corpo 
un  ragunamento  di  disutile  materia  ;  e  se  si 
teme  dal  lato  del  corpo,  o  muoverlo  coli' u,so 
de1  cristeri,  o  purgarlo  col  latte.  Alla  qual  cu- 
ra Erasistrato  die  bando  nei  podagrosi,  temen- 
do non  T  umore  recandosi  nelle  parti  inferio- 
ri ne  rimanessero  gravati  i  piedi  ,  mentrechè 
egli  è  cosa  evidente  che  qualsiasi  purgamento 
non  solamente  le  parli  superiori,  ma  anche  le 
inferiori  disgombra. 


caput  xxv.  —  De  ref&ctìone  convale- 
scentium  a  morbo  . 


Cap.  xxxii.  —  Delle  restaurazioni  dei 
convalescenti. 


Ex  quocumque  aulem  morbo  quis  con- 
valescit,  si  tarde  confirmatur,  vigilare  prima 
luce  debet  ;  nihilominus  in  lecto  conquiesce- 
re  :  circa  tertiam  horam  leniter  unctis  mani- 
bus  corpus  permulcere  :  deinde  delectationis 
caussa,  quantum  juvat,  ambulare,  circumcisa 
omni  negotiosa  actione  :  tura  gestari  diu  : 
multa  friclione  uti:  loca,  coelum,  cibos  saepe 
mutare  :  ubi  triduo  quatriduove  vinum  bibit, 
uno  aut  etiam  altero  die  interponere  aquam. 
Per  haec  enim  fiet,  ne  in  vitia  tabero  inferen- 
tia  incidat,  et  ut  mature  vires  suas  recipiat. 
Cum  vero  ex  toto  convaluerit,  periculose  vi- 
tae  cenus  subito  mutabit,  et  inordinate  aget. 
Paolatim  ergo  debebit,  omissis  his  legibus, 
co  transire,  ut  arbitrio  suo  vivat. 


Da  quantunque  male  poi  altri  risani,  se 
lentamente  si  va  rimettendo,  deve  sul  far  del 
dì,  svegliarsi  ;  e  tuttavia  trattenersi  in  letto  a 
riposo  :  attorno  l'ora  quarta  con  le  mani  unte 
mollemente  stropicciarsi  il  corpo  :  dipoi  fin- 
ché gli  aggrada,  o  camminare  a  diporto,  mes- 
sa da  banda  e  via  cacciata  ogni  pensierosa  sol- 
lecitudine o  lavoro.  Indi  farsi  portare  per  lun- 
go spazio  di  tempo:  usar  molto  le  freghe; 
luogo,  aria,  alimenti  spesso  cangiare:  dopo 
aver  bevuto  vino  per  tre  o  quatto  dì  inter- 
porvi  l'acqua  per  un  giorno  od  anche  per  due. 
Imperocché  per  queste  cose  avverrà  che  non 
s1  incorra  in  vizi  apportatori  di  tabe,  e  che  al 
più  tosto  il  convalescente  ricuperi  le  usate 
forze.  Quando  poi  altri  si  sia  al  tutto  rimesso, 
non  potrà  che  a  suo  rischio  e  cangiare  ad  un 
tratto  questo  tenor  di  vita,  e  condursi  srego- 
latamente. Per  lo  che  dovrà  poco  a  poco,  da 
queste  regole  discostandosi  ,  aggiugnere  al 
punto  di  vivere  a  suo  senno. 


A,  CORN.    CELSI 


DELLA  MEDICINA 


DE  MEDICINA 


DI  AULO  CORN.  CELSO 


PRAEFATIO 


PREFAZIONE 


Disi  de  iis  rualis  corporis,  quibus  victus 
ratio  maxime  subvenit:  nunc  transeundum 
est  ad  eam  medicinae  partem  ,  quae  magis 
medicamentis  pugnat .  His  multum  antiqui 
auctores  tribuerunt,  et  Erasistratus,  et  ii  qui 
se  i[xirzi?ix.ou<;  nominaverunt  ;  praecipue  ta- 
roen  Herophilus,  duductique  ab  ilio  viri  ;  adeo 
ut  nullum  morbi  genus  sine  his  curarent. 
Multaque  etiam  de  facultatibus  medicamen- 
torum  memoriae  prodiderunt ,  qualia  sunt 
vel  Zenonis,  vel  Àndreae,  vel  Apollonii,  qui 
Mys  cognorainatus  est.  Horum  antera  usum 
ex  magna  parte  Asclepiades  non  sine  caussa 
sustulit  ;  et ,  cura  omnia  fere  medicamenla 
sto  ma  eli  uni  laedant,  malique  succi  sint,  ad 
ipsius  victus  rationem  potius  oranem  curam 
suam  transtulit.  Veruni,  ut  illud  in  plerisque 
morbis  utilius  est,  sic  multa  admodum  cor- 
poribus  nostris  incidere  eonsuerunt;  quae  si- 
ne medicnmentis  ad  sanitatem  pervenire  non 
possunt.  Illud  ante  omnia  scire  convenit,  quod 
omnes  medicinae  partes  ita  innexae  sunt,  ut 
ex  loto  separarinon  possili!;  sed  ab  eo  nomen 
trahant,  a  quo  plurimum  petunt.  Ergo  et  iJ la, 
quae  victu  curat,  aliquando  medicamentum 
adhibet,  et  illa,  quae  praecipue  medicamentis 
pugnat,  adhibere  etiam  rationem  victus  de- 
bet;  quae  multum  admodum  in  omnibus  raa- 
lis  corporjs  proficit.  Sed  cum  omnia  medica- 
menta  propria*  facultates  habeant,  ac  saepe 
simplicia  opitulenlur,  saepe  mixta;  non  alie- 
nuni  videlur  ante  proponere  et  nomina,  et 
vires,  et  mixturas  eorum  ;  quo  minor  ipsas 
curafiones  exsequenlibus  mora  sit. 


Fin  qui  io  trattai  di  quelle  malattie  del 
corpo,  alle  quali  principalmente  sovviene  la 
ragion  del  vivere;  ora  si  vuol  passare  a  quel- 
la parte  di  medicina  che  più  adopera  i  me- 
dicamenti. Grande  virtù  attribuirono  ad  es- 
si gli  autori  antfehi,  fra  i  quali  Erasitrato, 
e  coloro  che  a  sé  il  nome  donarono  di  em- 
pirici: specialmente  però  Erofilo,  e  i  segua- 
ci suoi  in  tanto  che  ninna  condizione  di  ma- 
lattia curassero  senza  di  quelli.  E  molte  o- 
pere  ancora  dettarono  intorno  alle  facoltà 
dei  medicamenti,  quali  sono  quelle  di  Zeno- 
ne, di  Andrea  e  di  quell'Apollonio  che  è  so- 
prachiamato  Mys.  Ma  Asclepiade  levò  in  gran 
parte  non  senza  cagione,  Fuso  di  essi;  e  po- 
sciachè  quasi  tuU'  i  medicamenti  offendo- 
no lo  stomaco,  ed  ingenerano  malvagi  succhi, 
trasferì  tutta  la  cura  piuttosto  alla  jragion 
del  vivere  istesso.  Ma  come  questo  nella  più 
parte  delle  malattie  è  più  giovatilo  ,  così  so- 
gliono tal  fiala  insorgere  assaissime  infermi- 
tà ne1  corpi  nostri,  le  quali  senza  medica- 
menti rimuovere  non  si  possono.  E  innanzi 
tutto  si  convien  sapere  essere  tutte  le  parli 
della  medicina  così  tra  sé  congiunte  e  lega- 
te che  al  tutto  disgiugnere  non  si  possono, 
ma  da  quel  fonte  il  nome  derivano,  donde 
ritraggano  il  più.  Per  la  qual  cosa  come  quella 
parte  che  col  tenor  del  vivere  cura,  alcuna 
volta  le  medicine  adopera,  intanto  che  con 
esse  in  ispecial  modo  le  infermità  combatte, 
così  deve  pure  anche  mettere  in  uso  la  nor- 
ma del  vivere,  la  quale  è  in  tutte  le  malattie 
del  corpo  maravigliosamente  profìcua.  Ma 
conciossiaché  tutti  quanti  i  medicinali  abbia- 
no speciali  virtù,  e  che  spesse  fiate  giovino 
i  semplici,  spesse  fiate  i  composti,  egli  npn 
pare  ìncovencvole  di  esporre  anzi  ogni  cosa 
e  i  loro  nomi  e  le  virtudi  e  le  mescolanze, 
onde  minore  ritardo  incontrino  quei  chi  de- 
vono le  cure  istessc  intraprendere. 


Celso. 


LIBER       QUINTUS 


Caput  i.  —  D§  simplicibus  facullatibus  Cap.  I. —  Delle  facoltà  scmpliciidelle  cb$», 

quarumcumque  rerum,  ex  quibus  me-  delle    quali  si  fanno  i  medicamenti: 

dicamenta  sunt :  et  primo  de  his  quae  e   prima    di  quelli    ch§    stagnano    il 

sanguinem  supprimunt.  sangue. 


Sanguinerà  supprimunt,  atramentum  su- 
toriura  ,  quod  Graeci  ^eéAxayfoy  appellant  , 
chalcitis,  acacia,  et  ex  aqua  lyciura,  thus,  aloe, 
gummi,  plumbura  corabustum,  porrum,  ner- 
ba sauguinalis,  creta  Tel  cimolia  vel  figularis, 
misy,  frigida  aqua,  vinum,  acelutn,  aluraen, 
melinum,  squama  et  ferri  et  aeris;  atque  hujus 
quoque  duae  species  sunt,  alia  tantum  aerisi 
alia  rubri  aeris. 


Caput  11.  —  Quae  vulnus  glutinent. 

Glutinant  vulnus,  rayrrha,  thus,  gummi, 
praecipuequa  acanthinum,  psyllium,  traga- 
cantha,  cardamomum,  bulbi,  lini  scmen,  na- 
sturtium,  ovi  album,  gluten,  ichthyocolla,  vi- 
tis  a!ba,contusae  cura  testis  suis  cocbleae,  mei 
coctum,  sparagi*  Tel  ex  tqaa  frigida,  vel  ex 
vino,  Tel  ex.  aceto  expressa  ;  ex  iisdem  lana 
succida;  si  levis  plaga  est,  eliam  arauea. 


Heprimunt,  alumen  et  scissile, quod  v^i- 
trròv  Tocatur  ,  et  liquidimi,  indimmi,  auripig- 
mmtuin,  acrugo,  chalcitis,  atramentiuu  sulo- 
riiiu). 

Caput  ih. —  Quae  concoquant^  et  ruo- 
vea/it  pus. 

Concoquunt  Ci  movcnt  pus,  nardum  , 
ìrivrrha,  costimi,  bilvinium,  galbanum,  pro- 
poli!,  sl\rax,   thurìl   et    l'ulivo   el   coil.x.    I>i- 


liirncn,  pix,  inlpbur 
oleum. 


resina,  scruni. 


,  adeps, 


Caput  jv.  —  Quae  aperiant  vulnera. 

Aperiunl  tamquara  ora  iti  corporibus, 
quod  Tréfja  -.'iure  dici  tur,  cinnamomo  m  , 
Oilstnan,  panacea,  juncui  quadratus.  pule- 
giuni,  Boa  albae  riolàe,  bdcllium,  galbanum, 

i  i<:m  biothia  i  1 1  piaci  pi  opolis,  oleum 

fi)  Collo  o  disciolto.  Pliri.  lib.  i/j,  cap. 
i  \.  Wufmi  frkmmm  tjrlv§strisj  radice  de- 

<""■'     '"      ' '  •  1  " i  t    fit     iiiciluumc/itwn.     '/inni 
¥o<:ant  Ijt.tum 


Arrestano  il  sangue  il  Tetriolo  detto 
pe' Greci  calcanto,  il  falciti,  l'acacia,  e  il 
licio  nell'acqua  (i  ),  l' incenso,  V  aloe,  la  gom- 
ma, il  piombo  bruciato,  il  porro,  l'erba  san- 
guinella, l'argilla  sia  la  cimolia  (i),  sia  quel- 
la dei  pignatta],  il  misi,  l'acqua  fredda,  il 
vino,  l'aceto,  l'allume,  il  melino,  la  squama 
e  del  ferro  e  del  rame  ;  ma  di  questo  anco- 
ra avvene  due  specie,  1' una  del  rame  co- 
mune, V  altra  del  rame  rosso. 

Cap.  ii.  —  Dei  cicatrizzanti. 

Conglutinano  le  ferite  la  mirra,  l'incen- 
so, la  gomma  e  in  ispczial  modo  1'  acantino, 
il  psillio,  1' adraganti,  il  cardamomo,  le  cipol- 
le, il  seme  di  lino,  il  nasturzio,  l'albume  dcl- 
I'uoto,  il  glutine,  la  colla  di  pesce,  la  vitalba, 
le  chiocciole  peste  co' loro  gusci,  il  mete  cot- 
to, la  spongia  bagnata  e  nell'  acqua  fresca,  o 
nel  vino,  o  nell'  aceto  :  la  lana  sporca  ugual- 
mente nelle  medesime  cose  intinta  ;  o  se  lie- 
ve è  h  ferita  anche  la  tela  del  ragno. 

Coartano  e  1'  allume  scagliole  che  schi- 
sto  chiamasi,  e  il  liquido,  il  melino,  l'orpi- 
mento, la  ruggine  ,  la  calciti,  il  Tetriolo. 

Cip.   ni.  —  Dei  suppurativi. 

Digeriscono,  e  provocano  la  sopportatane 

il  nardo,  la  mirra,  il  costo,  il  balsamo,  il  gai- 
Inno,  il  propoli,  lo  stirane,  la  fuliggine  dello 
incenso  (^5)  e  sua  corteccia,  il  bitume,  la  \>rcr, 
Io  solfo,  la  resina,  il  sevo,    il  grasso,  l'olio. 

Cap.   iv.  —  Degli    aperitivi  Ir  ferite. 

Aprono  quasi  .i  modo  di  bocche  ne1  cor- 
ali, il  che  alla  greci  dicesi  stoma,  la  cannella, 
il   baiai il  pan ace,   il  giunco  quadrato,   il 

pllleffgio,  il  fior  della  violi  bianca,  il  bdclio. 
il  -libano,    la  nsina  di  terebinto  e  di  pino,  il 

(-•)  forra  di  quei  che  annotano  le  col- 
tella. 

(.1)    Ter   fuliggine    s'  intende   la   parte  di 

«l(  Olio 


vctus, 
taminia 


DELLA   MEDICINA  l63 

pipe*,  pyrebhrum,  charoaepitys,  uva     propoli,  V olio  vecchio,  il  pepe,  il  piretro,  la 
ia,  sulphur,  alunien,  rutae  semen.  iva,  l'uva  taminia,  lo  zolfo,  l'allume,  il  seme 

di  ruta. 


Caput  v.  —  Quae  purgene. 


Cap>  v.   —  DJ  mondificativi. 


Purgant,  aerugo,  auripigmentum,  quoti 
df9èviK.6v  a  Graecis  nominatur  (  huic  autem 
et  sandarachae  in  omnia  eadem  vis,  sed  vali- 
dior  est)  ;  squama  aeris,  puinex,  iris,  balsa- 
mura,  styrax,  thus,  thuris  cortex,  resina,  et 
pinea,  et  terebinthina  liquida,  oenanthe,  la- 
certi stercus,  sanguis  columbae,  et  palumbi, 
et  hirundinis,  ammoniacum,  bdellium  (  quod 
in  omnia  idem,  quod  ammoniacum,  potest; 
sed  valentius  est);  abrotonum,  ficus  arida, 
coccum  gnidium,  scobis  eboris,  ompbaciurn, 
radicula,  coagulum,  sed  maxime  leporinum 
(cui  eadem,  quae  ceteris  coagulis,  facultas, 
sed  utique  validior  est);  fel,  vitellus  crudus, 
cornu  cervinum,  gluten  taurinum,  mei  cru- 
dum,  misy,  chalcitis,  crocum,  uva  taminia, 
spuma  argenti,  galla,  squama  aeris,  lapis  hae- 
matites,  minium,  coslum,  sulphur,  pix  cruda, 
sevum,  adeps,  oleum,  ruta,  porrum,  lenticula, 
ervum. 


Capdt  vi.  —  Quae  rodant. 

Rodunt,  alumen  liquidum,  sed  magis 
rotundum,  aerugo,  chalcitis  ;  misy,  squama 
aeris,  sed  magis  rubri,  aes  combustum,  san- 
daracha,  minium  sinopi cum,  galla,  balsamura, 
myrrba,  thus,  thuris  cortex,  galbanum,  resi- 
na terebenthina  huraida,  piper  utrumque,  sed 
rotundum  magis,  cardamomum,  auripigmen- 
tum,  calx,  nilrum,  et  spuma  ejus,  apii  setnen, 
narcissi  radix,  umphacium,  alcyonium,  oleum 
ex  amaris  nucibus,  allium,  mei  crudum,  vi- 
num,  lentiscus,  squama  ferri,  fel  taurinum, 
scamraonia,  uva  taminia,  cinnamonum,  styrax, 
cicutae  semen,  resina,  narcissi  semen,  fel,  nu- 
ces  amarae,  oleumque  earum ,  atramentum 
sutorium  chrysocolla,  veratrum,  cinis. 


Hanno  virtù  raondificativa  il  verderame, 
l'orpimento,  che  nel  parlar  greco  è  detto  ar- 
senico, (  e  questo  ha  in  tutto  la  stessa  forza 
della  sandracca,  ma  un  po'più  forte),  la  schiu- 
ma del  rame,  la  pomice,  1'  iride,  il  balsamo, 
lo  slirace,  l'incenso,  la  scorza  di  esso,  la  ragia 
liquida,  sì  del  pino  che  del  terebinto,  renan- 
te, lo  sterco  di  lucerta,  il  sangue  di  colomba, 
del  palombo,  e  della  rondine,  l'ammoniaco, 
il  bdelio  (  che  possiede  affatto  la  slessa  forza 
dell'ammoniaco,  ma  è  più  forte),  l'abrotano,  il 
fico  secco,  il  cocco  gnidio,  la  limatura  dell'a- 
vorio, T  agresto,  la  radichetta,  il  caglio,  ma 
quel  di  lepre  principalmente  (al  quale  compe- 
tesi  la  medesima  facoltà  che  agli  altri  coaguli, 
ma  sì  più  forte  f,  il  fiele  del  toro,  il  giallo  di 
uovo  crudo,  il  corno  di  cervo,  il  glutine,  il 
mele  crudo,  il  misi,  la  calciti,  il  zafferano,  l'u- 
va taminia,  la  schiuma  d'argento,  e  del  rame, 
la  galla,  la  pietra  ematite,  il  minio,  il  costo,  lo 
zolfo,  la  pece  cruda,  il  sevo,  Sgrasso , "l'olio,  la 
ruta,  il  porro,  la  lenticchia,  l'ervo. 

Cap.  vi.  —  De  corrosivi. 

Corrodono  l'allume  liquido,  ma  più  il 
rotondo,  il  ver/derame,  la  calcili*  la  spuma  del 
rame,  ma  più  quella  del  rosso,  il  rame  calci- 
nato, la  sandracca,  il  minio  sinopino,  la  galla, 
il  balsamo,  la  mirra,  la  scorza  d'incenso,  il 
galbano,  la  ragia  umida  di  terebinto,  l'una  e 
1'  altra  sorte  di  pepe,  ma  più  il  rotondo,  il 
cardamomo,  1'  orpimento,  la  calce,  il  nitro,  e 
la  spuma  di  esso,  il  seme  dell'appio,  la  radice 
del  narciso,  1'  agresto,  1'  alcionio,  l'olio  delle 
noci  amare,  l'aglio,  il  mele  crudo,  il  vino,  il 
lentisco,  la  squama  del  ferro,  il  fiele  di  toro,  la 
scamonea,  l'uva  taminia.  il  cinnamomo,  lo 
stirace,  il  seme  di  cicuta  e  del  narciso,  la  ra- 
gia, il  sale,  le  noci  amare,  il  vetriolo,  ia  cri- 
socolla, l'elleboro,  la  cenere. 


Caput  vii.  —  Quae  exedant  corpus.  Cap.  vii.  —  Di  quei  che  consumano  il  corpo. 


Exedunt  corpus,  acaciae  succus,  hebe- 
nus, .aerugo,  squama  aeris,  chrysocolla,  cinis 
cyprius,  nitrurn,  cadmia,  spuma  argenti, 
hypocistis ,  diphryges,  sai,  auripigmenlum  , 
sulplmr,  cimla.  sandaraclia,  salamandra,  al- 
cyonium, aeris  flos,  chalcitis,  Htramenlum  su- 
torium, oclira.  calx  (  acetum  ),  galla,  alumen, 
lac  caprifici,''vel  lactucac  marinae  quae  riBu- 
fua\ìo;  a  Graecis  nominai, urfel,  thuris  Alligo, 
spodium,  lenticula,  mei,  oleae  folia,  mar$u- 


Consumano  le  carni  il  sugo  di  acacia,  l'e- 
bano, la  ruggine,  la  schiuma  di  rame,  la  cri- 
socolla,  la  cenere  cipria,  il  nitro,  la  cadmia, 
la  schiuma  d'argento,  l' ipocisti,  la  difrige, 
il  s;de,  l'orpimento,  il  zolfo,  la  ruchetta,  la 
sandracca,  la  salamandra,  l'alcionio,  il  fior 
di  rame,  la  calcili,  il  vetriolo,  l'ocra,  la  cal- 
ce, la  galla,  V  allume,  il  latte  di  caprifico, 
o  di  lattuga  marina,  la  quale  pei  Greci  det- 
ta è  titimalloi  il  fiele,  la  fuliggine  d'inccn- 


lG'|  CELSO 

bium,  lapis  haematites.  et  phrygius.  et  asius,     so,  lo  spodio,  la  lenticchia,  il  mele,  le  foglie 
et  seissilis.  misy.  vinura.  acetum.  di  olivo,  il  marrubio,  la  pietra  ematite  e  la 

frigia  e  l1  asiana  e  la  scissile,  il  misi,  il  vino, 

1'  aceto. 


Caput  vhi.  —  Quae  adurant. 

Adurunt,  auripigmentum,  atramentum 
sutorium,  chalcitis,  rnisy,  aerago,  calx,  charta 
combusta,  sai,  squama  aeris,  faex  combusta, 
myrrha,  stercus  et  lacerti,  et  columbi  et  hi- 
rundinis,  piper,  coccum  gnidium,  allium  , 
diphryges,  lac  utrumque,  quod  proximo  ca- 
pite supra  comprehensum  est,  veratrum  et 
album  et  nigrum,  canlhar'ules ,  corallium , 
pyrethrum,  thus,  salamandra,  eruca,  sanda- 
racba,  uva  taminia,  chrysocolla,  ochra,  alu- 
men  scissile,  ovillum  stercus,  oenanthe. 


Caput  ix. 


Quae  crustas  ulcerìbus. 
inducane. 


Cap.  vin.  —  Dei  caustici. 

Bruciano  l'orpimento,  il  vetriolo,  la  cal- 
citi, il  misi,  la  ruggine,  la  calce,  la  carta 
bruciata,  il  sale,  la  schiuma  del  rame,  la  fec- 
cia bruciata,  la  mirra,  lo  sterco  e  della  lu- 
certa  e  della  colomba  e  del  palombo  e  del- 
la rondine,  il  pepe,  il  cocco  gnidio.  Taglio, 
la  difiige,  ambedue  i  latti,  che  nell1  antece- 
dente capitolo  si  sono  sposti,  l'elleboro  co- 
sì bianco  come  il  nero,  le  cantaridi,  il  coral- 
lo ,  il  piretro,  l'incenso,  la  salamandra ,  la 
ruchetta,  la  sandracca,  V  uva  taminia,  la  cri- 
socolla, T  ocra,  l'allume  scagliolo  ,  lo  sterco 
pecorino,  V  enante. 

Cap.  ix.  —  Degli  escarotici . 


Kadem  fere  crustas  ulceribus  tamquam 
igne  adostis  inducunt;  sed  praecipuc  chalci- 
tis, utique  si  cocta  est,  flos  aeris.  acrugo, 
auripigmentum.  misy,  et  id  quoque  magis 
coctum. 


Caput  x. 


Quae  c.rustai   ulceribuS  re- 

tohant. 


Le  medesime  cose  valgono  pressappoco 
a  generare  la  crosla  -Mille  ulcere,  come  da 
fuoco  brucialo,  ma  in  ispezial  maniera  la 
calciti,  principalmente  se  sia  cotta,  il  fior  del 
carne,  la  ruggine,  l'orpimento,  il  misi  ed 
esso  ancora   vieppiù   se  cotto. 

Cap.  x.  —  Di  quei  che  fanno  cadere 
le  croste  alle  ulcere. 


Crustas  vero  has  resolvit  farina  triticea  Vale  poi  o  distaccar  queste  croste  la   fa- 

com  ruta,  vel  porro,  aut  lcnlicula.  cuna  meliis     rina  di   frumento  mista  colla  rata,  O  col  por- 
aliquid  ■djectum  est.  io,  o  colla  lenticchia,  a  cui  sia  aggiunto  al- 

quanto di   mele. 


Capiti  Ki.  —  Quae  discutant  ea,  qune  in 
uliquu  parte  corporis  coierunt. 

Ail  diecotlehda  vero  c;i.  quae  In  oorporia 

ti  tana  i  oi  n  ani,  maxime  possuot,  •beo-' 

tonino,   nèleniura,  amaracua,  alba  riola,  mei, 

liliun:.    |  impifl(  lins    r\  |»iin>.  lai     "'i  Ini  i    I  un 

pana   lerpyflum,  capretto*,  cedrai,  iris,  viola 
purpnrea1  narciatui,  rota,  crocum,  paisum^ 

■    un  "li  lina  .    ni  n!  ti  in  .    riimainoiiiiiiii  , 

immoni  i<  Dm,  <  ei  i,  retta  i,  «i\  ■  taminia, 
•poma  argenti,  ityrax,  fieni  ■rida1  tragoriga- 
iiim.  lini  et  narcisti  ic  nen,  bitutaen,  aodea  ea 
Hrmnaiio,  pyritei  lapiav,  ani  moralit,  erudui 

1  ilcllils     .  1 1  •  i  il   Ifl   luitvs.   suljiliiii  . 


Cap.  xi.  —  Di  quelle  rose  che  dissipano  gli 
umori  che   si   guastarono  in  alcune 

parte. 

\  distaccare  poi  ciò  che  si  è  formato  in 
aleuna  parte  dftl  corpo,  Valgono  sommamen- 
te I1  abrotano.  P elenio,  l'amaraeo,  l«  a ì < >  1  .t 
bianca,  il  mele,  il  ^i:!li<>-  il  sansogo  ciprio, 
il  lille,  la  aertola  campana,  il  serpillo,  il  ei- 
preteo,  il  cederno.  l'iride,  la  viola  purpurea, 
il  narciso,  la  rosa,  il  ■.  raogo,  il  passo,  il 
giunco  quadrato,  il  nardo,  'la  cannella,  la  cai- 
sia.  Pataraoniaco,  la  cera,  la  resina,  Pura 
■minia',  la  sebi  urna  <r  argento,  lo  siiracc,  il 
Reo  ioobo<  il  tragorigano,  il  seme  «li  lino  «; 
di  narciso,  il  bitume,  le  immonéofcac  del 
ginnasio  (i),  la  piètra  pirite  <>  molare,  il  ros- 
so  d'ttOfO   CffQQO,    Ifl    non    amare,   lo   zollò. 


(i)  i*> i  prono   Mi  min  hi  Gret  ì  t  Homi 


In  ico   do?€  li   <  scremavano  i  lottatori. 


DELLA   MEDICINA 


iC5 


Caput  xit. —  Quae  evocent  et  educant. 


Cap.  xii.  —  Degli  attrattivi. 


Evocai  et  educit  ladanum  ,  alturieri  ro-  Richiama,  e  trae  fuori  l'allume  rifondo, 

tundum,   hehenus,   lini  semen,   omphacium,     il  ladano,    l'ebano,    il  seme   di  lino,    Fajjre- 


fel,  chalcitis,  hdellium,  resina  terebinthina  et 
pinea,  propolis,  ficus  arida  decocla,  stercus 
columbae,  pumox,  farina  lolii,  grossi  in  aqua 
cocti,  elaterium.  lauri  baccae,  nilrum,  sai. 


sto,  il  fiele,  la  calcili,  il  bdellio,  là  ragia  di 
terebinto  e  ili  [ino,  il  propoli,  il  fico  secco 
cotto,  lo  sterco  della  colomba,  la  pomice,  la 
farina  di  loglio,  i  fichi  immaturi  colti  in  acqua, 
V  elaterio,  le  bacche  di  lauro,  il  nitro,  il 
sale. 


Caput  xiii.  —  Quae  exasperata  laevent. 

Laevat  id,  quod  exasperatum  est,  «po- 
dium,  hebenus.  guarirò i,  ovi  album,  lac,  tra- 
gaeanlhum. 

Caput  xiv.  —  Quae  carnem  nutriant,  et 
ulcus  impleant. 

Cameni  alil  et  nlcus  implet  resina  pinea, 
ochra   attice,  vel  aslerace,  cera,  butyrura. 


Cap.  xiii.  —  Dì  quelle  cose  che  cessano  le 
asprezze. 

Mitiga  ciò  che  è  irritato  lo  spodio,  l'e- 
bano, la  gomma,  l'albume  dell'uovo,  il  lat- 
te, il  dragante. 

Cap.  xiv.  —  Di  quelle  cose  che  nutriscono 
la    carne,  e  riempiono  le  ulcere. 

t 
Alimenta  la  carne,  e  riempie  l'ulcera  la 
ragia    di  pino,    l'ocra  degli  aliici,    il  mele, 
F  asteriaca,  la  cera,  il  butirro. 


Caput,  xv.  —  Quae  molliant. 

Molliunt,  aes  combustimi,  terra  eretria, 
nilrum  ,  papaveris  lacryma,  ammoniacum  , 
bdellium,  cera,  se v unì,  adeps,  oleum,  ficus 
arida,  sesamum.  sertula  campana,  narcissi  et 
radix  et  semen,  losae  folia.  coagulum,  vitel- 
1-us  crudus,  amarae  nuoes.  medulla  omnis,  sti- 
bi.  pix.  coclea  cotta,  cicutae  semen,  plumbi 
rerrementum  (a-xa^t'av  (joìrffiJou  Graeci  vo- 
cant  ),  panaces.  cardamomi)  ih.  galhanum,  re- 
sina, uva  taminia,  stvrax,  iris,  balsamum,  sor- 
des  ex  gymnasio,  sulphur,  bulyrum,  ruta. 


Cap. 


Degli  ammollienti. 


Ammolliscono  il  rame  bruciato,  la  terra 
rossa,  il  nitro,  la  lagrima  del  papavero,  l'am- 
moniaco, il  bdellio,  la  cera,  il  sevo,  l'adipe, 
l'olio,  il  fico  secco,  il  sesamo,  la  sertula  cam- 
pana, la  radice  e  il  seme  di  narciso,  le  fo- 
glie di  rosa,  il  caglio,  il  tuorlo  d'  uovo  cru- 
do, le  noci  amare,  la  midolla  d'  ogni  sorta, 
lo  slibio.  la  pece,  le  chiocciole  cotte,  il  se- 
me di  cicuta,  la  feccia  del  piombo,  il  pana- 
re, il  cardamomo,  il  galbano,  la  resina,  l'uva 
taminia,  lo  stilare,  l'iride,  il  balsamo,  le 
sozzure  del  ginnasio,  lo  zolfo,  il  butirro,  la 
ruta. 


Caput  xvi.  —  Quae  cutem  purgent.  Cap.    xvi.   —  Di  quei  che  mondano  la  cute. 


Cutcm  purga»  mei.  sed  magis,  si  est  curo 
galla,  vel  ervo,  \e\  lenticella,  vel  marrubio, 
vel  iride,  vel  ruta,    vel  nitro,  vel  aertginc. 


Caput  xvii.  —  De  mixturìs  sìniplicium 
rerum,  et  de  ratione  ponderum. 

1.  Expositis  siinplirilms  faeullatibus,  di- 
cendum  «st  quernadmodnn,  misceantur.  quae- 
que  ex  bis  Ratti.  iMiscenlur  auleru  varie,  nc- 
que liujus  ullus  modus  est;  cum  ex  simpli- 
cibus  alia  dermmtnr.  alia  adjicianiur  :  iisdem- 
que  servatis,  ponderimi  ratio  niutetur.  Ilaoue, 
curn  fac.ultatum  materia  non  ila  mulliplex  sit, 
innurnerabilia  mix  lui  anim  genera  suri»  :  quae. 
<  omprthendi  si  possciil,  tamen  essct  suptrva- 


Purga  la  pelle  il  mele,  ma  più  se  è  mi- 
schiato con  galla,  o  con  ervo,  o  con  lentic- 
chia, o  con  marrubio,  o  con  iride,  o  con  ni- 
tro, o  con  ruggine. 

Cap;  xvn.  —   Della  mescolanza  delle  cose 
semplici  e  della    ragion  dei  pesi. 

i.  l' sposto  le  virtù  semplici  si  convien  di- 
re come  si  mescolano  e  quali  «Jose  si  com- 
pongono da  os<u*  Si  mescolano  pòi  in  più 
maniere,  né  di  ciò  avvi  termine  alcuno:  men- 
tre delle  cose  semplici  altre  si  tolgono,  al- 
tre si  aggiungono,  e  conservate  le  stesse,  si 
cambia  il  peso.  Non  essendo  pertanto  così 
varia  la  materia  delle  facoltà,  nulladimeno 
innumcrabili  sono  le  misture,  le  quali  se  pur 


l6G  CELSO 

cuura.  Nam  et  iidem  effectus  intra  paucas 
compositiones  sunt,  et  mutare  eas  cuilibet, 
cognitis  facultatibus,  facile  est.  Itaque  con- 
tentus  iis  ero,  quas  accedi  veliti  nobilissinias. 
In  hoc  autem  volumine  eas  explicabo,  quae 
vel  desiderar!  in  prioribus  potuerunt,  vel  ad 
eas  curationes  perlinet,  quas  protinus  hic 
coraprehendara  ;  sic,  ut  tamen,  quae  raagis 
communia  sunt,  simul  jungam.  Si  qua  singu- 
lis,  vel  etiara  paucis  accornruodata  sunt,  in 
ipsarurn  locuni  ditferam.  Sed  et  ante  sciri  vo- 
lo, in  uncia  pondus  denariorum  septem  esse: 
unius  deinde  denarii  pon<Ius  divi<Ìi  a  me  in 
sex  partes,  id  est,  sextantes  :  ut  idem  in  sex- 
tante  denarii  habeam,  quod  Graeci  babent 
in  eo,  quem  òfioXòv  appellant.  Id  ad  nostra 
pondera  relatura  paulo  plus  dimidio  scripu- 
lo  faeit. 


Quid  mala^ma,  et  amplastrum,  et 
pastillus  inter  se  diflTerant. 

2.  Malagmata  vero,  atque  emplastra,  pa- 
stilhque,  quos  T?oXi<rxouf  Graeci  vocant,  cum 
plurima  eadem  habeant,  difìferunt  eo,  quod 
malagmata  maxime  ex  odoribus  eorumque 
etiam  surculis,  emplastra  pastillique  magis 
ex  quibusdam  rnetallicis  fiunt.  Deinde  mala- 
gmata contusa  abunde  mollescunt:  nam  su- 
per integrarci  culem  injiciuntur:  laboriose  ve- 
ro conteruntur  ea,  ex  quibus  emplastra  pa- 
atilliqae  fiunt,  ne  bedani  vulnera,  rum  HD- 
ponta  toot  Inter  emplaslrum  autem  et  pa- 
stillam  hoc  interest,  quod  emplastrum  utique 
UqatU  ■liqaid  accipit  :  in  pastillo  tantum  a- 
"  "■«"«menta  aliquo  humore  junguntur. 
lum  eaupltstrvai  hoc  modo  fit:  irida  me- 
dicaraenta  per  se  terantar;  deinde  mixiis 
'•«s  loitillatar  iat  ■cetani,  lai  li  qaii  ■lini 

»<>n  Dtagail  humoraccessorus  est.  et  ea  rur- 
RM  ex  eo  terun'.ur  :  ea  vero,  quae  lifjn.iri  pos- 
simi,  ad   ignem   simili   liqu  intuì-  :    et   si  quid 

oiei  miaeeri  debet,  tnm  infondi  tari  loterdnm 
«wni  ■ridaai  iliqaod  n  oleo  prioi  ooqaflar. 

1,1    ,,r,a   IMI,   quae   separatini   fieri   ilehuo- 
r"»*i    in   unum   Oranti   miscentur.   At   pastilli 

'"''•  r;"">  'si:   .,;,! ,  medicamenti    contrita 

bOOlOre    non    piagai,     ut    vino    vel    ardo,    co- 

gnntur,  et  riirsos  eoeet i,  inareteant,  Btque, 
nw  ateodam  est.  ejaiden  ireaerii  baroore 
ailaaotar.  Tom  emplastram  imponi  tar,  post 

•H'M  illinitur,  lai  Alleai  molliori,  ut  cerato, 
mnectur. 


esporre  si  potessero,  tuttavia  egli  saria  cosa 
superflua.  Imperocché  i  medesimi  effetti  ot- 
tengonsi  con  poche  composizioni,  e  mutarle 
poi  a  chicchessia  è  agevole,  conosciutene  le 
facoltà-  Per  lo  che  io  mi  contenterò  di  quel- 
le che  ritengo  per  le  più  efficaci  e  celebrate. 
In  questo  volume  poi  quelle  esporrò  che  o 
potrebbono  desiderarsi  negli  antecedenti,  ov- 
vero che  spettano  a  quelle  cure,  delle  quali 
parlerò  quanto  prima  in  questo,  e  così  ver- 
rò a  riunire  in  un  sol  luogo  quelle  che  più 
comuni  sono  ed  usitate.  Se  per  sorte  qual- 
cuna v'è  adattata  a  cure  particolari,  e  que- 
ste anche  in  picciol  numero,  io  la  differirò 
al  luogo,  ove  tratterò  di  esse.  Ma  prima  di 
proceder  oltre  devo  far  sapere  che  in  una 
oncia  v'è  il  peso  di  sette  denari.  Quindi  che 
il  peso  di  un  denaro  io  il  divido  in  sei  par- 
ti, il  che  è  un  sestante;  intanto  ohe  per  me 
si  ritenga  nel  restante  di  un  denaro  quclPi- 
stesso  che  pe1  Greci  hassi  in  ciò  che  chiama- 
no obolo.  Questo  rapportato  ai  nostri  pesi 
fa  poco  più  d1  un  mezzo  scrupolo. 

Differenza  tra  i  malammi,  i  cerotti 
ed  i  pastelli. 

2.  I  malanimi  poi  e  i  cerotti  ed  i  pastelli 
che  dai  Greci  trocisci  dimandatisi,  comechè 
abbiano  per  lo  più  ì  medesimi    ingredienti, 
differiscono    perciò   che  i   malanimi  si    com- 
pongono   principalmente  di    fiori  ed    anche 
de'  loro  steli,  e  i  cerotti  all'  incontro  e  le  pa- 
stiglie più  spesso  di  rose  metalliche.  Oltrac- 
ciò i   malammi    battendoli    si  fanno  a  suffi- 
cienza molli,  perocché  si  sogliono  ispalmare 
sulla  pelle  non   rotta  :    sottilissimamente   poi 
si  polverizzavano  quelle  sostanze,   onde  com- 
pongooii  i  cerotti  e  le  pastiglie,  affinchè  non 
rechino  danno  alle  ulcere,   sulle  quali  si  ap- 
plicano.  Fra  il  cerotto  poi  e  la  pastiglia  que- 
sta  differenza   vi   passa    che   il   cerotto   riceve 
in    sé   alcuna    cosa    di    liquefatto  ,  nella    pasti- 
glia    solamente  cose    aride    Ira   sé    onifCOnii 
con   qualche  umore.    Finalmente  Olili  in  que- 
sto   modo  il    cerotto:   li  pestano   separatamen- 
te  gl'ingredienti   asciutti,  dipoi  mescolali   in- 
sieme  vi  si    versa  o  BOetO.    ovvero  alcun   altro 
umore  non    crasso,    clic  debba    aggiugnervisi, 
e  di    nuovo  codesti  si  pestano  con  esso:    quelli 
poi  (die  liquefar  li   possono,  insieme  al  fuo- 
co    si    struggono,     e    se     vi     si    deve    mescolar 
dell1  olio,   ••Mora  vi  si    getta:   alenila    folla    au- 
rora   si    cu'. ce  prima    alcun  medicamento   Bri* 
do  neir  <>li<..    Fomite   quelle  cose   che    far  se- 
paratamente  doveansi,    mischiasi    tutto   insie- 
me.    Del    pastello     poi    questa    è   la    composi- 
zione:    i   medicamenti    secchi     polverizzati   si 
incorporano  con  umore  non  grasso,  come  vi- 
no od    aceto:   e   cos'i    riuniti    di    nuovo   si    sec- 
<  ano  :  ed  allorché  le  ne  deve  far  uso,  si  stoni- 


DBLLA   MBDICIITA  167 

perano  con  umore  della  medesima  spezie. 
Così  il  cerotto  si  appone,  la  pastiglia  si  usa 
per  linimento,  ovvero  si  mescola  ad  un  me- 
dicamento più  molle  come  il  cerotto. 


Capii  iviii.  —  De   malagmatis. 

Malagma  adversus  calidas  podagras. 

1.  His  cognitis,  primum  malagmata  sub- 
jiciam,  quae  fere  non  sunt  refrigerando  sed 
calefaciendi  caussa  reperta.  Est  tamen,  quod 
refrigerare  possit,  ad  calidas  podagras  aptum. 
Habet  gallae  et  immaturae  et  alterius,  corian- 
dri  seminis,  cicutae,  lacrymae  aridae,  gummi, 
singulordm  plenum  acelabulum,  cerati  eloti, 
quod  'rri'rrXufJiivov  Graeci  vocant.selibram.Re- 
liqua  ferecalefaciunt  :  sed  quaedam  digerunt 
materiam,  quaedam  extrahunt,  quae  irnomok- 
o-rixd  vocantur  ;'  pleraque  certi»  magis  parti- 
bus  membrorum  accomodata  sunt. 


Malagma  ad  materiam  extrahendum. 

2.  Si  materia  extrabenda  est,  ut  in  hy- 
dropico,  in  lateris  dolore,  in  incipiente  ab- 
scessu,  in  suppuratione  quoque  mediocri,  a- 
ptura  est  id,  quod  babet  resinae  aridae,  nitri, 
ammoniaci,  galbani,  singulorum  pondo,  cerae 
pondo.  Aut  in  quo  baec  sunt:  aeruginis  ra- 
sae,  tburis,  singulorum  p.  *  ir;  ammoniaci  sa- 
lis  p*.  vi;  squamae  aeris,  cerae,  singulorum 
p.*.  vm;  resinae  aridae  p.*.  xn;  aceti  cyatbus. 
Idem  praestat  cumini  farina  cura  struthio, 
et  melle. 


CAt.xvm.—  Dei  ca  taplasmi^ossia  malammi. 
Malanimi  contro  le  calde  podagre. 

1.  Premesse  queste  cose,  esporròin  prima 
i  malammi  cbe  sono  per  lo  più  stati  ritro- 
vati non  a  rinfrescare,  ma  sì  a  riscaldare. 
Tuttavia  uno  avvene,  il  quale  potrà  rinfresca- 
re, acconcio  alle  caldefpodagre.  Ha  galla  e  del- 
l'acerba  e  di  quell'altra,  semi  di  curiando- 
dolo,  cicuta,  lagrima  arida  di  papavero,  gom- 
ma, ciascuno  un  pieno  accettabulo,  cerotto 
lavato,  cui  dai  Greci  dassi  il  nome  di  pe- 
plimenon  mezza  libbra.  Gli  altri  malammi 
per  lo  più  riscaldano,  ma  certi  digeriscono 
la  materia,  altri  la  traggono  fuori,  e  questi 
diconsi  epispast^ci  :  i  più  di  questi  sono  ac- 
conci meglio  a  certe  parti  del  corpo. 

Malammi  per  estrarre  materia. 

2.  Se  accade  di  estrarre  della  materia, 
siccome  nell'  idropisia,  nel  dolor  di  costa, 
neir  incipiente  ascesso,  nelle  suppurazioni  an- 
che mediocri,  vale  quello  cbe  componesi  di 
trementina  secca,  nitro,  ammoniaco,  galbano 
ciascuno  un  peso,  di  cera  un  peso.  Ovvero 
quello  nel  quale  v'  ha  ruggine  raschiata,  in- 
censo ciascuno  p.  *  11  sale  ammoniaco,  p.  * 
m\  schiuma  di  rame,  cera  ciascuno  p.  *  vm; 
resina  prosciugata  p.  *  xn;  aceto  un  bicchie- 
re. Lo  stesso  adopera  la  farina  di  cumino 
con  struzio  e  mele. 


Malagma  ad  jecur  dolens. 

3.  Si  jecur  dolef,  id  in  quo  est  balsami 
lacrymae  p.*  xn;  costi,  cinnamomi,  casiae  cor- 
ticis,  myrrhae,  croci,  junci  rutundi,  balsami 
seminis,  iridis  illyricne,  cardamomi,  arnoroi, 
nardi,  singulorum  p.*  xvi  ;  quibus  adjicitur 
nardiuum  unguentimi,  donec  cerati  crassitu- 
do  sit.  Et  hujus  qujdem  recentis  usus  est; 
si  vero  servandum  est,  resinae  terebinthinae 
p.*  \vi;  cerae  p.*  x,  ex  vino  leni  contudun- 
tur,  tum  eo  misccntur. 


Malagma  ad  lienem. 

4.  At  si  lflmis  lorquet,  glandis,  quam  fici- 
X&vov  (jupz-lr/.nvGrnecj  voeant.cortex  et  nitrum 
paribui  porlioniboi  contonduntor,  resper»un- 
1 11  rrj ne  aceto  quam  acerrimo  :  ubi  cerali  cras- 
■itadinejn  habet,  linleo,  ante  in  arpia  frigida 
madefacto,  illiniliir,  ci   sic  irnponitur,  supra- 


Malamma  pel  dolore  di  fegato 

3.  Se  il  fegato  duole,  quello  in  cui  en- 
tra lagrima  di  balsamo,  p.  *  xn;  costo,  can- 
nella, scorza  di  cassia,  mirra,  zafferano,  giun- 
co rotondo,  seme  di  balsamo,  iride  illirica, 
cardamomo,  amomo,  nardo  di  ognuno  p.  * 
xvi;  alle  quali  si  aggiunge  unguento  Tardi- 
no, finché  esso  abbia  la  consilenza  del  cerot- 
to. E  questo  usisi  preparato  di  fresco:  se 
poi  vuol  conservarsi,  si  pestano  in  vino  dol- 
ce, e  con  ej>so  si  mescolano  resina  trementi- 
na p.  *  xn,  e  cera  p.  *  x. 

Malamma   pel  dolor  di  milza. 

I\.  Che  se  la  milza  patisce  dolore,  la 
corteccia  della  ghianda,  detta  pe'  Greci  la- 
lanos  mirepsic/u'a.e  nitro,  pestinsi  in  pari 
porzioni,  e  di  acelo  fortissimo  si  aspergano: 
lotto  che  ha  la  consistenza  del  cerotto,  si 
distende    in    pczzolina    bagnata    innanzi    in 


iGo  C   E    L 

que  farina  hordeacea  injieitur  :  secl  mancre 
ibi  non  «ìmjilius  sex  boria  debet,  ne  lienem 
consurnat ,  satiusque  est  id  bis,  ani  ter  fieri. 


Malagma  coi/unum  pluribus. 

5.  Co  m  ni  un  e  antera  et  jocinori,  et  I  i  e— 
ni.  et  abscessibus,  et  stimane,  parotidibus, 
arliculis,  calcibus  quoque  supputantibus,  aut 
aliter  dolentibns.  eliam  eoncoclioiii  ventri*, 
Lysias  composuil  ex  bis:  opopanaci*,  istyra- 
cis,  «albani,  resiaae,  singulorum  p.*  u  ;  am- 
inoniaei,  bdellii,  cerae,  sevi  taurini,  iridis  a- 
ridae  p.*iv;  cachrsos  ace tabulo,  piperis  gra- 
nis  quadraginl a  :  quae contrita  irino  uugiieii- 
to  teraperantur. 


Malagma  ad  la  te  rum  dolo  rem. 

6.  Ad  (a  te  rulli  autem  dolores  composi- 
ti) est  àpollophanis  :  in  qua  sunt  resiuae  te- 
rebinthinae,  tlmris  fuliginis,  singulorum  p.* 
iv;  bdelii,  ammoniaci,  indis,  sevi  vitulini.  aut 
caprini  a  renibus,  visci,    singulorum   p.*  tv. 


acqua  fresca:  e  così  si  pone:  e  sopra  s,i  po- 
ne farina  d1  orzo,  ma  non  deve  rimanervi 
più  di  sei  ore,  acciocché  esso  non  consumi 
la  milza,  ed  è  a  sufficienza  far  questo  due 
o  tre  volte. 

Mala m ma  ad  usi  varii. 

5.  Altro  poi  comune  al  fegato  e  alla 
milza  e  agli  ascessi  e  alla  struma,  alle  paro- 
tidi,  alle  giunture  e  anebe  alle  calcagna  sup- 
puranti, o  altramente  dolenti  .  anche  alla 
concozione  del  ventre  il  compose  Lisia  del- 
le seguenti:  oppoponace,  storace,  galbano, 
resina  di  ciascuno  p.  *  u;  ammoniaco,  bdel- 
lio,  cera,  sevo  di  toro,  iride  disseccata  p.  * 
iv;  cacri  un  accetta  nulo,  pepe  grani  quaran- 
ta, le  quali  sostanze  polverizzale  si  confet- 
tano con  olio  d1  inde. 

Mala  mina  pe^  dolori   ai  lombi. 

G.  IV  dolori  laterali  poi  v1  e  la  com- 
posizione di  Ap ollofaoe,  nella  quale  sono  re- 
sina di  terebinto,  fuliggine  d'incenso,  di 
ciascuno  p.  *  iv  ;  bdellio  ,  ammoniaco,  iri- 
de, sevo    u  vitellino,  o    caprino   «Ielle     reni  , 


llaec  antem  e. idem  omnem  dolorem  levant,     vischio  di  ciascuno  p.   *  ìv.  Queste  medesi- 
dura  eniolliunt,  medioeriter  calefaciunt.  me    cose  poi    mitigano  qualsivoglia    dolore, 

ammolliscono  le  durezze  ,  e  mediocremente 

riscaldano. 


Ad  idem  Andreae. 

7.  Ad  idem  Andreae  quoque  malagma  est; 
quod  eliam  resolvit,  humorem  edueil,  pus 
maturai;  ubi  il  maturimi  est.  culem  rum- 
pit,  et  al  cicatrìcem  perducit.  l'rodest  impo- 
sitmn  minutis  majoribusque  abscessibus  :  item 
articulia,  ideoq'àe  et  coxis,  et  pedibna  dolen- 
til»iis:  itera,  si  quid  in  corpore  collisimi  esl, 
refi  ci  t,  pràecordia  quoque  darà  et  indila  e- 
mollit  ;  ossa  extrahit  ;  ad  omnia  daniq.ua  va,- 
Ict,  qme  adjovare  calor  poWest.  l'I  lialiet  ce,- 
rae  p'  u;  risei,  ircamrai,  quam  alias  iyco- 
tnorum  v>nt,  lacrvraae,  ringoio rom  p.*  i; 

1  eJ  rotondi,  el   loogi,  min!  tei  thy. 

miara  ili  >.  hi  -iiii.  i  ri  <|  1  s.  1 1 1  n  rie  ie,  card  im  1  nj, 

.i'ij  1  ni.  \\  |ob  iKauii.  tlmris  mas   oli.  n»\  i  ili  i  '. 

Nftìoae   .nili-,   lingalorura   p»**ì  pjrrelhri, 
.'li  In,   .  j  m  in  1  ■  nitri,  viiis   ammoniaci, 
arislota  hiae  1  rette  te,  rtdioii  91  cneon* 

ntbiii  ic  liqoidae,  singu- 
lorum p.*  w.  qaibui  ed)  tei  tur  oog uanti  iri- 
111.  - 1 ■  *  1  , 1  .,1  ,:.i.  o  li  .'i  1  te 

rogmda. 


Malamma  di  Andrea  per  lo  stesso  uso. 


A  rvi    anebe    ali1  isti 


uso    il    ma- 


lamma di  Andrea,  che  di  più  risolve,  trae 
fuora  l'umore,  matura  gli  ascessi,  e  quando 
maturi  sono,  rompe  !»  ente,  e  conduce  .1  ci- 
catrice. Giova  posto  ai  piccioli  ed  ai  grandi 
ascessi,  alle  giunture  altresì,  e  perciò  ai  Man- 
chi e  ai  piedi  compresi  da  doglie  :  parimen- 
ti se  alcuna  parte  del  corpo  è  pesta,  la  re- 
staura :  i  precordi  pur  anche  duri  ed  enfia- 
ti mollifica,  estrae  le  ossa  e  finalmente  a  tut- 
ti quei  mali  esso  vale,  cui  può  recar  giova- 
mento   il   calore.  Esso    In  COI  i    |>.    *  m  :  visco, 

sioamino,  che  chiamasi  altrimenti  sicomoro, 

di  Ciascuno  p.  *  1.  pepe  e  rotondo  C  lungo, 
aunu  ini  ico  limiamt,  b  Icilio,  iride  illirica, 
(  11. limonio,  amoiuo.  legno  di  balsamo,  in- 
censo maschio,  mura,  resina  secca,  di  eia- 
s  uno  p  ■  w.  pireti  1  coccognidio,  spuma 
di  nitro,  i*le  immoniac  »,  srisl  ilochu  di  cce- 
1 1  .  radica  'lì  cocoanero  lalva.tico-,  resina  li- 
qui  fi  di  ter.  hinto,  ciascuno  p.  *  m;  ai  qua- 
li «.i  aggi  ug  ne  quanto  basta  a' unguento  d'i- 
nde a   mollificarli   ed    unirli. 


Malagmata  ad  resohenda  quae  adstricta 
sunt ,  et  mollienda  quae  dura  sunt, 
et  digerenda  quae  coeunt. 

8.  Praecipium  vero  est  ad  resolvenda  quae 
adstricta  sunt,  mollienda  quae  dura  sunt,  di- 
gerenda quae  coeunt,  id,  quod  ad  Polyar- 
churn  auctorem  refertur.  Habet  junci  qua- 
drati, cardamomi,  thuris  fuliginis,  amomi, 
cerae,  resinae  Kquidae  pares  portiones. 

Aliud  malagma  JSilei  ad  eadem. 

9.  Aliud  ad  eadem  ISilei  :  crocomagmatis, 
quod  quasi  recrementum  ejus  est,  p.  *  iv  ; 
ammoniaci  thymiamatis,  cerae,  singulorum  p  * 
xx  ;  ex  quibus  duo  priora  ex  aceto  teruntur, 
cera  cum  rosa  liquatur,  et  tum  omnia  jun- 
guntur. 

Malagma  Moschi  ad  molliendum. 

io.  Proprie  etiam  dura  emollit  id,  quod 
Moschi  esse  dicitur.  Habet  galbani  unciam, 
thuris  fuliginis  p.  ZI  ;  cerae,  ammoniaci  thy- 
miamatis trientes,  picis  aridae  p.  11;  aceti  he- 
minas  tres. 


DELLA     MEDICINA  x6q 

Malamma  per  risolver  le  materie  costi- 
pate, mollificare  Vindurite  e  risolvere 
le  ristagnanti. 

8.  Egli  è  in  ispecial  modo  acconcio  a 
risolvere  le  materie  costipate,  mollificare  le 
indurite,  digerire  le  ristagnanti,  quello  che 
si  attribuisce  a  Poliarco.  Ha  giunco  quadra- 
to, cardamomo,  fuliggine  d'incenso,  amo- 
mo,  cera,  resina  liquida,  pari  porzioni. 

Altro  di  ISileo  allo  stesso  effetto. 

9.  Altro  di  ISileo  allo  stesso  effetto  : 
crocomagma  che  è  come  la  feccia  del  croco 
p.  *  iv  ;  ammoniaco,  timiama,  cera,  di  cia- 
scuno p.  *  xx.  Le  due  prime  delle  quali  si 
pestano  in  aceto ,  la  cera  si  liquefa  in  olio 
rosato,  e  quindi  uniscesi  il  tutto  insieme. 

Malamma  *di  Mosco  ad  ammollire. 

10.  Egli  è  proprio  ancora  di  quel  ma- 
lamma che  dicesi  essere  di  Mosco,  di  am- 
morbidare le  parli  indurite.  Ha  galbano  una, 
oncia,  fuliggine  d'incenso  p.  *i;  cera,  am- 
moniaco, timiama  di  ciascuno  un  triante  (1), 
pece  arida  p.  *  11,  aceto  emine  tre. 


Malagma  Medi  ad  digerenda  quae  coeunt.     Malamma  di  un  Medo  a  digerir  materie. 


11.  Fertur  etiam  ad  digerenda,  quae  coe- 
unt sub  auctore  Medio ,  quod  habet  cerae 
p.  ~;  panacis  p.*  s.  squamae  aeris,  aluminis 
rotundi,  item  sissilis,  singulorum  p.*  1  ;  plum- 
Li  combusti  p.  *  1  s. 


Malagma  Panthemi  ad  eadem. 


11.  Vien  recato  attorno  a  digerir  ma- 
terie fra  sé  coerenti  un  malamma  di  un  Me- 
do. Contiene  cera  p.  ~  in;  panace  p.  s;  squa- 
ma di  rame,  allume  ritondo,  e  parimente 
dello  scissile  ana  p.  *  1  ;  piombo  bruciato 
p.  *  1  s. 

Malamma  di  Fantemo  allo  stesso  uso. 


12.  Ad    eadem    Panthemus  utebatur,  cai-  12.    Al  medesimo    scopo  Pan  temo  usa- 

cis  p.  s  ;  sinapis  contriti ,  item  foeni  graeci,  va  calce  p.  *  11;  senape  pesta,  e  simigliante- 

aluminis,  singulorum  p.  *  1  ;   sevi  bubuli  p.*  mente    fien    greco,    allume  ciascuno  p.  *  1  ; 

n  s.  sevo  bovino  p.  *  11  e  ss. 


Malagma  ad  strumas. 

i3,  )  \.  Ad  strumam  multa  malagmata  in- 
verno. Credo  autem,  quo  pejus  id  maluin 
est,  minusque  facile  discutitur,  eo  pi  tira  es- 
se tentata,  quae  in  persunis  varie  res'ponde- 
runt.  Andreas  auctor  est,  ut  haec  miscean- 
tnr  :  urlicae  scminis  p.*  1  ;  piperis  rotundi, 
bdcllii.  galbani,  ammoniaci,  thymiamatis,  re- 
sinae aridae.  singulorum  p.*  iv;  resinae  liqui- 
dar, cerae.    pirethri,    piperis   longi,  lactucac 


Malamma  per  le  strume. 

i3,  i/f  Per  le  strume  assai  malani- 
mi ritrovo.  Tengo  per  fermo,  che  come  più 
cattivo  è  il  male,  e  che  vieppiù  malagevol- 
mente risanasi,  così  tanti  medicamenti  sieno 
stati  provati,  e  questi  ne'  vari  soggetti  va- 
riamente corrisposero.  Andrea  propone  mi- 
schiare le  seguenti  cose:  semente  di  ortica 
p.  *i;  pepe  rotondo,  bdellio,  galbano,  am- 
moniaco   in    lagrima,    resina  secca    ciascuno 


(1)  Sorla  di  peso,  vcd.  lihod.    de  ponderib. 
Celso. 


i;o  e  k  L  s  o 

nurìone  seminis,  sulphuris  igneru  non  exper- 
ti,  quod  airuqov  voeatur,  feois  aridae  aceti, 
Spuinae  nitri,  salis  ammoniaci,  sinapis  car- 
damomi, radicis  ex  cucumere  silvestri,  re- 
sinae, singulorum  p.*  vni,  quae  ex  leni  vino 
contunduntur. 


Aliud  malagma  ad  idem  valens. 

i5.  Expeditius  ad  idem  fit,  quod  habet 
visci  seminis,  stercoris,  resinae,  sulphuris  i- 
gnem  non  experti  pare*  portiones.  Et  in  quo 
est  sulphuris  p.*  i;  lapìdis,  quem  nrvyirrw  vo- 
cant,  p.*  iv;  cumini  acelabulum.  Item  in  quo 
pst  lapidis  ejusdem  pars  una,  sulphuris  duae 
nartes,  resinae  tereKinlhinae  partes  tres. 


p.  *  iv ,  resina  liquide,  cera  ,  piretro  ,  pepe 
lungo,  semente  di  lattuga  marina,  zolfo  ver- 
gine, che  vien  ohiamato  apiron,  feccia  di 
aceto  secca,  spuma  di  nitro,  sale  ammonia- 
co, senape,  cardamomo,  radice  di  cocomero 
salvatico,  resina,  ciascuno  p.  *  vili.  Le  quali 
cose  si  pestano  in  vino  dolce. 

Altro  malamma  allo  stesso  scopo, 

t5.  Più  speditamente  al  medesimo  og- 
getto tassi  quel  che  ha  visco  simino,  sterco, 
resina,  solfo  vergiue,  parti  eguali.  E  quello 
in  cui  v'ha  solfo  p.  *  i;  pietra  chiamata 
pirite  p.  *  iv;  cornino  un  accettatilo.  E  quel- 
lo medesimamente,  nel  quale  v1  ha  una  par- 
te della  medesima  pietra,  due  zolfo  e  tre  re- 
sina di  terebinto. 


Malo oma  ad  strumam  et  pìiymata. 


Malamma  per  le  strume  e  pe'  fimi. 


16.    Arabis  autem    cujusdam  est  ad  stru-  1G.  Avvene    uno  d'un  certo  Arabo  per 

mam,  et  orientia  tubercula,  quae  <pu(uara  vo-  le  strume,  e  per  que1  tu  moretti  nascenti,  che 

cautur,  quod  haec    digerit.    Habet  inyirhae,  fimi    son    detti,  il    quale  li  discioglie.   Con- 

salis   ammoniaci,    thuris,    resinae  et  liquidae  tiene  mirra,    sale  ammoniaco ,  incenso,  rcsi- 

et  aridae,  crocomagmatis,  cerae    singulorum  na  e  liquida  e  secca,  croconiagma,  cera  ana 

p.*  1;  lapidis  ejus,  quem  iropirnv  vocant,  p.*  p.    *  1  ;  quella   pietra   nomata   pirite  p.  *  iv; 

ivj  quibus  quidam  adjiciunt  sulphuris  p.*  11.  alle    quali  alcuni    aggiungono  solfo    p.  *  11. 


Malagma  ad  strumam,  et  tuberà,  et 

xapxivuJn. 

17.  Est  eliam  proficicns  in  sfruma,  et  in 
iis  tuberibus,  quae  difficiliter  concoquunlur, 
et  in  iis,  quae  x.ctfx.ivtóJ'»  vocantur,  quod  ex 
bis  constat:  sulphuris  p.*  li;  nitri  p.*  iv; 
invrrhae  p,*vi;  fuliginis  thuris  p.  s;  salis  am- 
moniaci [>.  ZI  ;  cerae  p.  1. 


Mulugma   Protarchi  ad  parotìdas, 
i'iim,   et  mula  ulcera. 


et  fa- 


iH.  ProUrchm  intatti  ad  Trrt^oJTt^ac  ea- 
qué  liibrrc.iil.i,  quae  fUlXJXa'fttO,  il  est,  favi  , 
ncI  ptfftetrct  nominantne,  item  mali  ulcera  . 
pò mici ■•.  resinae  pine. ir  liquidae,  Ihurii  fu* 
liginis,  spini)  .11:  dì  Cri,  iridis.  lingulorum  p.  * 
niii  1  "in  ceree  p.*  ix;  miscebat,  hisque  olei 
cjathum  et  dimidi  om  tdjiciabat. 

Mfalagmc  adversus  panum  tt  ph/m*ta. 

i'(.  Ai  idrersui  |>ii)inn.  Inni  priraum  o- 
rientem,  qood  pdyt9\oi  Grata  1  1  ini,  ci  0- 
inno  tubcrculnra,  qnod  pufjta  Dominai ur , 
un  1  >  lui  04  li r  1,  qnac  itti<  e  nominai nr  cura 
dna  bui  parti  bui  limilae,  hiiqoe,  dum  con- 
Inndnntnr,  lubinde  mei  instili. iiur.  >\  >n<  1  ma- 
lagma lii  crassitudo  lii 


Malanimo    contro  la  strunia,   i  tubercoli 
ed  i  carcìnodi. 

17.  Egli  è  pur  giovativo  nella  strinila 
e  ne1  tubercoli  che  malagevolmente  risolvon- 
si,  e  in  quei  che  carcìnodi  iddiaandsnsi 
quel  che  si  compone  di  solfo  p.  *  11;  nitro 
mirra  p.  *  vi}  fuliggine  d'incenso 
le  ammoniaco  d.  ~  :  cera   p.   '   1. 


P 
p.   Si 


sale  ammoniaco  p.  ZI 


Malamma   di  Protarco  per  le  parotidi\  i 
favi,  e  le  prave  ulcere. 

18  Protarco  poi  allo  parolidi  e  1  qoei 
tubercoli  che  melit -rridi.  ci oè  fari  <>  fimi  ai 
appellano,  e  iiteuaroente  alle  uberi;  prave, 
mescolava  resina  di  pino  liquida,  fuliggine 
d* incenso,  icbinma  <li  nitro,  iride  son  p-  * 
vin;  con  le  quali  mischiava  p.  *  ix  cera,  e  a 
queste  univa  un    bicchiere  e  mezzo  di  olio. 

MahimiiKi  pel  panereccio  ed  i  /imi, 

io,  Ma  contri  il  pa  nericcio  qua  od1  è 
sul  suo  cominciare,  <  he  da1  Greci  nomasi 
fìgetlon,    e    contri    ciascun    toberooloi    che 

luna  iddi Inai,  si  mescola  ocra,  che  è  del 

la  ileoiese,  con  due  parli  fior  di  farina,  e 
in  qneite  nell'atto  del  pestarle  1  v>  versa 
pur..  1  poco  mele  tanto  che  piemia  la  con- 
liitem  1  'li  malamma. 


DELLA    MEDICINA 


171 


Malagma  adversus  phymata. 

so.  Discutit  etiam  omne  tuberculum,  quod 
QÓpa  vocatur,  id,  quod  habet  calcis,  nitri 
spumae,  piperis  rotundi,  singulorum  p.  *  1  ; 
galbani  p.*  11;  salis  p.  *  iv;  qaae  excipiuntur 
cerato  ex  rosa  facto. 


Malamma  p e? fimi. 

20.  Risolve  ancora  ogni  tumorettc,  che 
fima  si  appella,  quel  che  ha  schiuma  di  ni- 
tro, calce  ,  pepe  rotondo  ,  ciascuno  p.  *  1  ; 
galbano  p.  *  li;  sale  p.  *  ìv;  le  quali  cose 
s1  impastano  con  cerotto  fatto  d1  olio  ro» 
sato. 


Malagma  ad   supprimendum    omne    quod 
abscedit. 


Malamma  ad  arrestar  la  suppurazione. 


21.  Supprimitque  omne  quod  abscedit,  id, 
in  quo  est  galbani,  fabae  fressae  singulo- 
rum  p.*  1.  myrrhae,  thuris,  ex  radice  capparis 
corticis,  singulorum  p.*  iv.  Satisque  omnia 
abscedentia  digerii  murex  combustus,  et  be- 
ne contritus,  aceto  subinde  adjecto. 


Malagma  ad  sanguìnem  supprimendum. 

22.  At  si  satis  sanguis  subit,  recte  im- 
ponitur,  quod  adversus  phymata  quoque  po- 
test.  Constat  ex  his  :  bdellii,  styracis,  ammo- 
niaci, galbani,  resinae  et  aridae  et  liquidae 
pineae,  item  ex  lentisco,  thuris,  iridis>  singu- 
lorum p.  *  11. 

Malagma  ad  carcinomata  et  phymata  le- 
ni  end  a. 

23.  KapxivcóJn  vero  phymata  commode  his 
leniunkir:  galbani,  visci,  ammoniaci,  resinae 
terebinthinae,  singulorum  p.*  1;  sevi  tauri- 
ni p.  s;  faecis  combustae  quam  maxima  por- 
tione,  dum  id  siccius  non  faciat,  quam  esse 
malagma  oportet. 


ai.  Ed  arresta  la  suppurazione  quello, 
in  cui  entra  galbano,  fava  franta  di  ciascu- 
no p.  *  1.5  mirra,  incenso,  corteccia  della  ra- 
dice di  capperi,  ciascuno  p.  *  iv.  E  bastan- 
temente discioglie  ogni  ascesso  il  murice  (1) 
bruciato,  e  sottilissimamente  polverizzato, 
giuntovi  appoco  appoco  dell1  aceto. 

Malamma  per  ristagnare  il  sangue. 

22.  Ma  se  uscì  del  sangue  a  sufficien- 
za, vi  si  pone  lodevolmente  quello  che  è 
malevole  pure  contra  i  fimi.  Consta  di  bdel- 
lio,  stirace,  ammoniaco  ,  galbano  ,  resina  di 
pino  e  liquida  e  secca,  e  parimenti  lentisco, 
incenso,  iride,  ciascuno  p.  *  n. 

Malamma  per    lenificare  i   carcinomi  ed 
i  fimi. 

23.  Si  lenificano  ottimamente  i  carci- 
nomi e  i  fimi  con  queste  sostanze  :  galbano, 
visco  ,  ammoniaco  ,  resina  di  terebinto  ,  di 
ognuno  p.*  \  ;  sevo  di  toro  p.  s;  feccia  bru- 
ciata la  maggior  porzione,  purché  essa  non 
faccia  più  asciutto  di  quel  che  si  convenga 
ad  un  malamma. 


Malagma  ad  faciem  contusam  ejusque  li- 
vorem. 

2^.  Quod  si  facie  conlusa  livor  subcruen- 
tus  est.  haec  compositio  nocte  et  die  impo- 
sita  tollit.  Aristolochiae,  thapsiae,  singulorum 
p.*  11  ;  bdellii,  styracis,  ammoniaci  thymiama- 
tis,  galbani,  resinae  aridae.  et  ex  lentisco  li- 
quidae,  thuris  masculi,  iridis  illyricae,  cerae, 
singulorum  p.*  iv.  Idem  faba  quoque  imposita 
proficjt. 

Malagmata  a-ro(uojrtx.à    ad  aperiendum. 


Malamma  contro  la  contusione  ed  il  livi- 
dore della  faccia. 

i(\.  Che  se  contusa  la  faccia  sanguino- 
so è  il  lividore,  questa  composizione  notte 
e  dì  lasciatavi  sopra  il  toglie.  Aristolochia,  tap- 
sia,  ana  p.  *  11  ;  bdellio,  stirace,  ammoniaco 
ili  lagrima,  galbano,  resina  arida,  e  la  liqui- 
da di  lentisco,  incenso  maschio,  iride  illiri- 
ca, cera,  ciascuno  p.  *  iv.  Fa  prò  del  pari 
anche  il  porvi  la  fava. 

Malanimi  stomatici  apertivi. 


25.  Sunt  etiam  quaedam  malagmata,  quac  s5.  Sonovi    ancora    certi    malanimi,    ai 

&ToutoTix.à.  Greci  vocant,   quoniam  aperiendi     quali  i  Greci  danno   il  nome  di  stomatici  ^ 


(1)  L  il  murice  la  scorza  della  porpora. 


i;2 


e  r,  l  s  o 


vim  habent.  Quale  est,  quoti  ex  his  constai: 
piperis   longi,    spumati  nitri,  imgulorum  p.* 

ìi';  crysimi  p.*  iv;  quae  cum  melle  miscen- 
tur.  l'Ioneaque  etiara  strumae  aperiendae 
sunt.  bqus  generis,  vehementiusque'ex  his 
est  i<l,  quod  hal)et  calcis  p.*  iv;  piperis  gra- 
na sex,  nitri,  cerae,  singulorum  p.*  x;  raellis 
p.  ZZ  ;  olei  heminara. 


perocché  hanno  virtù  di  aprire.  Tale  è  quello 
che  è  composto  'li  queste  cose  :  pepo  lungo, 
schiuma  di  nitro  ani  p.  *  n  ;  erisimo  p.*  iv  ; 
Le  quali  cose  si  mischiano  con  racle.  E  so- 
no buoni  pur  ad  aprir  le  strume.  Della  qual 
sorta,  ed  ancor  più  galiardo  tra  questi  è 
quello,  che  ha  calce  p.  *  iv;  pepe  grani  sci  ; 
nitro,  cera  ciascuno  p.  *  x;  mele  p.  ~;  olio 
un'emina. 


Miconis  malagma,    ad    resohendum   ape-  Maìamma  di  Mìcone  per  risolvere,  apri- 
riendumque  ac  purgandum.  re  e  detergere. 

sG.  Miconis  quoque  est.  quod    resolvit,  a-  of,.  V1  ha    anche    quel    di    Nicone     che 

pccit,  purgat.  Habet  aleyonium,  sulphur.  ni-  risolve,  apre,  deterge.  Si  compone  di  alcio- 

trum,  pumicem,  paribus  portionibns  ;  quibus  nio,  solfo,    nitro,  pomice  in    pari  quantità  ; 

tintimi  picis  et  cerae  adjicitur,  ut  fiat  cera-  a  cui  tanto    di  pece  e  di    cera  si    aggiunge 

ti  crassitudo.  che  facciasi  la  consistenza  del  cerotto. 


Malagma  ad  ossa. 

27.  Ad  ossa  autem  Arislogenis,  fit  ex  his  : 
snlphuris  p.*  1  ;  resinae  terebinthinae,  nitri 
spumae,  et  ex  Scilla  partis  interioris,  plumbi 
eloti,  singulorum  p.*  11  ;  thuris  fulginis  p.* 
vin;  ficus  aridae  quam  pinguissimae,  sevi  tau- 
rini, singulorum  p.*  vili;  cerae  p.*  xn  :  iridis 
macedonicae  p.*  vi;  sesami  fricti  acetabulum. 


Malamma  pegli  ossi. 

27.  Il  malamma  poi  di  Aristofane  per 
le  ossa  si  fa  di  queste  :  zolfo  p.  *  1;  resina 
di  terebinto,  spuma  di  nitro,  piombo  lava- 
to, e  la  parte  dentro  della  squilla  ana  p.* 
11  ;  fuliggine  d*  incenso  p.  *  vili;  fico  serro 
grassissimo,  sevo  di  toro,  ciascuno  p.*  vin  ; 
cera  p.*  xu;  iride  macedonica  p.*  vi;  se- 
samo fritto  un  acccttabulo. 


Malagma  EutJiyclei  ad  articulos  et     ad 
omnern  dolo  rem. 

28.  Maximeque  nervi*  et  articulis  mala- 
gma convenit.  Hitur  Euthyclei  est,  et  ad  arti- 
culos, et  ad  nmnem  dolorerà,  et  ad  veseicae, 
et  ad  recenti  cicatrice  contractos  artieulos, 
qws  ékyaiXat  Graed  nominant,  conTénieni, 
CjHod  habet  fuligtois  thuris  acetabulum,  reti» 
BM  '  ritiimli'in,  galbani   sine  surculis  seseun- 

eiam,  ammoniaci,  h'Iellii.  siogulorura  p.  ~  ; 
ceraa  p,  r.  ad  eosdea  digitot:  'ridis.  animo- 

Diaci,  ((albani,   nitri,  singulornm   p.  *  \iv;  rc- 

lioac   liquidac   p.*   vi;   ccrje   p.*   \vi. 


Malagma  Sosagorae  ad  dolores 
articulorum. 

I  1     \  1   dolores  articulorum  Sol 
plumbi  combatti  eorti" 

<-is  broeej  .lini,  ityracis,  peucedani,  ieri 

Chrysippi   malaqma.    ci   i.lr-u    vilrns. 

3o.  Chryaippl  :  1 1  tic  mj  li  qui  in. 
raobiM  il  >ram  p.*  xn;  quiba  1  •«•- 

1    IC    p  mini   ini    :.'ljl<  itili. 


Malamma  di  Eaticlèo  per  le  giunture,  e 
per  qualunque  doglia. 

28.  V.  massimamente  ai  nervi  ed  alle 
giunture  conviene  :l  malamma.  V'ha  pertan- 
to epici  di  Enticleo  conrenerole  e  alle  giun- 
ture e   a   qualunque    doglia,  ed  fella  vescica  0 

alle  articol.r/ioni  attratte  da  novella  cicatri- 
ce, il  eui  vizio  i  Greci  denominano  ankylos. 
Ha  questo  foli  sigine  d'incenso  un  accetta- 
buio;  ragia  altrettanto;  galhano  netto  una 
oncia  e  mezzo,  ammoniaco,  bdelHo,  ciascuno 
p.*  zìi:  cera  p  *  s.  \\\  alno  se  ne  fa  <li  iride, 
ammoniaco,    ealbano,   nitro,   ciascuno   p. 

mv;    resina   liquida   p."    vi;    «cic.ip.*   \\i. 

Malamma  di  Sotagora   pc  dolori  artico- 
lari. 

29.  Po* dolori  articolari  quel  di  Sosa- 
gort  :  piombo  bruciato,    lagrima  «li  papaye- 

1  ,       orti  -li  jusquianiOj  sii  race,  peucedano, 

SefO,   et  ra    parli    eguali. 

Malamma  dì  Crìsippo  all'uso  ttttto, 

30.  Di    Crisippo:    retini  liquida,  rt*n- 

p.  *  mi  ;  a  cui  li  ag- 

glugne   «ni    poco   di   cera. 


DELLA     MEDICINA 


i,5 


Ctesiphontis  malagma  ad  idem   valens,  et     Malanimo,    dì  Ctesifonte    allo  stesso   uso, 
ad  parotidas,  et  pliymala  et  strumam.  per  parotidi.fi/ni  e  strume. 


3i.  Ctesiphontis  :  cerae  creticae,  resinae 
terebinlhinae,  nitri  quam  ruberrimi,  singu- 
lorum p.  s;  olei  cyalhi  tres.  Sed  id  nitrura 
ante  per  triduum,  instillata  aqua,  teritur,  et 
cum  sextario  ejus  incoquitur,  donec  oranis 
humor  consumatili*.  Potest  -vero  ea  compo- 
sitio  etiam  ad  parotidas,  phymata,  strumam, 
omn  emque  coitum  humoris  emolliendura. 


3i.  Di  Clesifonte:  si  fa  di  cera  eretica, 
resila  di  terebinto,  nitro  del  più  rosso,  di 
ciascuno  p.  *  i  ;  olio  tre  bicchieri.  Ma  que- 
sto nitro  devesi  prima  per  tre  dì  pestare  con 
istillar?!  dell'acqua,  e  si  fa  bollire  in  un  se- 
stario  di  essa  per  insino  a  che  tutta  l'acqua 
siasi  consumata.  Questa  composizione  poi 
vale  anche  per  le  parotidi  ,  fimi ,  strume  e 
per  mollificale  qualsivoglia  raunanza  di  ti- 
mori. 


Malagma  ad  articulos. 

32.  Ad  articulos,  fici  quoque  aridi  par- 
tem  nepetae  mixtam  ;  vel  uvam  taminiam  si- 
ne  seminibus  cum  pulegio  recte  aliquis  im- 
ponit. 

Malagma  Aristonis'adversus  podagras  et 
recentia  phymata.,  et  omnes  dolores. 

33.  Eadem  podagrae  praesidio  sunt.  Sed 
ad  eam  fi t  Aristonis  quoque,  quod  habet  nar- 
di, cinnamomi,  casiae,  chamaeleontis,  junci 
rotundi,  singulorum  p.*  fin;  sevi  caprini  ex 
irino  liquati  p.*  xx;  iridis  p.*  ì;  quae  in  ace- 
to quam  acerrimo  jacere  per  xx  dies  debet. 
Idem  autem  eliam  recentia  phymata  dolores- 
que  omnes  discutit. 


Altro  per  le  giunture, 

32.  Altri  ancora  convenevolmente  pone 
alle  giunture  una  parte  di  fico  secco  mi- 
schiato a  della  niepilella  ;  ovvero  uva  tami- 
sia   senza  semente  col  puleggio. 

t 
Malanimo  di  ArLtone  per  la  podagra,  i 
fimi  novelli,  ed  ogni  qualità  di  dolore. 

33.  Le  medesime  cose  sono  rimedio  al- 
la podagra.  Ma  per  essa  fassi  anche  un  ma- 
lamma  di  Aristone  di  spigo,  cannella,  cas- 
sia, camaleonte,  giunco  rotondo,  ciascuno  p.* 
vili  ;  sevo  caprino  squagliato  in  olio  d'iri- 
de p.  *  xx  ;  iride  p.  *  i;  la  quale  devesi 
macerare  per  Tenti  dì  in  aceto  del  più  po- 
tente che  si  trovi.  Questo  medesimo  poi 
dissipa  i  fimi  novelli  e  ogni  qualità  di 
dolore. 


Theoxeni  malagma  ad  pedum  dolores.         Malanimo  di  Teosseno  pe"  dolori  dei  piedi. 


34.  At  Theoxenus  ad  pedum  dolores,  se- 
vi a  renibus  parlerà  tertiam,  salis  partes  duas 
miscebat,  hisque  membranulam,  illitam  im- 
ponebat;  tum  superinjiciebat  ammoniacum 
ihymiama  in  acelo  liquatum. 

Numenii   malagma    ad  podagram,    caete- 
rosque  articulos  induratos. 

35.  M  Numenius  podagram,  ceterosque 
articulos  induratos  hoc  molliebat  :  abrotoni, 
rosae  aridae,  papaveris  lacrymae.  singulorum 
p.*  111  ;  resinae  terebinthinae  p.*  iv  ;  thuris, 
spumne  nitri,  singulorum  p.*  vm;  iriilis,  ari- 
slolochiae.  singulorum  p*  xn;  cerae  p.  111;  qui- 
bus  adjicilur  cedri  cyallms  unus,  olei  laurei 
cyatbi  tres,  olei  acerbi  sextarius. 


34.  Ma  Teosseno  pe' dolori  de1  piedi 
mischiava  una  terza  parte  sevo  delle  reni, 
due  di  sale,  e  con  questi  impiastrata  una 
pellicina  l' applicava,  indi  vi  sovrapponeva 
l'ammoniaco  in  lagrima  disfatto  in   aceto. 

Malamma  di  Numenio  per  la  podagra,  e 
gli  altri  articoli  indurati. 

35.  Numenio  poi  ammolliva  la  gotla 
delle  mani  e  gli  altri  articoli  indurati  con 
questo  :  abrotano,  rose  secche,  lagrima  di 
papavero  arni  p.*  111  ;  resina'  di  terebinto 
p.  *  iv;  incenso,  spuma  di  nitro  ana  p.  * 
vni;  iride,  aristolochia  ana  p.  *  zìi;  alle  qua- 
li aggiupneva  un  bicchiere  d'  olio  di  cedro, 
tre  d'  olio  laurino  ed  un  sestario  d'  olio 
acerbo. 


Dexii  malagma    si  quandi  callus  in  Molammo  di  Dezio  pe  calli  delle  giunture, 

articulos  increvit. 


?,().  Si   quando   atitem   in  articulis  callus 


'M).  Quando  pòi    si  va  formando  il  cai- 


Ij4  CELSO 

'ncievit,  Dexius  docuit  imponere,  calcis  p* 
iv;  cerussae  p.*  vm  ;  resinae  pineae  p,*  xx; 
piperis  grana  xxx;  cerae  p.*  rr;  quibus,  dura 
coutunduntur,  hemina  vini  lenis  inslillalur. 


lo  nelle  giunture,  Dezio  ne  insegna  di  por- 
vi calce  p.  *  ìv;  cerussa  p.  *  vili  ;  ragia  di 
pino  p.  *  xx;  pepe  grani  xxx;  cera  p.  *  n  ; 
sulle  quali  in  pestand^e  vassi  versando  uua 
emina  di  vino  dolce. 


Caput  xix.  —  De  emplastris. 

Ex  emplastris  autera  nulla  majorem  u- 
sum  praestant.  quaru  quae  crnentis  protinas 

vulneribus  injieiuntur:  ivaiua  Graeci  vocant. 
Haec  enim  reprimunt  inilaminationetn,  nisi 
magna  vis  eara  cogit,  atque  i  l  li  li  s  quoque  im- 
petum  minuunt;  tum  glutinant  vulnera,  quae 
id  patiuntur,  cicatricem  iisdem  inducunt.  Con- 
stant autera  ex  medicamenti*  non  pinguibus, 
ideoque  àXeircttvn  nomiuantur. 


Barbarum    empìastrum     nigrum  ,    quoti 
cruentis  protinus  vulneribus  injicitur. 

i.  Optimum  ex  his  est,  quod  barbarum 
vocatur.  Habet  aerujinis  rasae  p.*  xu;  spumae 
argenti  p  *  xx;  aluminis,  picis  aridae,  resinae 
pineae  aridae,  singulornm  p.*  i  ;  quibus  ad- 
jiciuntur  olei  et  aceti  singulae  bemiiiae. 


Cap.  xix.  —  Dei  cerotti. 

Niuno  poi  infra  i  cerotti  maggior  pro- 
fitto presta  di  quei,  con  che  subitamente  si 
medicano  le  recenti  ferite.  I  Greci  enema 
gli  appellano.  Imperocché  questi  Y  infiam- 
mazione attutano,  salvo  che  la  cagione  di  es- 
sa non  sia  a  dismisura  grave;  e  ancora  ne 
sminuiscono  la  violenza  :  inoltre  conglutina- 
no le  ferite  che  ciò  comportano,  e  ne  favo- 
riscono la  cicatrice  (i).  Si  compongono  poi 
di  medicamenti  non  grassi  ;  il  perchè  essi 
hanno  nel  parlar  greco  il  nome  di  alipena. 

Cerotto  barbaro  nero  per  le  ferite 
sanguinolenti. 

i.  Miglior  tra  questi  è  quello  che  di- 
cesi barbaro.  Ha  ruggine  rasa  p.  *  xn;  schiu- 
ma d'argento  p.  *  xx;  allume,  pece  secca, 
ragia  di  pino  secca,  di  ciascuno  p.  *  i  ;  alle 
quali  si  aggiugne  una  emina  d1  olio  ed  una 
di  aceto. 


Cìioacon  empìastrum  nigrum,  od  idem 
valens. 

2.  Alterimi  ad  idem,  quod  Choaeon  vo- 
mii!, habet  spumae  ardenti  p.*  CJ  Tesinae  ari- 
li e  tantundem:  sed  ipnma  orina  ex  tribm 
olei  beminii  coquitor.  His  daobas  emplastris 
color  niger  est,  qui  fere  talis  fit  ex pice  al- 
que  retina  :  ai  ex  bitumine  nigerrimni  ;  ex 
eerngine/aut  aerii  squama,  viridis;  ex  minio 
ruber;  ex  cerussa  albus. 


Altro,  detto    coacon,  al  medesimo 
effetto. 

2.  Un  altro  al  medesimo  effetto,  che 
■ddimandasi  coacon,  ha  spuma  d'argento 
p.  *  e;  resina  seni  altrettanto:  ma  la  spu- 
ma fessi  cuocere  per  innanzi  in  tre  ornine 
d'olio:  questi  due  cerotti  hanno  un  color 
nero,  il  quale  in  gran  parte  proviene  dalla 
pece  e  dalla  resina  :  dal  bitume  poi  lassi 
nerissimo  :  colla  raggine  e  colla  squama  di 
rame,  verde  :  col  minio,  rosso  :  colla  cerus- 
sa, bianco. 


lìasiliron  empìastrum  nigrum  ad  idem.        /litro,  detto  basilicon  ,  allo  stesso  effetto. 


3.  Paocae  admodoni  compositiones  snnt^ 

in    quiliiM    aliquid     mixliltae    varietas    novat. 

Ergo  id  quoqoe  nigrnm  est*  qnod  /3a7i\ixìv 
nomioator,  Habel  panacii  p."  i  :  galbani  p  *  n; 
pigia,  et  resio  "■.  lingolorum  p.*  \  ;  ofei  dimi- 

«bum  cyjtliuiii. 


!{.  Pochissime  sono  le  composizioni  , 
nelle  quali  rechi  qualche  cambiamento  la  va- 
rietà della  mi, ini. i.  Nero  pertanto  egli  è  an- 
cor anello  che  batilicon  vien'ebiamato.  Con- 
ti.ne  opoponace  p.  *  ':  galbano  p.  *  li  «  pe- 
ce e  usili.)  ani  p.  *  x  ;  <P  olio  un  mezzo 
bicchiei  e. 


(i)    Da   questo    paflO     SI     'ledure   che     gli 
antichi  chirurghi  usavano  già  riunire  le    te- 


lile recenti   p'T  mezzo    di  cerotti    congluti- 
nativi. 


DEHt,A    MEDICINA 


.,5 


Smaragdinum  emplastrum  ad  idem.  Altro,  detto  smaraddino ,  allo    stesso  uso. 


4-  At  quod  perviride  est,  smaragdinum 
appella  tur  :  in  quo  sunt  resinae  pineae  p.*m  ; 
cerae  p.*  1  ;  aeruginis  p.  s  ;  thuris  fuliginis  p. 
ss  ;  olei  tantumdem,  aceti  quo  fuligo  et  aeru- 
go  in  unum  cogantur. 


Emplastrum  rufum  ad  idem. 

5.  Est  etiam  coloris  fere  rufi,  quod  ce- 
leriter  ad  cicatricem  vulnera  perducere  vide- 
tur.  Habet  ihuris  p.*  1;  resinae  p.*  11;  squamae 
aeris  p.*  iv;  spumae  argenti  p.*  xx;  cerae  p.*. 
g  ;  olei  heminam. 


4.  Ma  perchè  è  verdissimo,  smaraddi- 
no vien  detto  :  in  esso  entravi  ragia  di  pi- 
no p.  *  111;  cera  p.  *  1;  ruggine  p.  ss;  fu- 
liggine d'incenso  p.  ZZ  ;  olio  altrettanto  ed 
aceto  tanto  che  serva  a  riunire  in  una  mas- 
sa la  ruggine  e  la  fuliggine. 

Altro,  rosso,  allo  stesso  uso. 

5.  Avvene  ancora  uno  di  color  rosso 
che  sembra  trarre  con  prestezza  a  cicatrice 
le  ulcere.  Ha  d' incenso  p.  *  1  ;  ragia  p.  *  11  ; 
squama  di  rame  p.  *  iv  ;  schiuma  d'  argen- 
to p.  *  xx ;  cera  p.  *c;  olio  un'emina. 


ITafaxGXXwT/xo»'  emplastrum  ad  idem.  Altro,  detto  raptusa,  allo  stesso  effetto. 


6.  Praeterea  est,  quam  <7rafaxoXX«T/>cov  a 
glutinando  vocant.  Constat  ex  his:  bituminis, 
aluminis  scissilis,  p.  *  ìv;  spumae  argenti  p* 
xl  ;  olei  veteris  hemina. 

Cephalicum  emplastrum  Philotae 
capiti  conveniens. 

7.  Praeterea  sunt  quaedam  generis  ejus- 
dem,quae,  quia  capitibus  fractis  maxime  con- 
veniunt,  xe<pa\/xa  a  Graecis  nominantur.  Phi- 
lotae corapositio  habet  terrae  Eretriae,  chalci- 
tidis,  singulorum  p.*  ìv;  myrrhae,  aeris  com- 
busti, singulorum  p.*  x;  ichthyocollae  p.*  vi. 
aeruginis  rasae,  aluminis  rotundi,  misy  crudi, 
aristolochiae,  singulorum  p.*  vm  ;  squamae 
aeris  p.*  x  ;  thuris  masculi  p.*  11  ;  cerae  p.  1  ; 
rosae,  et  olei  acerbi ,  ternos  cyathos,  aceti 
quantum  satis  est,  dum  arida  ex  eo  conte- 
runtur. 


6.  V  ha  oltracciò  quello  che  dal  con- 
glutinare chiamasi  raptum.  Componesi  di 
bitume,  allume  scagliolo  p.  *  ìv;  litargirio 
d'argento  p.*  xl;  e  un'emina  d'olio  vecchio. 

Cerotto  cefalico  di  Filota  per  le  ferite  del 
capo. 

7.  Sonvi  inoltre  certi  cerotti  della  i- 
stessa  fatta,  i  quali  poiché  principalmente  alle 
ferite  del  capo  convengono,  dai  Greci  furono 
denominati  cefalici.  La  composizione  di  Fi- 
lota contiene  lena  eretria,  calciti  ana  p.  * 
ìv  ;  mirra,  rame  bruciato  ana  p.  *  x  ;  col- 
la di  pesce  p.  *  vi  ;  ruggine  raschiata,  al- 
lume rotondo,  misio  crudo,  aristolochia 
ana  p.  *  vm;  scoria  di  rame  p.  *  x  ;  incen- 
so maschio  p.  *  11  ;  cera  p.  *  1  ;  olio  rosato 
ed  acerbo  bicchieri  tre  ;  aceto  quanto  basta, 
mentre  si  vanno  con  esso  pestando  le  cose 
aride. 


Emplastrum  viride  ad  idem  valens. 

8.  Aliùd  ad  idem  viride  :  aeris  combusti, 
squamae  aeris,  myrrhae,  ichthyocollae,  singu- 
lorum  p.*  vi  ;  misy  crudi,  aeruginis  rasae,  ari- 
slolochiae,  aluminis  rotundi,  singulorum  p.* 
vm;  cerae  p.  1;  olei  hemina,  aceti  quod  satis  sit. 

Tttrapharmacum  viride  ad  pus 
movendum. 


Altro  verde  allo  stesso  effetto. 

8.  Altro  verde  allo  slesso  :  rame  bru- 
ciato ,  mirra,  ittiocolla  ana  p.  *  vi;  misio 
crudo,  ruggine  rasa,  aristolochia,  allume  ro- 
tondo di  ciascuno  p.  *  vili;  cera  p.  *  1; 
olio  un'emina;  aceto  quanto  basti. 

Tetmfarmaco  verde  suppurativo. 


().  Pini   aiilcm   movendo  non  aliud  me-  o,.  A  provocare  la   suppurazione  non  av- 

lius,  quam  quod  expeditissimum  est  :  tétp«-  vi  di  meglio  di  quello  che  è  di  spacciatissi- 
<paf{j?x.ov  a  Graecis  nominatur.  Habet  pares  ma  preparazione:  dai  Greci  vien  detto  te- 
porliones  cerae,  picis,  resinae,  sevi  taurini  ;  si  trafarwaco  (1).  Contiene  a  parti  eguali 
ld  non  est,  vitulini.  cera,  pece,  ragia,  sevo  di  toro,  e,  se  questo 

non  evvi,  di  vitello. 


(1)  Dicesi   teliafarraaco  [perchè   consta  di  4  droghe. 


,,0 


CELSO 


Enneapharmacum  emplastrum.  ad  pus 
movendun.  et  ad  purgandum  valens. 

io.  Allerum  ad  idem,  ivv-a<pà?uay.ov  no- 
minatur  :  quod  magis  pargat.  Const.it  ex  no- 
velli rebus,  cera,  inelle,  sevo,  resina,  mvrrha, 
rosa,  medulla  vel  cervina  vel  vitnlina  vel  bu- 
btila,  oesypo,  butyro  :  quorum  ipsorum  quo- 
que pondera  paria  miscentnr. 


Emplastra^  quibus  utriusque    rei 
facultas  est. 

i  f.  Sunt  autem  quaedam  emplastra , 
quibus  utriusque  rei  facultas  est  :  quae  si 
siogala  habenda  sunt,  meliora  sunt;  sed  in 
copia  rcjicienda  sunt.  iis  pollai  adhibitis,  quae 
propria  id,  quo  1  co  tempore  opus  esl,  conse- 
quuulur.  Exempli  caussa  duo  proponam. 


Attalam  emplastrum  ad  vulnera. 

Est  igi tur  ad  vulnera  Attalum  ;  quod 
habet  ipomae  eerit  p.  *  xvi  ;  thuris  fuliginis 
p.  *  xv;  ammoniaci  t anlumdem,  resinae  tere- 
binthinac  liquidae  p.  xxv;  sevi  taurini  tan- 
luradcm,  aceti  heminai  tres,  olei  sextariurn. 

Judaei  emplastrum,  fracto  capiti 
accommodatum. 

At  inler  ea,   quae  fracto  capili  accom- 

mol.uitur.  li  iltent  quidam  id,  quo  l  ad  aueto- 
rem  Jiilinn  refertur.  Constai  ex  bis:  salis 
p.  *  iv;   tquamae    leni  rubri,   aeris  combusti, 

tiognlorura  [>.  *  x\\  ;  ammoaiaci  thrmiamatts, 
tharii   t  «  1 1 1  •_:  1 1 1 1  s .  reeinae  ariane,  lingulorura 

]>.  *  w r  :  r   -,io  ii-  col  tphooìacae,  i  "i mc.  wi  \  i- 

tulini  cur .*ti.  iingulornra  |>.  *  w.  aceti  tei  |ui- 

•  .oiri  iniiins cyatho.Ti0ifaTla>ttt<yfli Grae- 

(i  appetì  ani.  qoaa  coni  i  rooant;  cuoi  ti  aero 

pnia  omoei  meinbr annlae  diligenter  esempi  te 

sunt.  aut  <-\  alio  medicamento. 


Enneafarmaco  suppurativo  e  purgativo. 

io.  Altro  al  medesimo  ufficio  denomi- 
nalo enneafarmaco  (i)->  perocché  esso  mag- 
giormente deterge.  Componesi  di  nove  in- 
gredienti: cera,  mele,  sevo,  resina,  mirra, 
olio  rosato,  midolla  di  cervo  o  di  vitello  o 
di  bue,  esipo,  buttiro  ,  le  quali  cose  ancora 
in  pari   quantità   si  meschiano. 

Cerotti  suppurativi  e  purgativi. 

il.  Sonovi  alcuni  cerotti,  i  quali  han- 
no facoltà  di  fare  l'uno  e  l'altro  effetto: 
che  se  non  si  può  avere  acconcio  all'elicilo 
particolare,  se  non  un  cerotto  solo,  meglio 
è  avere  alcuno  di  quelli,  a  cui  l1  una  e  Tal- 
Ira  virtù  competesi  :  ma  se  ve  n'ha,  queslo 
si  deve  ricettare;  adoperando  quelli  piutto- 
sto, i  quali  elfeltuano  ciò  che  a  quel  tempo 
propriamente  fa  d'uopo.  Per  oagton  d'esem- 
pio ne  riporterò  due. 

Cerotto  attalo  per  le  ferite. 

Avvi  pertanto  per  le  ferite  V  attalo  : 
contiene  scoria  di  rame  p.  •  xvi  ;  fuliggine 
d'incenso,  p.  *  xv  ;  ammoniaco  altrettanto  ; 
trementina  liquida  p.  *  xxv;  sevo  di  loro 
altrettanto;  aceto  tre  emine  ;  olio  un  seslario. 

Cerotto  di  un  (riwleo  per  le  fratture 
del  capo. 

Fra  i  cerniti  che  si  convengano  alle 
fratture  ilei  capo,  alcuni  ripongono  quello 
che  si  attribuisce  ad  un  Giudeo.  Conila  del» 
le   tegnenti  :  sale   p.  *  iv;  iquaaa    di  rame 

rossi»,  rame  bruciato  ani  p.  '  mi  ;  ammonia- 
co in  lagrima,  fuliggine  d'Incenso,  maina 
lecca  ana  |».  *  wi;  resina  «li  colofonio,  cera, 
sevo  vitellino  preparato  bah  p.  *  w,  ■ggiu- 

fftlesi  di  aceto  uni  vesti  pule  d"  un  (iato,  e 
dì   olio     iijcii    di     un   cialo.     'l'eferupeu  mena 

intendeai  neir  idioma  greco  quel  che  nel 
nostro  diciamo  prò panate,  allorché  dal  sevo, 
per  aito  d*  etempio,  latte  de  membranette 
sono  diligentemente  fia  tolte,  oppnf  >\^  al- 
tro medi*  inale, 


Empì  li  ira  c't/7T7tt;x"  '. 

i ■-.  Sunt  ctiam  qoaedam  emplattra  no- 
bili!   ad    •■xlrali-n  Inni  ;     quie     q^i     quoque 


Ci  mtti  epiipaticit 


hr  .ti 


.  Sonori     in  ìora 

I  attrari  <•.  i  qu  ili 


il, ini!     cerotti    cele 
ancor  essi  .si   chia- 


u  C  ■  i    i    '  ■  parchi  composto  di  nove  droghe* 


DELLA 

inTteirotarixà,  nominantur  :  quale  est,  quod 
quia  lauri  baccas  habet,  &ià  àot<pvt'£w  appel- 
latur.  In  eo  est,  resinae  terebinthinae  p.  *  x; 
nitri,  cerae,  picis  aridae,  baccarum  lauri  sin- 
gulorum p.  *  xx;  olei  paulura.  Quoties  aut 
baccani,  aut  nucera,  aut  simile  aliquid  posue- 
ro,  scire  oportebit,  antequara  expandatur, 
ei  suramam  pelliculam  esse  demendam. 


MEDICINA  177 

mano  epìspastìci:  tale  è  quello  il  quale  pe- 
rocché bacche  di  lauro  contiene,  nomasi  dia 
defridon.  Havvi  in  esso  resina  di  terebinto 
p.  *  x;  nitro,  cera,  pece  arida,  bacche  di 
lauro  ana  p.  *  xx,  e  un  poco  d1  olio.  Egli 
è  da  sapere  che  ogni  qualfiata  riporterò  o 
noce ,  o  bacca  o  altra  siroil  cosa  anzi  di 
usarle  ,  vuoisi  levar  loro  la  esteriore  pelli- 
cella. 


Aliud,  àid  Jotipviiw,  ad  extrahendum 
et  pus  movendum. 


Altro  simile  attraente  e  suppurativo 


1 3.  Aliudeodem  nomine,  quod  puri  quo-  13.  Havvene  un  altro  di  questo  nome, 

que  movendo  est.   Sevi  vitulini,   ammoniaci  il  quale  è  inoltre  valevole  a  far  suppurare: 

thymiaraatis,    picis,  cerae;  nitri,  baccarum  sevo  di  vitello,  ammoniaco    in  lagrima,  pe- 

lauri,  resinae  aridae,  aristolochiae,  pyrethri,  Ce,  cera,  nitro,  bacche  di  lauro,  resina  ari- 

pares  portiones.  da,  aristolochia  e  piretro  in  parti  eguali. 


Philocratis  emplastrum  ad  extrahen- 
dum et  pus  movendum. 

14.  Praeter  haec,  est  Philocratis:  quod 
habet  salis  ammoniaci  p.  *  vii  ;  aristolochiae 
p.  *  vni;  cerae,  resinae  terebinthinae,  fuliginis 
thuris,  singulorum  p.  *  xv;  spumae  argenti 
p.  *  xxxii  ;  Quibus,  ut  pus  quoque  moveant, 
iridis  p.  *  ìv;  et  galbani  p.  *  vi  adjiciuntur. 


'PwTrùJes  emplastrum,  ad  extrahendnm. 

i5.  Optimum  tamen  ad  extrahendum 
est  id,  quod  a  similitudine  sordium  fum-còdés 
Graeci  appellant.  Habet  myrrhae,  croci,  iri- 
dis, propolis,  bdellii,  capitulorum  punici  ma- 
li, aluminis  et  scissilis  et  rotundi,  inisy,  chal- 
citidis,  atramenti  sutorii  cocti,  panacis,  salis 
ammoniaci,  visci,  singulorum  p.  *  ìv;  aristo- 
lochiae p.*vm  ;  squamae  aerisp.  *xvi;  resinae 
terebinthinae  p.  *  lxxv;  cerae,  et  sevi  vel 
taurini  vel  hircini,  singulorum  p.  *  e. 

Emplastrum  J/ecataei,  ad  extrahendum. 

16.  Hecataeo  quoque  auctore  emplaslrum 
generis  ejusdem  fit  ex  his:  galbani  p.  *  li; 
fuliginis  thuris  p.  *  iv;  picis  p.  *  vi  ;  cerae,  et 
resinae  terebinthinae,  singulorum  p.  *  vili  ; 
quibus  paulum  irini  unguenti  miscetur. 


' Alexandrinum  emplastrum  viride  ad 
extrahendum. 


Cerotto  di  Filocrate  attraente   e  suppu- 
rativo. 


14.  Oltra  questi  jV  è  quel  di  Filocrate, 
il  quale  contiene  sale  ammoniaco  p.  *  vn  ; 
aristolochia  p.  *  vili  ;  cera,  trementina,  fu- 
liggine d1  incenso  ana  p.  *  xv;  litargio  p.  * 
xxvi.  A  questi  onde  promuovano  anche  la 
suppurazione  si  aggiungono  p.  *  in  d'iride, 
e  p.  *  vi  di  galbano. 

Cerotto  ripode  attraente. 

i5.  Ottimo  tuttavia  per  estrarre  egli 
è  quello  che  dalla  similitudine  delle  sordi- 
dezze i  Greci  V  appellan  ripode.  Ila  mirra, 
zafferano,  iride,  propoli ,  panace,  sale  am- 
moniaco, visco  p.  *  iv;  aristolochia  p.  *  vili  ; 
schiuma  di  rame  p.  *  xvi;  trementina  p.  * 
lxxv;  cera    e  sevo  di    toro  o  di    becco  ana 


Cerotto  di  Ecateo  attraente. 

16.  Si  fa  anche  un  cerotto  della"  me- 
desima virtù  proposto  da  Ecateo  di  queste 
cose  :  galbano  p.  *  11  ;  fuliggine  d1  incenso 
p.  *  iv;  pece  p.  *  vi  ;  cera  e  trementina  ana 
p.  *  vili  ;  con  cui  si  mescola  un  poco  d'un- 
guento d1  iride. 

Cerotto  verde  Alessandrino  attraente. 


17.  Valensque  ad  idem  emplastrum  vi- 
ride alexandrinum  esi.  Habet  aluminis  scis- 
silis p.*vm  ;  salis  ammoniaci  p.  *  viu  ss  ;  squa- 
raae  aeris  p.  *  xvi  ;  myrrhae,  thuris,  singulo- 
rum p.  *  x  nn;  cerae  p.  *.  cl;  resinae  colopho- 
Celso. 


17.  Ed  è  valevole  al  medesimo  fine  il 
cerotto  verd<;  alessandrino:  esso  ha  allume 
scagliuolo  p.  *  vfii  ;  sale  ammoniaco  p.  *  vm: 
squama  di  rame  p.  *  xvi  ;  nv'rra,  incenso 
ana  p.  *  xvni;   cera  p.  *clj  resina  di  colo* 

23 


i;8  cblso 

niacae  aut  pineae  p.  *  ce;  olei  herainam.  aceti     ionio  o  di  pino  p.  *  ce;  olio  un'emina;  ace- 
sextarium.  to  un  sestario. 


De  emplastris  exedentibus. 

18.  Quaedam  autem  suut,  emplastra  exe- 
denlia,  quae  ^mr-ra  Greci  vocant:  quale  est 
iti,  quod  habet  resinae  terebinthinae,  l'uligi- 
uis  thuris.  smgulorum  p-  =:  ;  squamai*  aeris 
p.  *  i  ;  ladani  p.  *  n  ;  aluminis  tautumdem, 
spumae  ardenti  p.  *  ìv. 

Emplastrum,  quod  exest  corpus,  ossa  resol- 
vit,  et  supercrtscentem  carne/n  coercet. 

iq.  Exest  ctiam  vehetnenter  corpus,  at- 
que  ossa  quoque  resolvit,  et  supererescenlem 
<;arneiu  coercet  id,  quod  habet  spumae  argen- 
ti, s  |uamae  aeris,  uncias  singulas  nitri  igneui 
non  experti,  lapidis  asii ,  aristolochiae  p. 
sexlantes,  cerae,  resinae  terebinthinae,  thu- 
ris, olei  veteris.  atramenti  sutorii,  salis  am- 
moniaci p  s.  aeruginis  rasae  p.  bessem,  aceli 
scillitici  heruinara,  vini  aminaei  tantu.ndem. 


Cerotti  corrosivi. 

18.  Sonovi  poi  alcuni  cerotti  corrosi- 
vi, che  i  Gneci  dicono  sipta  :  tale  è  quello 
che  contiene  trementina,  fuliggine  d' incen- 
so ana  p.  *  n;  squama  di  rame  p.  *  1  ;  la- 
dano p.  *  11  ;  allume  altrettanto,  lilargirio 
p.  *   IV. 

Cerotto  che  rode  il  corpo,  risolve  le  ossa 
e  constarla  le  carni  fungose  . 

19.  Anche  rode  fortemente  il  corpo,  e 
le  ossa  pure  risolve  ,  e  la  superfluità  della 
carne  raffrena  quello  che  contiene  lilargirio, 
scoria  di  rame  ana  oncie  una,  nitro  verdi- 
ne, pietra  asia,  aristolochia  p.  sestanti,  cera, 
trementina,  incenso,  olio  vecchio,  vetriolo, 
sale  ammoniaco  p.  s.  ,  e  ruggine  r,is;i  otto 
once,  aceto  seillitico  un'emina,  vino  aminco 
altrettanto. 


Emplastra  adversus  morsus